Riforme Istituzionali
L'editoriale
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Titolo V, devolution, presidenzialismo: dagli apprendisti stregoni
ai riformatori d'azzardo
15/12/2002
Infine Bossi ce l'ha fatta: il suo progetto di Devolution ha per il
momento incassato un primo sì dal Senato.
Anche AN può dirsi soddisfatta. Dalla viva voce del suo Capo
gruppo al Senato, il Sen. Nania, si è più volte sforzata
di spiegare ai propri elettori che non vi sono rischi per l'unità
nazionale, che di fatto non cambia nulla e che, anzi, l'unico pericolo
per l'integrità del paese è costituito dalla riforma del
Titolo V voluta dall'Ulivo; ed in ogni caso, la devolution si concluderà
con una bella riforma presidenzialista: ci penserà il Presidente
eletto dal "Popolo" a tenere unita la nazione. Che poi AN, come tutta la
Casa delle libertà, a suo tempo non votò il nuovo Titolo
V perché fintamente federalista, centralista ... vabbe', i tempi
cambiano a seconda di chi governa.
Infine Berlusconi, più soddisfatto di tutti. Mentre l'alleato
più scalmanato ottiene di votare sul "nulla" che serve per tenere
a bada il proprio elettorato (la devolution che già c'è)
lui va avanti per la sua strada, verso la propria personalissima investitura
diretta a capo dell'esecutivo, Presidente o Premier che sia.
Di fronte a tanta soddisfazione, il Presidente Ciampi ha sentito il
bisogno di dire cose inutili e per di più fuori tempo massimo.
Dopo l'approvazione del nuovo Titolo V con soli 4 voti di scarto, perché
mai l'attuale maggioranza non dovrebbe poter fare lo stesso?
Ciò non significa, chiaramente, che le questioni sollevate dal
Presidente Ciampi non siano fondate. Ma proprio per questo, è bene
chiedersi come e perché vengano sollevate soltanto ora e nel modo
sbagliato.
Per risolvere il problema delle larghe maggioranze per approvare le
riforme costituzionali, ad esempio, non vi è altra strada che imporle
per legge. Come del resto così era prima dell'introduzione del maggioritario.
Ma sono anni che tutti fanno finta di nulla di fronte a quella che
è stata la più grave lesione della più importante
tutela costituzionale a seguito dell'introduzione di una banalissima legge
ordinaria: in conseguenza dei meccanismi della legge elettorale maggioritaria
(legge ordinaria) è divenuto possibile modificare la Costituzione
a colpi di minoranza. La Casa delle Libertà può oggi governare
e riformare la Costituzione, forte di un largo margine di voti in Parlamento,
senza rappresentare la maggioranza degli elettori.
Come e perché, allora, questi continui richiami alle maggioranze
ampie (per altro non uditi quando ad operare lo strappo fu l'Ulivo) e non,
invece, un intervento istituzionale forte per chiedere al Parlamento di
ripristinare il quorum della maggioranza effettiva, con anche il contributo
delle minoranze escluse dalla legge elettorale, per le leggi di revisione
costituzionale? (ritornano d'attualità, purtroppo, questioni affrontate
nel "lontano" '96: La "riforma" truccata).
Ma come più volte scritto, il Presidente Ciampi preferisce ricorrere
all'ambiguo diritto-dovere di consigliare, del quale per altro non vi è
alcuna traccia nella Carta costituzionale, al diritto-dovere d'intervenire,
attraverso gli strumenti istituzionali di cui può disporre, per
tentare d'imporre il rispetto delle garanzie costituzionali.
Ma se le responsabilità del Presidente Ciampi sono gravi e tante,
molto maggiori sono quelle di chi ha avuto la possibilità di governare
nell'importante fase di transizione dal proporzionale al maggioritario:
gli apprendisti stregoni, per l'appunto, che anziché preoccuparsi
di riequilibrare il sistema (in 5 anni era così difficile fare una
legge sul conflitto d'interessi o prevedere quorum più aggravati
per le modifiche costituzionali?), hanno pensato bene di regalarci l'elezione
diretta dei Presidenti delle Regioni ed il nuovo Titolo V; il tutto passando
per una bicamerale per le riforme che, a dirlo oggi più nessun ulivista
ci crede, votò alla quasi unanimità, Ulivo e Polo uniti,
un progetto di riforma presidenziale.
E oggi fanno scandalo i propositi di Bossi e Berlusconi?
Per usare le parole del Sen. Fisichella di AN, in dissenso dal proprio
partito, "non si può sottovalutare la portata della riforma costituzionale
in discussione, in quanto si possono attivare talune derive dalle conseguenze
incontrollabili".
Ma ciò che potrebbe oggi essere vero per il progetto di devoluzione
di Bossi, è tanto più vero per tutto quanto fatto dall'Ulivo
nei 5 anni di governo.
Chi ha avuto modo di seguire i lavori del Senato sa bene di aver assistito
ad un continuo arrampicarsi sugli specchi da parte dei senatori dell'Ulivo:
continue dichiarazioni di principio senza alcun riferimento concreto al
come ed al perché il progetto di devolution bossiana potrebbe determinare
- ulteriori - pericoli per l'unità nazionale e per i diritti dei
cittadini. Il danno è già stato fatto con l'approvazione
del nuovo Titolo V.
Per le materie di tipo concorrente lo Stato può fissare soltanto
i principi generali, il tutto in un sistema che non prevede l'eguale erogazione
dei servizi e le eguali condizioni di vita (Costituzione tedesca), bensì
la sola garanzia dei servizi essenziali. La sanità e la scuola di
serie A per le regioni ricche e di serie B per quelle più povere
sono già presenti nel nuovo Titolo V là dove non sono previste,
per l'appunto, le eguali condizioni di vita.
Paradossalmente, il dibattito in Senato è servito per mettere
in evidenza quello che tutti sanno: sotto il profilo del rapporto Stato-Regioni
il progetto di Bossi non cambia, di fatto, una riga a quanto è già
sancito in Costituzione.
Le questioni vere sono infatti altre. Da un lato, certamente, i rischi
di derive incontrollabili denunziati dal Sen. Fisichella; dall'altro la
corsa contro il tempo di AN e Berlusconi verso il presidenzialismo.
Tentando di chiamare le cose con il loro vero nome, se per Bossi si
scrive "devolution" e si legge "secessione"; per altri si scrive "devolution"
e si legge "Berlusconi for President"; per altri ...
Ce n'è abbastanza per ripensare agli errori passati e ... ai
rischi futuri?
Franco Ragusa
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