Primi
indirizzi per l’attuazione della riforma
A) La
riforma costituzionale muta radicalmente l’assetto e il rango delle funzioni
normative, ponendo nella forma e nella sostanza sullo stesso piano costituzionale
il potere legislativo statale e quello regionale.
Per
questo importanza sostanziale riveste la previsione contenuta all’articolo
11 del testo di revisione costituzionale che individua un meccanismo consultivo
qualificato di portata oltremodo rilevante, inserendo le Regioni direttamente nel
procedimento legislativo parlamentare. La rilevanza dell’integrazione della
Commissione rende indispensabile,
quindi, la ricerca degli strumenti giuridici che consentano
senza alcun indugio la sua pronta attivazione. A questo fine le Regioni
chiedono che sia data attuazione alla previsione costituzionale, in tempi
rapidi, in modo tale da garantire in ogni caso la presenza di tutti i Presidenti
delle Regioni e Province autonome.
B) Nel
nuovo quadro costituzionale, lo Stato non può emanare disposizioni
legislative in materie al di fuori di quelle di sua legislazione esclusiva
di cui al secondo comma dell’art. 117.
In
questo senso, non si può trascurare la nuova portata dell’art. 117,
e della previsione, in esso contenuta, di un criterio di ripartizione vera
e propria della funzione legislativa tra Stato e Regioni, da cui discende
la trasformazione da regola ad eccezione della potestà dello Stato
di dettare limiti all’esercizio delle potestà legislative regionali.
Da
questo principio, che costituisce ormai parte integrante dei principi contenuti
nel titolo I della Costituzione, deve desumersi che non è più
compatibile con il quadro costituzionale la individuazione in via interpretativa
di ulteriori poteri statali che non siano strettamente riconducibili alle
competenze riservate allo Stato dall’art. 117, secondo comma.
E’
quindi in questa disposizione (come, probabilmente, nell’art. 120) che
va eventualmente ricercato il fondamento di un intervento dello Stato a
fini di tutela delle esigenze dell’unità dell’ordinamento, che potrà
quindi avvenire ormai solo nella forma dell’esercizio di potestà
legislative in quelle materie (o meglio, ambiti trasversali) individuati
dall’art. 117 secondo comma, che più sembrano rispecchiare questa
esigenza di salvaguardia dell’unità, come quella della “determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”,
o quelle della “tutela della concorrenza” o della determinazione delle
“funzioni fondamentali di Province, comuni e città metropolitane”.
C) Lo
Stato non può emanare disposizioni regolamentari in materie diverse
da quelle di sua competenza legislativa esclusiva. I regolamenti statali
vigenti in materie regionali sono in ogni caso recessivi rispetto a norme
di legge o di regolamento regionale.
D) Lo
Stato nelle materie di legislazione concorrente deve limitarsi all’emanazione
di disposizioni legislative di principio e non può emanare alcuna
disposizione diversa da quelle di principio; la norma costituzionale
è, sul punto, chiarissima, dando vita ad una vera e propria separazione
di competenza fra Regioni e Stato: la potestà legislativa di regolazione
anche in tali materie spetta alle Regioni, spettando allo Stato esclusivamente
la determinazione dei relativi principi fondamentali.
E) Le
Regioni possono attivare da subito la potestà legislativa generale
residuale di cui al comma 4 dell’art. 117 Cost. Gli unici limiti che questa
incontra sono quelli stessi stabiliti nella Costituzione sia per la legislazione
statale che per quella regionale (del tutto quindi equiordinate): rispetto
della Costituzione stessa e dei vincoli relativi all’ordinamento comunitario
e agli obblighi internazionali. Nessun altro limite è posto in Costituzione
e nessun altro limite può essere quindi ipotizzabile (tanto meno
limiti elaborati in via giurisprudenziale o di prassi) vigente il pregresso,
radicalmente diverso ordinamento costituzionale nei rapporti Stato-Regioni.
F) Le
Regioni possono attivare da subito anche la potestà legislativa
concorrente per le materie di cui al comma 3 dell’art. 117, desumendo eventualmente
i principi fondamentali dalla legislazione vigente. L’opportunità
di una norma statale che indichi i principi della materia non è,
infatti, ostativa né propedeutica alla approvazione di leggi regionali
in materia, essendo palesemente inaccettabile che l’esercizio di potestà
legislative alle Regioni voluto dal legislatore costituente possa essere
condizionato, nella sua effettività, dall’eventuale inerzia del
legislatore statale ordinario nell’esercitare la propria potestà
di determinare i principi . Qualora in una materia non vi sia normativa
da cui desumere principi, in aderenza a quanto già accadeva nell’ordinamento
previgente, le Regioni possono comunque legiferare. La potestà legislativa
concorrente regionale, oltre agli eventuali principi stabiliti dalla legge
statale, non troverà altri limiti che quelli stabiliti per la legislazione
esclusiva: nessun altro limite specifico è infatti indicato in Costituzione
e nessun altro limite è quindi ipotizzabile, a pena di invalidare
l’intero impianto costituzionale di equiordinazione tra leggi statali e
leggi regionali. E’ compito della Cabina di Regia ricercare le soluzioni
idonee a comporre eventuali diversità di interpretazione, che si
manifestino in ordine alla delimitazione dei confini tra poteri dello Stato
e poteri delle Regioni nell’ambito delle materie concorrenti.
G) Nella
disciplina delle materie in cui lo Stato ha potestà legislativa
esclusiva è tenuto comunque a garantire il nuovo assetto delle competenze
amministrative di cui all’articolo 118 (competenza amministrativa ordinariamente
attribuita ai Comuni, salve esigenze di esercizio unitario che impongano,
sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza,
una diversa allocazione- Province, Regioni e, solo in ultima analisi, Stato).
Lo
Stato e le Regioni nell’ambito delle rispettive potestà legislative
sono tenuti comunque a garantire il nuovo assetto delle competenze di cui
all’art. 118 della Costituzione.
H) Le
Regioni ritengono che, l’operatività della riforma costituzionale
e l’assunzione delle nuove competenze legislative da parte delle stesse
sarebbe vanificata qualora non si procedesse alla rapida attuazione di
quanto previsto dal nuovo articolo 119, i cui punti salienti sono riportati
nello specifico documento allegato.
I) Le Regioni attribuiscono una rilevanza fondamentale al nuovo ruolo che ad esse viene riconosciuto dalla riforma costituzionale nel quadro europeo e internazionale. In particolare, il nuovo testo dell’art. 117 contiene importanti innovazioni anche per quanto concerne la partecipazione delle Regioni alla cd. fase ascendente e discendente del diritto comunitario, ovvero alla elaborazione degli atti comunitari ed alla loro esecuzione nell’ordinamento interno.
La riforma costituisce l’occasione per una profonda rimeditazione dei meccanismi di partecipazione attuali, per un superamento dei loro limiti intrinseci, già da tempo evidenziati dalle Regioni. Tramite questa disposizione – che riconosce alle Regioni un vero e proprio diritto, e correlativamente impone allo Stato l’obbligo di creare la condizioni affinché la partecipazione delle Regioni al procedimento decisionale europeo sia effettivo – le Regioni hanno piena legittimazione a pretendere la presenza di propri rappresentanti sia nelle fasi istruttorie preliminari alle decisioni delle istituzioni comunitarie sia nella fase decisionale in sede di Consiglio, sulla scorta delle esperienze di altri paesi europei, quando sono in discussione provvedimenti afferenti materie di competenza regionale; potrebbe altresì farsi promotrice, per il tramite dello Stato, di iniziative volte all’attuazione delle riforme, da lungo tempo prospettate, delle misure previste dal Trattato UE in tema di partecipazione delle Regioni, tramite la richiesta di inserire propri rappresentanti nella delegazione nazionale che parteciperà alla Convenzione preparatoria della Conferenza Intergovernativa per la revisione dei Trattati.
Roma,
6 dicembre 2001
1. Premessa
Le
materie di interesse finanziario, o comunque attinenti con quelle finanziarie,
presenti tra quelle di competenza legislativa concorrente sono:
- armonizzazione
dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario
- casse
di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale
- enti
di credito fondiario e agrario
- previdenza
complementare ed integrativa.
Si
tratta di questioni di particolare rilievo che occorrerà approfondire,
ma che sin da adesso prefigurano, ad esempio, in capo alle regioni un ruolo
di coordinamento della finanza locale e una potestà di perequazione
all’interno del territorio regionale.
Va
accennato che importanti problematiche finanziarie derivano nelle competenze
legislative generali residuali. Poiché le materie sono da desumere,
sono in corso le analisi e gli approfondimenti, ed anche le prime elencazioni
non sono certo esaustive.
Però
è certo che settori
quali le attività produttive e l'edilizia residenziale pubblica
hanno una rilevanza finanziaria estremamente alta.
Le
Regioni possono attivare da subito la potestà legislativa generale
residuale nei limiti della Costituzione e dei vincoli relativi all'ordinamento
comunitario e agli obblighi internazionali.
Le
Regioni possono attivare da subito anche la potestà legislativa
concorrente per le materie di cui al 117 comma 2, desumendo eventualmente
i principi fondamentali dalla legislazione vigente.
Premesso
questo quadro di sintesi, si può procedere ad una disamina del nuovo
assetto finanziario delineato dalla legge costituzionale 3/2001 con l'art.119.
2. Osservazioni
generali sul 119
La LC 3/2001 ha notevoli riflessi sull’autonomia finanziaria delle Regioni.
L’art. 117 ha previsto un nuovo assetto delle competenze legislative definendo le materie di competenza esclusiva dello Stato (art.117, comma 2), di competenza concorrente delle Regioni (art. 117, comma 3) e quelle di competenza esclusiva delle Regioni (art. 117, comma 4) da individuare in maniera residuale rispetto alle prime due.
L’art. 119, nel disciplinare la finanza regionale, non tiene conto delle predette distinzioni e le sue disposizioni parrebbero applicabili a tutte le materie.
L’art. 119 delinea quattro fonti di entrata:
a) le
entrate proprie
b) le
quote di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali
c) le
quote di partecipazione al fondo perequativo
d) le
risorse aggiuntive e gli interventi speciali
Esaminando
l’art. 119 si evidenziano i seguenti punti:
1) Le
Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, ove il riferimento
alla “entrata” sta ad indicare che le Regioni hanno potestà normativa
su tutti gli elementi costitutivi dei tributi regionali, in un contesto
di certezza, sufficienza delle risorse e programmabilità delle stesse.
L’autonomia tributaria implica ed impone che le basi imponibili (esclusive
o in comune con lo Stato) dell’entrate tributarie regionali non possano
essere intaccate da manovre finanziarie nazionali senza una preventiva
intesa tra governo nazionale e governi regionali al fine di salvaguardare
la compensazione delle eventuali minori entrate regionali.
2) Ai
sensi del 2° comma del 119 le Regioni hanno il potere di istituire
e applicare tributi ed entrate proprie, in armonia con la Costituzione
e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario.
L’art. 117 comma 3 pone tra la legislazione concorrente delle Regioni il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dal
117 comma 3 e dal 119 si desume che lo Stato, per quanto concerne il potere
delle Regioni di stabilire ed applicare tributi ed
entrate proprie, debba solo definire i “principi fondamentali”.
Peraltro
il potere delle Regioni di stabilire tributi ed entrate propri amplia le
preesistenti competenze, nel senso che le Regioni sono autorizzate a istituire
autonomamente tributi propri con propria legge ritenendo applicabile anche
ad esse la riserva di legge in materia tributaria ex art. 23 Costituzione.
L'affermazione
che le Regioni “applicano” tributi ed entrate propri significa che le medesime
hanno il potere di gestire tali tributi.
3) Le
Regioni dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali
riferibili al loro territorio. Viene, quindi, costituzionalizzato il principio
che la compartecipazione ai tributi erariali è ora commisurata al
gettito dei tributi erariali prodotto nel territorio di riferimento
4) La
legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione,
per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
5) Le
risorse consentono alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni
pubbliche loro attribuite.
Le entrate proprie, le quote di compartecipazione al gettito dei tributi erariali e le quote di partecipazione al fondo perequativo costituiscono le componenti ordinarie del sistema finanziario regionale. Viene quindi costituzionalizzato il principio del congruo finanziamento delle funzioni attribuite alle Regioni.
6) Le
Regioni ritengono particolarmente significativo che lo Stato attribuisca
risorse aggiuntive ed effettui interventi speciali a favore delle Regioni
per obiettivi di sviluppo economico, coesione e solidarietà sociale,
rimuovere gli squilibri economici e sociali, favorire l’effettivo esercizio
dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale
esercizio delle loro funzioni.
7) Le
Regioni hanno un proprio patrimonio attribuito secondo i principi generali
determinati dalla legge dello Stato. Possono indebitarsi solo per spese
di investimento e senza alcuna garanzia dello Stato sui prestiti contratti.
Scompare il demanio regionale, il patrimonio non è più attribuito sulla base della legge dello Stato, ma sulla base dei principi generali determinati con legge dello Stato.
Viene costituzionalizzato il principio che l’indebitamento è praticabile solo per finanziare spese di investimento, principio che prima era affermato con legge ordinaria (art. 10 L. 281/70) e quindi derogato varie volte per la copertura dei deficit del settore trasporti ma soprattutto della sanità, come nel recente ultimo caso del DL 347/2001 convertito con modificazioni nella L 405/2001.
Al riguardo si pone il problema di chiarirne le modalità in ordine all’applicabilità, soprattutto con riferimento all’impatto sugli equilibri di finanza regionale.
3.
Osservazioni su prime ipotesi in materia di risorse finanziarie.
Alla luce di quanto sopra vi sono dunque quattro tipi di entrate delineate dal 119 che richiedono una riflessione sugli strumenti finanziari attraverso i quali possono essere attribuiti alle Regioni.
Rispetto ai tempi possono essere ipotizzate tre tipi di azione: a breve termine, a medio periodo e a prospettiva più lunga.
Azione
a breve termine
Al fine di attuare già nel 2002 il concreto esercizio delle nuove potestà legislative è necessario che:
a) Stato
e Regioni procedano in maniera concordata a
quantificare le risorse per le materie che sono da definanziare sul bilancio
dello Stato e da finanziare su quello delle Regioni a seguito del passaggio
di competenze
b) Il
Parlamento approvi un' autorizzazione normativa per operare il trasferimento
delle risorse concordate e congrue per gestire le competenze suddette dal
momento che nell'attuazione del Titolo V manca una norma ordinaria che
attivi questo procedimento (a tal fine si allega un emendamento proponibile
per la stessa legge finanziaria 2002 in discussione alla Camera).
Inoltre per quanto concerne la capacità impositiva autonoma delle Regioni occorre anche fare chiarezza nel senso di chiamare le cose con il loro nome. Oggi viene definita addizionale regionale Irpef sia la quota stabilita dallo Stato (0,9 per cento), sia quella discrezionale di potestà regionale (a regime 0,5 per cento). Poiché la prima è sostanzialmente una compartecipazione, sarebbe utile ridefinirla come tale anche sul piano giuridico modificando l'art. 50 del DLGS 446/1997 e l'art. 3 del DLGS 56/2000, e denominando addizionale solo la seconda effettivamente imposta dal potere discrezionale delle Regioni.
L'azione mira a far confluire nel sistema finanziario del decreto 56 i trasferimenti quantificati apportando allo stesso decreto le seguenti modifiche :
a1) aumento
delle aliquote di compartecipazione all’IVA e/o all’Irpef commisurato alle
quantificazioni delle risorse
effettuate per le materie definanziate dal bilancio dello Stato;
a2) verifica
della compatibilità dei parametri di perequazione del Dlgs 56 con
il quadro emergente dal rinnovato Titolo V°, che prevede come unico
elemento per la perequazione la “capacità fiscale”.
La necessaria norma legislativa potrebbe essere rinvenuta nella normativa proposta al precedente paragrafo b) per il trasferimento delle risorse, ed in ogni caso inserita nella legge delega in materia fiscale che il Governo si accinge a presentare al Parlamento, e nel relativo Dlgs di attuazione che devono costituire elemento unificante degli assi portanti del Federalismo fiscale.
E’ comunque dirimente che la legge delega in materia fiscale, oltre all’inserimento della suddetta norma, per le implicazioni che la materia fiscale determina sull’assetto finanziario nel suo complesso considerato, sia oggetto di valutazioni strettamente condivise con le Regioni.
Mentre l'azione a breve termine deve essere efficace già nel 2002, e quella di medio periodo dovrebbe spiegare i propri effetti nel 2003, contemporaneamente potrebbe essere avviata un'azione a più lunga prospettiva con effetti dopo il 2003 e con lo scopo di definire un sistema finanziario nuovo, diverso e sostitutivo del Dlgs 56, che attui il federalismo fiscale, ampliando la capacità impositiva autonoma delle Regioni.
Tale sistema dovrà delinearsi fin dalla legge delega in materia fiscale che il Governo si accinge a presentare in Parlamento e definito nel conseguente D.lgs attuativo.
Nel quadro del percorso delineato occorrerà comunque affrontare le seguenti questioni che presentano un notevole grado di complessità:
1) individuare
la reale portata dell'espressione "minore capacità fiscale" alla
luce anche del fatto che obiettivo dell'art. 119 è ridurre il differenziale
tra le diverse capacità fiscali per abitante delle Regioni;
2) relativamente
alle risorse aggiuntive e agli interventi speciali individuarne
la portata e gli strumenti normativi per
assicurarne l’attuazione e l’utilizzazione ai fini dell'attribuzione alle
Regioni.
3) in
ordine alle quattro fonti di entrata prima indicate verificarne la correlazione
con il disposto del nuovo art. 116.
Emendamento
al disegno di legge finanziaria 2002 (Atto Camera 1984)
Dopo
l'articolo 43 è inserito il seguente articolo 43 bis:
"1.
Fino all'entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario
attuativo dei principi e delle disposizioni della legge costituzionale
n. 3 del 18 ottobre 2001 ed in particolare dell'articolo 119 della Costituzione,
autorizzata, a decorrere dall'anno 2002, l'attribuzione e l'erogazione
alle regioni e province autonome di
beni, risorse strumentali, finanziarie, umane e organizzative derivanti
dall' applicazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione.
2. Alla quantificazione, alla ripartizione e al trasferimento delle risorse di cui al primo comma si provvede entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente legge mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell' economia e della finanza, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Alla copertura finanziaria dei relativi oneri è fatto fronte mediante riduzione dei capitoli del bilancio dello Stato afferenti le materie oggetto dei decreti. I decreti di cui al presente comma sono trasmessi alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
3. Nei casi in cui per l'adozione dei decreti di cui al precedente comma occorra un provvedimento di legge, il Consiglio dei Ministri entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente legge adotta il relativo provvedimento. In tali casi i decreti di cui al secondo comma sono adottati con le stesse procedure ivi previste entro i 90 giorni successivi all'entrata in vigore della legge di cui al presente comma.
4.
A decorrere dall'anno 2003 le risorse finanziarie di cui al presente articolo
relative alle regioni a statuto ordinario confluiscono nel sistema di finanziamento
di cui al decreto legislativo n. 56 del 18/2/2000 per essere sostituite
con aliquote di compartecipazione all'Irpef e all'Iva.
Le
Regioni, nella Conferenza del 25 luglio 2001, avanzarono all’unanimità
alcune proposte di modifica al “disegno di legge obiettivo” con l’intento
di migliorarne l’efficacia e di valorizzare un processo di condivisione
tra le istituzioni competenti, che portasse alla formazione di un programma
comune, tra Stato e Regioni, delle principali infrastrutture di cui ancora
necessita il nostro Paese.
Nessuna
delle proposte regionali però è stata accolta.
Nel
frattempo, con l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del
18 ottobre 2001, sono profondamente mutate le potestà legislative
sia dello Stato che delle Regioni, anche nella materia dei lavori pubblici,
residuando allo Stato funzioni di sola legislazione concorrente nelle “grandi
reti di trasporto e di comunicazione, porti e aeroporti”. Si rende pertanto
necessario e urgente provvedere alla modifica della “Legge obiettivo” armonizzandone
i contenuti con il nuovo assetto costituzionale.
Ciò
premesso le Regioni, prima di esprimersi sul Programma elaborato dal Ministero
delle Infrastrutture ai sensi dell’art. 1 del disegno di “legge obiettivo”,
chiedono al Governo formali assicurazioni circa:
a) l’approvazione,
nel collegato infrastrutturale alla legge finanziaria o nei decreti legislativi
attuativi della legge obiettivo, di opportune modifiche all’art. 1 della
stessa legge, già più volte richieste dalle Regioni nelle
sedi istituzionali, da concordare
preliminarmente tra Stato e Regioni. In particolare, tra le altre
cose, deve essere previsto l’inserimento, nelle procedure per la
predisposizione del Programma, dell’intesa tra
la Regione interessata e il Governo, al fine di assicurare
la realizzazione di opere e interventi che siano effettivamente voluti
e condivisi dalla Regione e dal Governo. Ne consegue che il CIPE, in sede
di approvazione del programma, deve attenersi all’intesa raggiunta tra
Governo e Regioni, senza stravolgerne i contenuti. Resta inteso che la
sede istituzionale preposta all’espressione del parere sulla deliberazione
del CIPE è la Conferenza Stato-Regioni.
b) l’assicurazione
che il Programma della legge obiettivo sia aggiuntivo e non sostitutivo
dei piani ordinari (Piano triennale ANAS, Accordi di Programma con le Ferrovie
dello Stato, infrastrutture ambientali, interventi per la difesa del suolo,
ecc. ...) che invece continueranno ad essere alimentati da specifiche risorse
finanziarie, di misura almeno pari a quelle stanziate nei precedenti anni;
c) la
conferma che gli interventi già ricompresi negli Accordi di Programma
Quadro, siglati da Governo e singole Regioni sulla base delle Intese istituzionali
di cui alla legge 662/96, e nei Piani ordinari e straordinari dell’ANAS
approvati dalla Conferenza Stato-Regioni, siano comunque realizzati nei
tempi e con le risorse finanziarie ivi indicate. In proposito le Regioni
chiedono una rapida e puntuale ricognizione, insieme con le Amministrazioni
Statali competenti, per verificare la permanenza degli stanziamenti assicurati
per la realizzazione degli interventi.
Ovviamente
l’elenco delle opere inserite nel Programma della legge obiettivo dovrà
esser compatibile con le risorse complessivamente disponibili a seguito
dei mutui che verranno contratti nel triennio 2002-2004, ed assicurare
un elevato grado di coerenza con le indicazioni contenute negli strumenti
di programmazione generale tuttora vigenti (Piano Generale Trasporti).
Il
Programma della legge obiettivo, per sua natura, si limita a finanziare
le infrastrutture ritenute strategiche a livello nazionale e non affronta
il complesso dei problemi infrastrutturali che investono il paese e che
devono comunque essere rapidamente risolti. Le Regioni quindi chiedono
che gli interventi finanziati dalla legge obiettivo vengano inquadrati
all’interno di un disegno programmatico più ampio, concordato tra
lo Stato e ciascuna Regione, che delinei le principali linee di sviluppo
infrastrutturale di ogni territorio mediante un’Intesa generale, di prospettiva
temporale più lunga del triennio, da siglarsi prima o contestualmente
all’approvazione del Programma.
L’Intesa
dovrà indicare, accanto agli interventi condivisi e di reciproco
interesse, gli atti di programmazione ordinaria e le fonti di finanziamento
che ne potranno garantire la realizzazione nel tempo.
Da
ultimo si sottolinea che ogni programmazione statale di nuovi interventi
infrastrutturali, strategici e ordinari, non può intaccare il fondo
di L. 1.648 mld. da trasferire annualmente alle Regioni in base al D.P.C.M.
del 22.12.2000 sulla viabilità, oltre allo stanziamento straordinario
di L. 594 mld. per il 2002 che deve essere esteso anche agli anni 2003
e 2004.