Riforme.net - 22
marzo 2020 Lavoratori al macello al tempo del coronavirus, ma non perché lavorano Franco
Ragusa
Molto bene, dopo l'uscita della lista delle attività essenziali da tenere ancora in funzione, si è capito che la comunicazione straordinaria serale di Conte è stata solo una messa in scena. In tanti chiedevano-urlavano di chiudere tutto ciò che non era essenziale, lui ha raccolto l'invito, l'ha fatto, ma sostanzialmente è rimasto tutto come il giorno prima. Del resto, se solo si prova ad elencare ciò che potrebbe essere indispensabile per la tenuta del servizio ospedaliero, anche poltrone e sofà è un'attività essenziale. Insomma, ancora una volta si è persa l’occasione per mettere Conte, ma anche i vertici delle Regioni, di fronte alle proprie responsabilità. Dall'inizio delle misure restrittive, cosa si è veramente fatto per tutelare la salute dei lavoratori impegnati nelle attività ancora in funzione? Come ci si è organizzati per avere più sicurezza nei mezzi pubblici che i lavoratori utilizzano per recarsi al lavoro per il bene di tutti? Che senso ha imporre il distanziamento sociale e poi avere la mattina gli autobus affollati? Quali risorse andavano e vanno messe in campo per verificare che i posti di lavoro non siano luoghi insicuri per i lavoratori e per la facile diffusione del virus? Per riassumere tutto in una sola domanda: quanto sarebbe stato meglio approfondire quest'ultimo tema, con tanto di numeri, uomini e mezzi da domani dispiegati sul territorio per vigilare e far rispettare le misure restrittive anche nei luoghi di lavoro, anziché tutti in coro a chiedere di chiudere ciò che è già chiuso sin dai primi provvedimenti? Ma per questa domanda che nessuno ha posto-urlato, nulla di più normale che non sia arrivata alcuna risposta. O meglio, normale non è normale. Ma in un Paese dove gli spot elettorali contano più dei contenuti, arrivederci al prossimo sondaggio e tifosi da accontentare.
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