SENTENZA N. 496 -
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo
Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
da:
- Cesare MIRABELLI Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione
Veneto, riapprovata l'8 ottobre 1998, recante "Referendum consultivo
in merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per l'attribuzione
alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia", promosso
con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28
ottobre 1998, depositato in cancelleria il 5 novembre 1998 ed iscritto
al n. 42 del registro ricorsi 1998.
Visto
l'atto di costituzione della Regione Veneto;
udito
nell'udienza pubblica del 9 maggio 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi
l'avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio
dei ministri e gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione
Veneto.
Ritenuto in fatto
1.
- Con ricorso in data 26 ottobre 1998, regolarmente notificato e depositato,
il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli articoli 1, 3, 5, 70, 71, 121, 123
e 138 della Costituzione e all'articolo 47 dello statuto della Regione
Veneto, della legge della Regione Veneto, recante "Referendum consultivo
in merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per l'attribuzione
alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia", approvata
dal Consiglio regionale nella seduta del 23 aprile 1998 e riapprovata a
maggioranza assoluta, a seguito del rinvio governativo, l'8 ottobre 1998.
2.
- La legge di cui è questione promuove, ai sensi dell'art. 47 dello
statuto della Regione Veneto, un referendum consultivo della popolazione
residente in merito alla presentazione da parte del Consiglio regionale,
nell'esercizio della potestà ad esso conferita dall'art. 121 della
Costituzione, di una proposta di legge costituzionale che attribuisca forme
e condizioni particolari di autonomia alla Regione Veneto, a mezzo di uno
specifico statuto speciale, che preveda in particolare: a) il conferimento
generale della potestà legislativa alla Regione e la enumerazione
tassativa delle materie di potestà legislativa e amministrativa
statale (politica estera, difesa, moneta, giustizia, organi costituzionali
dello Stato, livelli inderogabili delle prestazioni relative ai diritti
sociali tutelati in Costituzione); b) l'esercizio a livello locale delle
funzioni amministrative e l'attribuzione alla Regione delle funzioni di
programmazione e di controllo; c) il riconoscimento alla Regione del potere
di stipulare accordi con Stati o enti territoriali di altri Stati e di
partecipare alla formazione degli atti dell'Unione europea, provvedendo
in via autonoma all'attuazione degli atti comunitari; d) la determinazione
da parte della Regione della propria forma di governo, inclusa la possibilità
di prevedere l'elezione diretta del Presidente della Regione e la disciplina
del sistema elettorale regionale; e) il conferimento alla Regione del potere
di istituzione, accertamento e riscossione dei tributi, con devoluzione
allo Stato di una quota non superiore ad un terzo delle entrate tributarie
riscosse dalla Regione.
Secondo
il ricorrente la legge regionale si porrebbe in contrasto con gli indicati
parametri per ragioni analoghe a quelle poste da questa Corte a base della
sentenza n. 470 del 1992, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità
costituzionale di una legge della Regione Veneto diretta a proporre un
referendum consultivo in merito alla presentazione di una iniziativa
legislativa volta a modificare disposizioni costituzionali concernenti
l'ordinamento delle Regioni. In quella circostanza, la Corte aveva affermato
che il referendum consultivo, per quanto sprovvisto di efficacia
vincolante, esercita comunque la sua influenza, di indirizzo e di orientamento,
nei confronti delle successive fasi del procedimento di formazione della
legge statale e dunque può condizionare scelte discrezionali affidate
alla esclusiva competenza di organi centrali dello Stato, facendo sorgere
«il rischio di influire negativamente sull'ordine costituzionale
e politico dello Stato». Inoltre, rammenta l'Avvocatura dello Stato,
nella medesima sentenza n. 470 questa Corte aveva affermato che l'aggravamento,
mediante forme di consultazione popolare variabili da Regione a Regione,
del procedimento di formazione delle leggi costituzionali contrasta con
la disciplina della revisione posta nell'art. 138 Cost.
Muovendo
da simili premesse, e particolarmente insistendo sul tenore della relazione
illustrativa della delibera impugnata, nella quale si fa esplicito riferimento
alla necessità, nell'ambito di un «nuovo patto costituzionale»,
di rinegoziare con lo Stato il ruolo istituzionale, l'organizzazione, le
funzioni della Regione, e dunque la propria originale soggettività,
il ricorrente conclude che un referendum consultivo della popolazione
veneta in materia fondamentale di revisione costituzionale, oltre a comportare
un illegittimo aggravamento del procedimento previsto nell'art. 138 Cost.,
verrebbe in fatto ad assumere il significato politico di una "autodeterminazione"
della Regione Veneto sulla forma e l'unità della Nazione, con ciò
violando il principio della assolutezza della competenza parlamentare in
materia, che opera come limite costituzionale all'ammissibilità
di referendum consultivi regionali.
3.
- Si è costituita la Regione Veneto, chiedendo che il ricorso sia
rigettato. Preliminarmente rileva la Regione che, in questa fase di profonda
evoluzione del sistema costituzionale delle autonomie e di potenziamento
dei poteri locali, si renderebbe necessaria una globale riconsiderazione
della materia, rispetto alle due pronunce costituzionali - la sentenza
n. 470 del 1992 e la sentenza n. 256 del 1989 - che si pongono come immediati
precedenti rispetto alla questione in esame. La difesa regionale nega comunque
che la vicenda conclusa con la sentenza n. 470 del 1992 - alla quale l'Avvocatura
esplicitamente si richiama - e quella oggetto del presente giudizio siano
equiparabili, sostenendo che nella fattispecie odierna non verrebbe in
rilievo un interesse diretto alla revisione degli ordinamenti regionali
e dunque della stessa forma dell'unità politica, ma quello, più
circoscritto, a definire un peculiare e differenziato statuto autonomistico
per la sola Regione Veneto. Il referendum consultivo - assume la
difesa regionale - per la sua funzione propedeutica rispetto all'esercizio
della iniziativa legislativa regionale, non coinvolgerebbe dunque il corpo
elettorale nazionale nella sua unità, ma esclusivamente la collettività
territoriale veneta. Quanto alla lamentata lesione dell'art. 138 Cost.,
la difesa della Regione contesta che dalla tipicità del procedimento
di formazione degli atti legislativi possa desumersi l'impossibilità
di inserire, nella fase dell'iniziativa, «elementi aggiuntivi non
previsti nel testo costituzionale». Si osserva in proposito che l'atto
di iniziativa legislativa costituisce il prodotto di un procedimento che
rimane del tutto estraneo a quello di revisione costituzionale disciplinato
dall'art. 138 Cost., sicché l'inserimento nell'iter procedimentale
di un elemento ulteriore come il referendum consultivo non avrebbe
alcuna rilevanza esterna, esaurendo comunque i suoi effetti entro l'ordinamento
regionale.
Pure
da respingere sarebbe, ad avviso della resistente, l'argomento secondo
il quale la determinazione referendaria, quale atto di indirizzo politico,
eserciterebbe un condizionamento su scelte discrezionali affidate all'esclusiva
competenza di organi centrali dello Stato, con conseguente violazione dei
limiti costituzionalmente posti al referendum consultivo regionale.
Sviluppando coerentemente un simile ragionamento, secondo la Regione, dovrebbero
infatti considerarsi condizionanti anche ipotetiche espressioni di volontà
favorevoli ad una proposta di iniziativa legislativa formulate da Consigli
comunali, gruppi di cittadini e forze sociali, secondo le normali modalità
di libera manifestazione della dialettica politica. Inoltre, anche ad ammettere
che il referendum consultivo possa assumere un valore di indirizzo,
esso eserciterebbe comunque una forma di condizionamento nei confronti
della Regione che presenta il progetto, non certo del Parlamento che lo
riceve.
Con
riguardo, infine, alla denunciata violazione, da parte della legge impugnata,
dell'art. 47 dello statuto veneto, la difesa regionale sostiene che l'espressione
"referendum su leggi e su provvedimenti determinati" contenuta in
tale articolo non potrebbe essere riferita esclusivamente al referendum
abrogativo di atti già perfetti, ma consentirebbe forme di consultazione
popolare formalizzata anche su iniziative legislative ed amministrative
adottate o adottabili dalla Regione, ancorché esse siano relative
ad atti di contenuto e portata territorialmente non circoscritta all'ambito
regionale.
4.
- Con memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica la
Regione Veneto, oltre a rinnovare le argomentazioni contenute nell'atto
di costituzione, ha svolto una più ampia riflessione sui concetti
di unità e indivisibilità della Repubblica, nella loro relazione
con il principio autonomistico, denunciando la persistenza di una visione
che concepisce forme di dialogo solo tra i supremi organi dello Stato e
trascura la possibilità di porre in rapporto dialettico le diverse
soggettività dell'ordinamento, siano o meno titolari di potestà
pubbliche. La previsione del referendum consultivo regionale in
discorso costituirebbe espressione di questa vivifica tensione tra istanze
dell'unità e istanze del pluralismo e varrebbe a rendere più
credibili, in quanto più legittimate, iniziative legislative regionali
di revisione costituzionale. Conclusivamente la difesa regionale chiede
alla Corte di rivedere l'orientamento manifestato con la sentenza n. 470
del 1992 e di respingere il ricorso governativo.
Ha
depositato altresì memoria l'Avvocatura dello Stato, fuori del termine
previsto nell'art. 10 delle norme integrative per i giudizi davanti a questa
Corte, illustrandone tuttavia il contenuto nella pubblica udienza.
1
- Il giudizio in via principale promosso, con il ricorso in epigrafe, dal
Presidente del Consiglio dei ministri, ha ad oggetto la legge della Regione
Veneto recante "Referendum consultivo in merito alla presentazione
di proposta di legge costituzionale per l'attribuzione alla Regione Veneto
di forme e condizioni particolari di autonomia", approvata dal Consiglio
regionale nella seduta del 23 aprile 1998 e riapprovata a maggioranza assoluta,
a seguito del rinvio governativo, l'8 ottobre 1998. A giudizio del ricorrente
la delibera legislativa impugnata, diretta ad indire un referendum
consultivo della popolazione veneta in «materia fondamentale di revisione
costituzionale», supererebbe i limiti costituzionali del referendum
consultivo regionale, ponendosi in contrasto con i principî espressi
negli articoli 1, 3, 5, 70, 71, 121, 123 e 138 della Costituzione, nonché
con l'articolo 47 dello statuto della Regione Veneto.
Richiamate
le argomentazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 470 del 1992,
il ricorrente lamenta che la consultazione popolare indetta dalla Regione
con la legge impugnata, pur non essendo produttiva di vincoli giuridici
per l'organo al quale si indirizza, verrebbe comunque ad assumere una indubbia
valenza politica, tale da orientare le successive fasi del procedimento
di formazione della legge statale e da condizionare scelte discrezionali
di spettanza di organi centrali. Inoltre, l'inserimento di un referendum
consultivo nella fase della iniziativa legislativa della Regione in materia
costituzionale darebbe luogo ad un aggravamento procedurale, con ciò
contrastando con la disciplina della revisione posta nell'art. 138 Cost.
2.
- La sopravvenuta modifica dell'articolo 123 della Costituzione ad opera
della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti
l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia
statutaria delle Regioni) non altera i termini della questione, che è
fondata in relazione a tutti i parametri indicati, i quali, nel loro insieme
e letti sistematicamente, concorrono a definire la posizione costituzionale
del referendum, in tutte le sue possibili varianti, come istituto
di democrazia diretta, nonché le forme e i limiti dell'intervento
del popolo nei procedimenti di produzione normativa di livello costituzionale.
La
partecipazione delle popolazioni locali a fondamentali decisioni che le
riguardano costituisce un principio di portata generale che è connaturale
alla forma di democrazia pluralista accolta nella Costituzione repubblicana
ed alla posizione di autonomia riconosciuta agli enti territoriali nel
Titolo V, Parte II, della Costituzione (sentenza n. 453 del 1989). La possibilità
di concorrere alla determinazione delle scelte delle quali si è
destinatari, infatti, vivifica gli istituti della rappresentanza offrendo
agli organi politici e amministrativi l'opportunità di un più
stretto raccordo con le popolazioni amministrate.
Tra
le forme giuridiche della partecipazione popolare si colloca il referendum
consultivo.
Accanto
alle ipotesi di cui agli artt. 132 e 133 Cost. di referendum consultivo
obbligatorio per la modificazione di enti territoriali, forme di consultazione
popolare facoltative, finalizzate alla espressione di pareri su questioni
di interesse sia regionale che locale o a conoscere l'orientamento delle
popolazioni interessate a determinati provvedimenti, sono previste in numerose
disposizioni statutarie e di legislazione regionale. Ad una simile forma
di partecipazione popolare intenderebbe riferirsi la consultazione indetta
dalla Regione Veneto con la legge impugnata.
3.
- Questa Corte ha già riconosciuto il potere del Consiglio regionale
di presentare proposte di legge alle Camere anche in materia di revisione
costituzionale (sentenze nn. 256 del 1989 e 470 del 1992), osservando che
l'art. 121, secondo comma, Cost. non ha introdotto nei confronti di tale
potere limitazioni riferite alla forza, ordinaria o costituzionale, dell'atto
normativo che la Regione intenda proporre. Né sarebbe possibile
d'altra parte desumere limitazioni del genere, sia pure indirettamente,
dalla disciplina generale che l'art. 71 Cost. ha posto in tema di soggetti
legittimati all'esercizio dell'iniziativa delle leggi dello Stato, ove
non si opera alcun riferimento alla forza dell'atto che viene proposto.
Inoltre,
in relazione alla soggettività politica e costituzionale della quale,
nella nostra forma di Stato, sono titolari le Regioni, è stato riconosciuto
ad esse un interesse qualificato ai contenuti di una riforma, come quella
oggetto della delibera legislativa oggi scrutinata, che riguarda l'assetto
istituzionale della Regione ed i suoi rapporti con lo Stato centrale (sentenza
n. 470 del 1992).
4.
- Con la questione oggi all'esame di questa Corte non può venire
dunque nuovamente in considerazione il problema dei limiti formali alla
iniziativa legislativa attribuita ai Consigli regionali dall'art. 121 Cost.,
poiché non v'è motivo di discostarsi dall'univoco orientamento
della giurisprudenza costituzionale secondo il quale tale iniziativa riguarda
indubbiamente anche le leggi di revisione. Ed è da ritenere connaturata
a questo potere la disciplina del procedimento, tutto interno all'ordinamento
regionale, che conduce alla formalizzazione dell'atto di iniziativa. La
questione è però se il potere di regolare il sub-procedimento
ricadente nella competenza regionale incontri limiti sistematici, inerenti
alla posizione costituzionale del popolo in relazione alla revisione; se
cioè il popolo stesso, sia pure nella sua più limitata dimensione
di corpo elettorale regionale e nella forma partecipativa apparentemente
più tenue, quale ricorre nei referendum consultivi, possa
essere chiamato a pronunciarsi su provvedimenti intesi ad innovare all'ordinamento
a livello costituzionale. Sotto questo profilo, la finalità della
legge impugnata non può essere condivisa e si espone alle fondate
censure dello Stato, per rendere ragione delle quali non può prescindersi
dalla definizione del ruolo del referendum in genere e dalla sua
collocazione nel sistema costituzionale.
4.1.
- E' pacifico che il referendum abrogativo di cui all'articolo 75
della Costituzione può avere ad oggetto leggi ed atti con valore
di legge, ma non può incidere su fonti di grado costituzionale,
poiché diversamente verrebbero compromessi il principio di rigidità
e la tipicità del procedimento di revisione di cui all'art. 138.
L'istanza protettiva delle fonti superiori è così intensa,
e così cogente è l'esigenza che l'abrogazione popolare di
leggi non raggiunga mai quel livello, che l'art. 2 della legge costituzionale
11 marzo 1953 n. 1, ha istituito un apposito giudizio preventivo di ammissibilità
delle richieste di referendum inteso a verificare non solo che esse
non siano comprese nelle materie esplicitamente sottratte dall'art. 75,
secondo comma, della Costituzione alla consultazione popolare, ma anche
a controllare che il referendum stesso si attenga ad un livello
subordinato alla Costituzione e alle altre fonti di rango costituzionale.
Basti qui richiamare la copiosa giurisprudenza di questa Corte, a partire
dalla sentenza n. 16 del 1978, sulle leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente
vincolato che sono escluse dal referendum abrogativo proprio ad
impedire che la decisione popolare, dietro lo schermo formale della legge
ordinaria fatta oggetto di richiesta referendaria, si diriga contro le
corrispondenti norme costituzionali, delle quali quelle leggi sono la sola
possibile attuazione.
Già
quindi la semplice considerazione della collocazione del referendum
abrogativo, che pure, diversamente dai referendum consultivi, interviene
su un atto legislativo in vigore e dal contenuto interamente determinato,
in ordine al quale è più agevole per l'elettore maturare
un consapevole convincimento che non trasmodi in manifestazione plebiscitaria,
depone nel senso che nel nostro sistema le scelte fondamentali della comunità
nazionale, che ineriscono al patto costituzionale, sono riservate alla
rappresentanza politica, sulle cui determinazioni il popolo non può
intervenire se non nelle forme tipiche previste dall'art. 138 della Costituzione.
4.2.
- La decisione politica di revisione è opzione rimessa in primo
luogo alla rappresentanza politico-parlamentare. L'art. 138, secondo comma,
della Costituzione non solo prevede un referendum popolare sulla
legge costituzionale come ipotesi meramente eventuale, rimessa alla iniziativa
di cinquecentomila elettori, cinque Consigli regionali o un quinto dei
membri di una Camera, ma, ad impedire che l'intervento popolare sia svincolato
dal procedimento parlamentare al quale soltanto può conseguire,
circoscrive entro limiti temporali rigorosi l'esercizio del potere di iniziativa:
tre mesi dalla pubblicazione della legge di revisione sulla Gazzetta
Ufficiale. Al terzo comma, lo stesso articolo 138 preclude del tutto
la possibilità di un intervento popolare quando stabilisce che «non
si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella
seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei
suoi componenti», con ciò confermando che la revisione costituzionale
è appunto, in primo luogo, potere delle Camere.
Non
vuole dirsi con ciò che il dibattito relativo alla modificazione
delle norme più importanti per la vita della comunità nazionale
debba restare confinato nei luoghi istituzionali della politica. Al contrario
è opportuno che esso si diffonda nella opinione pubblica e che fornisca
alla discussione parlamentare l'habitat culturale necessario ad
affrontare un procedimento di revisione. E' però indubitabile che
la decisione è dall'art. 138 rimessa primariamente alla rappresentanza
politico-parlamentare. All'interno del procedimento di formazione delle
leggi costituzionali il popolo interviene infatti solo come istanza di
freno, di conservazione e di garanzia, ovvero di conferma successiva, rispetto
ad una volontà parlamentare di revisione già perfetta, che,
in assenza di un pronunciamento popolare, consolida comunque i propri effetti
giuridici.
Se
ne possono desumere due fondamentali proposizioni: la prima di esse è
che il popolo in sede referendaria non è disegnato dalla Costituzione
come il propulsore della innovazione costituzionale. La seconda è
che l'intervento del popolo non è a schema libero, poiché
l'espressione della sua volontà deve avvenire secondo forme tipiche
e all'interno di un procedimento, che, grazie ai tempi, alle modalità
e alle fasi in cui è articolato, carica la scelta politica del massimo
di razionalità di cui, per parte sua, è capace, e tende a
ridurre il rischio che tale scelta sia legata a situazioni contingenti.
5.
- Se, muovendo da questo quadro sistematico, si passa allo scrutinio della
legge impugnata, non è difficile rendersi conto che essa, per il
ruolo che pretende di assegnare alla popolazione regionale in un procedimento
che ha come suo oggetto e come suo fine politico immanente il mutamento
dell'ordinamento costituzionale, incrina le linee portanti del disegno
costituzionale proprio in relazione ai rapporti tra l'istituto del referendum
e la Costituzione. E' innanzitutto evidente che laddove il popolo, in sede
di revisione, può intervenire come istanza ultima di decisione e
nella sua totalità, esso è evocato dalla legge regionale
nella sua parzialità di frazione autonoma insediata in una porzione
del territorio nazionale, quasi che nella nostra Costituzione, ai fini
della revisione, non esistesse un solo popolo, che dà forma all'unità
politica della Nazione e vi fossero invece più popoli; e quasi che,
in particolare, al corpo elettorale regionale potesse darsi l'opportunità
di una doppia pronuncia sul medesimo quesito di revisione: una prima volta,
preventivamente, come parte scorporata dal tutto, in fase consultiva, ed
una seconda volta, eventuale e successiva, come componente dell'unitario
corpo elettorale nazionale, in fase di decisione costituzionale. Né
varrebbe affermare che nel referendum consultivo in questione il
corpo elettorale agirebbe come espressione di autonomia politica e non
come istanza di innovazione costituzionale. Anche intesa nella sua accezione
più lata, l'autonomia non può infatti essere invocata per
dare sostegno e forma giuridica a domande referendarie che investono scelte
fondamentali di livello costituzionale. Non è quindi consentito
sollecitare il corpo elettorale regionale a farsi portatore di modificazioni
costituzionali, giacché le regole procedimentali e organizzative
della revisione, che sono legate al concetto di unità e indivisibilità
della Repubblica (art. 5 Cost.), non lasciano alcuno spazio a consultazioni
popolari regionali che si pretendano manifestazione di autonomia.
6.
- Per negare che la legge impugnata incida sui fondamenti del sistema costituzionale
e sulla posizione che in questo è attribuita al referendum
popolare, non varrebbe neanche l'obiezione che nel caso presente si tratti
soltanto di un referendum consultivo, privo di effetti giuridici
vincolanti. Sarebbe invero riduttivo esaminare la vicenda della legge regionale
in questione soltanto nell'ottica dell'efficacia formale del referendum
consultivo e limitarsi ad osservare che da esso non scaturirebbe alcun
imperativo cogente o dovere giuridico inderogabile a carico del Consiglio
regionale o degli organi della revisione costituzionale. Non può
essere trascurato, poiché è materia di apprezzamento costituzionale,
che la rappresentanza regionale verrebbe comunque astretta ad un vincolo
politico la cui forza appare in grado di offuscare la prospettiva puramente
formale dell'ordine delle competenze interne alla Regione. In questo caso,
l'utilizzazione impropria di un istituto preordinato a rinsaldare i legami
tra rappresentanti e rappresentati e che giammai potrebbe risolversi nella
semplice manifestazione di opinioni di cui si arricchisce la dialettica
democratica, fa sì che l'iniziativa revisionale della Regione, pur
formalmente ascrivibile al Consiglio regionale, appaia nella sostanza poco
più che un involucro nel quale la volontà del corpo elettorale
viene raccolta e orientata contro la Costituzione vigente, ponendone in
discussione le stesse basi di consenso. Ed è appunto ciò
che non può essere permesso al corpo elettorale regionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiar
l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto,
riapprovata l'8 ottobre 1998, recante "Referendum consultivo in
merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per l'attribuzione
alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia".
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 27 ottobre 2000.
Cesare
MIRABELLI, Presidente
Carlo
MEZZANOTTE, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in cancelleria il 14 novembre 2000.
Il
Direttore della Cancelleria
F.to:
DI PAOLA
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