Riforme istituzionali: 
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Dal mattarellum alla riduzione dei parlamentari
Cittadini senza rappresentanza
 
di Franco Ragusa
 
Il Sindaco d’Italia

L’aver chiarito l’effettiva posta in palio tra due diverse modalità di voto in grado di determinare, entrambe, un “vinci­tore a tutti i costi”, non è però sufficiente.
Il progetto renziano de “il Sindaco d’Italia” prevedeva, per l’appunto, che scorresse il sangue: da un lato un solo vincitore, dall’altro tutti i perdenti.
Ma in una elezione, chi è che vince? Chi è che perde?

Se la scelta dei rappresentanti costituisce la massima espressione della sovranità popolare, chi vince e chi perde sono gli elettori, non le forze politiche che li rappresentano.

Ed è questo, peraltro, ciò che ci ricorda la Consulta quando afferma che non possono essere assegnati premi di maggioranza senza aver ottenuto un numero minimo di voti, o quando dice che non possono esservi liste bloccate perché impediscono all’elettore di esprimere una preferenza.

La sovranità popolare che si esprime attraverso il corretto eser­cizio del diritto di voto non può essere manipolata oltre il ragionevole.

Qual è, quindi, il limite che non dovrebbe essere travalicato?

Come si è visto, nel giro di tre tornate elettorali le coalizioni vincenti avevano via via rappresentato sempre meno elettori; e questo era avvenuto non solo per l’insorgere di terze forze di peso, ma anche in conseguenza dell’aumentata area del non voto1.
Si tratta di fenomeni che meritano una risposta ed una soluzione, o possiamo continuare ad ignorarli, sino a che non arrivi nuova­mente la Consulta a ricordarci che non si può passare il segno?
È possibile che la politica possa tollerare un sistema nel quale sia solo una piccola minoranza di elettori a decidere per tutti gli altri?
Evidentemente sì. La realtà che era sotto gli occhi di tutti poteva non solo essere ignorata, ma addirittura negata.
Ne era la dimostrazione, per l’appunto, la pronta e insistente ricerca di una nuova legge elettorale in grado di aggirare gli ostacoli posti dalla Consulta alla facile soluzione dell’asso piglia tutto, senza peraltro godere del consenso minimo necessario.

Non si arriva ad ottenere la maggioranza parlamentare nonostante i premi in seggi, indirettamente e/o direttamente previsti per le forze politiche maggiori?
Nessun problema.
Se non è possibile avere i voti che servono al primo turno, ci sarà modo di averli prevedendo un doppio turno tra i primi due arrivati.
E se anche al secondo turno nessuno li avrà, perché molti elet­tori avranno preferito rimanere a casa, anche in questo caso nessun problema.
I pochi che votano decidono per tutti, anche se chi non vota lo fa perché non ha nulla da votare per poter contare realmente.

Ma quali conseguenze attendersi, nel lungo periodo, da un simile meccanismo?

L’esperienza della legge per i Comuni, a proposito di “Sindaco d’Italia”, è disarmante.
Nessuno dei sindaci eletti negli ultimi anni può infatti vantare di rappresentare in maniera “larga” le popolazioni che è stato “chiamato” ad amministrare.
Tenendo conto dei voti effettivamente conseguiti, piuttosto che le astratte percentuali bulgare con le quali alcuni candidati risul­tavano aver stravinto i ballottaggi, avevamo un Doria a Genova forte del consenso del solo 22,67% degli aventi diritto; Orlando a meno del 30% a Palermo, così come Marino a Roma.
Anche Pizzarotti del Movimento 5 Stelle, il risultato migliore tra quelli considerati, non era andato oltre il 36% degli aventi diritto.



Aventi diritto

Votanti
II turno

Affluen.
II turno

Sindaco eletto

Voti vincenti

Voti su aventi diritto

Roma

2.359.119

1.062.892

45,05%

Marino

664.490

28,17%

Palermo

563.264

224.106

39,76%

Orlando

158.010

28,03%

Genova

503.752

196.894

39,08%

Doria

114.245

22,67%

Taranto

173.530

74.997

43,21%

Stefano

51.239

29,53%

Parma

142.183

86.990

61,18%

Pizzarotti

51.235

36,03%

Monza

94.591

41.750

44,13%

Scanagatti

25.716

27,18%

Siamo di fronte a dei numeri che, tranne Parma, non permette­rebbero di validare neanche un’assemblea di un circolo. Sono stati invece più che sufficienti per designare un Sindaco e premiare fortemente le forze politiche a questo collegate.

A Roma, con il 42,6% dei voti validi2, le liste collegate con Marino si spartirono il 64,4% dei seggi.
Ma molto meglio era andata al Movimento 5 Stelle a Parma: il 71,4% dei seggi a fronte di un risultato di lista pari al 19,9% dei voti validi3.

Certamente, siamo di fronte a dati di partecipazione e di effettivo consenso che, fortunatamente, al momento riguardano soltanto l’amministrazione dei Comuni, cioè competenze neanche lontanamente paragonabili con quelle del Parlamento.
Dati però sufficientemente indicativi di alcune tendenze e, in ogni caso, da tenere sempre sott’occhio e da ricordare, vista l’insistenza di alcuni apprendisti stregoni che ogni tanto la buttano lì: cambiare la Costituzione e la legge elettorale per eleggere il Sindaco d’Italia.

NOTE

1 Ricordiamoli nuovamente questi numeri: nel 2006 la coalizione vincente alla Camera dei Deputati ottenne il consenso del 40% degli aventi diritto; il 36% nel 2008; soltanto poco più del 21% nel 2013.

2 18,4% degli aventi diritto.

3 9,7% degli aventi diritto.




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