Riforme istituzionali: 
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Dal mattarellum alla riduzione dei parlamentari
Cittadini senza rappresentanza
 
di Franco Ragusa
 
Riduzione dei parlamentari: meno costi, più efficienza o meno democrazia?

 
Con la riforma costituzionale che a breve sarebbe stata sotto­posta all’esame degli elettori con il referendum del 25-26 giugno 2006 “Viene ridotto il numero dei parlamentari: da 950 a 773, con significativo risparmio per le finanze pubbliche”.
Questo ci diceva il “decalogo della riforma costituzionale” ad opera del leghista Roberto Calderoli.

 
Per risposta, il controdecalogo a cura del centrosinistra ribat­teva che “La riduzione del numero dei parlamentari viene rinviata al 2016 per favorire gli attuali capi e capetti. Nel lungo periodo c’è tempo anche per ridurre la riduzione; per ora c’è l’effetto di annuncio demagogico.

Nella sostanza, quindi, le ragioni per il No alla riforma da parte del centrosinistra divergono da quelle per il Sì soltanto per l'aspetto “tempi per l'entrata in vigore”, temendo addirittura dei ripensamenti circa questa riduzione. Per altro, nelle dichiara­zioni del centrosinistra si poneva l’accento sulla necessità di una riduzione ancor più ampia.

Sulla stessa lunghezza d’onda, sicuramente, il senso comun-popolare, sempre pronto ad esaltarsi di fronte a misure che colpiscono i “politici”, in modo particolare se con la prospettiva di risparmiare qualche soldo.

Del resto, come non comprendere sentimenti di questo tipo, con un mondo della politica sempre più lontano dai cittadini?

Peccato, però, che questi sentimenti di antipatia nei confronti della politica vengano quasi sempre utilizzati da parte delle forze politiche maggiori per tentare di ridurre gli spazi della rappresentanza democratica attraverso meccanismi che, in un modo o nell’altro, siano in grado di cancellare dalla rappresen­tanza istituzionale ampi settori di elettorato.

 
Al di là, pertanto, dei già citati risparmi di spesa, dal dibat­tito sparì qualsiasi riflessione riguardo alle conseguenze che avrebbero potuto determinarsi con il taglio del numero dei parla­mentari.

E sì che sarebbe bastato molto poco analizzare gli ultimi risultati elettorali dell’epoca per il Senato (per la prima volta si era votato con il Porcellum). In particolare i risultati in alcune alcune Regioni, avendo come riferimento la soglia di sbarra­mento del 3% per i partiti coalizzati.

Nelle Regioni con meno seggi a disposizione vi furono casi nei quali alcune liste minori non conseguirono seggi, e questo pur appartenendo alla coalizione vincente ed avendo largamente superato la soglia di sbarramento del 3%.

Questo per effetto di quella che tecnicamente viene definita “soglia di sbarramento implicita”, dipendente dal tipo di riparti­zione, dal numero dei partiti in lizza e, soprattutto, dal numero delle circoscrizioni elettorali ed il numero, quindi, dei seggi a disposizione per ogni circoscrizione (nel caso in esame le Regioni).

 

Regione

Seggi

Senza seggi C-Sx

Senza seggi C-Dx

Abruzzo

7

Italia Valori 5,1 %

UDC 7,1 %

Basilicata

7

Insieme con L'Un 4,8 %
UD Eur Pop 4,7 %
Italia Valori 3,4 %

UDC 5,8 %

Calabria

10

Insieme con L'Un 4 %
Rosa nel pugno 3,9 %


Friuli Ve­nezia Giulia

7

Insieme con L'Un 4 %
Italia Valori 5,1 %

UDC 7 %

Liguria

8

Insieme con L'Un 4,3 %

UDC 6 %
Lega N. 3,8 %

Molise

2

Italia Valori 8,5 %
Rifondazione 5,4 %

AN 14,2 %

Sardegna

9

Italia Valori 3 %


Umbria

7

Insieme con L'Un 4,4 %
Rosa nel pugno 3 %


Come si vede, per i soli 2 seggi a disposizione del Molise si hanno, ovviamente, risultati da legge elettorale maggioritaria, con l’impossibilità di conquistare seggi anche con percentuali del 14,2 %.
Ma al di là di questo caso particolare, nelle altre Regioni con più seggi a disposizione si deve registrare lo stesso l’esclusione di alcune liste dalla ripartizione dei seggi, e questo nonostante avessero superato, in alcuni casi largamente, la soglia di sbarra­mento.
È quindi evidente che anche con una legge elettorale di tipo proporzionale, la diminuzione dei seggi a disposizione delle singole Regioni avrebbe determinato l’ulteriore innalzamento della “soglia di sbarramento implicita”, il tutto a vantaggio delle sole forze politiche maggiori.
 
Chiariti gli effetti immediati sulla rappresentanza in conse­guenza della riduzione dei parlamentari, che da soli avrebbero dovuto sconsigliare considerazioni legate ai presunti risparmi di spesa, sarebbe poi stato quanto mai opportuno ragionare in termini di efficienza.
L'efficienza parlamentare non è infatti data dal numero delle leggi approvate, ma dalla qualità delle leggi approvate.
Certamente, in una logica di revisione costituzionale che faceva dipendere tutto dal Governo (elezione diretta, norme antiribal­tone, decisione dell’agenda parlamentare), il Parlamento era di fatto considerato più un impedimento che il luogo deputato ad approfondire e a legiferare sulle istanze che provengono dalla società.
In fondo, se è il Governo che decide cosa si vota e come si vota, ed i parlamentari di maggioranza, fedeli, ad eseguire, altrimenti tutti a casa, ma per quale motivo non ridurre del tutto il Parla­mento?
A che pro' mantenere la finzione di una forma di governo di tipo parlamentare?
Questo sì che è buttare soldi!



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