Riforme Istituzionali |
Documento visualizzato 58,723
volte
|
Leggi del Diritto
Pubblico e Costituzionale: Approfondimenti |
Franco Ragusa, 10 ottobre 2005
Non credo che il Professor Sartori si offenderà
se prenderò in prestito un sua tipica premessa. A volte si è
purtroppo costretti a chiamare le cose con il loro vero nome e, con ciò,
esprimere dei giudizi impliciti riguardo agli argomenti altrui.
Per dirla quindi con il Professor Sartori:
l’avere opinioni diverse, l’essere un Parlamentare o anche un autorevole
Professore, non autorizza a dire sciocchezze.
A questo principio basilare direi anche
di aggiungere che le sciocchezze, anche se dette in tanti, tali sono e
tali rimangono.
Premesso ciò, proviamo ad entrare
nel merito delle singole questioni che si sono aperte in seguito all’iniziativa
del centrodestra di cambiare la legge elettorale.
E per fare ciò, mi permetto di
proporre un modo diverso di affrontare la questione, andando a verificare,
in un confronto diretto, cosa succede con l’attuale legge elettorale e
cosa potrebbe invece succedere se, in linea di massima, il progetto di
legge presentato dal centrodestra rimanesse così come è ora.
E’ abbastanza curioso, infatti, che le
maggiori critiche rivolte al progetto del centrodestra, che per altro ricalca
quasi fedelmente la legge elettorale della Regione Toscana, alla fine finiscano
per somigliare moltissimo alle critiche che i proporzionalisti sono soliti
rivolgere al sistema maggioritario vigente.
Nulla di più normale, quindi, che
queste critiche vengano avanzate dai fautori dell’immediato ritorno al
proporzionale; quanto mai schizofrenico, però, quando a sostenere
le medesime argomentazioni siano i sostenitori dell’attuale legge maggioritaria.
Premio di maggioranza
La proposta di legge presentata dal
centrodestra prevede che alla coalizione vincente vengano assegnati un
numero di seggi, variabile, al fine di farle avere un’adeguata maggioranza
parlamentare (340 seggi alla Camera, 170 al Senato).
Sotto il profilo degli effetti concreti,
quindi, l’attuale maggioritario, collegio per collegio, si trasformerebbe
in una sorta di maggioritario di coalizione.
Estremizzando le situazioni, per ipotesi
potremmo anche avere un’elezione con tre coalizioni intorno al 30%, per
cui la coalizione vincente, con poco più del 30%, potrebbe ottenere
un premio di maggioranza di oltre il 20%.
E’ sin troppo evidente come tale meccanismo
di “addizione e corrispondente sottrazione” dei seggi potrebbe facilmente
determinare, in una situazione con più di 2 coalizioni, situazioni
intollerabili sotto il profilo della ripartizione dei seggi, a danno, in
modo particolare, dei partiti minori.
Nulla di più normale, quindi, che
i sostenitori del proporzionale ritengano questo meccanismo inaccettabile.
Detto questo, però, allo studioso,
per quanto fervente proporzionalista, non è consentito di rimanere
nel vago.
Per essere chiari: da 1 a 10, meglio il
maggioritario di coalizione o quello collegio per collegio? Meglio il premio
di maggioranza sul modello della legge elettorale per la Toscana o il premio
che si acquisisce attraverso l’attuale sistema maggioritario?
Alla prima domanda ha già risposto
la Lega Nord, l’unica forza politica, all’interno del centrodestra, ad
aver sollevato più perplessità.
Il maggioritario di coalizione, infatti,
riduce di molto il peso dei partiti minori con forte penetrazione locale
come la Lega.
Essere indispensabili per vincere in un
tot di collegi implica un potere contrattuale, all’interno della coalizione,
enorme; essere indispensabili per vincere in un ambito territoriale più
vasto, tipico dei partiti a dimensione nazionale, aumenta il potere contrattuale
di quest’ultimi.
Alla seconda domanda, quale premio di
maggioranza preferire, è sufficiente rispondere ricordando l’attuale
forza parlamentare della maggioranza di governo uscita vincente nel 2001:
in Italia non si era mai vista una così larga maggioranza parlamentare
nonostante la piccola differenza di voti che ha diviso il centrodestra
dal centrosinistra (vedi tabelle
risultati elettorali 1994 - 1996 - 2001).
Immaginiamo, allora, cosa potrebbe succedere
nell’ipotesi che a confrontarsi siano più di due coalizioni; e per
farlo è sufficiente guardare ai risultati
elettorali italiani degli ultimi anni, come anche ai risultati della
ben più collaudata esperienza inglese, dove i liberali, sempre a
ridosso del secondo partito, ottengono pochissimi seggi (mentre piccolissimi
partiti a forte penetrazione locale riescono ad ottenere il massimo), e
il partito di maggioranza relativa riesce con facilità a garantirsi
una larga maggioranza parlamentare.
Indicazione del Premier e deposito del
programma elettorale.
I partiti debbono dichiarare il proprio
candidato Premier e il programma elettorale che, ovviamente, sarà
uguale per tutti in caso di partiti coalizzati.
Ciò implica, chiaramente, una forte
limitazione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica
e del Parlamento in ordine alla nomina del Presidente del Consiglio e ai
lavori parlamentari in genere.
In tal senso, però, stiamo parlando
di prerogative che, pur a Costituzione invariata, non esistono già
più, e questo proprio a causa dell’introduzione dell’attuale legge
maggioritaria.
E dal ’94 che le coalizioni si presentano
agli elettori con tanto di candidato Premier e programma di Governo definito,
sia che si chiami programma di tot punti (l’Ulivo di Prodi nel 1996) o
contratto con gl’italiani (Berlusconi nel 2001).
Ma non solo: come tutti ben ricordano
le ultime elezioni, sul simbolo elettorale per la scheda maggioritaria
vi erano chiari riferimenti ai nomi dei candidati Premier delle due coalizioni
e, tranne gli studiosi, nessuno si scandalizzò più di tanto.
Infine, ciliegina sulla torta, sono di
questi giorni le primarie dell’Unione per designare quale Premier, in caso
di vittoria alle elezioni, il Presidente Ciampi e il Parlamento saranno
chiamati a nominare.
Chi ha quindi a cuore le prerogative del
Presidente della Repubblica e del Parlamento, è il caso che cominci
a darsi da fare da subito, visto che, con l’attuale legge e gli attuali
ceti politici dirigenti, queste prerogative costituzionali sono già
state da tempo assorbite “d’ufficio”.
Liste bloccate.
Non è previsto il voto di preferenza,
per cui all’elettore non rimane altro che votare il partito, senza alcuna
possibilità d’intervento sulla vita interna del partito votato.
Anche in questo caso, ci troviamo di fronte
ad una realtà, certamente da modificare con urgenza, ma già
ben consolidata.
Con la legge elettorale vigente, infatti,
la seconda scheda per la Camera per l’elezione della quota proporzionale
è bloccata. Non consente il voto di preferenza.
Ma peggio ancora, questo meccanismo di
decisioni imposte dall’alto lo si subisce, in modo maggiore, con la scheda
per l’elezione del candidato uninominale. L’elettore convintamene di centrosinistra,
o di centrodestra, non ha altre possibilità che votare il candidato
che si ritrova davanti, quale che sia, pena la vittoria del candidato della
coalizione opposta.
I candidati uninominali sono una lista
bloccata a tutti gli effetti per almeno il 90% degli elettori.
Quantomeno, con la legge proposta dal
centrodestra all’elettore rimarrebbe la possibilità, nell’ambito
del voto dato alla coalizione, di dare più o meno forza a questo
o quel partito. Non più per una quota di seggi ridotta al 25%, come
ora, ma per l’intera quota.
In tal senso, non c’è alcun timore
a dichiarare che un simile sistema di riequilibrio dei rapporti interni
alle coalizioni, deciso dagli elettori, è di gran lunga preferibile
ad un sistema dove le decisioni prese in fase di accordi sui collegi possono
soltanto essere accettate o rifiutate in toto dagli elettori. Saranno gli
elettori a decidere se e quanti parlamentari di quel partito potranno sedere
in Parlamento con la coalizione scelta, e non il mercato delle vacche deciso
nei corridoi delle segreterie.
Soglie di sbarramento
Il progetto del centrodestra prevede
una soglia di sbarramento del 4% per i partiti non coalizzati.
L’obiettivo è chiaramente quello
di forzare i piccoli e medi partiti ad entrare nelle coalizioni maggiori,
pena il mancato superamento del quorum d’ingresso e pena il mancato godimento
del “premio di maggioranza”.
Risultano quindi di difficile comprensione
tutti i timori espressi dai bipolaristi riguardo il possibile rischio all’eccessiva
frammentazione, sia a livello di singoli partiti che di coalizione.
Piuttosto, il problema sarebbe semmai
l’opposto: più il sistema è frammentato prima delle elezioni
e maggiormente si avvantaggiano le coalizioni maggiori, con conseguente
minor frammentazione nel Parlamento; meno il sistema è frammentato,
formalmente, prima delle elezioni, e più alta sarà la frammentazione
una volta entrati in Parlamento, esattamente come succede ora con l’attuale
legge elettorale maggioritaria.
Vedendo la cosa dal lato dei fautori del
ritorno al proporzionale, invece, nulla di più odioso della combinazione
premio di maggioranza e soglia di sbarramento.
Per i partiti minori, vedersi sottrarre
un tot di seggi dopo lo sforzo fatto per superare il quorum d’ingresso
sa molto poco di proporzionale e molto di maggioritario.
Equilibri costituzionali
Con il ritorno al proporzionale, è
stato possibile leggere da più parti, si verrebbero ad alterare
fragilissimi equilibri costituzionali.
Francamente, risulta difficile prendere
in considerazione una simile argomentazione.
Tutto l’impianto delle garanzie dell’attuale
Costituzione è chiaramente congegnato pensando ad un sistema elettorale
di tipo proporzionale, come del resto i Costituenti ci avevano lasciato
in eredità.
E’ soltanto in conseguenza dei meccanismi
della legge elettorale maggioritaria, infatti, che oggi è divenuto
possibile modificare la Costituzione a colpi di minoranza.
Addirittura, nell’ipotesi di una situazione
frammentata, con più di due coalizioni, potrebbero bastare pochi
voti per riuscire ad ottenere i due terzi dei seggi parlamentari, evitando
così di dover sottoporre le modifiche costituzionali al referendum
confermativo.
Questa sì che è una grave
lesione dell’equilibrio costituzionale, ormai in vigore dal ’94 e per altro
realizzata senza aver fatto lo sforzo di modificare la Costituzione.
Con il referendum del ’93 è stata
cambiata la legge elettorale, come si sarebbe potuto fare per qualsiasi
altra legge ordinaria non rientrante nei divieti previsti dalla costituzione,
e dove prima servivano forze politiche con alle spalle il 50% più
1 degli elettori per poter modificare la Carta costituzionale, ora sono
sufficienti un tot di collegi maggioritari, con il 50% o il 30% dei consensi
elettorali non fa differenza.
Senza cioè aver modificato una
riga della Costituzione, il senso di una delle più importanti garanzie
poste a tutela della legalità costituzionale è stata stravolta
dall’introduzione di una banalissima legge ordinaria.
E nessuna forza politica, ieri l’Ulivo,
oggi il Polo, ha sentito l’esigenza di un intervento in grado di ripristinare,
per l’approvazione delle leggi di revisione costituzionale, il quorum della
maggioranza effettiva degli ELETTORI rappresentati in Parlamento.
Per altro, visto il rischio, per un numero
significativo di elettori, di essere espulsi dal Parlamento in conseguenza
del meccanismo di conta di tipo maggioritario, sarebbe stato quanto mai
opportuno studiare meccanismi in grado di garantire anche a questi elettori
forme d’intervento per tutte le fasi dei processi di revisione costituzionale.
L’assenza d’interventi per ripristinare
i preesistenti equilibri costituzionali, inoltre, che logicamente avrebbero
dovuto anticipare tutte le modifiche costituzionali che dal ’94 ad oggi
sono state invece realizzate, la si deve registrare anche nell’ambito del
delicato sistema dei “pesi e contrappesi”.
Anche i poteri di nomina di natura parlamentare,
infatti, hanno acquisito una diversa valenza, potendo divenire di esclusivo
dominio della maggioranza parlamentare uscita vincitrice dalle elezioni.
Anche se a dosi minime, vengono restituiti
margini di indipendenza destinati a scomparire con l’attuale legge maggioritaria.
In tal senso, un brutto esempio proviene
dal PRC, improvvisamente convertito allo strumento delle primarie: da un
lato perché costretto all’accordo con l’Unione per non scomparire;
e dall’altro con la necessità di non dover rendere conto ai propri
elettori degli accordi che sarà costretto ad accettare.
Grazie alle primarie, sarà tutto
molto più facile da far digerire una volta che il “voto popolare”
avrà indicato nel nome di Prodi il candidato del centrosinistra:
come tirarsi indietro di fronte ad una designazione che si dice provenire
dal basso?
Altro aspetto di non poco conto, è la possibilità, per l’elettore, di disegnare la geografia della coalizione, potendo finalmente scegliere all’interno della coalizione il partito preferito e non essere costretto a prendere o lasciare il candidato uscito vincente dal mercato delle vacche.
Poco, certamente molto poco.
Di sicuro, però, l’urgenza dell’abbandono
della logica maggioritaria non può passare per la difesa del maggioritario
stesso.
|