Dopo 6 anni gli elettori vengono
chiamati nuovamente ad esprimersi per modificare la
legge elettorale.
Attraverso un abile e spregiudicato taglia e cuci,
il quesito abrogativo avrebbe cambiato il modo
di attribuzione della residua quota proporzionale
del 25%.
Per effetto dell’eliminazione della seconda scheda
per l’elezione della Camera, il 25% dei seggi
sarebbe andato ai migliori perdenti nei collegi
della medesima circoscrizione, e cioè alle
sole formazioni maggiori.
Paradossalmente, a mettere in
discussione i benefici di un simile referendum fu
proprio la consistenza del sostegno che il quesito
ricevette da parte della stragrande maggioranza
delle forze politiche in Parlamento.
Se erano tutti d’accordo, ma per quale motivo non
assumersi la responsabilità di adottare la
stessa modifica attraverso l’ordinario lavoro
legislativo?
Era infatti sin troppo evidente l’uso improprio che
si stava facendo del Referendum da parte delle forze
politiche: da “strumento di democrazia
diretta nelle mani dei cittadini”, le
consultazioni referendarie stavano via via divenendo
sempre più uno “strumento di manipolazione
subito dai cittadini”.
Potendo approfittare del malessere diffuso,
perché mai sporcarsi le mani con modifiche
truffaldine? Meglio tentare la via referendaria,
dove tutti vincono e nessuno perde; e poi vuoi
mettere la legittimazione ricevuta dal “Popolo
sovrano”, da poter interpretare e spendere anche per
altre finalità?
La strumentalità del
quesito venne per l’appunto ampiamente palesata
dalla diversità di intenti con la quale ogni
forza politica motivava l’adesione all’iniziativa
referendaria.
Impossibile trovare due posizioni uguali per il dopo
referendum, sia che si guardasse ai diversi partiti,
sia che si guardasse all’interno di un medesimo
partito, come il tutto risulta molto chiaramente
dall’approfondito estratto di dichiarazioni
dell’epoca.
(ASCA,
19-01-99)
«E ora il presidenzialismo. Vogliamo
l’elezione diretta del vertice del governo».
Così Peppino Calderisi ha commentato
la sentenza della Corte Costituzionale che ha
dichiarato ammissibile il referendum
elettorale.
(Corriere
della
Sera, 20-01-99)
Walter Veltroni: «Si va verso un
rafforzamento del bipolarismo e i Ds rilanceranno
la loro proposta di un doppio turno di collegio
alla francese».
(La
Stampa, 22-01-99)
Domanda: Però, sostiene D’Alema, la
legge andrà cambiata dopo, perché dal
referendum potrebbero uscire norme “bizzarre”. Lei
invece non considera “obbligatorio” rivederla.
Perché?
Fini: «Quella di D’Alema è
un’opinione. La questione in sé è
ben poca cosa. Non ci interessa correggere
storture, vere o presunte che siano. Valuteremo
l’opportunità politica di metter mano alle
norme elettorali non per spostare qualche virgola
o dibattere di scorporo, ma per obiettivi
più ambiziosi. La nuova legge va collegata
al presidenzialismo».
Domanda: Il
referendum riapre quindi il fronte delle riforme?
Fini:
«Non delle “riforme”, genericamente. Del
presidenzialismo».
(La
Repubblica, 29-01-99)
Segni; Barbera: ... Ma che succederà
dopo la vittoria del Sì? L’esperienza dei
precedenti referendum non lascia molti spazi
all’ipotesi di una nuova legge elettorale, sia pure
modellata entro i confini del quesito. «Dopo
il Sì - dice Segni - serve
che i partiti e il Parlamento facciano quello che
avrebbero dovuto fare da qualche anno, e
cioè riformare la Costituzione e
arrivare al presidenzialismo: la legge
elettorale ci sarà già, ed è
quella che uscirà dal referendum».
A questo punto, secondo Barbera, «l’unica
alternativa al sistema referendario (75 per cento
dei seggi ai più votati nei collegi e
l’altro 25 per cento ai migliori secondi) è
un vero doppio turno alla francese. E per togliere
ogni argomento a chi insiste sui rischi di
un’assegnazione casuale del 25 per cento, il
comitato sta preparando una proposta di legge
costituzionale destinata a tagliare la testa al
toro: l’abbassamento del numero dei deputati da
630 a 475, in modo che siano eletti tutti con
l’uninominale secco. Senza recupero per
nessuno».
(ASCA,
29-01-99)
Antonio Martino (F.I): Una ’’truffa vergognosa’’
viene definita da Antonio Martino, di Forza Italia,
l’eventualità di una riforma della legge
elettorale. Martino, che ne ha parlato intervenendo
ad un dibattito su referendum e riforme, organizzato
dal quotidiano romano ’’Il Tempo’’, si è
dichiarato contrario all’approvazione di una nuova
legge elettorale non solo prima del referendum, ma
anche dopo: ’’Se si modifica dopo l’esito
positivo del referendum sarebbe una truffa
vergognosa. Io non lo accetto, non ci sto’’.
In quello che ha definito il ’’partito dei
miscredenti’’, ovvero di coloro che hanno aderito al
referendum pensando di utilizzarlo come spinta alla
riforma da attuare però in parlamento,
Martino ha indicato principalmente i Democratici di
Sinistra. Martino ha quindi criticato, in termini
ancora di truffa rispetto al referendum, l’ipotesi
di una riforma che adotti il sistema a doppio turno
di collegio.
(Adnkronos,
29-01-99)
Silvio Berlusconi (F.I.): - Forza Italia dice
di sì al referendum per l’abolizione della
quota proporzionale perché ’’è
l’unico modo per convincere i partiti a dar vita
ad una nuova legge elettorale’’. Lo ha detto
Silvio Berlusconi, intervistato dal Tg1. ’’Occorre
lavorare subito ad una nuova legge - ha
aggiunto il leader del Polo - che risolva i
problemi che il referendum non risolve, come i
tradimenti e i ribaltoni’’.
(ASCA,
29-01-99)
Pierferdinando Casini (CCD): ’’Sono
contento della scelta per il sì al
referendum presa anche da Forza Italia.
Così tutto il Polo è schierato in
una direzione chiara’’. ... ’’Questa
posizione è un grande passo
dell’opposizione rispetto alla restaurazione
partitocratica in atto - ha aggiunto il leader
del Ccd -. Per il no al referendum, infatti, si
sono schierati tutti i Ghini di Tacco del Paese.
Berlusconi ha fatto una buona scelta: altrimenti
sarebbe stato autolesionista farsi intruppare
nella nostalgia del proporzionale.
Naturalmente una nuova legge elettorale va fatta,
non si possono zittire i cittadini ed io
personalmente sono favorevole al turno unico con
le primarie obbligatorie.
Quali che fossero, in ogni caso,
le reali intenzioni dei sostenitori del
Referendum, il risultato del quesito avrebbe
immediatamente contribuito ad espellere
definitivamente dal Parlamento, o quanto meno a
ridurle ai minimi termini, tutte le forze politiche
al di fuori dello schema bipolare non in grado di
competere nella quota maggioritaria.
Non tutte, evidentemente, se solo si pensa ai seggi
ottenuti nella quota maggioritaria dai due terzi
incomodi delle precedenti elezioni: Patto per
l’Italia nel ’94; ma in modo particolare la Lega
Nord nel ’96, grazie alla sua forte collocazione
territoriale.
Altresì, la diversa
redistribuzione della residua quota
proporzionale avrebbe finito con lo svuotare
del tutto l’espressione della sovranità
popolare che si manifesta attraverso il voto.
Gli eventuali effetti del nuovo referendum
elettorale ci consentono, infatti, di proporre
un dubbio: siamo sicuri che siano gli elettori, con
i meccanismi elettorali di tipo maggioritario, a
determinare l’azione di Governo, e che non si
tratti, piuttosto, di una finzione?
Con l’introduzione del
maggioritario dei collegi uninominali, in barba
a quanto affermato nell’art. 49 Cost., dove si
afferma che “Tutti i cittadini hanno il diritto
di associarsi liberamente in partiti per
concorrere con metodo democratico a determinare la
politica nazionale”, l’importante e
fondamentale principio "concorrere a determinare"
era stato trasformato in una mera adesione, da parte
degli elettori, a questo o quel programma di
Governo, senza altre possibilità di
intervento propositivo attraverso l’espressione di
voto.
Il voto al programma di Governo e il candidato
imposto nel collegio sono infatti una sola cosa. Per
scegliere il primo si deve accettare anche il
secondo. Non c’è cioè alcun modo, per
gli elettori, per poter intervenire nell’ambito
degli equilibri interni alle coalizioni.
Con il Mattarellum, l’unica possibilità
d’intervento minimo era ancora costituito dalla
possibilità di scegliere liberamente un
partito attraverso il voto per la residua quota
proporzionale che, per l’appunto, si stava
proponendo di sopprimere.
Sia nel 1999 che nel 2000, la
proposta di eliminare la seconda scheda per la
residua quota proporzionale del 25% verrà
sconfitta dall’astensione.
È peraltro interessante notare come, nel giro
di soli 7 anni, l’ubriacatura maggioritaria aveva
subito una forte battuta d’arresto in termini di
consenso da parte degli elettori, passando da 31
milioni di Sì del 1993 a 21 milioni del 1999,
per finire con solo 11,6 milioni di Sì nel
2000.
Note