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La Legge Elettorale
e i tanti modi per non farci contare

di Franco Ragusa
 

Maggioritario, avanti tutta

 
    Se nell’aprile 1992 il fenomeno Tangentopoli era ancora agli inizi, altrettanto non può dirsi a ridosso della consultazione refe­rendaria dell’anno dopo.
Con i suoi 21 avvisi di garanzia, nel marzo 1993 l’ex tesoriere della DC Severino Citaristi guida la classifica degli indagati, seguito dagli 11 avvisi del divenuto da poco ex segretario del PSI Bettino Craxi.
I referendari non si fecero scappare l’occasione e l’ondata di indignazione ormai dilagante divenne il principale strumento di lotta politica per sostenere le ragioni del cambiamento, in modo particolare della legge elettorale.
Alla legge elettorale di tipo proporzionale venne attribuito di tutto e di più.
    Il debito pubblico?
Colpa del proporzionale.
    La corruzione?
Il proporzionale.
    Il mancato ricambio della classe politica?
Sempre il proporzionale, anche se, appunto, le elezioni del 1992 avevano registrato il forte ridimensionamento delle forze poli­tiche storiche, l’irrompere della Lega, nonché un discreto numero di “vecchi” parlamentari non rieletti perché “ghigliotti­nati” dalla preferenza unica.
    Fu così, quindi, che la politica riuscì a cavalcare l’onda popolare dell’antipolitica, con un obiettivo di rinnovamento che, come si vedrà, riporterà indietro le lancette dell’orologio del cambiamento politico, vanificando così anche le potenzialità contenute nella modifica referendaria che nel 1991 aveva imposto la preferenza unica.

    Oltre 31 milioni di Sì e il consenso ad altri 8 referendum contrassegnarono, si disse, la fine di un’epoca.
Per quanto riguardava la legge elettorale, il prodotto del quesito abrogativo fu una legge elettorale per il Senato immediatamente applicabile, con l’assegnazione del 75% dei seggi attraverso la vittoria dei primi arrivati nei collegi uninominali, e con il recupero proporzionale dei non eletti per il restante 25%.
Per la Camera dei Deputati il legislatore decise per le stesse quote, 75% di maggioritario e 25% di proporzionale con soglia di sbarramento al 4%, introducendo, però, una seconda scheda per l’assegnazione della parte proporzionale.

    Caratteristica della nuova legge elettorale, gli elettori non avevano più la possibilità di esprimere il voto di preferenza all’interno dei partiti o degli schieramenti preferiti.
Se è vero, infatti, come affermano i sostenitori del maggioritario, che attraverso i collegi uninominali sono gli elettori a scegliere il Governo e non le forze politiche dopo le elezioni, ha ben poco senso parlare di voto alla persona, in quanto il candidato coin­cide con l’unica possibilità che l’elettore ha per poter appunto scegliere il Governo e, quindi, la forza politica che lo propone.
Certamente, anche con la precedente legge elettorale si vota­vano, sostanzialmente, le forze politiche, ma la differenza è sin troppo evidente: con i collegi uninominali è soltanto il partito o la coalizione, e non l’elettore, a selezionare e scegliere chi, di quel partito o schieramento, potrà andare in Parlamento.

    Non contenti, però, di aver ottenuto per via indiretta il con­trollo totale degli eleggibili al Senato e il 75% dei deputati, per la seconda scheda per la Camera, per quanto di tipo proporzio­nale, venne esclusa la possibilità di esprimere la preferenza. Anche per questo voto, la sequenza degli eletti era predetermi­nata da una lista bloccata, con l’unica possibilità, per gli elettori, di prendere o lasciare il pacchetto così confezionato dai “padroni” della liste.


 
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