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Alitalia, libero mercato e tutela dei diritti costituzionali: aiuti di stato no, precettazione sì
 
     3 maggio 2004
 
La vicenda dell'Alitalia, senza entrare nel merito del come e del perché si sia arrivati all'attuale situazione di crisi, ha tutti i requisiti per imporre una riflessione ed un ripensamento in merito all'evidente schizofrenia di un sistema di tutela dei diritti costituzionali molto efficace quando si tratta di garantire il diritto di circolazione precettando i lavoratori, ma totalmente impotente di fronte alle bizzarrie del libero mercato e ai vincoli comunitari sulla concorrenza.

Gli Stati comunitari, infatti, per usare un concetto a suo tempo espresso dal Commissario Monti, possono sì intervenire con soldi pubblici per salvaguardare un'azienda, ma soltanto agendo in maniera rispettosa delle regole della concorrenza  e comportandosi come se fossero un normale investitore in economia di mercato. E come si sa, i normali investitori debbono tendere ad ottenere profitti.
In altre parole, per non alterare le regole della concorrenza, agli Stati sono preclusi interventi dove non si guadagna o, più precisamente, interventi finalizzati a salvaguardare l'erogazione di servizi pubblici attraverso una propria attività d'impresa svincolata da logiche di profitto.
Che ci si trovi di fronte ad un mostro giuridico è sin troppo evidente. Basti pensare che secondo questa logica la tutela degli interessi costituzionalmente protetti finirebbe per essere affidata ad una sorta di divina provvidenza.
S'immagini, ad esempio, cosa potrebbe succedere nell'ipotesi che già da domani l'Alitalia ci dica di non essere più in grado di mantenere un numero elevato di collegamenti.
I diritti costituzionalmente garantiti che fine farebbero?
I viaggiatori oggi salvaguardati con la precettazione, come verrebbero salvaguardati di fronte all'impossibilità dell'azienda di operare agli attuali regimi?
Non rimarrebbe che restare in attesa che qualcuno, nel libero mercato, trovi conveniente coprire il buco.
Oppure, per i vincoli comunitari, dovremmo assistere all'ennesimo e costosissimo aiuto di Stato per l'intero settore, non cioè limitato alla sola Alitalia, con la speranza (perché non è neanche certo che i collegamenti meno convenienti possano trovare adeguata copertura) di vedere assicurato a tutto il territorio nazionale una mobilità degna di un paese moderno.
Insomma, l'imposizione di fatto di una sorta di sussidiarietà soltanto orizzontale che esclude qualsiasi intervento del Pubblico svincolato da logiche di mercato, in quanto i singoli Stati si troverebbero sempre e comunque, nell'ambito allargato europeo, a dover fare i conti con attività ritenute più degne di tutela secondo le regole comunitarie sulla concorrenza.

Il caso Alitalia, quindi, bene si presta per riflettere su alcune leggerezze compiute in passato: sia relativamente ai rapporti comunitari; sia per la recente introduzione, anche nella nostra Costituzione, della cosiddetta sussidiarietà orizzontale, principio per altro ulteriormente accentuato nella versione di revisione costituzionale votata in prima lettura il 24 marzo 2004 dal Senato.
La logica per la quale lo Stato favorisce (e riconosce) l'iniziativa dei privati per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà, non può infatti che rafforzare quel meccanismo di tutela della concorrenza per il quale oggi l'Europa può vietare allo Stato italiano di coprire i debiti di un'azienda di sua proprietà al fine di garantire ai cittadini italiani l'esercizio di diritti costituzionali.
Per questo, senza nascondersi dietro improbabili foglie di fico, è arrivato il momento di dire chiaramente se ha ancora senso parlare di diritti costituzionali. Se non altro, un minimo di chiarezza permetterebbe di salvare la faccia ed evitare di adottare provvedimenti tipici delle monarchie precostituzionali, dove i cittadini erano sudditi e i sovrani erano al di sopra della legge.
Nel caso della vicenda Alitalia, infatti, o la libera circolazione è un diritto costituzionalmente garantito da opporre in tutte le sedi, in modo particolare in quella comunitaria; o non lo è, e pertanto non dovrebbe essere utilizzato per motivare provvedimenti di precettazione dei lavoratori.

 
 Franco Ragusa



 
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