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La Legge Elettorale
e i tanti modi per non farci contare

di Franco Ragusa
 

La “pistola carica” di un nuovo referendum elettorale

 
    Che la maggioranza a sostegno del Governo Prodi si sarebbe ben presto sfasciata, lo si  capì pochissimi giorni dopo la vittoria elettorale.
Dall’Incontro sulla legge elettorale promosso da Mario Segni giunsero i primi venti di guerra, rivolti, principalmente, contro gli alleati proporzionalisti all’interno del centrosinistra.
    “Sulla legge elettorale erano state fatte dichiarazioni e promesse che andavano mantenute” fu la sostanza del discorso portato avanti da Segni, Morando e Bassanini, “per questo, c’era la necessità di dare forza al Premier”.
La proposta di un nuovo referendum elettorale, quindi, come una pistola carica da mettere sul tavolo per costringere il Parla­mento ad intervenire o, nel caso ciò non fosse avvenuto, come ultima risorsa per cambiare l’assetto ritenuto sostanzialmente proporzionale.
E l’opposizione di centrodestra?
Anche all’interno del centrodestra erano presenti forze a favore del maggioritario, mise in evidenza Segni, ed era quindi possi­bile prefigurare uno scenario di consenso trasversale tra i due schieramenti. E per garantire un fronte il più allargato possibile, Bassanini sconsigliò vivamente di legare la questione del refe­rendum elettorale con la vicina scadenza del referendum costituzionale.

    Viste le premesse, “ritorno alla cultura maggioritaria”, “pistole cariche” e “maggioranze trasversali”, inutile farsi illu­sioni circa gli aspetti sui quali il nuovo referendum avrebbe cercato d’intervenire: nessuna correzione degli aspetti più critici, ma, anzi, la loro esasperazione.
Il quesito proposto, infatti, andava nella direzione di assegnare il premio di maggioranza alle sole liste, abrogando tutti i riferi­menti della legge elettorale nelle parti in cui erano previste le coalizioni, per costringere i partiti a presentarsi, se  coalizzati, in un unico listone e con un unico simbolo.
Ebbene sì, incredibile ma vero, ad essere oggetto delle ire refe­rendarie non erano le decisioni calate dall’alto, dalla scelta delle candidature da imporre agli elettori alle 1000 pagine di programma prendere o lasciare, o l’assurdo premio di maggio­ranza indefinito, combinato, per di più, con le soglie di sbarramento.
    No, ciò che si proponeva di abrogare era l’unico strumento in mano agli elettori per poter in qualche modo modellare gli equilibri interni allo schieramento che intendevano votare.
Già non avevano il voto di preferenza per scegliere i propri parlamentari; ora gli si voleva sottrarre pure la possibilità di sce­gliere quale partito votare nell’ambito di un voto espresso per una coalizione di più forze politiche.
    Ma può essere considerato sufficiente votare uno schiera­mento predefinito, piuttosto che un altro, per poter affermare che si è esercitato un reale potere d’intervento nella determinazione dell’azione di Governo?
Su alcune questioni, si pensi ad esempio alla politica estera, molto spesso i programmi degli schieramenti si somigliano1.
Quale libertà di scelta e d’intervento reale potrebbe allora esservi nel non rinnovare il voto ad una coalizione quando la politica dell’altra potrebbe non essere molto diversa se non addi­rittura peggiore?
E questo è solo un esempio fra tanti di come la forzatura bipo­lare potrebbe imporsi agli elettori: o si punisce qualcuno tanto per punirlo, votando o favorendo indirettamente chi farebbe altrettanto (ma che bella alternanza!); o si è costretti a firmare una cambiale in bianco anche sulle questioni non condivise al fine di non far prevalere la parte politica meno affine.
Che in questo meccanismo ci sia qualcosa di assurdo ed intolle­rabile, quale che sia l’orientamento politico, è sin troppo evidente.
Si dovrebbe cercare di trovare il modo, piuttosto, per fornire a tutti gli elettori gli strumenti per poter indirizzare, attraverso il voto, anche al solo fine di ottenere piccoli risultati, l’azione di governo.
La scelta più incisiva che l’elettore può infatti compiere non è tanto quella tra gli schieramenti, quanto quella all’interno degli schieramenti. È all’interno dello schieramento di appartenenza che serve poter contare per partecipare alla formazione delle scelte di governo, perché nell’ambito della forzatura bipolare il voto allo schieramento è un atto dovuto.
L’80-90% degli elettori, comunque la pensi, ha ben chiaro che non potrebbe mai votare o favorire, indirettamente, lo schiera­mento a lui lontano, ed è sulla base di questa rendita di posizione che le forze politiche maggiori (dove maggiori, in Italia, ancora significa fortemente minoritarie rispetto al totale) hanno cercato di imporre la bipolarizzazione forzata dell’offerta politica.
Una sorta di “pacchetto chiavi in mano”, prendere o lasciare, che va dal programma di governo alle candidature; il tutto con la consapevolezza che per gran parte dell’elettorato non può esservi altra scelta che subire il ricatto, pena, appunto, la vittoria dello schieramento opposto.

    Ad essere quindi messo in discussione dall’iniziativa refe­rendaria, era proprio l’unico pregio della legge elettorale porcata2.
Con le elezioni del 2006, diversamente dalle 3 passate esperienze con il Mattarellum, la geografia parlamentare delle due coalizioni era stata infatti decisa dagli elettori, con il voto alle singole liste appartenenti all’una o all’altra coalizione, e non dagli accordi di spartizione calati dall’alto.
Ma tutto ciò, evidentemente, si scontrava con la necessità delle forze maggiori di voler decidere, in maniera preventiva e senza alcun intervento da parte degli elettori, la formazione del futuro Parlamento.
In questa chiave di lettura erano poi da leggere gli effetti indi­retti che un tale referendum avrebbe in qualche modo esercitato negli equilibri politici.
Fu lo stesso Giovanni Guzzetta, ideatore del quesito, a chiarire che l’obiettivo, al di là del referendum proposto, era quello di superare il bipolarismo così come si era affermato per “aprire la strada ad un orizzonte bipartitico”.
L’assegnazione del premio di maggioranza alle singole liste avrebbe reso più complicato realizzare larghe coalizioni, così come era stato per le elezioni del 2006; mentre per le singole liste sarebbe inoltre scattata la ghigliottina di rigide soglie di sbarramento, 4% alla Camera, 8% al Senato, senza possibilità di recuperi.

    Un anticipo del risultato referendario lo si avrà con le elezioni del 2008. Veltroni e Berlusconi, a capo di due nuovi partiti nati dalla fusione delle componenti maggiori dei due schieramenti, decisero di presentarsi sostanzialmente da soli, con accordi di coalizione con la sola IDV, il Partito Democra­tico, con Lega Nord e MPA il Popolo delle libertà.
Mediante scelte politiche che, pur se in maniera parziale, realiz­zarono quanto con il referendum si voleva imporre per legge, vennero a galla tutti i difetti di una legge elettorale che, con troppa facilità, era in grado di regalare larghe maggioranze parlamentari e, al tempo stesso, togliere a consistenti quote di elettorato il diritto di essere rappresentate in Parlamento.

Note

1    Non si tratta di un esempio a caso. Tutti i Governi di centrosinistra hanno finito con il tradire tutte le attese del popolo della pace che li aveva sostenuti.

2    Così definita dal suo stesso autore, il leghista Calderoli.


 
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