La Legge Elettorale
e i tanti modi per non farci contare
di Franco Ragusa
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Sentenza No
Porcellum: qualche complicazione di troppo, purtroppo,
ad uso e consumo della malapolitica Pur nella relativa
semplicità delle questioni sottoposte al suo
esame, la sentenza 1/2014 della Corte
Costituzionale, che ha finalmente cassato alcune
parti del Porcellum, verrà sicuramente
ricordata non tanto per la chiarezza, quanto per
alcune complicazioni interpretative di troppo.
In primo luogo i
criteri adottati per lo scrutinio di
proporzionalità e ragionevolezza per
decidere sul premio di maggioranza del Porcellum,
attraverso la verifica “che il bilanciamento
degli interessi costituzionalmente rilevanti non
sia stato realizzato con modalità tali da
determinare il sacrificio o la compressione di uno
di essi in misura eccessiva e pertanto
incompatibile con il dettato costituzionale.”
Come inizio non
c'è male, visto il labile confine facilmente
variabile, in quanto “Tale giudizio deve
svolgersi «attraverso ponderazioni relative
alla proporzionalità dei mezzi prescelti
dal legislatore nella sua insindacabile
discrezionalità rispetto alle esigenze
obiettive da soddisfare o alle finalità che
intende perseguire, tenuto conto delle circostanze
e delle limitazioni concretamente sussistenti”.
Si tratta
cioè di “valutare se la norma oggetto di
scrutinio, con la misura e le modalità di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al
conseguimento di obiettivi legittimamente
perseguiti, in quanto, tra più misure
appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei
diritti a confronto e stabilisca oneri non
sproporzionati rispetto al perseguimento di detti
obiettivi.”
Hai detto nulla!
Per quanto riguarda
il Porcellum, ormai sappiamo bene che “le
suddette condizioni non sono soddisfatte”.
Ma sembrerebbe
trattarsi, più che altro, di un caso
specifico, dove il meccanismo premiale che si
attiva, “allo scopo di garantire la
stabilità del governo del Paese e di
rendere più rapido il processo decisionale,
ciò che costituisce senz’altro un obiettivo
costituzionalmente legittimo”, è
però tale da rovesciare, tenuto conto
dell'impianto proporzionale adottato, “la ratio
della formula elettorale prescelta dallo stesso
legislatore del 2005, che è quella di
assicurare la rappresentatività
dell’assemblea parlamentare. In tal modo, dette
norme producono una eccessiva divaricazione
tra la composizione dell’organo della
rappresentanza politica, che è al centro
del sistema di democrazia rappresentativa e
della forma di governo parlamentare prefigurati
dalla Costituzione, e la volontà dei
cittadini espressa attraverso il voto, che
costituisce il principale strumento di
manifestazione della sovranità popolare,
secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”
Per essere quindi
chiari arriviamo al dunque con una domanda: il
premio di maggioranza senza soglia minima di voti va
censurato tenuto conto degli effetti concreti, con
riguardo, cioè, all'eccessivo premio in seggi
che potrebbe essere in ogni modo ottenuto da una
lista rispetto ai voti effettivamente ricevuti,
o perché irragionevole in riferimento, per lo
più, all'impianto di base che è di
tipo proporzionale?
A leggere un altro
passaggio delle argomentazioni della Corte
sembrerebbe confermata la seconda chiave di lettura.
Il principio
fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48,
secondo comma, Cost.), “infatti, pur non
vincolando il legislatore ordinario alla
scelta di un determinato sistema, esige comunque
che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con
pari efficacia alla formazione degli organi
elettivi (sentenza n. 43 del 1961) ed assume
sfumature diverse in funzione del sistema
elettorale prescelto. In ordinamenti
costituzionali omogenei a quello italiano, nei
quali pure è contemplato detto principio e
non è costituzionalizzata la formula
elettorale, il giudice costituzionale ha
espressamente riconosciuto, da tempo, che, qualora
il legislatore adotti il sistema proporzionale,
anche solo in modo parziale, esso genera
nell’elettore la legittima aspettativa che non si
determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e
cioè una diseguale valutazione del “peso”
del voto “in uscita”, ai fini dell’attribuzione
dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un
pregiudizio per la funzionalità dell’organo
parlamentare (BVerfGE, sentenza 3/11 del 25 luglio
2012; ma v. già la sentenza n. 197 del 22
maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5 aprile 1952).”
La distinzione non
è di poco conto, in quanto dai sostenitori e
fondamentalisti delle forzature maggioritarie sono
subito giunti i "chiarimenti" per spiegare, ad
esempio, che tutte e tre le proposte avanzate da
Renzi sarebbero compatibili con la sentenza.
Ma è proprio
così?
Non proprio.
Che la
specificità del sistema elettorale adottato
imponga criteri più rigorosi in un verso
piuttosto che in un altro, nulla toglie
all'esigenza, implicitamente confermata dalla
Consulta, di intervenire in via generale sui
meccanismi di trasformazione dei voti in seggi
laddove questi potrebbero consentire “una
illimitata compressione della
rappresentatività dell’assemblea
parlamentare, incompatibile con i principi
costituzionali in base ai quali le assemblee
parlamentari sono sedi esclusive della
«rappresentanza politica
nazionale» (art. 67 Cost.), si fondano
sull’espressione del voto e quindi della
sovranità popolare, ed in virtù di
ciò ad esse sono affidate funzioni
fondamentali, dotate di «una
caratterizzazione tipica ed infungibile»
(sentenza n. 106 del 2002), fra le quali vi sono,
accanto a quelle di indirizzo e controllo del
governo, anche le delicate funzioni connesse alla
stessa garanzia della Costituzione (art. 138
Cost.): ciò che peraltro distingue il
Parlamento da altre assemblee rappresentative
di enti territoriali.”
Questo passaggio,
che distingue Camera e Senato dalle altre assemblee
rappresentative di enti territoriali, è
importantissimo per valutare appieno i limiti entro
i quali i meccanismi premianti, diretti o indiretti
che siano, finalizzati a facilitare l'azione di
governo, debbono soggiacere.
Il Parlamento
è sede esclusiva della rappresentanza
politica nazionale, per cui ciò che potrebbe
essere ritenuto in qualche modo “digeribile” per le
assemblee di rango inferiore, non può esserlo
per l'Organo che svolge, oltre alle funzioni di
indirizzo e controllo del governo, le delicate
funzioni di garanzia della Costituzione.
Tant'è che
sul punto la sentenza conclude in maniera chiara: “Le
norme censurate, pur perseguendo un obiettivo di
rilievo costituzionale, qual è quello
della stabilità del governo del Paese e
dell’efficienza dei processi decisionali
nell’ambito parlamentare, dettano una
disciplina che non rispetta il vincolo del minor
sacrificio possibile degli altri interessi e
valori costituzionalmente protetti, ponendosi
in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3,
48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta
disciplina non è proporzionata rispetto
all’obiettivo perseguito, posto che determina una
compressione della funzione rappresentativa
dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto
di voto, eccessiva e tale da produrre
un’alterazione profonda della composizione della
rappresentanza democratica, sulla quale si fonda
l’intera architettura dell’ordinamento
costituzionale vigente.”
Alla luce di queste
conclusioni, appaiono quindi quanto mai forzate
tutte quelle interpretazioni che fingono di ignorare
che anche altri meccanismi elettorali potrebbero
comprimere, sotto il profilo degli effetti concreti,
la rappresentatività dell’assemblea
parlamentare.
E a ben vedere, i
premi in seggi del precedente Mattarellum erano
stati, sino alle ultime elezioni del 2013, superiori
al premio di maggioranza ottenuto dalle due
coalizioni vincenti con il Porcellum nel 2006 e nel
2008.
Peggio ancora
sarebbe con l’ultima proposta di Mattarellum
corretto, con l’aggiunta di un premio al premio
indirettamente già ricevuto.
Lo stesso si
avrebbe, guardando sempre ai possibili effetti sulla
rappresentanza, anche con il modello spagnolo,
peggio ancora se corretto secondo i desiderata del
sindaco Renzi.
E come valutare,
alla luce dei pessimi risultati della legge per
l’elezione dei sindaci1
e tenuto conto del principio fissato dalla Consulta,
tutte le ipotesi di doppio turno ora sul tavolo?
Peraltro, anche
dalle censure riguardo ai premi di maggioranza a
livello regionale per il Senato, giungono altre
indicazioni.
“... oltre al
difetto di proporzionalità in senso stretto
della disciplina censurata, anche
l’inidoneità della stessa al
raggiungimento dell’obiettivo perseguito, in
modo più netto rispetto alla disciplina
prevista per l’elezione della Camera dei deputati.
Essa, infatti, stabilendo che l’attribuzione del
premio di maggioranza è su scala regionale,
produce l’effetto che la maggioranza in seno
all’assemblea del Senato sia il risultato casuale
di una somma di premi regionali, che può
finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle
liste o coalizioni di liste su base nazionale,
favorendo la formazione di maggioranze
parlamentari non coincidenti nei due rami del
Parlamento, pur in presenza di una distribuzione
del voto nell’insieme sostanzialmente
omogenea ... In definitiva, rischia di vanificare
il risultato che si intende conseguire con
un’adeguata stabilità della maggioranza
parlamentare e del governo.”
Ciò che la
Consulta rileva, è che pur in presenza di
risultati sostanzialmente omogenei, la lotteria dei
premi regionali rischia di vanificare l’obiettivo
della Governabilità.
Tutto vero, ma tutto
ciò, per l’appunto, accadeva, ad esempio,
anche con il Mattarellum. Con maggioranze
solidissime alla Camera; maggioranze fortemente in
bilico al Senato.
Di questo sono
ovviamente consapevoli i sostenitori della
governabilità a tutti i costi, per cui
anche le tre proposte di Renzi, come più
volte segnalato, prevedono formule premianti di tipo
non dichiarato, Mattarellum e il cosiddetto
Ispanico, ma con in più ulteriori elementi
correttivi per garantire la vittoria certa di una
lista.
Ma anche su questo
c’è un passaggio della sentenza, un inciso
tra parentesi, che non andrebbe trascurato alla luce
di eventuali aspetti problematici che potrebbero
derivare dalla somma di più correttivi: “Le
disposizioni censurate non si limitano, tuttavia,
ad introdurre un correttivo (ulteriore
rispetto a quello già costituito
dalla previsione di soglie di sbarramento
all’accesso, di cui al n. 3 ed
al n. 6 del medesimo comma 1 del citato art. 83,
qui non censurati) ...”
Il passaggio,
peraltro, pone più di un interrogativo circa
la liceità o meno delle soglie di
sbarramento.
Se si adottano dei
correttivi per garantire la governabilità,
come e perché limitare la
rappresentatività delle opposizioni,
privilegiandone alcune a danno di altre?
O d’altro canto: se
già si riduce la rappresentatività,
escludendo milioni di voti in conseguenza delle
soglie di sbarramento, può essere tollerabile
un’ulteriore alterazione della
rappresentatività con l’attribuzione di un
premio di maggioranza?
Ma in ogni caso,
infine, quale interesse costituzionale potrebbe
esservi nell’escludere milioni di voti dall’essere
rappresentati in Parlamento?
Sulla carta,
infatti, le soglie di sbarramento non garantiscono
l’obiettivo di rilievo costituzionale, qual
è quello della stabilità del governo
del Paese e dell’efficienza dei processi
decisionali nell’ambito parlamentare.
Sulla questione
delle liste bloccate, infine, la sentenza sembra
dapprima privilegiare gli effetti concreti, per poi
introdurre, però, elementi facilmente
suscettibili di dubbia interpretazione.
La normativa
è tale per cui, “La scelta dell’elettore
... si traduce in un voto di preferenza
esclusivamente per la lista, che – in quanto
presentata in circoscrizioni elettorali molto
ampie, come si è rilevato – contiene un
numero assai elevato di candidati, che
può corrispondere all’intero numero dei
seggi assegnati alla circoscrizione, e li rende,
di conseguenza, difficilmente conoscibili
dall’elettore stesso.
Una simile
disciplina priva l’elettore di ogni margine di
scelta dei propri rappresentanti, scelta che
è totalmente rimessa ai partiti.
... In
definitiva, è la circostanza che alla
totalità dei parlamentari eletti,
senza alcuna eccezione, manca il sostegno della
indicazione personale dei cittadini, che ferisce
la logica della rappresentanza consegnata nella
Costituzione.”
Il principio fissato
è sin troppo chiaro: se il meccanismo di
voto, al di là dei formalismi, è tale
per cui, nella sostanza, l’elettore che vota la
lista non può scegliere fra gli eleggibili di
quella lista, si ferisce la logica della
rappresentanza consegnata nella Costituzione.
Ma addirittura, se
si va a fare un confronto con altre esperienze di
altri paesi, si scopre che “Simili condizioni di
voto, che impongono al cittadino, scegliendo una
lista, di scegliere in blocco anche tutti i
numerosi candidati in essa elencati, che non ha
avuto modo di conoscere e valutare e che sono
automaticamente destinati, in ragione della
posizione in lista, a diventare deputati o
senatori, rendono la disciplina in esame non
comparabile né con altri sistemi
caratterizzati da liste bloccate solo per una
parte dei seggi, né con altri
caratterizzati da circoscrizioni elettorali
di dimensioni territorialmente ridotte, nelle
quali il numero dei candidati da eleggere sia
talmente esiguo da garantire l’effettiva
conoscibilità degli stessi e con essa
l’effettività della scelta e la
libertà del voto (al pari di quanto accade
nel caso dei collegi uninominali).”
Ed eccolo quindi qui
il paradosso: da un mero rafforzativo dei concetti
espressi attraverso il confronto con quanto avviene
in altri paesi, si arriva all’introduzione di quegli
elementi, poco sopra accennati, facilmente
suscettibili di dubbia interpretazione.
Ma cosa cambia se le
liste sono corte anziché lunghe sotto il
profilo rilevato, e cioè che “alla
totalità dei parlamentari eletti, senza
alcuna eccezione, manca il sostegno della
indicazione personale dei cittadini”?
E cosa cambia se nel
collegio uninominale il candidato è
più facilmente conoscibile, ma la ratio del
voto dell’elettore è sempre la stessa,
cioè indirizzata a contribuire la vittoria
elettorale di una lista e che, quindi, si vota
la lista e, per forza di cose, il candidato imposto
dalla lista?
A quest’ultimo
riguardo, però, c’è da ragionare circa
gli effetti generali che il voto in un collegio
uninominale potrebbe costituire in riferimento
ai diversi modi di assegnazione dei seggi. Effetti
dei quali la Consulta potrebbe aver tenuto conto
nell'accennare ai collegi uninominali.
Si pensi, ad
esempio, al modello tedesco.
L’elettore vota su
due schede, una per la scelta uninominale ed una per
la scelta proporzionale, ma la scheda che realmente
conta, ai fini della distribuzione finale dei seggi,
è quella proporzionale.
In altre parole, con
la scelta uninominale l’elettore tedesco non ha
l’angoscia di sprecare un voto o di decidere, con
quel singolo voto, chi finirà per dominare il
Parlamento anche solo in virtù di un voto in
più degli altri.
Le stesse
considerazioni potrebbero essere fatte per
l’elezione del Senato in vigore sino al 1993 in
Italia, prima dell’introduzione del Mattarellum.
Gli elettori
votavano per dei candidati uninominali, ma l’alta
soglia da raggiungere per l’assegnazione del
collegio, il 65%, era tale per cui il singolo voto
pesava molto meno ai fini dell’asso piglia tutto
che abbiamo invece conosciuto con il Mattarellum,
dove un collegio poteva essere vinto anche con basse
percentuali di voto.2
Dopo averci quindi
lasciato con alcune incertezze che daranno modo alla
politica di poter avere tutti ragione e nessuno
torto, la sentenza si chiude, finalmente, con una
certezza:
“La normativa
che resta in vigore per effetto della dichiarata
illegittimità costituzionale delle
disposizioni oggetto delle questioni sollevate
dalla Corte di cassazione è
«complessivamente idonea a garantire il
rinnovo, in ogni momento, dell’organo
costituzionale elettivo», così come
richiesto dalla costante giurisprudenza di questa
Corte (da ultimo, sentenza n. 13 del 2012).”
In altre parole, il
Porcellum non c’è più, sostituito da
una legge di risulta ripulita dagli aspetti di
incostituzionalità, già pronta per
essere utilizzata.
Anche per quanto
riguarda il voto di preferenza, sono sufficienti “interventi
normativi secondari, meramente tecnici ed
applicativi della presente pronuncia e delle
soluzioni interpretative sopra indicate”.
Pertanto, chiunque
si ostinerà a sostenere di voler fare una
nuova legge elettorale per abrogare il Porcellum,
potrà da ora in poi essere definito un
bugiardo.
Altresì, la
Corte non ha potuto che ribadire la
continuità degli Organi Costituzionali,
rinviando gli effetti concreti della sua decisione “esclusivamente
in occasione di una nuova consultazione
elettorale, consultazione che si dovrà
effettuare o secondo le regole contenute nella
normativa che resta in vigore a seguito della
presente decisione, ovvero secondo la nuova
normativa elettorale eventualmente adottata dalle
Camere.”
Ma a ben vedere, un
Parlamento formalmente legittimo per garantire la
“continuità dello Stato”, dove tutti i
parlamentari sono stati eletti solo grazie alle
liste bloccate, e dove, altresì, una buona
parte di loro ha potuto beneficiare anche del premio
di maggioranza, dovrebbe avere o no il buon gusto di
astenersi dall’andare oltre la legge di risulta che
fa seguito alla sentenza della Corte Costituzionale?
Ed il Presidente
della Repubblica Napolitano, infine, avrebbe dovuto
o no interrogarsi, nonché interrogare il
Parlamento, circa l’opportunità di proseguire
ulteriormente la legislatura in corso?
Certo, la Consulta
ha ribadito la continuità dello Stato, ma un
messaggino alle Camere, anche solo per dimostrare di
aver compreso che anche la sua Presidenza, sotto il
profilo politico, non è propriamente
legittima, forse sarebbe stato il caso di farlo.
2 Per buona parte dei seggi vinti nei collegi del nord nel 1996, si stava intorno a percentuali del 30-35%, questo per la presenza di tre forze politiche di peso equivalente almeno in quell’area del Paese: Polo delle libertà, L’Ulivo e Lega Nord. |
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