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La Legge Elettorale
e i tanti modi per non farci contare

di Franco Ragusa
 

1992 - L’ultima volta del proporzionale

 
   Il 2 febbraio 1992 il Presidente Cossiga firma i decreti di scioglimento delle Camere e si va a nuove elezioni con la vecchia legge elettorale di tipo proporzionale.
Diversamente, però, dalle consultazioni precedenti, in conse­guenza del referendum Segni del 1991 non è più consentita l’espressione della preferenza multipla.
Un cambiamento di non poco conto, in grado di sconvolgere la vita interna delle formazioni politiche.
Per la prima volta i piccoli candidati senza speranze si ritrova­rono nell’impossibilità di ottenere spazi di privilegio all’interno del partito, non avendo più a disposizione la preferenza multipla attraverso la quale “vendere” al miglior offerente il proprio bacino elettorale. Problemi di natura opposta per i frequentatori dei corridoi alti, senza più strumenti per controllare i flussi delle preferenze.
Si passava, pertanto, dalle candidature fasulle, aventi il solo scopo di portare voti a questa o quella corrente di partito, a dover concorrere sul serio, ognuno per sé e tutti per il partito.
In altre parole, a seguito di una semplice modifica della legge elettorale, senza che ne venissero intaccati i principi di fondo della rappresentanza, le segreterie di partito si ritrovarono a dover fare i conti con un elettorato non più “usabile” dai mercanti di voti.

    Prima che si possano quindi raccogliere i frutti del Refe­rendum che avrà luogo nel 1993, nel 1992 si sperimenta la prima ed ultima elezione con una legge elettorale di tipo propor­zionale e con la possibilità, per gli elettori, di esprimere una sola preferenza.
Se e quanto la preferenza unica possa aver influenzato il comportamento degli elettori, un po’ meno schiavi non solo delle pressioni dei mercanti di voti, ma anche di quelle forme dolose di controllo del voto esercitate attraverso l’indicazione di votare specifiche combinazioni di preferenze, sono questioni difficili da valutare a distanza di tempo.
Da tenere peraltro presente che proprio in quei mesi prese l’avvio Tangentopoli, ed è proprio a quest’ultimo fenomeno che generalmente vengono attribuiti i risultati a dir poco rivolu­zionari delle elezioni del 1992.

    A ben vedere, però, il partito maggiormente coinvolto dalle indagini della magistratura, il Partito Socialista, perse meno di un punto percentuale rispetto alle precedenti elezioni del 19871.
Un altro partito, invece, all’epoca non coinvolto minimamente dalle inchieste di corruzione, il disciolto PCI, sommando i voti del PDS con quelli di Rifondazione riuscì a totalizzare la perdita di ben quasi 5 punti percentuali.
Anche la Democrazia Cristiana perse 5 punti percentuali, realiz­zando il più basso consenso di voti della sua storia.
C’è quindi da rilevare un primo dato relativamente ai risultati ottenuti dal pentapartito che negli ultimi anni aveva governato l’Italia e dalla maggiore forza politica di opposizione.
Mentre socialisti, repubblicani, liberali e socialdemocratici regi­strarono solo piccoli spostamenti percentuali, i due maggiori partiti si trovarono a dover fare i conti, insieme, con una perdita secca del 10% dei consensi.
In altre parole, le elezioni del 1992 segnarono la fine di ciò che sino ad allora aveva caratterizzato una sorta di bipartitismo all’i­taliana, con due grandi partiti in grado di contendersi oltre il 60% dei consensi.
Nel mentre si realizzavano, quindi, tutte le condizioni per avviare il passaggio da un modello proporzionale ad un sistema bipolare e tendenzialmente bipartitico, con le elezioni del 1992 gli elettori decretarono, dopo 45 anni di storia repubblicana, il forte ridimensionamento delle due maggiori forze politiche, peraltro accentuato dallo scioglimento del PCI e la conseguente scomparsa di un partito di sinistra in grado di collocarsi oltre il 25%. Venivano cioè meno i presupposti della transizione verso il mito della democrazia dell’alternanza.
Al tempo stesso, emergevano nuove realtà politiche, con l’8,6% di voti alla Lega Nord e il discreto risultato dell’esordiente La Rete.

    Un’ultima nota, infine, riguardo al risultato ottenuto dalla lista “Sì Referendum”, nata per sostenere l’iniziativa referen­daria che di lì a poco avrebbe cambiato l’Italia e che ancora attendeva di superare l’esame della Cassazione e della Consulta. Con lo 0,86% di voti mostrò chiaramente di non essere riuscita a suscitare particolare interesse, e questo nonostante la voglia di cambiamento fortemente manifestata dai risultati elettorali.
 

Note

1   fonte dati: elezionistorico.interno.it

Camera dei Deputati 1992

Camera dei Deputati 1987



 
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