Riforme istituzionali: 
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Dal mattarellum alla riduzione dei parlamentari
Cittadini senza rappresentanza
 
di Franco Ragusa
 
Premessa
 
In un saggio non si dovrebbe, ma in considerazione dell’importanza dell’argomento, supponiamo lo stesso che un bel giorno arrivino i marziani in Italia e che decidano, bontà loro, di occuparsi di riforme istituzionali.
Secondo logica, anche se “marziana”, il primo approccio alla questione potrebbe rivelarsi di tipo esplorativo.
E sì, dagli abitanti del pianeta rosso ci si può aspettare di tutto, anche un’indagine a tutto campo per individuare gli eventuali problemi e poi, soltanto dopo (perditempo?), le eventuali solu­zioni da adottare.
È pur vero, però, che non basta scendere da Marte per pensare di poter ignorare i buoni propositi dei novelli costituzionalisti che via via hanno seduto in Parlamento. Risulterebbe quanto mai oltraggioso, infatti, un atteggiamento di tipo scientifico che osasse trascurare la smania riformatrice che ha attraversato gran parte delle forze politiche.
Anche perché, sebbene le cronache si ostinino a dipingere un quadro riformatore dagli scarsi risultati, la realtà che i nostri amici marziani si ritroverebbero di fronte è quella di un Parla­mento che, con sin troppa facilità, negli ultimi anni è riuscito ad approvare ampi progetti di modifica costituzionale; e se fosse andata a buon fine la revisione di oltre 50 articoli della Costitu­zione approvata dal centrodestra nel 2006, o quella del centrosinistra per mano del duo Renzi-Boschi, entrambe le revi­sioni bocciate dai rispettivi referendum costituzionali del 2006 e 2016, il passaggio ad una “diversa” Repubblica sarebbe stato completato.

    Volendo quindi dare un nome ai problemi più urgenti, guar­dando ai lavori parlamentari di questi ultimi anni e lasciando da parte i marziani, l’elenco è sin troppo semplice da individuare:
- federalismo, con tutto quanto ne consegue in ordine alla divi­sione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, federalismo fiscale e Senato federale, e questo soltanto per citare alcuni aspetti;
- sul versante della forma di Governo, invece, l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni, il rafforzamento dei poteri del Primo Ministro, Presidenzialismo ed elezione diretta del Capo dell’Esecutivo.
Il tutto nella più assoluta indifferenza del legislatore di fronte all’esigenza di garantire che i processi avviati si svolgessero nel rispetto di regole democratiche condivise; ma anche e soprat­tutto di regole democratiche “vere”.

    Sono stati all’attenzione di tutti, ad esempio, i continui moniti giunti dai Capi dello Stato sulla necessità di modificare la Costituzione con il più ampio consenso delle forze politiche, evitando, cioè, di approvare riforme che non siano condivise anche da buona parte delle forze di opposizione.
Ma dopo l’approvazione del nuovo Titolo V nel 2001 da parte del centrosinistra, con soli 4 voti di scarto, e la massiccia revi­sione del 2006 approvata dal solo centrodestra, c’è da registrare l’inutilità di simili richiami.
Ciò non significa, chiaramente, che la questione non fosse e che non sia fondata.
Anzi, lo è!
Ma proprio per questo è bene chiedersi come mai continui ad essere sollevata nell’unico modo che ha già dimostrato di non portare da nessuna parte.

    Per risolvere il problema delle larghe maggioranze per approvare le riforme costituzionali non può esservi altra strada che l’imposizione per legge.
E non a caso, di questo si occupano le Costituzioni. Come non a caso, di questo si occupava ANCHE la nostra Costituzione prima che venisse introdotto il sistema elettorale di tipo maggio­ritario: il Mattarellum prima, il Porcellum poi.
È soltanto in conseguenza dei meccanismi elettorali maggiori­tari, infatti, che divenne possibile modificare la Costituzione a colpi di minoranza.

Un quadro via via sempre più degradato e con numeri alla mano sempre più impietosi.
Guardando ai voti realmente ottenuti, tenendo conto dell’intero corpo elettorale, scopriamo che la percentuale di voti che nel 2008 consentì al centrodestra di conquistare il 55% di seggi alla Camera non arrivava al 37%.
Peggio ancora con le elezioni del 2013 e che consentirono al centrosinistra a guida Renzi di avere i numeri per la ricordata revisione costituzionale del 2016: con solo il 25,5% dei voti validi, poco più del 21% degli aventi diritto, il Partito Democra­tico si aggiudicò ben 292 Deputati.
Per essere quindi chiari: una volta cambiata la legge elettorale con legge ordinaria, dove prima servivano forze politiche con alle spalle il 50% più 1 degli elettori per poter modificare la Carta costituzionale, era divenuto sufficiente arrivare primi, con il 50 o il 25% dei consensi elettorali poco importava.
Senza cioè aver modificato una riga della Costituzione, il senso di una delle più importanti garanzie poste a tutela della legalità costituzionale era stata stravolta dalla modifica di una banalis­sima legge ordinaria.

    Che fine fa, a questo punto, la smania riformatrice di fronte all’ovvia necessità di affermare, quanto meno, che non si possono cambiare delicati meccanismi costituzionali agendo per vie traverse?
Ebbene sì, su un tema così delicato per il funzionamento dell’intero impianto costituzionale, è vissuta per anni un’inquie­tante unione d’intenti bipartisan; infine tripartisan con l’avvento del Movimento 5 Stelle.
Nessuna forza politica di rilievo ha mai sentito l’esigenza di un intervento in grado di ripristinare, per l’approvazione delle leggi di revisione costituzionale, il quorum della maggioranza effet­tiva degli elettori rappresentati in Parlamento.
Piuttosto, solo e soltanto un grande attivismo per ridurre gli spazi della rappresentanza.
E visto il rischio, per un numero significativo di elettori, di essere espulso dal Parlamento in conseguenza dei meccanismi di esclusione, diretti o indiretti, delle varie leggi elettorali proposte, sarebbe stato quanto mai opportuno studiare rimedi in grado di garantire anche a questi elettori forme d’intervento per tutte le fasi dei processi di revisione costituzionale.
La possibilità di proporre e di emendare sulle questioni fonda­mentali, le questioni di tutti, non può e non dovrebbe essere di esclusivo dominio delle minoranze meglio organizzate.

    L’assenza di interventi per ripristinare i preesistenti equilibri costituzionali, prima dell’introduzione delle logiche elettorali di tipo maggioritario, che logicamente avrebbero dovuto anticipare tutte le modifiche costituzionali che nel frattempo sono state invece realizzate, la si deve poi registrare anche nell’ambito del delicato sistema dei “pesi e contrappesi”.
Anche i poteri di nomina di natura parlamentare, infatti, hanno via via acquisito una diversa valenza, potendo divenire di esclu­sivo dominio delle facili maggioranze parlamentari uscite vincitrici dalle elezioni.
Da un lato ci si beava dei nuovi sistemi di voto che consentivano di "scegliere" il Governo, dall'altro lato, però, gli stessi voti venivano usati per disporre della più completa libertà d’azione su questioni che nulla avevano a che vedere con la necessità di garantire la stabilità.
Per riassumere, con il passaggio dal proporzionale al maggiori­tario divenne concreta la possibilità, per il Governo e la
maggioranza parlamentare del momento, di poter definire, in via pressoché esclusiva, la composizione degli organi preposti al controllo della legalità costituzionale: il controllato che nomi­nava i controllori.

    Una situazione estremamente esplosiva, di fronte alla quale sarebbe stato urgente chiamare le cose con il loro vero nome ed intervenire di conseguenza.
Non più moniti presidenziali, quindi, e neanche più inutili alzate di scudi da parte dell’opposizione del momento.
La questione era ed è una soltanto: i processi di riforma costitu­zionale e la tutela degli equilibri istituzionali debbono necessariamente trovare vita in un ambito di reali garanzie contro i colpi di mano e le vocazioni plebiscitarie delle maggio­ranze del momento, tanto più se frutto di "meccanismi" fortemente distorsivi del diritto alla rappresentanza.

    Meccanismi distorsivi della rappresentanza che non riguar­dano, però, solo la specifica legge elettorale in vigore, ma l’insieme delle norme che contribuiscono a determinare la formazione del Parlamento.
In tal senso, la recente revisione costituzionale che ha forte­mente ridotto il numero dei parlamentari, sia del Senato che della Camera, quanto potrebbe incidere, se approvata dal refe­rendun confermativo, sul diritto alla rappresentanza, quale che sia, in generale, il modello di legge elettorale?
Domanda a cui urge rispondere, tanto più considerato che ad oggi non vi sono certezze sul come la legge elettorale verrà modificata, se verrà modificata, al fine di ridurre il danno.



 



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