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La Legge Elettorale
e i tanti modi per non farci contare

di Franco Ragusa
 

Due nuovi Referendum elettorali
 

    Dopo 6 anni gli elettori vengono chiamati nuovamente ad esprimersi per modificare la legge elettorale1.
Attraverso un abile e spregiudicato taglia e cuci, il quesito abro­gativo avrebbe cambiato il modo di attribuzione della residua quota proporzionale del 25%.
Per effetto dell’eliminazione della seconda scheda per l’elezione della Camera, il 25% dei seggi sarebbe andato ai migliori perdenti nei collegi della medesima circoscrizione, e cioè alle sole formazioni maggiori.

    Paradossalmente, a mettere in discussione i benefici di un simile referendum fu proprio la consistenza del sostegno che il quesito ricevette da parte della stragrande maggioranza delle forze politiche in Parlamento.
Se erano tutti d’accordo, ma per quale motivo non assumersi la responsabilità di adottare la stessa modifica attraverso l’ordi­nario lavoro legislativo?
Era infatti sin troppo evidente l’uso improprio che si stava facendo del Referendum da parte delle forze politiche: da “stru­mento di democrazia diretta nelle mani dei cittadini”, le consultazioni referendarie stavano via via divenendo sempre più uno “strumento di manipolazione subito dai cittadini”.
Potendo approfittare del malessere diffuso, perché mai sporcarsi le mani con modifiche truffaldine? Meglio tentare la via referendaria, dove tutti vincono e nessuno perde; e poi vuoi mettere la legittimazione ricevuta dal “Popolo sovrano”, da poter interpretare e spendere anche per altre finalità?

    La strumentalità del quesito venne per l’appunto ampiamente palesata dalla diversità di intenti con la quale ogni forza politica motivava l’adesione all’iniziativa referendaria.
Impossibile trovare due posizioni uguali per il dopo referendum, sia che si guardasse ai diversi partiti, sia che si guardasse all’in­terno di un medesimo partito, come il tutto risulta molto chiaramente dall’approfondito estratto di dichiarazioni dell’e­poca.

(ASCA, 19-01-99)
«E ora il presidenzialismo. Vogliamo l’elezione diretta del vertice del governo». Così Peppino Calderisi ha commentato la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato ammissi­bile il referendum elettorale.

(Corriere della Sera, 20-01-99)
Walter Veltroni: «Si va verso un rafforzamento del bipolarismo e i Ds rilanceranno la loro proposta di un doppio turno di collegio alla francese».

(La Stampa, 22-01-99)
Domanda: Però, sostiene D’Alema, la legge andrà cambiata dopo, perché dal referendum potrebbero uscire norme “bizzarre”. Lei invece non considera “obbligatorio” rivederla. Perché?
Fini: «Quella di D’Alema è un’opinione. La questione in sé è ben poca cosa. Non ci interessa correggere storture, vere o presunte che siano. Valuteremo l’opportunità politica di metter mano alle norme elettorali non per spostare qualche virgola o dibattere di scorporo, ma per obiettivi più ambiziosi. La nuova legge va collegata al presidenzialismo».
Domanda: Il referendum riapre quindi il fronte delle riforme?
Fini: «Non delle “riforme”, genericamente. Del presidenzia­lismo».

(La Repubblica, 29-01-99)
Segni; Barbera: ... Ma che succederà dopo la vittoria del Sì? L’esperienza dei precedenti referendum non lascia molti spazi all’ipotesi di una nuova legge elettorale, sia pure modellata entro i confini del quesito. «Dopo il Sì - dice Segni - serve che i partiti e il Parlamento facciano quello che avrebbero dovuto fare da qualche anno, e cioè riformare la Costituzione e arri­vare al presidenzialismo: la legge elettorale ci sarà già, ed è quella che uscirà dal referendum».
A questo punto, secondo Barbera, «l’unica alternativa al sistema referendario (75 per cento dei seggi ai più votati nei collegi e l’altro 25 per cento ai migliori secondi) è un vero doppio turno alla francese. E per togliere ogni argomento a chi insiste sui rischi di un’assegnazione casuale del 25 per cento, il comitato sta preparando una proposta di legge costituzionale destinata a tagliare la testa al toro: l’abbassamento del numero dei deputati da 630 a 475, in modo che siano eletti tutti con l’uninominale secco. Senza recupero per nessuno».

(ASCA, 29-01-99)
Antonio Martino (F.I): Una ’’truffa vergognosa’’ viene definita da Antonio Martino, di Forza Italia, l’eventualità di una riforma della legge elettorale. Martino, che ne ha parlato intervenendo ad un dibattito su referendum e riforme, organizzato dal quoti­diano romano ’’Il Tempo’’, si è dichiarato contrario all’approvazione di una nuova legge elettorale non solo prima del referendum, ma anche dopo: ’’Se si modifica dopo l’esito positivo del referendum sarebbe una truffa vergognosa. Io non lo accetto, non ci sto’’. In quello che ha definito il ’’partito dei miscredenti’’, ovvero di coloro che hanno aderito al referendum pensando di utilizzarlo come spinta alla riforma da attuare però in parlamento, Martino ha indicato principalmente i Democratici di Sinistra. Martino ha quindi criticato, in termini ancora di truffa rispetto al referendum, l’ipotesi di una riforma che adotti il sistema a doppio turno di collegio.

(Adnkronos, 29-01-99)
Silvio Berlusconi (F.I.): - Forza Italia dice di sì al referendum per l’abolizione della quota proporzionale perché ’’è l’unico modo per convincere i partiti a dar vita ad una nuova legge elettorale’’. Lo ha detto Silvio Berlusconi, intervistato dal Tg1. ’’Occorre lavorare subito ad una nuova legge - ha aggiunto il leader del Polo - che risolva i problemi che il referendum non risolve, come i tradimenti e i ribaltoni’’.

(ASCA, 29-01-99)
Pierferdinando Casini (CCD): ’’Sono contento della scelta per il sì al referendum presa anche da Forza Italia. Così tutto il Polo è schierato in una direzione chiara’’. ... ’’Questa posizione è un grande passo dell’opposizione rispetto alla restaurazione partitocratica in atto - ha aggiunto il leader del Ccd -. Per il no al referendum, infatti, si sono schierati tutti i Ghini di Tacco del Paese. Berlusconi ha fatto una buona scelta: altrimenti sarebbe stato autolesionista farsi intruppare nella nostalgia del propor­zionale. Naturalmente una nuova legge elettorale va fatta, non si possono zittire i cittadini ed io personalmente sono favorevole al turno unico con le primarie obbligatorie.

    Quali che fossero, in ogni caso, le reali intenzioni dei soste­nitori del Referendum, il risultato del quesito avrebbe immediatamente contribuito ad espellere definitivamente dal Parlamento, o quanto meno a ridurle ai minimi termini, tutte le forze politiche al di fuori dello schema bipolare non in grado di competere nella quota maggioritaria.
Non tutte, evidentemente, se solo si pensa ai seggi ottenuti nella quota maggioritaria dai due terzi incomodi delle precedenti elezioni: Patto per l’Italia nel ’94; ma in modo particolare la Lega Nord nel ’96, grazie alla sua forte collocazione territoriale.

    Altresì, la diversa redistribuzione della residua quota propor­zionale avrebbe finito con lo svuotare del tutto l’espressione della sovranità popolare che si manifesta attraverso il voto.
Gli eventuali effetti del nuovo referendum elettorale ci consen­tono, infatti, di proporre un dubbio: siamo sicuri che siano gli elettori, con i meccanismi elettorali di tipo maggioritario, a determinare l’azione di Governo, e che non si tratti, piuttosto, di una finzione?

    Con l’introduzione del maggioritario dei collegi uninomi­nali, in barba a quanto affermato nell’art. 49 Cost., dove si afferma che “Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi libe­ramente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, l’importante e fondamentale principio "concorrere a determinare" era stato trasformato in una mera adesione, da parte degli elettori, a questo o quel programma di Governo, senza altre possibilità di intervento propositivo attraverso l’espressione di voto.
Il voto al programma di Governo e il candidato imposto nel collegio sono infatti una sola cosa. Per scegliere il primo si deve accettare anche il secondo. Non c’è cioè alcun modo, per gli elettori, per poter intervenire nell’ambito degli equilibri interni alle coalizioni.
Con il Mattarellum, l’unica possibilità d’intervento minimo era ancora costituito dalla possibilità di scegliere liberamente un partito attraverso il voto per la residua quota proporzionale che, per l’appunto, si stava proponendo di sopprimere.

    Sia nel 1999 che nel 2000, la proposta di eliminare la seconda scheda per la residua quota proporzionale del 25% verrà sconfitta dall’astensione.
È peraltro interessante notare come, nel giro di soli 7 anni, l’ubriacatura maggioritaria aveva subito una forte battuta d’arresto in termini di consenso da parte degli elettori, passando da 31 milioni di Sì del 1993 a 21 milioni del 1999, per finire con solo 11,6 milioni di Sì nel 2000.


Note

1 Per ben due volte, nel 1999 e nel 2000, e sempre sullo stesso quesito. In entrambe le occasioni non verrà raggiunto il quorum necessario per la vali­dità del risultato.



 
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