Gli interventi di "Riforme istituzionali"

N° 43 - 26/10/96
Franco Ragusa

Proposta di iniziativa politica per il ripristino della legalità costituzionale.

Nell'osservare il dibattito attualmente in corso nell'ambito della sinistra relativamente alle riforme istituzionali, è sconsolante dover riscontrare la riproposizione del solito e controproducente atteggiamento tattico che, affrontando i problemi non dal lato dell'aderenza ai princìpi, ma guardando ai risultati ottenibili in base ai rapporti di forza di volta in volta in campo, riduce tutta l'iniziativa politica ad una sorta di vivere alla giornata le questioni che si impongono all'agenda.

La disputa che oggi vede in campo - schematicamente - i sostenitori della Bicamerale a sinistra, contro l'ipotesi dell'Assemblea Costituente portata avanti dalla destra, non ne è che l'ennesima conferma.
Anziché guardare alla sostanza della questione, se sia cioè legittimo avviare una profonda fase costituente con le attuali regole e garanzie, ci si scontra su due ipotesi di lavoro sostanzialmente identiche sotto il profilo dei modi e del livello d'intervento di revisione che comunque verrebbe apportato alla Carta Costituzionale. In altre parole, anziché affrontare la questione degli strumenti di revisione sotto il profilo del dover garantire i diritti delle minoranze nei processi di revisione, si guarda ai mezzi come a delle possibili scorciatoie e con un occhio puntato agli equilibri del momento.
La destra, da un lato, sapendo di godere di un buon consenso tra la gente riguardo al presidenzialismo (e questo anche grazie alle precedenti posizioni tattiche assunte dalla sinistra, che hanno fatto da spalla alla "semplicità" di tutte quelle possibili soluzioni tendenti a ridurre i "conflitti della democrazia" ad un più "efficiente" totalitarismo della maggioranza), spinge verso la costituzione di un'Assemblea Costituente senza alcun limite riguardo all'oggetto della revisione; e forte di questa posizione cerca di vincolare (o per meglio dire: ricattare il centrosinistra) la nascita della Commissione Bicamerale ad un progetto di revisione già precostituito ed indirizzato verso l'elezione diretta del Presidente o del Premier.
Dall'altro lato, forse perché timorosa di perdere il potere contrattuale oggi in mano, anche quella sinistra che sinora aveva posto come principio irrinunciabile il rispetto delle garanzie, ha deciso di abbandonare ogni remora e di aderire anch'essa all'idea che sia possibile avviare una Fase costituente attraverso il percorso delineato con la legge costituzionale istituente la Commissione Bicamerale ed il plebiscitario referendum unico.

I rischi di tale scelta credo siano sotto gli occhi di tutti.
Una volta accettato questo percorso di revisione, infatti, non ci sarebbe più alcun modo per poterne contestare l'illegittimità.
Di più, verrebbe meno la possibilità di poter immediatamente denunziare, di fronte ai cittadini, l'illegittimità della fase costituente avviata attraverso il ricorso, laddove la legge costituzionale in questione non venisse approvata con la maggioranza dei 2/3, di un referendum che avrebbe delle chiare parole d'ordine: "No! alla Bicamerale lesiva delle garanzie e dei diritti delle minoranze; NO! all'uso plebiscitario dello strumento referendario".
Diversamente, lasciare la possibilità del ricorso al referendum alla destra, significherebbe dover confrontarsi su altre parole d'ordine (Contro la Bicamerale delle segretarie dei partiti - per l'Assemblea costituente) ed essere così poi costretti, per l'ennesima volta, a dover difendere l'indifendibile.

Va quindi avviata una diversa riflessione riguardo alle urgenze in campo.
Va esclusa qualsiasi partecipazione e subalternità alla contrapposizione che vede sia la destra che il centrosinistra uniti nel voler stravolgere la Costituzione senza prima aver quanto meno delineato un giusto corredo di regole atto a garantire le minoranze.

C'è una sola e vera urgenza di riforma, ed è quella che riguarda la modifica dell'art. 138.


Che la Costituzione non sia più neanche in grado di tutelare se stessa, di fronte a dei tentativi di cambiamento che intervengono al di là di quanto previsto dall'art. 138, è stato ampiamente dimostrato dagli effetti materiali prodotti dalla legge ordinaria che ha introdotto il sistema elettorale di tipo maggioritario.
Paradossalmente, non è più la Costituzione a sovradeterminare le leggi ordinarie; ma sono le leggi ordinarie, formalmente legittime (anche perché: chi oserebbe contestare una legge acquisita attraverso una consultazione referendaria? E questo tanto per dire della mancanza di adeguati controlli preventivi in grado d'impedire di trovarsi di fronte al "fatto compiuto"), ad imporre che la Costituzione si adegui al nuovo regime da loro instaurato.
E che ci sia l'esigenza - ripeto, paradossale - di rivedere i meccanismi di garanzia, lo dimostra proprio la preannunciata composizione della Commissione bicamerale che dovrebbe nascere.
Scegliere i componenti di questa Commissione proporzionalmente alla consistenza dei Gruppi parlamentari è già di per sé una prima "sostanziale" violazione dell'art. 138: ideato e scritto facendo riferimento ad un Parlamento eletto con altro sistema elettorale.
Peggio ancora, gli effetti della legge maggioritaria vanno ben al di là della falsata consistenza dei Gruppi parlamentari, spingendosi ad alterare l'espressione della volontà dei cittadini in riferimento allo specifico delle riforme: gli elettori hanno scelto le coalizioni, dovendo subire la logica dello scontro bipolare, in base a degli approssimativi programmi di governo e con l'attenzione principalmente rivolta nel veder sconfitta la coalizione considerata peggiore, senza minimamente guardare alle idee dei candidati votati (il più delle volte turandosi il naso per esigenze di mera contabilità elettorale) relativamente alle questioni istituzionali.
Ma peggio ancora, laddove il Polo avesse vinto (conquistando la maggioranza in termini di seggi, ma non in termini reali), avremmo assistito a dei tentativi di modifica costituzionale attraverso la trasformazione del Referendum, previsto dall'art. 138, da strumento di garanzia per le minoranze a strumento nelle mani della minoranza meglio organizzata elettoralmente con il quale poter affermare l'instaurazione di un vero e proprio regime plebiscitario. Basti ricordare, in tal senso, il tono ed il senso delle dichiarazioni fatte in campagna elettorale dalla destra: il Parlamento avrebbe ben potuto cambiare la Costituzione con anche un solo voto di maggioranza, venendo poi comunque ad intervenire, come atto supremo, attraverso il referendum, l'espressione della "volontà" popolare.

Queste brevi considerazioni dovrebbero convincere anche il più "accorto" degli strateghi politici che affidarsi agli equilibri tattici del momento potrebbe significare "sì" il poter rinviare la questione a tempi migliori; ma anche il ritrovarsi a dover a ffrontare la questione in condizioni peggiori. E non è un caso che la salvaguardia dei princìpi è normalmente posta a tutela delle minoranze in presenza del verificarsi di qualsiasi circostanza.
Vanno allora chieste modifiche all'art. 138 al fine di restituire a tutte le minoranze il potere di emendamento e di decisione, in altre parole: la possibilità di poter concorrere attivamente nella fase dei processi formativi delle riforme e non soltanto nella fase finale del "prendere o lasciare" attraverso la sola consultazione referendaria.
Avrebbe infatti ben poco senso una modifica dell'art. 138 al solo fine di rendere sempre possibile il ricorso al referendum per l'approvazione definitiva delle revisioni della costituzione, in assenza, nel Parlamento, dell'effettiva rappresentanza delle minoranze e del conseguente potere d'interdizione e di controllo. Paradossalmente, già ora lo strumento referendario potrebbe, come già scritto prima, divenire il grimaldello per l'instaurazione di un regime plebiscitario.
E' evidente, allora, che o si ristabiliscono determinati equilibri, ritornando al proporzionale; o si modifica l'art. 138 rendendolo autonomo, relativamente alla determinazione del soggetto legittimato ad intraprendere le revisioni costituzionali, dai risultati elettorali.

Il prevedere un diverso Organo per le revisioni della Costituzione, non significa in alcun modo cedere o legittimare la richiesta della destra di un'Assemblea Costituente.
L'Assemblea Costituente chiesta dalla destra, infatti, rappresenterebbe soltanto un elemento di rottura legato ad una fase contingente della vita istituzionale: un momento eccezionale tale da giustificare qualsiasi tipo di intervento e con le procedure per l'occasione ritenute più idonee.
Va invece imposta una visione di normalità nell'utilizzo degli strumenti istituzionali, fissando chiaramente tempi, modi e limiti dei processi di revisione costituzionale che debbono valere per tutte le stagioni.
Parliamoci chiaro: l'Assemblea Costituente chiesta dalla destra, in quanto momento di rottura e di stravolgimento della Costituzione senza un adeguato corredo di garanzie, non sarebbe peggiore della Bicamerale figlia del maggioritario e del referendum unico che sempre come momenti di rottura andrebbero ad intervenire rispetto alla Carta Costituzionale. Ci troviamo infatti di fronte a due diversi strumenti che hanno alla base il medesimo obiettivo: liberarsi di tutti gli ostacoli che possano impedire l'avvio di una Fase costituente in grado di nascondere i conflitti sociali con l'ingegneria costituzionale.
E se questo è l'obiettivo perseguito dalle maggiori forze politiche, non è certo rifugiandosi nei tatticismi e negli equilibri del momento che si potrà sperare di limitare i danni.
Il pensare, oggi, in tema di riforme, di poter di cambiare la maggioranza dall'interno (accettando così, per altro verso, la logica dell’emergenza costituzionale), è quanto di più pericoloso e controproduttivo possa farsi, essendo forte il rischio di rimanere assorbiti ed annullati dalle scelte maggioritarie. Va invece ricreato un fronte compatto delle diverse minoranze, a dispetto della logica maggioritaria, da contrapporre alle forze politiche maggiori, le sole di fatto interessate a mutare un assetto istituzionale che oggi le pone nella condizione di dover subire il confronto democratico con tutte le espressioni sociali.

Si riparta, quindi, con la richiesta del rispetto delle garanzie, del rafforzamento, anzi, di queste.

Si definiscano nero su bianco limiti, modi e tempi dei processi di revisione salvaguardando il diritto delle minoranze ad essere rappresentate in ogni fase di questi processi.
Si preveda pure la possibilità di attivare un processo di revisione molto profondo, purché venga rigidamente regolamentato, in special modo relativamente ai limiti, e sia data ai cittadini la possibilità d'intervenire in corso d'opera, anche con la possibilità di mutare gli equilibri in campo (come ad esempio avviene in altre costituzioni, dove a votare il progetto definitivo non è lo stesso organo legislativo che ha avviato la revisione, in quanto, per questi specifici casi, vengono previste delle nuove elezioni tra le due deliberazioni), e non riconoscerli sovrani limitatamente alla sola fase finale del "prendere o lasciare".

Franco Ragusa


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