Riforme Istituzionali
 
 
Dichiarazioni di voto Ddl di revisione Costituzionale: voto della Camera dei Deputati - 20 ottobre 2005  
   
Fonte: Camera
A.C. 4862-C
approvazione in seconda deliberazione
 
DUILIO   -    MARAN   -    ZACCARIA    -    MANTINI    -   BRESSA  -  LEONI   -   TABACCI    -   SODA
 
BIANCO    -    ROTONDI   -   DUSSIN   -   CABRAS   -   PISAPIA    -   ZELLER  -  LO PRESTI   -   MATTARELLA
 
COLLE'    -   MORONI    -    BOATO    -    COSSUTTA    -   PAPPATERRA   -   PISICCHIO   -   MASCIA
 
GIBELLI    -   VOLONTE'    -   CASTAGNETTI    -    GASPARRI    -    FASSINO    -   LEONE   -   COSSA
 
POGGIOLINI    -   PERROTTA   -   NICOLOSI    -   SAVO    -    FALANGA
 
 

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dal Senato: Modifiche alla Parte II della Costituzione (vedi l'allegato A - A.C. 4862-C - sezione 1).
Ricordo che nella seduta del 19 settembre 2005 si è conclusa la discussione sulle linee generali.
Avverto che, trattandosi di seconda deliberazione su una proposta di legge costituzionale, a norma del comma 3 dell'articolo 99 del regolamento, si procederà direttamente alla votazione finale, previe dichiarazioni di voto.
Avverto altresì che lo schema recante la relativa ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
 
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 4862-C)
 
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.
 
LINO DUILIO. Signor presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, mentre aspettavo di intervenire questa mattina come primo degli iscritti dinanzi ad un numero così esiguo e sparuto di colleghi, mi chiedevo se i costituenti che hanno dato vita alla nostra Carta costituzionale avrebbero mai previsto che si sarebbe arrivati ad una situazione in cui essa viene modificata unilateralmente da parte della maggioranza, in un clima di indifferenza così sostanziale. Ciò peraltro avviene in seconda lettura, essendosi previsto che la modifica della Costituzione, data la sua importanza, non si può realizzare in un'unica soluzione ma necessita di un doppio passaggio.
Cala in me, che sono un romantico sul piano costituzionale, un po' di tristezza nell'osservare la condizione in cui siamo precipitati, con una seconda riflessione che servirà a ben poco e non produrrà alcun sussulto circa la possibilità di tornare indietro su questa modifica. Invito la maggioranza che l'ha realizzata questa modifica a riflettere sul fatto che essa ha modificato la legge elettorale sostenendo che abbiamo un Parlamento basato su una legge elettorale che produce una rappresentanza che non rispecchia la rappresentanza della maggioranza degli italiani - questa è la motivazione sostanziale che è stata data - e, dimenticandosi di questa motivazione, adesso, con 100 voti di differenza, alla fine della legislatura, modifica da sola la Costituzione. È una contraddizione in termini che si commenta da sé, al di là di quello che può essere il merito, su cui si può essere d'accordo o meno. Non si può cambiare la legge elettorale affermando che essa non riflette la maggioranza dell'opinione degli italiani e poi, con questo tipo di maggioranza, frutto dell'attuale legge elettorale, modificare la Costituzione.
Ripeto: questa è una contraddizione in termini, che ritengo vada stigmatizzata anche alla luce del fatto che l'attuale maggioranza scricchiola anche da un punto di vista politico. Non appartengo a quelli che guardano nella sfera di cristallo, ma non sono proprio sicuro che questa sarà ancora una maggioranza tra pochi mesi, a seguito della consultazione elettorale.
Detto questo, accenno ad alcuni punti nel merito del provvedimento in esame, che vorrei ricordare per invitare, con l'ottimismo della volontà ed il pessimismo della ragione, ad un sussulto che torni a far riflettere su quanto si sta facendo.
La prima questione è il tema delle garanzie, che non sono previste in questo progetto. Basta pensare al ruolo della Corte costituzionale, al quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica, al referendum popolare, ai regolamenti parlamentari che mortificano il ruolo dell'opposizione. Il discorso delle garanzie è di grandissima rilevanza e a fondamento della vita democratica, per affrancarla dai rischi di una regressione qualitativamente poco democratica.
Credo che questo sia uno dei primi aspetti da riconsiderare relativamente al disegno di legge costituzionale di modifica della nostra Costituzione.
The second best, come dicono gli inglesi, vale a dire il secondo elemento che vorrei richiamare alla vostra attenzione, riguarda il ruolo del Primo ministro, il cui strapotere produce una mutazione del nostro sistema parlamentare, peraltro in modo subdolo. Vorrei sottolineare, inoltre, che voi avete approvato una legge elettorale che, sostanzialmente, porta questo Parlamento ad avere una trentina di sedicenti leader, come ha affermato il mio amico e maestro Gerardo Bianco, «uomini forti dal pensiero debole», e circa seicento «camerieri», lo dico tra virgolette, con tutto il rispetto per la categoria.
In tale contesto, con questo tipo di Parlamento, prevedete lo strapotere del Primo ministro, che sarà anche in grado di licenziarlo, in una situazione che è veramente un capolavoro sul piano della gentilezza democratica e sotto il profilo dei principi, degli equilibri, dei pesi e dei contrappesi di un sistema parlamentare nel quale il potere esecutivo dovrebbe porsi, rispetto a quello legislativo, in una condizione ben diversa da quella prevista in questo progetto.
Sono di fronte ad uno svilimento del Parlamento, che mette questa istituzione gloriosa in una condizione avvilente. Basta vedere lo spettacolo a cui è ridotto oggi il Parlamento per renderci conto che stiamo producendo una ferita gravissima al tessuto istituzionale! Sebbene ci troviamo in questa condizione, con la modifica della legge elettorale e la prossima modifica della Costituzione, mettiamo sotto i piedi, se così posso dire, i principi su cui abbiamo costruito nel nostro paese un sistema democratico che ha retto per più di cinquant'anni.
State producendo una deriva cesarista, che sarà dovuta non alla cattiva volontà o ai cromosomi antidemocratici di Tizio, di Caio o di Sempronio! La democrazia è fatta di regole, di presupposti, di pesi e contrappesi (questo è il principio di fondo) e, pertanto, non ce la prendiamo con Tizio, con Caio o con Sempronio; quando le istituzioni sono messe nelle condizioni per cui chiunque ne può approfittare, in presenza di regole che elevano il potere e determinano strapotere, credo che soprattutto gli spiriti liberali che dovrebbero abitare nella maggioranza di centrodestra si dovrebbero sollevare.
Abbiamo un'altra idea di democrazia, anche con riferimento alla questione del federalismo, che è il terzo elemento - the third best, per essere ironici - che vorrei affrontare.
Noi abbiamo in mente un'idea di federalismo che unisce e non che divide; forse, tutti siamo stati un po' superficiali nell'introdurre la questione del federalismo, anche solo in termini semantici, oltre che istituzionali, nel nostro paese, senza avere posto un'adeguata attenzione a ciò che è accaduto in altri paesi che hanno già avviato alcune esperienze in senso federalista.
Noi siamo per un'idea di federalismo che unisce, che produce unità nel paese e non la sua disunità! A me, peraltro, piace poco la parola federalismo, perché amo il concetto di autonomia, essendo un popolare sturziano. Noi popolari siamo per lo Stato delle autonomie, piuttosto che per uno Stato federalista!
Con questa modifica state introducendo nel testo della Costituzione la previsione di competenze esclusive delle regioni in determinate materie (sanità, scuola, polizia locale) senza nemmeno sapere di che cosa si sta parlando. Qualcuno dice che la polizia sarà solamente amministrativa; qualcun altro afferma che sarà come quella che vediamo nei film americani, con la pistola, che insegue qualche malfattore sulla strada, e così seguitando.
Ci troviamo, insomma, in una situazione di pressappochismo giuridico e costituzionale che credo rappresenti un vulnus.
Vorrei concludere il mio intervento ribadendo che siamo per lo Stato delle autonomie, poiché proveniamo da una tradizione culturale, quella del popolarismo (da Sturzo a Moro, a Bachelet a Ruffilli), che individuava nelle autonomie il cuore dello Stato, in un'ottica di condivisione, non di divisione, come strada maestra per la costruzione per via sussidiaria di uno Stato in un orizzonte anche sovranazionale. Un impianto che non mortifica la solidarietà e che non esalta, come il vostro, un egoismo territoriale inevitabilmente destinato a produrre il temibile e regressivo rischio di coltivare principi, come sangue, suolo e valori, che sono suscettibili di involuzioni pericolosissime per la vita della nostra comunità.
Per tutte queste considerazioni, esprimeremo convintamente un voto contrario sul provvedimento in esame, confidando sul fatto che il referendum popolare cancelli questo colpo di mano che si sta realizzando con riferimento alla Costituzione del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione).
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
 
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, colleghi, a oltre quattro anni dal suo insediamento, tutti possono constatare che il centrodestra non è in grado di condurre l'Italia nel processo di modernizzazione indispensabile per il suo rilancio.
Gli annunci del Presidente del Consiglio, Berlusconi, non hanno avuto alcun seguito concreto ed il paese rischia il declino, schiacciato dalle mancate riforme. Per il terzo anno consecutivo la crescita sarà inferiore all'1 per cento, la mobilità sociale è bloccata, la transizione politico-istituzionale sembra non avere fine, la competitività e le esportazioni non reggono il passo con gli altri paesi europei e stiamo cadendo in una spirale di illegalità e di immoralità che non ha eguali in nessun paese avanzato.
E quando le cose vanno male e il centrodestra è in affanno, quando la discordia tra le forze della maggioranza parlamentare impedisce decisioni efficaci, si torna a premere il pedale sulle riforme costituzionali, sulle modifiche alla legge elettorale, quali obiettivi alternativi da dare in pasto all'opinione pubblica e, addirittura, come possibile terreno di incontro, di mediazione, tra partiti in conflitto sulle politiche concrete. Insomma, si dà la devolution alla Lega, il proporzionale all'UDC, il premierato forte a Forza Italia, si garantisce all'onorevole Fini la successione alla guida della Casa delle libertà e poi si vedrà!
Tuttavia, il rischio è quello di avviare processi di cambiamento non sufficientemente motivati e, comunque, di indebolire il tessuto costituzionale. La Costituzione non è una qualsiasi legge che offre risposte contingenti in base agli indirizzi prevalenti nell'elettorato in un dato momento: è il testo che racchiude ed esprime le basi stesse della convivenza civile e politica, che offre una cornice permanente di principi, all'interno della quale la dialettica politica si può svolgere, consentendo la prevalenza, di volta in volta, di indirizzi diversi, ma sempre nel rispetto di esigenze essenziali, di garanzie che riguardano tutti.
Disperdere e banalizzare questo patrimonio segnerebbe un pauroso regresso. Per questa ragione, di fronte al progetto proposto dalla maggioranza, prima ancora della valanga di motivatissime critiche che ne hanno investito i contenuti, occorre ribadire che è sbagliata la premessa. Una riforma costituzionale non si può approvare per volontà di una maggioranza elettorale comunque contingente, senza e contro il consenso delle minoranze. E se ha sbagliato il centrosinistra nella scorsa legislatura ad approvare da solo, all'ultimo momento, la riforma del Titolo V della Carta costituzionale (anche se in quel caso non si è trattato di una intesa della maggioranza imposta all'opposizione, ma di una intesa che ha travalicato i confini delle parti politiche, tanto che quella riforma alla Camera di deputati è stata votata insieme da maggioranza ed opposizione e solo in seguito il centrodestra si è ritirato improvvisamente dal processo riformatore che aveva condiviso), tanto più sbaglia l'attuale maggioranza ad insistere nel portare avanti una riforma ben più ampia e dirompente quale frutto di un programma approvato solo dagli elettori della Casa delle libertà e, addirittura, con un'iniziativa formalmente inclusa nel programma di Governo.
In questo modo finiremo per avere non una Costituzione, ma una legge costituzionale della maggioranza e del Governo per poi attendere magari che, in futuro, una nuova maggioranza e un nuovo esecutivo approvino a loro volta una nuova e diversa legge di riforma costituzionale.
Le modifiche alla Costituzione dovrebbero essere sempre un fatto straordinario, che interviene solo in presenza di una convinzione maturata sull'esistenza di problemi che non possono trovare una soluzione diversa ed adeguata all'interno della cornice costituzionale vigente nonché sull'attitudine delle riforme proposte a risolvere i problemi senza aprirne di maggiori.
Per questa ragione, le modifiche della Costituzione non dovrebbero mai essere il frutto di decisioni di maggioranza, nel senso di decisioni volute dalla maggioranza politica che dà vita al Governo né, tantomeno, di decisioni promosse dall'esecutivo.
Tale convinzione sta alla base della scelta, generalmente accolta in tutte le Costituzioni, compresa la nostra, di garantire la rigidità della Costituzione, attraverso la previsione di procedimenti di revisione speciale. Una previsione - mi riferisco all'articolo 138 della Costituzione - che, insieme alla disposizione sulla Corte costituzionale, non a caso fu inserita nella sezione della Carta intitolata alle garanzie costituzionali.
Semmai, oggi, dopo la trasformazione in senso prevalentemente maggioritario del sistema elettorale, il procedimento consente l'approvazione di modifiche sostenute da un consenso parlamentare troppo ristretto e da un troppo limitato consenso popolare esplicito.
Questo non vuol dire chiudersi; nessuno di noi pensa di chiudersi di fronte a proposte di revisioni costituzionali mirate, di cui si dovesse dimostrare la necessità, anche perché la stessa Costituzione è già cambiata, nel senso che già oggi riceve, per alcuni aspetti, un'applicazione diversa rispetto alle previsione del passato, pur mantenendo fermi i riferimenti di principio.
E non siamo chiusi a proposte mirate di revisione, anche perché le riteniamo necessarie; mentre il sistema politico precedente, con tutti i suoi limiti, possedeva una coerenza interna, costruita a tavolino dai padri costituenti nel 1947, il nuovo sistema non ha più questa coerenza. La modifica della legge elettorale, da proporzionale a maggioritario, impone di ripensare l'intero sistema dei pesi e contrappesi tra poteri ed istituzioni dello Stato, perché esiste il rischio che una minoranza nel paese, in grado di esprimere tuttavia una maggioranza in Parlamento grazie al sistema maggioritario, si mangi tutto e controlli tutto.
Senza contare che il nuovo Titolo V della Costituzione ha introdotto una modifica nei rapporti politici e finanziari tra i diversi livelli di governo che il nostro sistema istituzionale non è più in grado di gestire efficacemente. Per questo è necessaria una Camera parlamentare rappresentativa del mondo e delle esigenze delle autonomie territoriali, che svolga una funzione di coordinamento delle politiche e di mediazione dei conflitti tra i governi. Non vi è dubbio che si tratta di esigenze reali, ma la proposta in esame costituisce una risposta a questa esigenza per molti versi sbagliata e contraddittoria.
Intanto va chiarito che la proposta non trova la sua vera ragione d'essere in un progetto di effettivo rafforzamento del regionalismo italiano. La proposta del federalismo, infatti, doveva servire a ricomporre il rapporto logorato tra società ed istituzioni, ma da quando gli italiani nel 2001 hanno votato a favore di una riforma federale che doveva accrescere i poteri degli enti locali e rendere la politica più vicina agli interessi dei cittadini, le cose vanno avanti come e peggio di prima. Questo accade perché nei fatti la politica nazionale ha ridotto lo spazio di autonomia degli enti locali e, a parte un po' di lavoro in più per i giudici costituzionali, chiamati a mediare i conflitti tra le regioni e lo Stato determinati dalle diverse interpretazioni della nuova Carta costituzionale, di questo famoso federalismo non si è vista traccia, al punto che anche nel caso della devolution le novità sono in larga parte apparenti, perché, al di là di alcune correzioni minori, l'impianto della riforma del 2001 non viene sostanzialmente alterato.
La novità dovrebbe essere l'attribuzione di una competenza legislativa esclusiva alle regioni in alcune materie specifiche. Il progetto in discussione lascia, tuttavia, alla competenza statale la determinazione dei livelli essenziali dei diritti e le norme generali sull'istruzione, aggiungendo anche le norme generali sulla tutela della salute, mentre resterebbe di competenza concorrente l'istruzione. Quanto alla polizia amministrativa, tutto si ridurrebbe alla precisazione che essa può essere anche regionale, oltre che locale.
Come ha osservato Valerio Onida, il fatto che in tal modo si devolva alle regioni qualcosa e addirittura qualcosa di esclusivo è difficilmente sostenibile. Vi saranno naturalmente controversie ulteriori sui rapporti tra norme generali e princìpi fondamentali, di competenza dello Stato, e normativa di organizzazione di dettaglio di competenza regionale. Si discuterà su quanto la legislazione statale, in tema di determinazione dei livelli essenziali dei diritti, possa interferire nelle materie di competenza regionale, ma non verranno sostanzialmente spostati i confini tra i poteri centrali e locali.
«E allora - si è chiesto proprio Onida - val la pena di impiegare tante energie
politiche e parlamentari in una contrapposizione su temi costituzionali, anziché concentrarsi sullo sforzo per far funzionare un po' meglio questo nostro zoppicante regionalismo, attraverso la legislazione ordinaria, le riforme amministrative, la realizzazione del nuovo sistema finanziario e fiscale, promesso dalla Costituzione ma ancora inattuato e in assenza del quale i nuovi poteri delle regioni sono destinate a rimanere soltanto sulla carta»? E come si fa a non vedere il paradosso per cui, mentre si promettono alle regioni nuovi poteri con la cosiddetta devolution, lo stesso Governo che propone la riforma fa approvare in Parlamento norme e misure di legge ordinaria, diverse volte annullate dalla Corte costituzionale, che il più delle volte rinverdiscono pratiche centralistiche nel campo dei lavori pubblici, dell'urbanistica, dei fondi e microfondi gestiti dallo Stato per le finalità più diverse, in materie di competenza già regionali?
Come si fa a non vedere, con tutto il rispetto per le difficoltà congiunturali, anche in sede di legge finanziaria, che è necessario evitare manovre estemporanee e che occorre impostare con urgenza un sistema di finanza pubblica regionale e locale che sia certo, stabile, coerente? Che è necessario realizzare quel federalismo fiscale che l'articolo 119 della Costituzione detta, ma che nessuno nell'attuale maggioranza pare abbia fretta di realizzare, nemmeno quelli che dicono di battersi per il federalismo e che, in realtà lo tradiscono, perché non comprendono che il fallimento si evita non già mettendo altra carne al fuoco nel paniere delle competenze, ma rendendo effettivo l'ampio spazio di autonomia che è già concessa agli enti locali?
E non stupisce che il progetto di riforma in discussione, che sembra mosso da questo apparente intento di rifondare il bicameralismo su basi diverse da quelle attuali, non compia il passo necessario verso tale scopo, cioè l'istituzione di una Camera rappresentativa del mondo delle autonomie territoriali: un Senato federale. È ciò perché il Senato federale di federale ha pochissimo, e, come oggi, sarebbe formato da senatori eletti direttamente dai cittadini e vedrebbe solo una partecipazione, senza diritto di voto, dei rappresentanti regionali e locali. Dunque, sarebbe destinato a deliberare sulla base di schieramenti di partito e non sulla base di una provenienza regionale. Questa proposta non compie i passi necessari in questa direzione, perché la riforma in discussione non ha la sua vera ragion d'essere in un progetto di rafforzamento effettivo del regionalismo italiano.
Ci sarebbe da discutere se forme di regionalizzazione più intense di quella attuale siano auspicabili, sopportabili dal nostro paese. Ma resta il fatto che la riforma in discussione è diventata soltanto una bandiera che la Lega sventola al proprio elettorato, in cui le norme della cosiddetta devolution funzionano da merce di scambio, da traino per altre innovazioni costituzionali: sul Governo, sul Parlamento, sulla Corte costituzionale; innovazioni, queste sì, che rischiano di alterare equilibri costituzionali delicati.
Ma se la riforma non ha questo obiettivo, qual è l'obiettivo centrale?
 
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Maran.
 
ALESSANDRO MARAN. Ho terminato, signor Presidente. Come dicevo, l'obiettivo è quello centrale di Governo.
Ce n'è abbastanza, allora, per chiedere, come faremo, il referendum per annullare una riforma contraddittoria (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
 
PRESIDENTE. Invito i colleghi a rispettare i tempi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.
 
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, molte obiezioni di carattere generale, di ordine politico e costituzionale, sono già state svolte: le condivido e ad esse mi richiamo. In questa dichiarazione vorrei, però, soffermarmi su uno dei punti emblematici della riforma che oggi discutiamo, e precisamente sull'articolo 39 del disegno di legge costituzionale, che modifica l'articolo 117 della Costituzione, già novellato nel 2001.
Con queste disposizioni si interviene, tra l'altro, con diverse correzioni ed integrazioni rispetto al testo del 2001, sia per quanto riguarda la definizione del riparto di competenze tra Stato e regioni, in alcuni ambiti materiali, sia con la novella relativa al quarto comma dell'articolo, introducendo la cosiddetta devoluzione.
È necessario operare una netta distinzione tra le due tipologie di modifiche, perché sono ragioni diverse che le ispirano. Infatti, mentre avrebbe potuto anche essere opportuno un intervento a fini migliorativi degli elenchi dei commi secondo e terzo dell'articolo 117 della Costituzione, questo non accade con la riformulazione del quarto comma dello stesso articolo, ovvero la cosiddetta devolution in senso stretto, che attribuisce competenze esclusive alla legislazione regionale su scuola, sanità e polizia amministrativa, regionale e locale.
Sul primo punto, in astratto, si sarebbe anche potuta valutare l'opportunità di intervenire su alcuni profili opinabili contenuti nel testo del 2001. Mi riferisco, in particolare, a materie quali le grandi reti di trasporto e navigazione, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, e ad altre ancora.
Per quanto riguarda la devolution è invece necessario svolgere alcune considerazioni ulteriori. Essa è frutto di una sorta di trapianto; ricordiamo che la devolution costituiva una proposta di legge costituzionale a sé stante, dibattuta ed approvata in prima lettura all'inizio della legislatura e poi inserita bruscamente nel testo di riforma della seconda parte della Costituzione. Sebbene la devoluzione richiami, almeno in termini formali, il processo avvenuto in Gran Bretagna, gli aspetti di affinità sostanziale con una simile esperienza sono del tutto inconsistenti.
Una simile attribuzione di competenze esclusive non si riscontra neanche nelle esperienze europee tendenti alla più forte valorizzazione delle istanze decentrate: non si verifica nei Länder tedeschi, né nelle comunità autonome spagnole e nemmeno nell'esperienza belga. Di fronte ad una attribuzione di competenze così rilevante, non si riscontra, nel nostro ordinamento, una parallela affermazione della clausola di supremazia americana, o dell'analoga clausola costituzionale tedesca: in pratica, un istituto unificante azionabile dallo Stato centrale, che è stato richiamato anche dalla Corte costituzionale nella celebre sentenza n. 303 del 2003.
Non è possibile, infatti, considerare in questa luce la reintroduzione del limite dell'interesse nazionale per la legislazione regionale, soprattutto alla luce del controverso meccanismo individuato per la sua procedibilità.
Mi preme, soprattutto, sottolineare come il testo in esame sia oscuro e si presti alle interpretazioni più contrastanti. Dimostrazione: è stata sostenuta un'impostazione per così dire continuistica - lo ha sostenuto D'Onofrio - ed anche un'interpretazione di dirompente novità.
È interessante quello che in dottrina sostiene Gambino, il quale ha riassunto le due impostazioni in una sorta di binomio paradossale fra una bomba, da un lato, e una bolla di sapone, dall'altro. Tanto per fare un esempio, non si sa, né lo hanno chiarito gli esponenti del Governo, che cosa sia davvero la polizia amministrativa regionale e cosa comporti l'attribuzione esclusiva alle regioni della sua disciplina, a fianco dell'attribuzione allo Stato delle competenze in materia di ordine pubblico e sicurezza. Non è neppure ben chiarito il discrimine tra gli interventi dello Stato e delle regioni in materia di istruzione, date le attribuzioni, altrettanto esclusive dello Stato, in materia di norme generali sull'istruzione definite dall'articolo 117 della Costituzione.
Un altro dei principali rischi derivanti dalla cosiddetta devolution è la possibilità di un eccessivo rafforzamento della posizione delle regioni, non solo e non tanto nei confronti dello Stato centrale ma, anche e soprattutto, sul versante delle autonomie infraregionali. Il principio autonomistico è ben presente nella Costituzione sin dall'articolo 5 e si è progressivamente affermato nell'ordinamento, anche attraverso le riforme attuate con norme ordinarie; cito, fra tutte, le leggi Bassanini. La riforma del Titolo V della Costituzione sembra averlo sviluppato ulteriormente anche se forse non ancora pienamente. L'assegnazione alle regioni di competenze così rilevanti rischia di trasformare gli enti locali da enti autonomi in meri istituti di decentramento che, com'è noto, è cosa ben diversa. Successivamente, mentre da una parte si fonda la legittimità e l'opportunità della devolution sul ritenuto necessario ampliamento delle funzioni e delle competenze delle regioni, dall'altra se ne limita una possibilità di sviluppo e di possibile differenziazione.
La maggioranza ha prospettato una sorta di bilanciamento all'interno della riforma costituzionale tra devoluzione di competenze esclusive alle regioni e reintroduzione della clausola dell'interesse nazionale. In dottrina si è da più parti contestato che la reintroduzione in Costituzione di una simile clausola sia sufficiente a ripristinare un indirizzo unificante a fronte della aumentata autonomia regionale. Si è da più parti ricordato come essa costituisca una sorta di formula vuota e come il vero parametro di confronto debba essere costituito dai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale indicati dall'articolo 117, comma secondo, della Costituzione (questa è la posizione di Manzella). Inoltre, alla riesumazione dell'interesse nazionale si è proceduto inserendo una formula davvero originale, affidando il sindacato delle leggi regionali al Parlamento in seduta comune: vi ricordate, quando il Parlamento interviene, ad esempio, per eleggere i giudici costituzionali, che efficienza dimostra? Forse non ci si è accorti che il giudizio di merito sull'interesse nazionale delle leggi regionali non è mai stato, - ripeto, mai - attivato prima del 2001, quando era previsto il procedimento attraverso un atto bicamerale non legislativo. Figuriamoci cosa accadrebbe se lo si affidasse alla improbabile mediazione elefantiaca della struttura immaginata in questo testo.
Il pericolo maggiore del testo di questo provvedimento è quello che «tocca» l'unità nazionale nel suo risvolto di coesione sociale e territoriale. Tutti conosciamo bene il nostro paese, con le sue diversità e gli squilibri che storicamente ha vissuto e che tuttora lo attraversano. Lo sapevano bene i nostri padri costituenti che, per questo fine, avevano dato un forte impianto solidaristico alla nostra Carta costituzionale. Nella Costituzione del 1948, all'articolo 119, quarto comma, si prevedevano contributi speciali finalizzati alla valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole o di singole regioni. Tali squilibri non sono stati eliminati nel corso degli anni e con la riforma del Titolo V si è generalizzata la clausola, istituendo, a fianco dei principi del cosiddetto federalismo fiscale, il fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale (articolo 119, terzo comma, della Costituzione). Inoltre, il testo del 2001 dispone la destinazione di risorse aggiuntive e prevede interventi speciali per promuovere la coesione e la solidarietà sociale e per rimuovere gli squilibri economici e sociali. Si tratta di un apparato molto complesso, ma in questa materia non si può intervenire con l'accetta.
Tutto ciò sta a dimostrare un interesse costante del costituente e del legislatore costituzionale a fini di solidarietà e di redistribuzione in una realtà nazionale estremamente diversificata dal punto di vista delle condizioni di partenza delle diverse parti del paese. Al contrario, la devolution mira direttamente, in nome, o meglio, con il pretesto dell'autonomia regionale, ad un abbandono dell'intervento di perequazione e di redistribuzione, a tutto vantaggio delle zone più ricche, lasciando, di fatto, al loro destino le zone più disagiate.
Questo è stato ben colto durante il dibattito che si è svolto nel paese in occasione delle elezioni regionali: in alcune regioni avete perso soltanto perché non avete compreso che la gente avrebbe capito questa modifica così devastante. Le regioni riceveranno anche minori trasferimenti dallo Stato a causa dei continui tagli che vengono dalle vostre leggi finanziarie.
In conclusione, signor Presidente, credo che voi - voglio dire voi della maggioranza - approverete senza il nostro concorso questo pessimo testo di riforma costituzionale; ma noi abbiamo la certezza morale che vi batteremo al referendum: così salveremo la nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
 
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, in ragione della complessità e della delicatezza della materia, le chiedo, ringraziandola anticipatamente, di accordarmi la facoltà di produrre un testo scritto da pubblicare integralmente in calce al resoconto della seduta odierna.
 
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti.
 
PIERLUIGI MANTINI. Di conseguenza, in questa sede mi limiterò alle osservazioni possibili.
È ormai noto agli italiani che abbiamo più volte evocato e rievocato l'intervento dello spiritus creator su questi nostri lavori costituenti, come già fece, per il vero con maggiore successo, Benedetto Croce. Siamo rimasti inascoltati!
Neanche il più laico spirito costituente, quello del reale confronto democratico richiesto dalla Costituzione per ogni sua riforma, si è materializzato nel corso di questi travagliati lavori. Al contrario, il potere costituito si è fatto costituente e la maggioranza si è chiusa in se stessa, prima con i cosiddetti saggi, nella baita di Lorenzago, poi nelle aule del Parlamento.
Divisa e confusa, la maggioranza sta utilizzando la riforma della seconda parte della Costituzione a soli fini di equilibrio e riequilibrio interni: un po' di devolution alla Lega, l'interesse nazionale per AN, lo scambio con la legge proporzionale per l'UDC, il «premierato assoluto» per le pulsioni plebiscitarie e populiste di Forza Italia, accompagnato da una legge «salva Previti». Sembra un calembour assurdo e surreale, eppure è la realtà!
La riforma costituzionale in esame è priva di un'anima ed è intrisa soltanto di interessi di parte: regole per la Casa delle libertà anziché per la casa comune degli italiani, come dovrebbe essere la Costituzione. Non abbiamo mai negato la necessità di riforme mirate, adeguate a sostenere un bipolarismo democratico e l'efficienza del Governo, in un quadro di federalismo ordinato e solidale: in tal senso, abbiamo avanzato proposte (su cui non tornerò nello specifico) per cercare di disegnare le istituzioni del bipolarismo.
Ma ciò che, invece, emerge e viene sottoposto al nostro voto è un pasticcio indigeribile, un duro colpo ai principi sostanziali su cui si fonda l'ordinamento repubblicano. Userei tre espressioni gergali per riassumere ciò che questo disegno di legge costituzionale tenta di realizzare: involution, «premierato assoluto», da qualcuno definito «Silvierato assoluto», bicameralismo più che imperfetto.
Con la parola involution voglio indicare quel groviglio confuso di competenze legislative esclusive che sono state suddivise tra Stato e regioni, attraverso un meccanismo che, da una parte, le assegna e, dall'altro, le rinnega: attribuite una competenza esclusiva alle regioni in materia di sanità, polizia, istruzione, ma poi la rinnegate attribuendo alla competenza esclusiva dello Stato le norme generali sulla sanità!
Ponete grande enfasi sull'organizzazione scolastica delle regioni, ma restano allo Stato le norme generali sull'istruzione e i poteri che discendono dall'articolo 33 della Costituzione.
Volete la polizia dei governatori, ma vi riducete alla polizia amministrativa regionale, con ciò mortificando lo stesso principio di sussidiarietà che attribuisce ai comuni compiti amministrativi.
A questo pasticcio avete aggiunto la clausola di supremazia dell'interesse nazionale che consente, in pratica, alla maggioranza di Governo di annullare la stessa autonomia legislativa delle regioni. Complicazioni inutili che aumentano il contenzioso presso la Corte costituzionale nei conflitti di attribuzione, senza alcuna utilità.
Si rischia di perdere ulteriormente il principio fondamentale di sussidiarietà istituzionale, in favore di un federalismo autoreferenziale, competitivo e rissoso. In questo modo, però, non si svilupperanno mai con efficacia le politiche nazionali di cui l'Italia ha bisogno per uscire dalla deriva nella quale avete contribuito a metterla.
E poi, ancora, il premierato assoluto. Tutta la dottrina costituzionale più autorevole concorda sulla gravità del modello che avete disegnato con questa riforma: il potenziamento estremo della figura del Primo ministro attraverso la sua sostanziale elezione diretta e la sua esenzione dalla fiducia iniziale del Parlamento; il potere che gli è dato di forzare la Camera dei deputati all'approvazione delle misure legislative da lui ritenute essenziali; l'automaticità dello scioglimento della Camera, conseguente alla sfiducia ed il larghissimo potere di determinarlo in altri casi da lui esclusivamente valutati, facendo così venir meno le prerogative stesse, il contrappeso e l'equilibrio dei rapporti tra esecutivo e Parlamento.
Tutto questo, per l'appunto, senza alcuna attenzione per i poteri del Parlamento, per l'equilibrio tra gli organi istituzionali. Ed è giusto quanto detto da altra autorevole dottrina e cioè che il senso profondo che emerge è piuttosto quello di una drastica semplificazione del circuito democratico, riducendolo alla scelta, ogni cinque anni, di una sola persona direttamente investita dalla carica di Primo ministro, dotato dei massimi poteri nei confronti, non solo dell'esecutivo, ma anche del Parlamento, senza più nemmeno l'intralcio di un Capo dello Stato, i cui poteri vengono ridotti drasticamente.
E poi si passa da un bicameralismo perfetto, certamente atipico sulla scena istituzionale a livello mondiale, ad un bicameralismo che definirei più che imperfetto, perché non abbiamo un Senato federale, perché ci siamo fortemente distanziati sia dal modello americano sia da quello tedesco. Non abbiamo, quindi, membri del Senato designati dalle autonomie regionali, ma non li abbiamo neanche eletti in misura pari, quindi, secondo il principio del federalismo americano, che vuole che ogni Stato elegga un pari numero di senatori. Ed abbiamo un procedimento legislativo che, francamente, potrà essere materia per avvocati, perché ormai abbiamo quattro tipi di leggi ad iniziativa della Camera e del Senato, bicamerali e anche quelle post-contenzioso arbitrale. Infatti, avete voluto istituire addirittura una commissione arbitrale per capire quali siano e quali possano essere in determinate materie le competenze legislative, il che, credo, la dica tutta sul carattere assolutamente poco funzionale e tecnicamente grave ed impraticabile di questa stessa riforma.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, non ho più tempo per fare ulteriori osservazioni, ma mi sia consentito di concludere con un appello, rivolto, in particolare, ai colleghi dell'UDC, che, più volte, hanno dichiarato di non apprezzare questa riforma costituzionale (mi pare di comprendere che i colleghi Follini e Tabacci si asterranno oggi dal voto, mentre altri voteranno a favore).
Ebbene, vorrei dire loro: smettetela con l'elogio dell'incoerenza, non riducete la politica alla mera distanza tra le parole e i fatti e ricordate che Winston Churchill...
 
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Mantini!
 
PIERLUIGI MANTINI. ..., ormai senile - ho concluso -, il quale era solito dire che preferiva avere ragione piuttosto che essere coerente, era ormai un politico sconfitto (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni).
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
 
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, oggi, a distanza di una settimana, stiamo assistendo al secondo tempo, dopo il voto sulla legge elettorale, di quello che voi, colleghe e colleghi di maggioranza, ritenete essere il vostro sogno della grande riforma politica istituzionale per l'Italia.
Friedrich Nietzsche dice che il vero sogno è la capacità di sognare sapendo di sognare, ma voi non sapete che state sognando, voi credete invece per davvero di stare facendo la grande riforma, ma questo potete crederlo solo qui ed ora in quest'aula, in una paradossale rivisitazione della sindrome del sommergibile, per cui si crede che la realtà non sia il mondo che vive, ma la dimensione entro cui si è costretti.
La dottrina costituzionale italiana non crede che questa sia la grande riforma, nella sua stragrande maggioranza, la considera sbagliata e pericolosa; non lo crede il mondo dell'economia e del lavoro, che si muove e si mobilita contro questa vostra proposta; non credono che questa sia la grande riforma i cittadini italiani che domenica, numerosissimi, vi hanno mostrato un assaggio molto saporito di quello che desiderano veramente: mandarvi a casa!
Non è il caso che, ancora una volta, ripeta i motivi di assoluta, radicale, irriducibile contrarietà alla vostra riforma. Mi limiterò a una sola osservazione per sottolineare la gravità di quanto state facendo ricorrendo ad una riflessione di Pietro Calamandrei, fatta qualche tempo dopo l'approvazione della nostra Carta costituzionale.
Calamandrei si lamentava allora di alcuni ritardi nell'attuazione della Costituzione, cosa quindi ben diversa dallo scempio che state consumando voi qui oggi, e diceva: «Più che la carenza delle leggi, sembra pericolosa la carenza della coscienza», e rinviava ad un giudizio molto duro di Balladore Pallieri che vi ripropongo per la straordinaria attualità ed efficacia: «Il fatto più grave è che si è accentuato il discredito per la legge, si è autorizzato il popolo italiano a considerare la legge, anche nella forma costituzionale, cosa di poco momento a cui si può passare sopra e che comunque deve cedere il passo di fronte ad altre esigenze considerate più importanti». Pericolosissimo principio in uno Stato repubblicano, il quale proprio nel rispetto della legge e della Costituzione trova il fondamento della propria unità e la base della vita ordinata.
Riflettete, colleghi, perché sembra scritta profeticamente per voi. Avete fatto una verifica di maggioranza e l'avete chiamata «riforma costituzionale» e più che la carenza della legge è pericolosa la carenza della coscienza di quello che state facendo. È questa banalizzazione della Costituzione - l'avere scambiato la devoluzione con l'interesse nazionale, il premierato assoluto con uno Senato pseudofederale, quasi fossero piatti sulla tavola imbandita dell'accordo di maggioranza e che nulla hanno a che fare con idee e forme del costituzionalismo moderno - che costituisce l'elemento di maggiore gravità e di grande preoccupazione.
Il diritto innaturale che vi siete arrogati a rifare a vostra immagine e somiglianza un pezzo cospicuo della Costituzione conduce inevitabilmente verso l'esito di trasformare la nostra Costituzione in una Costituzione di parte che, in un ordinamento che vuole essere autenticamente pluralista, è una contraddizione che rinnega della Costituzione proprio l'essenza quale luogo espressivo di valori condivisi e di regole del gioco idonee ad assicurarne l'attuazione.
Quella che state perpetrando è una vera e propria rottura costituzionale sul piano culturale e su quello normativo. Due sono i punti cruciali, entrambi convergenti verso l'obiettivo di devitalizzare la forza ordinativa della nostra Costituzione: l'esasperazione dei conflitti politici tra Governo e Parlamento, tra Governo e Presidenza della Repubblica, tra Camera e Senato, tra centro e autonomie; l'affievolimento delle garanzie per come sono designati il ruolo e le funzioni del Presidente della Repubblica, della Corte costituzionale, il rapporto tra maggioranza e minoranza, i diritti di cittadinanza.
Nel primo caso, che si concreta nella prima rottura, l'esito è una politicizzazione della Costituzione; nel secondo caso, invece, il risultato è una sostanziale decostituzionalizzazione della nostra Carta: questa è la vostra grande riforma!
A rileggerla, non viene in mente Piero Calamandrei, che evocava lo spirito lungimirante, il senso storico appreso da Benedetto Croce, che impediva di trasformare la Costituzione in un gretto compromesso di partito schiacciato sulle previsioni elettorali dell'immediato domani; a rileggerla, mi viene in mente, piuttosto, il titolo di un libro, di una dolente bellezza, di Jean-Claude Izzo Casino totale e, più ancora, la frase di Jim Morrison con cui si apre il libro: «Non esiste la verità, ci sono solo storie». Sembra scritto proprio per voi: questa riforma è un «casino totale»! È una riforma costituzionale senza verità, ma con molte storie dietro: la storia della vostra incapacità di essere forza di governo e di cambiamento; la storia della vostra arroganza di maggioranza; la storia della vostra incapacità di ascoltare il Parlamento ed il paese; la storia di una stagione politica che non ha saputo guardare oltre se stessa ed i suoi immediati tristissimi interessi. Una storia da dimenticare e superare. E ciò è esattamente quanto accadrà la prossima primavera, quando a votare non sarete solo voi, in quest'aula, ma tutti i cittadini italiani (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista - Congratulazioni)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
 
CARLO LEONI. Signor presidente, onorevoli colleghi, si sta per compiere, stamani, l'ennesimo atto di protervia di una maggioranza parlamentare che, come hanno chiaramente rivelato le recenti elezioni regionali, non è più maggioranza nel paese. Personalmente, sono tra quanti, non solo per scaramanzia ma per profondo rispetto nei confronti degli elettori, ritengono aperto in ogni caso l'esito delle prossime elezioni politiche; non penso che l'Unione abbia già vinto le elezioni...
 
PRESIDENTE. Scusi, onorevole Leoni; colleghi, per cortesia, lasciate parlare il collega. Ministro Calderoli...
 
CARLO LEONI. Ma ora, in una situazione quantomeno incerta, una maggioranza parlamentare che è stata già sconfitta alle «regionali», se non altro per rispetto nei confronti delle istituzioni, dovrebbe astenersi dall'operare forzature sulle regole, come invece è avvenuto attraverso la riforma della legge elettorale; soprattutto, dovrebbe astenersi da uno stravolgimento della Carta quale quello che intendete operare.
Le elezioni regionali vi hanno visto nettamente in minoranza; non è dato ora sapere se sarete maggioranza con le prossime elezioni politiche, molto probabilmente no. Certamente, oggi voi non potete pensare di essere i padroni dell'Italia; gli oltre quattro milioni di cittadini che domenica scorsa hanno votato alle «primarie» dell'Unione hanno voluto manifestare un senso di adesione al progetto politico del centrosinistra, ma anche una reazione a questa vostra protervia. Hanno capito che il vostro atteggiamento costituisce un segno di debolezza, non di forza; di disperazione, non di sicurezza: esso produrrà un effetto boomerang perché la reazione democratica della maggioranza degli italiani crescerà e vi porterà, di qui a qualche mese, due cattive notizie: la prima giungerà con le elezioni politiche della prossima primavera; la seconda con il referendum che cancellerà questo stravolgimento della Costituzione. Che la vostra sia una prova di debolezza e non di forza lo dimostra, d'altronde, lo slalom parlamentare che avete allestito: vi guardate in cagnesco, con diffidenza l'uno nei confronti dell'altro disputando se varare prima o dopo la devolution la legge elettorale.
Ciò significa che vi controllate a vicenda e che in ogni caso l'atto che si compie oggi è voluto dalla Lega, è frutto di una trattativa e di un accordo posticcio dove ognuno ha messo la suo bandierina.
Ne vengono fuori un patchwork privo di armonia e di funzionalità; un salto grave oltre la Repubblica parlamentare, con l'aumento dei poteri del Primo ministro; un doppio colpo all'unità federale del paese, sia con la devolution, che introduce una diseguaglianza nell'esercizio e nella fruizione di diritti sociali, a seconda delle regioni di appartenenza, sia con la clausola dell'interesse nazionale, attraverso la quale una maggioranza parlamentare può giungere a cancellare una legge regionale.
Si allestisce un Senato che è tutt'altro che federale: non lo è per composizione, né per meccanismo di elezione, né per le competenze ad esso attribuite. Si prevede un procedimento di formazione delle leggi che, bene che vada, porterà alla paralisi ed alla confusione permanente. Si contempla, altresì, un Presidente della Repubblica il cui ruolo viene ridotto a poco più di un maestro di cerimonie.
Affermo che il vostro è un atto di disperazione, e non di forza, poiché sono certo che i più consapevoli tra di voi magari non pensano, come facciamo noi, che si stia portando un grave attacco alla Repubblica parlamentare ed all'unità del paese, ma certamente sanno che tale impalcatura istituzionale non può funzionare. Tuttavia, non potete farci niente, perché a questo passaggio sono legate le sorti della maggioranza e della coalizione: per questi motivi, si tratta di un atto disperato e senza futuro.
Qualcuno tra di voi (come, ad esempio, gli onorevoli Tabacci ed Adornato), nel corso del dibattito, la scorsa settimana, sulla proposta di riforma della legge elettorale, ha fatto appello ad un confronto bipolare e meno drammatico, ad uscire dalla logica amico-nemico e ad un maggiore rispetto reciproco tra le due coalizioni. La domanda che vi pongo è: a chi rivolgete tale predica? Che rispetto c'è da parte di una maggioranza che, con i suoi soli voti, impone l'approvazione di una legge elettorale e lo stravolgimento della Costituzione, dopo aver imposto la legge Gasparri e le leggi ad personam? Vorrei altresì ricordare che oggi il Presidente del Consiglio ha affermato che, con i suoi voti, vuole cambiare anche la par condicio.
Che opposizione sarebbe quella che non dovesse ribellarsi a tale protervia? Noi non vogliamo la conservazione. Sappiamo bene che è necessario apportare degli aggiornamenti a taluni aspetti della Parte II della Costituzione, come la fine del bicameralismo perfetto ed un vero Senato federale o delle regioni. Riteniamo, altresì, che, per consolidare il bipolarismo, contro il rischio di un maggioritario estremista, occorra introdurre garanzie a favore non dell'opposizione, ma del Parlamento. Crediamo, infine, che servano interventi correttivi all'attuale Titolo V della Costituzione.
Vogliamo non conservare, ma migliorare. Migliorare, tuttavia, non significa lo stravolgimento arrogante e confuso della Parte II della Costituzione. Ebbene, noi intendiamo contrastare tale stravolgimento. Ci opponiamo oggi, ancora una volta, in Parlamento, e ci appelliamo da subito ai cittadini italiani, affinché, nella prossima primavera, diano vita ad un'alternativa politica democratica al Governo della Casa delle libertà ed affinché il referendum cancelli questa pagina nera della storia italiana (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
 
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, il disegno di legge costituzionale al nostro esame può essere scomposto in due parti ben distinte. La prima è diretta a correggere e ad integrare la riforma federalista approvata dal centrosinistra nello scorcio finale della XIII legislatura. Quella riforma, infatti, varata senza la necessaria ponderazione per conseguire un obiettivo politico di corto respiro, merita senz'altro di essere emendata, anche sulla base dell'esperienza sin qui maturata, che ne ha evidenziato limiti e difetti.
Vorrei rispondere all'onorevole Leoni che il principio in base al quale ognuno si approva la sua Costituzione, purtroppo, è stato avviato, in maniera erronea, proprio dal centrosinistra, nella passata legislatura. Sarebbe bene che ciò non proseguisse: questa è la mia opinione odierna.
Il Parlamento ha compiuto, in massima parte, un buon lavoro, modificando una ripartizione delle competenze per non pochi aspetti irragionevole, nonché foriera di effetti paralizzanti e distorsivi dell'attività legislativa sia statale, sia regionale. Per rendersi conto delle incongruenze di cui è disseminata la materia, basti dare uno sguardo alla giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale è stata chiamata a dirimere conflitti sempre più evidenti nei rapporti tra regioni e Stato.
Si trattava e si tratta, invece, di costruire un sistema realmente rispettoso dei principi di sussidiarietà, di adeguatezza e differenziazione che la riforma del Titolo V - lo ribadisco -, frettolosamente e demagogicamente concepita, avrebbe del resto già dovuto far propri.
Nell'ambito di interventi legislativi, tra l'altro, merita di essere sottolineata la riproposizione della nozione di «interesse nazionale» che, in omaggio ad una certa retorica federalista, si era deciso di espungere dall'ordinamento costituzionale, immemori della circostanza che la Repubblica, per quanto la si voglia federalista e autonomista, rimane, per nostra fortuna, una e indivisibile.
Il contenuto del disegno di legge, su questo versante, è condiviso anche da molti colleghi dell'opposizione, che onestamente, anche se tardivamente, hanno riconosciuto l'esigenza di correggere la rotta, facendo tesoro della prassi applicativa.
Invece, bisogna continuare a riflettere sul tema delle competenze esclusive. Del resto, è evidente come le competenze esclusive dello Stato e, in particolare quelle di natura orizzontale (determinazione dei livelli essenziali, eccetera), siano inevitabilmente destinate a lambire le competenze regionali.
Più in generale, è gravido di rischi parificare in toto le competenze legislative statali e regionali, perché questo meccanismo, se ci va bene, ci consegna ad una conflittualità istituzionale permanente e a tensioni politiche ed istituzionali alimentate dal fatto che le maggioranze a livello nazionale sono diverse da quelle a livello regionale e che da noi c'è la tradizione di utilizzare le maggioranze periferiche in alternativa al potere centrale.
Da un punto di vista strettamente politico, un simile innesto costituzionale è in aperta contraddizione con l'apparato complessivo dello stesso disegno di legge del Titolo V della Costituzione. Siamo intervenuti per riequilibrare e per restituire coerenza e funzionalità al disegno complessivo e per far valere le ragioni dell'unità.
È sicuramente un giudizio ingeneroso ed ingiusto, però, quello secondo il quale noi lo abbiamo fatto per disgregare lo Stato, penalizzando il Sud del paese. A questo tipo di accusa, però, non possiamo sottrarci per il modo con cui la Lega ne ha rivendicato il merito, che ha finito per evidenziare un contrasto di interessi che, forse, va al di là del vero, ma che ha determinato delle conseguenze che, sul piano elettorale, sono state pagate in misura assai evidente. Abbiamo invocato il vincolo di coalizione in circostanze assai meno rilevanti per l'interesse del paese e non siamo stati capaci di affermarlo quando sono entrati in gioco l'architettura costituzionale dello Stato e la nostra credibilità nei confronti di settori non irrilevanti del corpo elettorale.
Ciò che mi interessa osservare oggi - lo avevo già detto un anno fa - è che va esaminata la questione della modifica della forma di governo con riferimento alla recente approvazione della legge elettorale, alla quale anche io ho dato un contributo con una certa passione.
Ho avuto modo di dire ai colleghi dell'UDC che mi dispiace anche per quelli tra essi, i quali, avendo il giusto desiderio di fare una battaglia per un modello di tipo proporzionale, si trovano ora in contraddizione politica rispetto ad un testo che avrebbe bisogno di un rafforzamento del sistema maggioritario.
Ovviamente, avevo detto queste cose un anno fa e non immaginavo che saremmo arrivati così maturamente a portare a conclusione un processo di riforma elettorale in senso proporzionale. Però, vedo che c'è un'antinomia molto forte. Ovviamente, oggi do atto ai colleghi dell'UDC e a me medesimo di aver compiuto quella battaglia e di averla anche vinta. Ma, poiché non ho cambiato idea e ritengo che la riforma costituzionale al nostro esame presupponga, invece, un rafforzamento del sistema maggioritario, non posso non chiedermi oggi quali riflessi debba avere su tale riforma l'essere andati in una direzione diametralmente opposta, nonostante si trattasse di un approdo allora inimmaginabile. Questo è il tema di fondo.
Ovviamente, lo dico solo in termini dialogici al presidente Bruno e ai componenti della Commissione: il maggioritario è stato abbandonato perché abbiamo valutato che esso era all'origine di coalizioni innaturali e coatte, strumentali alla raccolta del consenso, ma profondamente inadeguate a gestirlo. Il leader della coalizione aveva un ruolo di arbitro e di decisione finale nell'attribuzione dei collegi, giustificato dal fatto che i singoli candidati sarebbero stati votati dagli elettori di tutti i partiti della coalizione.
 
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 10,35)
 
BRUNO TABACCI. Ad elezioni avvenute, per la medesima ragione, il leader poteva rivendicare un potere di guida all'interno della coalizione. Così, la riforma costituzionale ha immaginato di rafforzare sensibilmente i poteri e di garantirgli una sostanziale inamovibilità, applicando il principio del simul stabunt simul cadent: il leader, da una parte, e, dall'altra, la maggioranza parlamentare.
Già in occasione della prima deliberazione ho avuto modo di chiarire che ritengo del tutto inadeguati i meccanismi, a volte veri e propri marchingegni, come nel caso della disciplina sulla questione di fiducia, finalizzati a conseguire gli obiettivi della stabilità e della governabilità.
L'unico risultato certo appare quello di far risaltare l'onnipotenza del Capo del Governo, che stride però con gli equilibri propri del regime parlamentare. Che questo sia il tentativo, lo si evince da due istituti introdotti dal testo in esame: il voto bloccato e la questione di fiducia. In entrambi i casi, si vuole porre il Capo del Governo nelle condizioni di forzare la mano al Parlamento. Il paradosso è che, come tutti sappiamo, i regolamenti parlamentari, salvo il caso del tutto particolare dei decreti-legge, consentono oggi alla maggioranza di approvare ogni sorta di provvedimento legislativo in tempi brevi e certi; lo abbiamo fatto più volte in questa legislatura. La volontà, che il Capo del Governo dovrebbe coartare, è quindi con tutta evidenza quella dei parlamentari che lo sostengono, quasi che egli potesse governare da solo contro tutti e non sulla base del consenso della maggioranza parlamentare.
La riforma elettorale proporzionale cambia lo scenario e consente di ragionare sulla riforma costituzionale partendo da premesse diverse. Quella riforma ha dei limiti: penso all'assenza del voto di preferenza, ma al riguardo non mi ripeto, perché l'ho già detto. Tuttavia essa è obiettivamente diretta ad innescare una complessiva riforma del sistema politico. La scelta per il proporzionale manifesta la volontà di abbandonare un sistema imperniato sulla dialettica tra coalizioni, tanto eterogenee ed instabili al loro interno, quanto nettamente contrapposte, anche su tematiche quali le riforme costituzionali e la politica estera. Il risultato complessivo di una simile dialettica non poteva che essere una scarsissima capacità di governo del paese, e questo anche nei casi in cui la coalizione è maggioritaria ed ha resistito per l'intera durata della legislatura.
La nuova legge elettorale pone invece al centro i partiti, come del resto si conviene ad una democrazia parlamentare. Porre al centro i partiti equivale a porre al centro le identità politiche, i contenuti programmatici, le affinità culturali e ideali. Il maggioritario all'italiana ha segnato uno svuotamento e l'impoverimento della forma partito. La nuova legge elettorale crea le condizioni per rilanciare la forma partito, favorendo processi di riaggregazione e disaggregazione delle attuali forze politiche. In tal modo, potranno porsi le premesse per una vera governabilità, fondata, come avviene in tutta Europa, su partiti che, anche quando fanno parte di una coalizione, presentano identità chiare, definite e tra loro affini.
Le nuove prospettive aperte dalla riforma elettorale impongono con tutta evidenza di ripensare anche la riforma costituzionale. Il Capo del Governo non può più essere considerato, come peraltro con non poche forzature si poteva sostenere in costanza di un sistema maggioritario, l'unico depositario, interprete ed esecutore dell'indirizzo politico e programmatico della maggioranza di Governo.
Per questo ragioni, egregi colleghi, devo ribadire il mio dissenso, che resta profondo. Mi dispiace per i colleghi della Lega, che rispetto profondamente, i quali avevano l'opportunità di prospettare l'inserimento della devoluzione all'interno di un contesto costituzionale condiviso. Proseguendo lo scontro parlamentare, si arriverà ad uno sbocco referendario duro e semplificatore. Non potrò non partecipare, interpretando il pensiero di molti moderati, a tale chiarimento referendario, nella speranza che si apra finalmente la strada per un'Assemblea costituente, in grado di aggiornare davvero la Costituzione, proseguendone lo spirito.
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Soda. Ne ha facoltà.
 
ANTONIO SODA. Signor Presidente, questa requisitoria dell'onorevole Tabacci sulle contraddizioni, non soltanto interne al testo, ma anche in tema di scelte politiche che sono state compiute in quest'aula nella riorganizzazione del sistema politico, mi esime dal riprendere alcuni temi di merito. Non c'è tensione, in quest'aula, da parte vostra. Non c'è la consapevolezza di segnare un passaggio storico, come avete detto in questi ultimi tempi. C'è piuttosto la mortificazione dell'intelligenza, della cultura e della capacità di esprimere liberamente le riflessioni, che anche molti di voi hanno fatto. Quindi mi limiterò ad un brevissimo appello a quei pochi che possono ancora ascoltare e forse proclamarsi uomini liberi.
L'invito a riflettere - se ne avete ancora il tempo, la capacità e la libertà - sull'opportunità di astenervi da questo voto suicida non nasce ricorrendo allo sdegno e all'ironia dolente di Claudio Magris, che il vostro ministro non ha neppure compreso; questo ministro che scrive piccoli saggi forse neppure accorgendosi di essere in grado di firmarli.
Né ricorrerò al dileggio di un insigne grammatico di Padova per il quale la tendenza all'anglicismo della devolution, che pochi di voi conoscono, è rivelatrice, nella povertà della cultura, dell'affanno che avete nel vano inseguimento di un orizzonte europeo, quando invece siete immersi in un soffocante provincialismo. Né mi appellerò ad un'insigne analista del «Devolution club», che ha sottolineato il collegamento fra differenti regimi di autogoverno e le divaricazioni degli statuti dei diritti sociali esercitabili in aree diverse del paese. Né, infine, invocherò gli allarmi sulle annunciate disuguaglianze su cui gli improvvisati riformatori da osteria sono stati più volte chiamati a meditare. Più semplicemente, vi ricorderò le conclusioni di un raro giornalista di inchiesta qual è Gianantonio Stella.
Narrando le metamorfosi del mitico nord-est, questo inviato di politica, cronaca e costume del più prestigioso quotidiano italiano segnalava come, in due brevi tornate elettorali, con buona pace del centralismo onnivero, onorevole Tabacci, fu spazzato via il più grande partito del dopoguerra italiano (dall'80, 70, 90 per cento, in alcune aree del nord-est, allo 0,2, 2 e 3,4 per cento). Egli ne indicò la ragione, sia pure evocando un proverbio popolare poco elegante che forse gli amici della Lega conoscono meglio di me. Esso - scusate la mia pronuncia - in quelle aree suona così: «Finchè ghe n'è, viva il re. Se non ghe ne ve più, in mona anche lù!». Il messaggio è chiaro.
Sono infine le condizioni reali, quelle materiali e quelle morali e, in ultima istanza, secondo l'intuizione di una cultura dispersa ma non morta, sono queste le condizioni reali che muovono i singoli, le comunità, i popoli, anche nelle scelte politiche.
Insisto, presidente Bruno, sull'aspetto relativo all'ingovernabile sistema delle fonti delineate in questo testo. Esso sarà ingovernabile in quanto creerà un percorso labirintico nel quale non vi saranno commissioni paritetiche, legittimazione dei Presidenti delle due Camere, definizione di competenze, intervento della Corte costituzionale che renderanno praticabile qualsiasi intervento legislativo. Tutto ciò in un quadro per giunta complesso del sistema delle fonti che vede, da una parte, la presenza sempre più forte dell'ordinamento comunitario e della sua armonizzazione nelle legislazioni nazionali, la fonte legislativa primaria del Parlamento, le fonti normative secondarie del Governo, le fonti legislative primarie delle regioni e le loro fonti regolamentari. Voi avete costruito un percorso nel quale questo paese annegherà, se non vi fermate! Insieme alla devoluzione, scardinante sotto il profilo dell'uguaglianza dei diritti, al sistema delle fonti divenuto ingovernabile, state tracciando un modello di Governo rigido, per un verso, e populista, per un altro, delineato - Dio mi perdoni! - da questi esperti confusi, chiamandolo pomposamente riforma costituzionale!
Questo modello di Stato, di Governo, di legislazione e di rapporti (con l'Unione europea, tra lo Stato e le regioni e tra Governo ed il Parlamento) comporterà - voi siete sfuggiti a questa domanda - un costo altissimo in termini finanziari.
Qualcuno ha provato a fare i conti dei costi di questo farraginoso e pericoloso sistema; alla disgregazione della garanzia ugualitaria o universalistica dei diritti sociali fondamentali si associa il costo elevato ed insopportabile che graverà sul cittadino italiano e sulle comunità, in un periodo, peraltro, di scarsità di risorse pubbliche e di crisi del sistema produttivo del paese.
I cittadini stanno cominciando a capirlo; di qui quel proverbio popolare secondo il quale, in fondo, bisogna fare riferimento alle condizioni reali per l'organizzazione dei rapporti sociali, etici e produttivi fra i singoli e fra i singoli e le comunità e le comunità fra di loro.
Tali costi altissimi renderanno impraticabile questa riforma, che non vedrà mai la luce sotto il profilo del diritto vivente, perché noi vi fermeremo con i vostri elettori.
Voi pensate che questo sistema, questa cosiddetta riforma, susciti preoccupazioni e perplessità soltanto nel Mezzogiorno d'Italia, perché siete fermi all'epoca in cui l'onda, la spinta disgregatrice o, nella migliore delle ipotesi, la spinta delle autonomie che proviene dal nord faceva leva sui concetti di uno Stato che spendeva troppo, che destinava troppe risorse all'autoconservazione, del cosiddetto assistenzialismo del sud e via seguitando.
Oggi, nel nord-est e nelle aree più avanzate del paese, inondate da questa crisi terribile che impone la ricerca di un nuovo modello di sviluppo, quelle popolazioni che si rendono conto del costo degli apparati, della moltiplicazione delle organizzazioni anche territoriali, che non rispondono ad una visione democratica di partecipazione, ma soltanto ad una dimensione politicistica, si ribelleranno e su questo vi sfideremo! Lo faremo non soltanto in Calabria, in Basilicata, in Puglia, dicendo a quei nostri compatrioti, a quei nostri cittadini che saranno mortificati i loro diritti e che saranno annegate le loro esigenze, ma parleremo anche alle comunità del nord. Diremo loro che questa sciagura, che li mortifica e che diventerà per loro un peso insopportabile, è il frutto di una scelta confusa, irrazionale ed arbitraria che non potrà passare nella coscienza del paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
 
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, oggi non è un giorno felice per la nostra Repubblica e anche la sciatteria di quest'aula e l'assenza dei colleghi lo confermano. Sembra non vi sia sufficiente consapevolezza della gravità che si sta per consumare. Eppure, intere pagine di storia rischiano di essere cancellate da una riforma costituzionale che nasce dal retrobottega della politica.
È questo, infatti, lo sfondo che caratterizza l'iter di questo improvvido testo: lo scambio, il mercanteggiamento, il reciproco ricatto, il cattivo compromesso. Siamo molto distanti, signor Presidente - lei che è un grande liberale -, dall'atmosfera ideale e culturale che alimentò la Carta costituzionale che voi della maggioranza vi accingete a stravolgere, quella Carta costituzionale che vide i grandi spiriti della Costituente in quest'aula. Essa fiorì dalla lotta al fascismo, da un'ansia profonda di libertà, da una comune volontà di costruire uno Stato democratico che avesse nel Parlamento il suo caposaldo. Essa riprese il filo interrotto dell'eredità risorgimentale, che aveva raccolto e realizzato la secolare aspirazione, coerentemente espressa dalla più alta tradizione culturale e civile italiana - da Dante a Petrarca, da Leopardi a Manzoni, a Mazzini, che vedrà oggi consumare, in questo anno di celebrazione, il disfacimento dell'Italia -, ad essere un unico popolo in un'unica nazione.
Oggi, questa vostra riforma viene celebrata nelle sagre strapaesane dei presunti popoli padani - onorevole ministro -, nel disprezzo del tricolore, disperdendo in tal modo la nostra più preziosa storia.
Sento profondo nel mio animo lo sdegno, quel sentimento di rifiuto intellettuale e morale che, l'altro ieri, ha magistralmente espresso un grande intellettuale italiano, Claudio Magris, nel suo sarcastico atto di accusa - che dovrebbe essere letto da tutti voi - contro la cosiddetta devoluzione.
Questa non è una riforma, ma piuttosto una irresponsabile manomissione della Costituzione repubblicana. È uno strappo anche più grave - e invito i colleghi dell'opposizione a mobilitarsi - della pessima legge elettorale, che squalifica questa maggioranza.
L'utilizzazione dell'articolo 138 per modificare ben 50 articoli - circa i due terzi della seconda parte della Costituzione - che ne capovolgono la logica, l'impianto e l'equilibrio delle parti, non può che suscitare, onorevole Bruno, forti dubbi di correttezza costituzionale.
Siete privi del mandato parlamentare per modificare così radicalmente la Costituzione: manca quella proporzionalità che riflette le realtà sociali, politiche e culturali del paese, che possono poi consentire la condivisione generalizzata di una costruzione che stringe il patto solidale di tutto un popolo. Questo è un testo di parte e, quindi, è intrinsecamente ed a priori delegittimato.
In quale archivio - onorevoli di Alleanza nazionale, ieri Movimento sociale - è finita la vostra proposta di Assemblea costituente, che poteva costituire un itinerario positivo che avrebbe aperto nel paese un vasto dibattito, creando quel clima di partecipazione che è elemento essenziale per far sentire come comune quel patto fondativo della vita politica e civile di un popolo?
Avete preferito ammainare le vostre bandiere e perfino spegnere quel sentimento di patria che costituiva il valore più alto della vostra tradizione per un piatto di lenticchie governative.
Rileggetevelo questo vostro testo assurdo, prolisso e contraddittorio! L'elegante articolo 70, di un rigo e mezzo, viene sostituito da oltre 90 righe; l'articolo 72 passa da 24 a 67 righe; gli articoli 57 e 64 vengono triplicati; il 94 passa da 13 a 53 righe. È chiaro che in questa complicazione del testo vi è il tentativo di saldare le contraddizioni che derivano da quel mercanteggiamento interno alla maggioranza. Davvero, in coscienza, mi chiedo se riteniate che si scriva così la Costituzione.
La vostra ossessione di esaltare il ruolo del Primo ministro, quasi che il vostro possa essere eterno, rompe il delicato equilibrio tra il Parlamento (la Camera dei «camerieri», come ha detto l'onorevole Duilio) e il Capo del Governo. Ciò è appunto sancito da quel capolavoro legislativo che rende obbligatorio il collegamento con il designato Primo ministro dei candidati, che annulla l'articolo 67 della rappresentanza.
Vi è molta arretratezza culturale nell'idea di rafforzare la governabilità con un accentuato potere del vertice. Le società complesse si governano con trame istituzionali articolate, con la libera e convergente cooperazione sociale e politica, non per comandi autoritari.
Voi decretate l'eclisse del Parlamento, che era l'asse portante della nostra Carta repubblicana, e aprite la strada al peronismo e al populismo. Come ha scritto il Kelsen: «Al tramonto del Parlamento segue sempre quello delle libertà e della democrazia».
Onorevole Bruno, beffarde sono le sue parole allorché afferma che la complessiva deminutio delle prerogative del Presidente della Repubblica mira ad esaltare il suo ruolo di garanzia. Il ridimensionamento è tale da ridurre quel ruolo a pura figura patetica.
Così pensate di equilibrare le istituzioni del paese? Con la Corte costituzionale (come è stato già detto) perversamente politicizzata nella sua composizione? La Costituzione repubblicana ha unito nel suo lungo corso l'Italia; questa la divide.
Onorevoli colleghi della destra, voi spesso invocate riconciliazioni storiche e politiche, ma invece state provocando profonde fratture.
Onorevole Tabacci, lei ha esposto una serie di contraddizioni; tuttavia, quale ruolo e quale peso avranno le sue indubbie ragioni nelle decisioni che saranno adottate? So che gli appelli fatti in quest'aula non servono a nulla. Tuttavia, onorevoli dell'UDC, che siete oggi assenti e che rivendicate eredità degasperiane e democristiane, davvero non siete consapevoli che con questa riforma rinnegate la Carta costituzionale scritta dai nostri padri costituenti?
 
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 11)
 
GERARDO BIANCO. Chi quella carta non l'ha scritta e, pur giovandosene, l'ha contestata può essere oggi indifferente e disinvolto.
Onorevole ministro, non basterà tutta l'acqua del Po per assolvervi dal peccato del disfacimento dell'Italia. Tuttavia, chi ha la storia alle spalle ed ha coltivato ideali di libertà e di italianità, chi proviene dalle vicende di forze politiche che hanno costruito questa Repubblica dovrebbe pur interrogarsi e dire: «No, io non c'entro».
Circa 700 anni fa, in un'epistola ai reggenti di Roma, Dante Alighieri scrisse: «Con l'attuale miseria trafisse di dolore gli altri italiani e li confuse con la vergogna. Chi potrebbe dubitare che siate voi a dovervi vergognare e dolere, voi che allora foste la causa della sua inaudita eclisse?». Onorevoli deputati della maggioranza, questa eclisse della nostra Costituzione è la vostra vergogna, che ci coinvolge tutti. Abbiamo la speranza che domani gli italiani, con il referendum, ne ripristineranno l'onore (Applausi dei deputati dei gruppi dei della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni - Commenti dei deputati della Lega Nord Federazione Padana)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rotondi. Ne ha facoltà.
 
GIANFRANCO ROTONDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Democrazia cristiana voterà convintamente la devoluzione e ritiene che questa riforma...
 
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia.
 
GIANFRANCO ROTONDI. Signor Presidente, la Democrazia cristiana accetta volentieri un'interruzione per consentire ai colleghi di complimentarsi con l'onorevole Gerardo Bianco, il cui intervento è sempre interessante, anche quando è dissonante.
 
PRESIDENTE. Onorevole Bressa, per cortesia...
 
GIANFRANCO ROTONDI. Esaurito l'entusiasmo condivisibile per l'intervento dell'onorevole Gerardo Bianco, voglio annunciare che voteremo convintamente questa riforma, recuperando una ragione supplementare dal disagio di coloro che, per 20 anni, hanno bloccato ogni ipotesi di riforma e ritrovano oggi un sussulto di energia per contestare l'unica riforma che in questo paese sia giunta al voto del Parlamento e che giungerà al voto degli italiani. Non si tratta, infatti, di una riforma che naviga nelle sole acque parlamentari: presto gli italiani si pronunceranno e trarranno da soli le valutazioni che noi abbiamo accompagnato al varo di questa riforma.
Quindi, chi grida al golpe, chi grida alla tecnica del blitz, chi agita bandiere confuse di fronte all'elettorato, avrà tutto il tempo di spiegare le proprie ragioni. L'elettorato, altresì, avrà tutto il tempo di verificare i danni che annunciate, e che io non vedo, perché la devoluzione presenta delle sfide, anche per il Mezzogiorno d'Italia, ma salutare questa riforma con le parole di un grande meridionalista come Guido Dorso credo sia l'accompagnamento più appropriato per un testo che tanto dibattito sta suscitando nei meridionalisti che si affollano al capezzale di un Mezzogiorno che muore.
Nel suo volume «La rivoluzione meridionale», Guido Dorso affermava che la sfida del Mezzogiorno è aggredire lo Stato agitando la bandiera del federalismo. Dorso diceva che il sud deve minacciare la secessione per ottenere il federalismo e che cento uomini di ferro, ottenuto il federalismo, cambieranno il Mezzogiorno.
L'eterogenesi dei fini, che il presidente Gerardo Bianco sovente cita e che ci ha insegnato negli anni giovanili, può aiutarmi a trasmettere l'idea che questa stessa riforma nasce dalla volontà di un uomo del nord, ma è nelle mani delle capacità degli uomini del sud. E, come tutte le riforme federaliste, può essere un contributo per unire questo paese e non per dividerlo (Applausi).
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.
 
LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa è una giornata molto importante per la Lega Nord, perché riesce a coronare anni di lungo lavoro nel tentativo di modernizzare questo paese. È una giornata importante anche per tutta la Casa delle libertà, che ha creduto in questo caposaldo del programma elettorale che abbiamo proposto ai cittadini nel 2001. È una giornata importante anche per il paese.
È ovvio - ascoltavamo poc'anzi alcuni interventi in tal senso - che taluni tentino di rovinare la festa con le solite bugie. Prima, addirittura, un esponente della Margherita affermava che questa maggioranza è priva di legittimità parlamentare. L'ho ricordato l'altro giorno ed anche in precedenza, ma, visto che si continua con le bugie, rimandiamo al deputato della Margherita quanto egli ha affermato: infatti, la vostra maggioranza abusiva, che nel 2001 ha cambiato la Costituzione con i voti comperati dall'altra parte, testimonia che siete falsi (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)! Ma, se continuate a ribadire queste falsità, troverete sempre qualcuno che vi dirà che siete falsi, bugiardi fino alla fine (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
Queste sono cose che noi non dimentichiamo e che ribadiremo sempre. Si tratta di legittima difesa contro i bugiardi.
Vi è una serie di insistenze che provengono da parte di una opposizione che non vuol cambiare questo paese, che si fa sponsor di uno Stato borbonico, di uno statalismo ormai asfittico e fuori tempo, non più in grado di adeguarsi all'economia e alla globalizzazione, che ci è passata sopra la testa, ma che ci obbliga a fare qualcosa di nuovo nel paese. Bisogna modificare anche la Carta costituzionale, non per peggiorarla ma per migliorarla e renderla più moderna e più vicina ai testi costituzionali degli altri paesi che sono, sotto questo aspetto, più avanti del nostro. Ma c'è qualcuno, come testimonia l'intervento «borbonico» che abbiamo ascoltato poc'anzi, che cerca di rovinare la nostra festa (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
Perché dicevo poc'anzi che quella odierna è una giornata importante? Perché finalmente stiamo per dare seguito e rispettare uno dei capisaldi, uno degli articoli più importanti della nostra Carta costituzionale varata nel 1948. Mi riferisco all'articolo 5. Ricordo, a me stesso e a chi vuole dimenticarlo, che in tale articolo si prevede che la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.
Tale articolo è stato considerato lettera morta dal 1948 fino ad oggi. Con il provvedimento al nostro esame stiamo, quindi, rispettando uno dei capisaldi della Costituzione. Un caposaldo che stiamo difendendo noi, non certo voi, che invece state difendendo una cosa che purtroppo, in alcuni passaggi, non sta più ai tempi. Voi avete cercato, come ricordavo prima, di modificare il Titolo V della Costituzione con i voti di una maggioranza abusiva; modifica confermata poi dai cittadini con un referendum, che - ahimè - non prevede un quorum, in cui solo un cittadino su otto ha detto «sì», cioè un cittadino su otto ha riconosciuto che voi avevate proposto qualcosa di buono. Una modifica che è stata bocciata addirittura dai governatori delle regioni cosiddette «rosse» in quanto, nel corso di questi cinque anni dalla riforma del Titolo V proposta dal centrosinistra, l'Emilia-Romagna, la Toscana e la Campania non hanno attinto un bel nulla proprio perché voi avete cambiato la Costituzione affinché nulla cambiasse. La vostra è, infatti, una mentalità ultra borbonica.
Ciò detto, vi era il dovere da parte di chi è un po' più «sveglio» di proporre qualcosa di nuovo a questo paese, che ne ha bisogno, come testimoniano i discorsi retorici che abbiamo ascoltato poc'anzi, i quali, a nostro avviso, cozzano terribilmente con la necessità di adeguare la macchina statale di questo paese perché essa non dà risposte ai cittadini.
Cosa stiamo proponendo? Stiamo proponendo delle cose importanti. Innanzitutto, il rispetto dell'articolo 5 della Costituzione, ma anche il rispetto di quell'articolo che già nel 1948 istituiva le regioni ma che la Democrazia cristiana, ferma e sempre a braccetto con un Partito comunista altrettanto fermo e logoro, ha bloccato fino al 1975. Difatti, le regioni sono state ferme per tre decenni per colpa vostra! E dal 1975 fino ad ora sono rimaste ingessate. Con questa riforma, allora, noi attribuiamo competenze esclusive sia allo Stato sia alle regioni; in tal modo, i governatori regionali potranno misurarsi direttamente con il loro elettorato e non potranno più nascondersi dietro alle inefficienze del sistema borbonico, tanto caro all'onorevole Gerardo Bianco, che nascondeva le responsabilità di tutti.
Bocciamo definitivamente un bicameralismo che era peggio di una partita a ping pong - così è stato descritto -, perché prevedeva che un provvedimento rimbalzasse dalla Camera dei deputati al Senato e in quella sede bisognasse poi mettersi d'accordo con l'allora Partito comunista affinché si potesse rimodificarlo a virgole imbrogliando i cittadini e vanificando tutti i meriti del nostro popolo. Tutto ciò ha condotto il nostro paese allo stesso livello di quei paesi che sono molto più inefficienti del nostro, paesi sottosviluppati, qualcuno suggerisce, ed ha ragione, proprio per le responsabilità di quella macchina statale che giustificava le inefficienze intellettuali dei signori che ancora oggi raccontano bugie dentro questo Parlamento. Pertanto, via anche il bicameralismo!
Si prevede una garanzia di governabilità perché vi è l'indicazione del premier.
Ricordo all'onorevole Gerardo Bianco, borbonico, che l'Ulivo si presentò, nel 2001, con un programma che contemplava il premierato forte. Dunque, ecco un'altra bugia che abbiamo udito oggi! Probabilmente, si tratta di una dimenticanza, ma del premierato forte avete parlato voi; oggi lo rinnegate, mentre noi lo portiamo avanti, perché siamo più coerenti con il nostro programma e, soprattutto, con quanto abbiamo scritto ai cittadini. Infatti, ricordo, a beneficio anche di quest'altra parte (perché ho sentito qualche voce dissenziente), che la Casa delle libertà ottenne la maggioranza dei voti dei cittadini italiani, nel 2001, sulla base di un programma che fu stampato (il famoso librettino) ed inviato famiglia per famiglia. Ebbene, a pagina 3 dell'opuscolo, al punto 7), si parlava, per l'appunto, della devoluzione dei poteri dallo Stato centrale alle regioni.
Sia a sinistra sia all'interno della Casa delle libertà qualcuno dimentica che alle promesse bisognerebbe rispondere con i fatti, per l'elementare esigenza di non andare a raccontare frottole al corpo elettorale. Il corpo elettorale ricorda se qualcuno non sta ai patti!
Non entro nel merito, perché ne abbiamo parlato tantissime volte e, comunque, il nostro capogruppo interverrà successivamente al riguardo, ma mi auguro che l'ennesimo imbroglio che sta preparando la sinistra non vada a creare ulteriori danni al paese, che ha bisogno di verità.
Stanno già orchestrando un referendum con gli spot che abbiamo udito prima. Ad esempio, dicono: «Questa è la riforma costituzionale voluta dalla Lega»; ma dimenticano che è stata votata anche dai cittadini del centrosud, perché anche costoro hanno approvato le proposte contenute nel programma della Casa delle libertà del 2001.
Un altro spot sarà: «Regioni ricche contro regioni povere». Allora, mi auguro che la Casa delle libertà riesca, tramite i mass media, a ricordare ai cittadini che questo è un appuntamento storico: se essi non si recheranno alle urne per confermare una proposta volta a modernizzare la macchina asfittica che descrivevo in precedenza, rischiamo che questo paese non abbia, nei prossimi decenni, nulla di nuovo. In tale denegata ipotesi, resterà ai cittadini una macchina statale che non sarà più al passo con i tempi: l'economia mondiale ed i rapporti sociali che stiamo vivendo a livello mondiale in questi ultimi periodi richiederanno accelerazioni che questa vecchia macchina non potrà più dare!
Quindi, la bugia delle regioni ricche contro le regioni povere rischia di fare male più alle regioni povere che a quelle ricche. Infatti, se riuscirete...
 
PRESIDENTE. Onorevole Luciano Dussin...
 
LUCIANO DUSSIN. ... a bloccare l'economia anche delle regioni ricche, che voi osteggiate da sempre, i primi a patire la fame saranno i cittadini residenti nelle regioni più povere (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana), i quali sono, pertanto, i primi ad avere la necessità di non essere imbrogliati da voi! Ci auguriamo che, quando saranno chiamati al referendum, essi si dimostrino più intelligenti ...
 
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Luciano Dussin.
 
LUCIANO DUSSIN. ... delle proposta che sentiamo avanzare dal centrosinistra.
Concludo ricordando che, in questa giornata che segna un po' il trionfo del lavoro degli ultimi anni, il gruppo della Lega Nord Federazione Padana ...
 
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Luciano Dussin.
 
LUCIANO DUSSIN. ... si sente a posto con la coscienza, perché è riuscito a rispettare uno dei capisaldi del programma elettorale del 2001 (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cabras. Ne ha facoltà.
 
ANTONELLO CABRAS. Signor Presidente, mi spiace dover deludere il collega Luciano Dussin, pur comprendendo le ragioni per le quali egli ha considerato questa giornata - come l'ha definita? - la giornata del trionfo: al contrario, questa non appare una giornata trionfale, per come si sta sviluppando la discussione qui alla Camera e, ancor meno, per come viene vissuta dalla società, dal popolo, dal paese, che non sembra gioire per il trionfo a cui faceva riferimento il collega.
Come hanno efficacemente detto i colleghi dell'opposizione che sono intervenuti prima di me e come abbiamo preannunciato in precedenti occasioni, anche entrando nel merito con dovizia di dettagli, noi non voteremo il disegno di legge costituzionale in esame.
Tuttavia, vorrei che fossero abbandonati alcuni toni, che credo siano fuori misura, sia tra chi la sostiene, sia tra chi la contrasta.
In realtà, si tratta di una riforma senza capo né coda e dovremmo trasmettere al paese questo messaggio. È una riforma che non affronta nessuno dei problemi che, invece, sarebbe necessario affrontare. È piuttosto caricaturale la rappresentazione che vede, da una parte, i riformatori e, dall'altra, i conservatori, nella fattispecie noi dell'opposizione, perché è così che siamo considerati. In realtà, siamo stati gli unici ad aver avviato una vera riforma di sistema con il Titolo V della Costituzione, che inizialmente avete condiviso (mi riferisco alla fase istruttoria e delle votazioni della Commissione bicamerale e alla prima lettura dell'Assemblea). Poi, soltanto per una regione squisitamente politica, avete deciso di interrompere quel percorso. Poiché questa era la ragione politica, abbiamo pensato di concludere la riforma nella successiva legislatura. Ma su quel terreno occorreva proseguire e non sul vostro, senza capo né coda e che ha il solo obiettivo di tenere unita la vostra coalizione.
Dunque, con una mano, avete concesso alla Lega la possibilità di attaccare i manifesti durante la prossima campagna elettorale per comunicare che finalmente aveva conquistato una grande riforma della Costituzione, e, con l'altra, sempre nell'ambito della riforma, avete negato gli elementi di autonomia che la Lega vi ha chiesto, inventandovi un interesse nazionale che entra con gli scarponi nell'autonomia e nell'autogoverno che avevamo costruito (per cui è sufficiente che il Parlamento voti per cancellare una legge regionale).
Dovete spiegare al popolo del nord che questi sono l'autonomia e l'autogoverno che state approvando attraverso questa riforma costituzionale. Sicuramente, sarà questo l'argomento della propaganda che l'altra parte della maggioranza farà nel Mezzogiorno d'Italia, per cercare di negare il contenuto della riforma che prevede, tra l'altro, un Senato federale che di federale non ha niente.
La verità sta nel fatto che del Titolo V non avete cambiato sostanzialmente nulla! Avevate la possibilità di farlo, ma non lo avete fatto. E sta proprio lì la dimostrazione della nostra ragione, quando abbiamo percorso quella strada. Certamente, alcune cose andavano modificate - noi stessi lo abbiamo riconosciuto -, ma, in realtà, l'asse di quella riforma è la strada che dobbiamo riprendere e voi, con il vostro comportamento, avete dimostrato che quella era la strada giusta da percorrere.
La perla della vostra proposta sta nel contraddittorio equilibrio che avete costruito tra le due Camere. Avete aggiustato le cose, perché mai e poi mai il Senato avrebbe votato una proposta come quella che sarebbe stato necessario votare, perché non aveva un'anima. Quindi, per fare in modo che il Senato l'approvasse, avete inventato un percorso contraddittorio nel quale il Premier è padrone della Camera politica, ma è assolutamente prigioniero, con le mani legate dietro la schiena, dell'altra Camera, ossia del Senato. Dunque, non avete migliorato il testo. Semmai, avete appesantito gli elementi di fragilità presenti nel sistema attuale.
Con questa proposta, vi state riprendendo l'autonomia e l'autogoverno che noi abbiamo rafforzato con la riforma del Titolo V, con l'interesse nazionale, ignorando completamente l'altra parte della riforma, ossia il federalismo fiscale, che avevate la possibilità di attuare grazie alla maggioranza che avete in entrambi i rami del Parlamento.
Non vi sfiora assolutamente, neanche in questo dibattito, il dubbio che, dopo reiterate sconfitte (ne avete già collezionate quattro; domenica avete avuto «l'antipasto» di una futura sconfitta che subirete il prossimo aprile, se il leader del Governo manterrà la promessa di votare il 9 aprile), state perseverando su una linea sbagliata?
È una legislatura che sarà ricordata per le vostre leggi sulla giustizia, per questo pasticcio sulla Costituzione, per la legge elettorale che avete finalizzato esclusivamente ad un vostro interesse politico del momento.
Il grande successo di partecipazione che si è verificato domenica, in occasione delle elezioni primarie da noi indette, e che voi avete anche provato all'inizio a minimizzare, vi ha fatto accorgere poi della grande contraddizione tra quanto dicevate (e cioè che si trattava solo di un trucco) e le immagini trasmesse da tutte le televisioni, che mostravano file enormi di cittadini, uomini, donne, giovani e vecchi che si recavano a votare. A quel punto avete cambiato versione: avete detto che in realtà le elezioni vere saranno un'altra cosa e che, quando voterà anche il centrodestra, Prodi non prenderà il 75 per cento dei voti...! Noi non pensiamo di raccogliere il 75 per cento alle prossime elezioni; siamo convinti però di ottenere la maggioranza sufficiente a mandarvi a casa! Dunque, tutti voi dovreste riflettere nei pochi mesi che restano, e anche qui, nel voto di oggi e in quello che vi sarà al Senato.
A conclusione del dibattito sulla legge elettorale vi abbiamo detto: attenti ché il popolo finirà per travolgervi! Sembrava un'affermazione eccessiva: mancavano pochi giorni, poi è arrivata la domenica e il popolo in realtà ha detto di avere tutta l'intenzione di travolgervi!
Penso che il prossimo 9 aprile, se non volete finire come un esercito in rotta e se volete essere sconfitti con dignità (perché si può essere sconfitti anche con dignità!), forse dovreste dimostrare di far tesoro dei messaggi inequivocabili che vi stanno giungendo dal popolo italiano ancora in queste ore e in questi giorni: a tale proposito, vi consiglio di rinforzare i vostri ormeggi, perché, se quello di domenica era il segnale di una meteorologia che vi è contraria, con probabilità il prossimo aprile sarete travolti da un uragano del tipo di quello verificatosi negli Stati Uniti.
Attenti a non perseverare, dunque, poiché in Italia è necessario che la dialettica tra maggioranza e opposizione prosegua anche nella prossima legislatura, ovviamente noi come maggioranza e voi come opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
 
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Grazie della concessione!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.
 
GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, un popolo che non riconosce i diritti dell'uomo e non attua la divisione dei poteri non ha Costituzione: queste parole, scolpite nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dei cittadini, dovrebbero essere la base di ogni ordinamento democratico e la casa comune in cui si può e si deve riconoscere la grande maggioranza dei cittadini.
La Costituzione dovrebbe essere il testo condiviso che deriva dal confronto di culture, storie ed esperienze diverse e che, in un rapporto dialettico ma sempre teso al massimo di condivisioni, affermi, tuteli e garantisca princìpi, diritti e doveri validi per tutti e di cui la divisione dei poteri, il rispetto delle reciproche competenze in un rapporto di leale collaborazione tra poteri dello Stato, come ha ribadito in più occasioni, anche recentemente, la Corte costituzionale, l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, un sistema di pesi e contrappesi che trovano il loro fulcro negli organi di garanzia, debbono essere nel contempo i presupposti e i punti fondanti.
Dopo la sconfitta della dittatura e il superamento della monarchia, la Costituzione in senso moderno ha il compito di limitare i poteri e di garantire i diritti. Oggi, la maggioranza parlamentare, che non è più maggioranza nel paese, invece di cercare quelle convergenze necessarie affinché i princìpi base di un ordinamento democratico siano sentiti e recepiti come princìpi di tutti, o quantomeno di una larga maggioranza di cittadini, sta per l'ennesima volta stravolgendo le basi di una moderna democrazia, quali l'equilibrio e la divisione dei poteri, l'universalità dei diritti, l'eguaglianza dei cittadini, il pluralismo istituzionale.
Si sono indeboliti con la controriforma del centrodestra quegli organi di garanzia la cui finalità è il controllo sull'esercizio del potere e il cui scopo è garantire le libertà individuali ed assicurare un equilibrato pluralismo istituzionale, in un contesto di uguaglianza tra i cittadini nonché tra le diverse regioni e le diverse zone del paese; si sono modificati e in parte stravolti non solo oltre 40 articoli della nostra Carta costituzionale, tra le più belle, le più attuali ed apprezzate del mondo, ma si è anche inciso sulla Prima parte della Costituzione, che tutela i diritti soggettivi e regola i rapporti politici, economici e sociali di tutti noi.
L'indignazione, in Parlamento e nel paese, è sempre più forte perché si vogliono imporre regole che non tutelano i diritti ed i principi di una moderna democrazia, diritti e principi in cui la maggioranza di centrodestra non si riconosce. Non mi è possibile ripercorrere i vari e fondati motivi della nostra forte opposizione a questa controriforma costituzionale, in quanto anche il tempo è tiranno, come lo è stato questo modo di scardinare i principi fondanti della nostra Repubblica. Lo hanno fatto, però, con un'incisività pari all'efficacia, ragionevolezza e fondatezza dei motivi della nostra profonda critica, l'onorevole Mascia e gli altri parlamentari del gruppo di Rifondazione comunista e di tutta l'attuale opposizione.
La maggioranza di centrodestra ha fatto prevalere, ancora una volta, la forza dei numeri - e anzi, più propriamente in questo caso, la tirannia dei numeri - su ogni ragione e su qualsiasi ragionevolezza; non posso quindi non ricordare come non sia certo stato un caso il fatto che, nella ricerca spasmodica di un testo condiviso, l'Assemblea costituente, il 22 dicembre 1947, a scrutinio segreto, approvò il testo della Costituzione con un'ampia maggioranza: 453 voti favorevoli su 515 presenti. Inoltre, in quei giorni, ha rappresentato la riprova della ricerca di una Casa comune - riconoscibile anche da chi aveva e poteva avere, su alcuni temi e su alcuni articoli, posizioni diverse - il fatto che, prima della votazione finale della Carta costituzionale, l'onorevole La Pira, che aveva partecipato ai lavori della prima sottocommissione della Commissione dei 75 (presieduta dall'onorevole Muccio Ruini), dapprima chiese che fosse messo ai voti un preambolo che faceva un richiamo alle radici religiose della Carta costituzionale; poi, dopo un confronto che raggiunse livelli altissimi di reciproco rispetto tra posizioni diverse, ritirò - dopo un invito del presidente Terracini, teso a non incrinare quel nobile equilibrio raggiunto dai padri costituenti - la proposta proprio per non creare divisioni in un momento così importante per il nostro paese.
Del resto, un legislatore saggio avrebbe dovuto innanzitutto - e prima di stravolgerlo - rendere realtà concreta quel testo: dal ripudio della guerra, troppo spesso violato, alla libertà religiosa, all'articolo 2, che «riconosce e garantisce» i diritti fondamentali dell'uomo, alla «pari dignità sociale», prevista dall'articolo 3 della Costituzione, al diritto al lavoro, al diritto di asilo per lo straniero «al quale sia impedito (...) l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione». Questa maggioranza invece si è premurata solo di scardinare i principi costituzionali e non ha voluto comprendere - o, peggio, non è stata in grado di comprendere - gli insegnamenti di chi a quel testo aveva dato un contributo determinante, tesi a ricordare sempre che, per preparare il testo di una nuova Costituzione democratica, non solo è più opportuno ma è addirittura più prudente muovere dal punto di vista delle minoranze e soprattutto rispettarne il punto di vista. Come non ricordare il saggio e forte ammonimento di Piero Calamandrei: «Cerchiamo di esaminare i problemi costituzionali con spirito lungimirante. Quel senso storico che abbiamo imparato da Benedetto Croce non si deve trasformare in un gretto compromesso di partito che restringa il nostro campo visivo alle previsioni elettorali o elettoralistiche dell'immediato domani».
Nulla di tutto ciò è stato compiuto; questo insegnamento è rimasto carta straccia. Il centrodestra si è limitato ad un vergognoso, ignobile, inaccettabile - «gretto», avrebbe detto Piero Calamandrei - compromesso di alcuni partiti, anzi di poche persone che si sono autodefinite «saggi» di quella che oggi non possiamo non definire la casa delle «illiberalità». Tutto ciò, oltretutto, in aperta violazione di una delle norme cardine del nostro ordinamento costituzionale, quell'articolo 138 che indica gli strumenti e le modalità delle riforme costituzionali; una norma, peraltro, che dovrebbe essere utilizzata con ancora maggiore prudenza in un sistema maggioritario e di cui invece è stato violato, apertamente, lo spirito.
Ancora, Piero Calamandrei, riprendendo i concetti espressi da un altro padre costituente, Costantino Mortati, aveva chiarito come non tutte le norme della Costituzione fossero rivedibili e come non si potessero modificare più norme che trattano temi tra loro completamente differenti, come, nel caso specifico, quelle relative al federalismo, agli organi di garanzia ed ai rapporti tra poteri dello Stato.
Il referendum confermativo, infatti, per essere effettivamente un modo per dare l'ultima parola ai cittadini, deve proporre un quesito su una materia omogenea e ben individuata. Le modifiche ammissibili, hanno sostenuto i padri costituenti, debbono essere puntuali, specifiche ed attinenti a un determinato istituto o ad un singolo tema.
Così non è, così non è stato. Gli italiani, tuttavia, sapranno cancellare questo ripetuto tradimento della Carta costituzionale, nata dalla Resistenza e dalla volontà democratica di chi si era opposto alla dittatura ed aveva sconfitto il regime che aveva cancellato, nel nostro paese, le libertà fondamentali.
Nella Costituzione, come ha ricordato il Presidente Scálfaro nel suo libro La mia Costituzione, vi sono le regole perché un popolo possa convivere nella pace e nella serenità; vi sono le regole affinché un popolo possa vivere in modo costruttivo, collaborativo e solidale; vi sono le regole per vivere liberi, lavorando e lottando per la giustizia; vi sono, nella nostra Carta costituzionale, le regole per mantenere viva la pace, sia al proprio interno, sia nei rapporti con gli altri popoli.
Nella Carta costituzionale votata dai nostri padri costituenti, vi sono tutte le regole scritte della nostra democrazia. L'abbiamo studiata, l'abbiamo amata e l'amiamo ancora. La difenderemo con le armi della democrazia: il referendum, strumento di alta democrazia, cancellerà la controriforma che il paese non vuole e non può accettare (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-SDI-Unità Socialista e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.
 
KARL ZELLER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame contiene non solo aspetti indubbiamente positivi, ma anche parecchie ombre. La Südtiroler Volkspartei, infatti, avrebbe voluto e sostenuto una riforma più coraggiosa, per introdurre un sistema federale avanzato, paragonabile a quello vigente nella Svizzera, nel Belgio o nella Germania.
Il nuovo Senato, in verità, ha poco di federale, poiché i senatori non sono espressione dei consigli o delle giunte regionali, ma saranno, come avviene dal 1948 ad oggi, eletti direttamente, e manca un collegamento vero con il territorio. Vorrei altresì osservare che anche il procedimento legislativo appare assai farraginoso. Non apprezziamo, inoltre, le modifiche che hanno concentrato troppi poteri nelle mani del premier.
Vorrei rilevare che anche nel nuovo articolo 117 della Costituzione si notano alcuni passi indietro rispetto al testo vigente. Vi è solo da sperare che tale tendenza possa essere controbilanciata dalla cosiddetta devolution, in forza della quale alle regioni vengono trasferite competenze esclusive in materia di assistenza e di organizzazione sanitaria e scolastica.
Sebbene il nostro giudizio sui punti sopraelencati non sia positivo, non nascondiamo comunque la nostra soddisfazione per l'introduzione di una clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale, che dovrebbe garantire contro ingerenze statali compiute in nome dell'interesse nazionale. Ringraziamo il ministro Calderoli per i chiarimenti forniti in occasione dell'esame del provvedimento da parte del Senato della Repubblica, confermati anche dal presidente Pastore, in ordine alla portata della predetta clausola di salvaguardia. Infatti, condividiamo pienamente la lettura data, con cui si esclude l'applicabilità, sulla base dell'interesse nazionale, dell'annullamento degli atti delle regioni a statuto speciale.
A nostro avviso, costituisce indubbiamente un notevole passo in avanti la scelta per cui, in futuro, la modifica degli statuti speciali sarà possibile solo previa intesa con le stesse regioni e le province autonome. Il novellato testo dell'articolo 117 della Costituzione...
 
PRESIDENTE. Onorevole Zeller, concluda.
 
KARL ZELLER. ... costituzionalizza infatti, per la prima volta nella storia della Repubblica, il carattere pattizio delle regioni a statuto speciale.
Pertanto, per i motivi sopra illustrati, preannunzio l'astensione dal voto dei deputati appartenenti alla Südtiroler Volkspartei (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lo Presti. Ne ha facoltà.
 
ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei svolgere un breve intervento per sottolineare un aspetto della riforma in esame sfuggito ai più, ma che dimostra come bene abbia fatto il centrodestra a modificare la Costituzione per restituire ad essa l'autentico ruolo di garanzia dell'equità delle leggi e della loro corretta e coerente applicazione a difesa dell'interesse della collettività.
Si tratta di un ruolo che un'improvvida e pasticciata riforma varata dal centrosinistra, con soli quattro voti di scarto, aveva formalmente messo in discussione. Vengo subito alla questione, concernente uno dei tanti vizi cui oggi, come già detto, porremo rimedio.
Il testo ancora vigente dell'articolo 117 della Costituzione - quello da voi, colleghi della sinistra, modificato - attribuisce alle regioni italiane la potestà legislativa concorrente in materia di professioni, senza distinzioni tra intellettuali e no. In pratica, i legislatori di sinistra, con tale riforma costituzionale, avevano aperto la porta ad una reale e pericolosissima secessione normativa, che avrebbe potuto stravolgere un intero sistema, quale, ad esempio, quello degli ordini, modulato a difesa di interessi generali rilevanti, attribuendo alle regioni competenze a legiferare a piacimento, in modo concorrente o, addirittura, contrapposto con lo Stato.
Comprenderete sicuramente, cari colleghi della sinistra, ma lo hanno già compreso i milioni di professionisti italiani che continuate a prendere in giro, quali conseguenze quel sistema che voi avete creato avrebbe potuto comportare. Ad esempio, la regione Lombardia avrebbe potuto prevedere un sistema di organizzazione territoriale regionale degli ordini diverso dalla Sicilia o un sistema di tariffe diverso da quello della Campania o del Veneto. Immaginate, quindi, quale guazzabuglio!
Per la verità, le regioni, soprattutto quelle amministrate dalla sinistra, ci avevano provato ad andare per la loro strada in tale delicatissimo settore. Per fortuna, sono state «stoppate» dalla Corte costituzionale, che ha rilevato l'incoerenza della previsione costituzionale da voi introdotta, che noi oggi modificheremo, imponendo alle regioni di rispettare i principi generali in materia di professioni, dettati - per fortuna - dalle leggi ancora in vigore, che il centrodestra ha difeso e valorizzato. Quella sì, dunque, che sarebbe stata la vera secessione! Altro che le bugie, le «balle» che andate raccontando in giro per il paese, trovando persino sponda in alcuni giornali pseudoindipendenti, che contribuiscono a falsificare la realtà, ingannando i cittadini con parole di inaudita violenza. Penso, ad esempio, a quelle lette l'altro ieri sul Corriere della Sera: «Ributtante riforma; attentato al patriottismo e al buon Governo; la devolution mira a disfare l'Italia». Ma di cosa parlate? Ma di cosa parla il Corriere della Sera? E voi pseudo - o neo - patrioti di una sinistra che ancora oggi nelle piazze sfila insieme agli «incappucciati» e li accoglie nelle liste dei candidati alle elezioni primarie, inneggianti all'odio verso gli elettori, ai cittadini che non la pensano allo stesso modo e che voi ritenete, con disprezzo, «minoranze da educare»?
Ma vedrete quale sarà la forza di queste minoranze, la forza dei moderati che non sfilano, ma che ragionano e sanno distinguere il giusto dall'ingiusto, l'utile dal superfluo o dal dannoso. Noi metteremo le cose a posto, con questa riforma. Restituiremo allo Stato la potestà legislativa primaria nelle professioni; riequilibreremo i poteri delle regioni e potremo, in tal modo, proseguire sulla strada delle riforme, compresa quella delle professioni che milioni di professionisti attendono. Quegli stessi professionisti alla cui autonomia, libertà e professionalità avete più volte attentato, proponendo improbabili e selvagge liberalizzazioni per vanificarne il ruolo, il prestigio e la funzione.
Noi garantiremo, con la nostra riforma, o meglio, con la nostra «controriforma», la vera unità del paese, quell'unità che voi avete messo in discussione, quando avete pure abolito l'interesse nazionale, che noi reintrodurremo, per impedire la deriva secessionista che voi - e soltanto voi - avete rischiato si potesse determinare.
Cari colleghi, gli italiani, i professionisti italiani, per fortuna non sono sprovveduti e le vostre menzogne, condite dalla vostra penosa retorica, vi faranno naufragare miseramente (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mattarella. Ne ha facoltà.
 
SERGIO MATTARELLA. Signor Presidente, tra la metà del 1946 e la fine del 1947, in quest'aula, si è esaminata, predisposta ed approvata la Costituzione della Repubblica. Con l'attuale Costituzione, che vige dal 1948, l'Italia è cresciuta, nella sua democrazia anzitutto, nella sua vita civile, sociale ed economica. In quell'epoca, vi erano forti contrasti, anche in quest'aula. Nell'aprile del 1947 si era formato il primo governo attorno alla Democrazia Cristiana, con il Partito comunista e quello socialista all'opposizione. Vi erano contrasti molto forti, contrapposizioni che riguardavano la visione della società, la collocazione internazionale del nostro paese.
Vi erano serie questioni di contrasto, un confronto acceso e polemiche molto forti. Eppure, maggioranza e opposizione, insieme, hanno approvato allora la Costituzione.
Al banco del Governo, quando si trattava di esaminare provvedimenti ordinari o parlare di politica e di confronto tra maggioranza e opposizione, sedevano De Gasperi e i suoi ministri. Ma quando quest'aula si occupava della Costituzione, esaminandone il testo, al banco del Governo sedeva la Commissione dei 75, composta da maggioranza ed opposizione. Il Governo di allora, il Governo De Gasperi, non sedeva ai banchi del Governo, per sottolineare la distinzione tra le due dimensioni: quella del confronto tra maggioranza ed opposizione e quella che riguarda le regole della Costituzione.
Questa lezione di un Governo e di una maggioranza che, pur nel forte contrasto che vi era, sapevano mantenere e dimostrare, anche con i gesti formali, la differenza che vi è tra la Costituzione e il confronto normale tra maggioranza ed opposizione, in questo momento, è del tutto dimenticata.
Le istituzioni sono comuni: è questo il messaggio costante che in quell'anno e mezzo è venuto da un'Assemblea costituente attraversata - lo ripeto - da forti contrasti politici. Per quanto duro fosse questo contrasto, vi erano la convinzione e la capacità di pensare che dovessero approvare una Costituzione gli uni per gli altri, per sé e per gli altri. Questa lezione e questo esempio sono stati del tutto abbandonati.
Oggi, voi del Governo e della maggioranza state facendo la «vostra» Costituzione. L'avete preparata e la volete approvare voi, da soli, pensando soltanto alle vostre esigenze, alle vostre opinioni e ai rapporti interni alla vostra maggioranza.
Il Governo e la maggioranza hanno cercato accordi soltanto al loro interno, nella vicenda che ha accompagnato il formarsi di questa modifica, profonda e radicale, della Costituzione. Il Governo e la maggioranza - ripeto - hanno cercato accordi al loro interno e, ogni volta che hanno modificato il testo e trovato l'accordo tra di loro, hanno blindato tale accordo. Avete sistematicamente escluso ogni disponibilità ad esaminare le proposte dell'opposizione o anche soltanto a discutere con l'opposizione. Ciò perché non volevate rischiare di modificare gli accordi al vostro interno, i vostri difficili accordi interni.
Il modo di procedere di questo Governo e di questa maggioranza - lo sottolineo ancora una volta - è stato il contrario di quello seguito in quest'aula, nell'Assemblea costituente, dal Governo, dalla maggioranza e dall'opposizione di allora.
Dov'è la moderazione di questa maggioranza? Non ve n'è! Dove sono i moderati? Tranne qualche sporadica eccezione, non se ne trovano, perché la moderazione è il contrario dell'atteggiamento seguito in questa vicenda decisiva, importantissima e fondamentale, dal Governo e dalla maggioranza.
Siete andati avanti, con questa dissennata riforma, al contrario rispetto all'esempio della Costituente, soltanto per non far cadere il Governo. Tante volte la Lega ha proclamato ed ha annunziato che avrebbe provocato la crisi e che sarebbe uscita dal Governo se questa riforma, con questa profonda modifica della Costituzione, non fosse stata approvata.
Ebbene, questa modifica è fatta male e lo sapete anche voi. Con questa modifica dissennata avete previsto che la gran parte delle norme di questa riforma entrino in vigore nel 2011. Altre norme ancora entreranno in vigore nel 2016, ossia tra 11 anni. Per esempio, la norma che abbassa il numero dei parlamentari entrerà in vigore tra 11 anni, nel 2016!
Sapete anche voi che è fatta male, ma state barattando la Costituzione vigente del 1948 con qualche mese in più di vita per il Governo Berlusconi. Questo è l'atteggiamento che ha contrassegnato questa vicenda.
Ancora una volta, in questa occasione emerge la concezione che è propria di questo Governo e di questa maggioranza, secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni, ne è il proprietario. Questo è un errore. È una concezione profondamente sbagliata. Le istituzioni sono di tutti, di chi è al Governo e di chi è all'opposizione. La cosa grave è che, questa volta, vittima di questa vostra concezione è la nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-SDI-Unità Socialista - Congratulazioni)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Collè. Ne ha facoltà.
 
IVO COLLÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci accingiamo oggi a votare un testo di riforma costituzionale che, nel percorso sin qui intrapreso, ha sollevato e solleva tuttora dubbi e preoccupazioni. Ciò, a scapito di quella che avrebbe dovuto essere la ricerca di una concertazione e di un consenso ampio, più ampio. Si tratta di preoccupazioni già evidenziate in quest'aula nel corso della prima deliberazione ed ulteriormente manifestate da più parti nel successivo passaggio in Senato. Sono preoccupazioni emerse in varie sedi e sollevate a più riprese da tutti i presidenti dei Consigli delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che congiuntamente hanno evidenziato le loro riserve. Preoccupazioni, potremmo dire veri e propri segnali dell'azione unilaterale di questa maggioranza, che ci riporta inevitabilmente all'attuale situazione, per noi poco chiara nel metodo e nel merito.
Mi auguravo che il segnale positivo scaturito dall'approvazione dell'intesa avrebbe rappresentato il primo passo verso una più ampia corresponsabilità: ipotesi oggi smentita da un provvedimento privo di quella chiarezza necessaria ad assicurare la giusta linearità di intenti e di principi. Mi chiedo come si possa pretendere di realizzare un ordinamento in senso federale, senza richiedere il concorso ed il consenso, con pari dignità, di tutti i soggetti che lo costituiscono.
Questo testo non dà, purtroppo, le risposte auspicate. Entrando brevemente nel merito, infatti, ci troviamo oggi a dover approvare un provvedimento che non individua con certezza e non distingue con chiarezza le competenze regionali da quelle statali. Promette, ma nei fatti non attribuisce, una rappresentanza vera alle autonomie all'interno del Senato federale. Introduce elementi di incertezza tali da incrementare ulteriormente il contenzioso costituzionale tra Stato e regioni. Mette a rischio l'autonomia e la potestà legislativa delle regioni, attribuendo al Governo la discrezionalità ad impugnare norme regionali, sotto il pretesto del mantenimento della salvaguardia dell'interesse nazionale.
Avremmo voluto, onorevoli colleghi, che la maggioranza riprendesse quel confronto e quel dibattito indispensabili per giungere ad una soluzione condivisa. Ciò non è avvenuto, nonostante i nostri numerosi appelli al buonsenso ed i nostri ripetuti richiami a quei principi democratici fondanti la nostra Costituzione
 
PRESIDENTE. Onorevole Collè, la invito a concludere.
 
IVO COLLÈ. Annuncio pertanto che, venendo a mancare queste prerogative essenziali e vista l'attuale situazione, il mio voto, signor Presidente, non potrà essere favorevole.
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.
 
CHIARA MORONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Nuovo PSI voterà questa riforma costituzionale. Si tratta certamente di un progetto ambizioso, che modifica in modo sostanziale il sistema istituzionale italiano, ma è pur vero che i riformisti hanno il dovere di essere ambiziosi.
Sono profondamente convinta che oggi la politica abbia un dovere primario nei confronti dei cittadini: quello di tentare in ogni modo di ricomporre quella frattura così evidente fra i cittadini italiani e le istituzioni che li devono rappresentare. La partecipazione non può essere tema di fugaci e superficiali riflessioni solo all'indomani di consultazioni elettorali, che ogni volta dimostrano un'irreversibile tendenza alla riduzione della partecipazione. È evidente come il cittadino non si senta rappresentato dalle istituzioni, che vive come qualcosa di distante da lui, di estraneo e di incapace di dare risposte alle sue esigenze, non solo materiali.
Tutti noi, classe dirigente, sbagliamo quando rincorriamo demagogicamente, a scopo elettorale, l'insofferenza dei cittadini, accettando di svilire non già le nostre persone ma l'istituzione che rappresentiamo, anziché rafforzare e valorizzare l'istituzione stessa. Il luogo privilegiato di partecipazione attiva dei cittadini al meccanismo di formazione della rappresentanza deve tornare ad essere quello dei partiti. Lì deve concretizzarsi la mediazione culturale e politica, l'elaborazione, che deve costruire i contenuti, volta a definire l'identità delle singole forze politiche.
Tutti dobbiamo e abbiamo profondissimo rispetto nei confronti del lavoro dei nostri padri costituenti. Un eccezionale senso di responsabilità deve animare il legislatore che intenda mettere mano alla Carta costituzionale. Indubbiamente le riforme costituzionali dovrebbero avere larghissima condivisione, certamente però non è questa maggioranza ad avere introdotto il vulnus dell'approvazione a colpi di maggioranza di riforme così importanti. È innegabile ed evidente la necessità di correggere quella scellerata riforma del Titolo V approvata alla fine della scorsa legislatura, che non ha fatto altro che innescare una sostanziale destrutturazione dello Stato unitario. L'attuale articolo 114 della Costituzione segue una logica di disarticolazione dello Stato estremamente pericolosa, affidando allo Stato il ruolo di elemento costitutivo della Repubblica in modo paritario rispetto agli altri enti territoriali, scindendo lo Stato e la Repubblica, che rimane termine vuoto laddove perde la sua coincidenza con lo Stato stesso.
Il Nuovo PSI ha contribuito, per quello che ha potuto, a rendere questa riforma più coerente, efficace ed efficiente esprimendo spesso opinioni criticamente costruttive nel merito. La costruzione di un sistema federale, per così dire, dall'alto non è cosa facile e quasi certamente comporterà un percorso di approssimazione successiva nel quale vanno contemporaneamente consolidati i valori unitari e collaborativi. La volontà di dare avvio a questo percorso ha portato a pensare ad un sistema federale coerente, che non si risolve nella devoluzione di competenze alle regioni ma necessita di una architettura organicamente costruita.
In ordine alla forma di governo e quindi al premierato, siamo stati fra coloro che hanno sostenuto la necessità di correnti pesi e contrappesi, della tutela del principio della separazione dei poteri e della valorizzazione del ruolo centrale del Parlamento. Ad un rafforzamento del Primo ministro e dell'esecutivo e al rapporto dialettico con la propria maggioranza, non può che fare da contraltare un Parlamento forte e un ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica. Indubbiamente, nel testo finale sono stati compiuti numerosi passi in avanti sul tema. L'introduzione della possibilità di una mozione di sfiducia costruttiva da parte della maggioranza collegata al premier rappresenta un bilanciamento fondamentale dei poteri del premier stesso rispetto alla sua maggioranza.
Da ultimo, la riforma della legge elettorale in senso proporzionale recentemente approvata da questa Camera certamente rappresenta l'ideale contrappeso rispetto ad un sistema che ha un esecutivo forte, ma che altrettanto vuole un Parlamento rafforzato da un sistema proporzionale che valorizza il ruolo dei partiti e della partecipazione democratica all'interno dei partiti, che rafforza l'identità e l'autonomia delle singole forze politiche e che garantisce un rafforzamento della capacità politica di trovare sintesi all'interno delle coalizioni. L'identità dei partiti è garanzia di elaborazione politica ed è garanzia di capacità di sintesi all'interno di coalizioni che devono tendere ad essere più omogenee per essere più forti nell'azione di governo.
Il Nuovo PSI ha sempre detto che il primo punto programmatico della nostra forza politica era la legge elettorale proporzionale. Certamente, colleghi della sinistra, questa maggioranza e questo Governo saranno ricordati - ebbene sì - per la capacità, la forza e l'orgoglio di aver mandato in sordina un sistema maggioritario che tanti danni ha creato a questo paese, per la capacità e la forza di introdurre un sistema proporzionale che garantisce l'efficienza della rappresentanza democratica, coordinandosi con la capacità di garantire Governi stabili.
Il Nuovo PSI ha sempre detto che avrebbe votato questa riforma costituzionale se, insieme ad essa, fosse stata presentata ed approvata una legge di riforma del sistema elettorale in senso proporzionale, perché abbiamo sempre ritenuto e tuttora riteniamo che questo sistema istituzionale si possa reggere con i giusti pesi e contrappesi solo in un sistema elettorale proporzionale. Ebbene, oggi, la legge elettorale proporzionale c'è, e il Nuovo PSI non si tira indietro e voterà convintamente questa riforma costituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e della Lega Nord Federazione Padana).
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
 
MARCO BOATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che non sia più tempo di sottili disquisizioni dottrinarie né di merito, né di analisi tecnico-giuridiche. A tutto questo siete stati sordi e ciechi ed è ora il momento di dire «basta».
La Casa delle libertà ha fatto della riforma costituzionale una merce di scambio al proprio interno e addirittura un'arma di ricatto e di intimidazione reciproca, per evitare la dissoluzione della stessa maggioranza e la conseguente definitiva crisi del Governo Berlusconi. La settimana scorsa, la Casa delle libertà ha imposto, per così dire, manu militari e in modo assolutamente unilaterale, un totale stravolgimento del sistema elettorale. Talmente grave è apparsa questa squallida operazione di manomissione delle regole del gioco, talmente grave è stata che colui che aveva proposto questa iniziativa di riforma elettorale, il segretario dell'UDC Follini, si è clamorosamente dimesso, disconoscendo questo figlio abnorme e deforme che pure aveva contribuito poco responsabilmente a concepire. A Marco Follini, scaricato da tutta la Casa delle libertà e da quasi tutto il suo partito con una brutalità e una soddisfazione prive di precedenti, va il nostro rispetto ma anche il nostro profondo dissenso per essere stato l'apprendista stregone che ha evocato questo «mostro» politico e giuridico che ora, giustamente ma tardivamente, disconosce.
Qualche settimana fa, il Presidente Berlusconi ha parlato pubblicamente, con un'espressione davvero infelice e poco rispettosa, di metastasi all'interno della propria maggioranza. In realtà, la riforma costituzionale, così come la riforma elettorale, sono parti integranti di questa vera e propria metastasi che avete imposto alle istituzioni repubblicane. Avete già fatto strame delle regole del gioco elettorale, e oggi fate strame delle istituzioni costituzionali, di cui alla legge fondamentale che è stata scritta in quest'aula dall'Assemblea costituente negli anni 1946-1947.
La Repubblica italiana non è di vostra proprietà, non è né un'impresa di assicurazione né una holding finanziaria, né un gruppo televisivo. La Costituzione repubblicana è il patrimonio più nobile e prezioso della Repubblica e del popolo italiano attraverso tutte le sue generazioni, dalla sconfitta del fascismo e dal referendum repubblicano ad oggi.
Oggi, voi imporrete, con la mera forza dei numeri, questo ignobile patto di sangue che avete stretto tra di voi per non prendere atto che siete ancora solo formalmente maggioranza in Parlamento - ancora per pochi mesi -, ma non lo siete più nel paese. Spesso - ahimè - non vi stimate neppure tra di voi. Talora vi disprezzate reciprocamente. In molti casi, sospettate gli uni degli altri di possibili tradimenti e quando qualcuno, come Follini, osa obiettare, viene brutalmente scaricato.
Avete stretto questo ignobile patto di sangue per cercare di sopravvivere a quella che avete definito la vostra metastasi; una metastasi che, per voi, è una malattia mortale in termini di consenso popolare, di credibilità internazionale e di governabilità nazionale.
In questo patto di sangue per la sopravvivenza, avete imposto, con disciplina militare, lo stravolgimento unilaterale della legge elettorale, oggi lo stravolgimento della Carta costituzionale; e poi lo farete con le norme penali e processuali a vostro vantaggio nella cosiddetta ex Cirielli e, da ultimo, tenterete di spazzare via anche la par condicio.
Sono i vostri tentativi disperati di cambiare manu militari l'assetto del sistema costituzionale ed istituzionale e di avere mano libera per cercare di manomettere, a suon di miliardi, la sovranità popolare.
Domenica scorsa, lo dico senza retorica, avete già avuto una prima, sia pur parziale, risposta dalla straordinaria partecipazione popolare alle primarie dell'Unione e, a questa straordinaria partecipazione di popolo, avete risposto con imbarazzo e sarcasmo e, prima di tutto, spazzando via qualunque ipotesi di primarie del centrodestra, da cui sareste terrorizzati.
Per quanto riguarda le riforme costituzionali, i colleghi della Lega non se ne sono accorti: il Presidente Berlusconi ha dichiarato ieri che il centrosinistra, con la riforma del Titolo V, ha dato troppi poteri alle regioni. Altro che richiamo al regime borbonico pateticamente fatto da Dussin! Berlusconi dice che il centrosinistra ha dato troppi poteri alle regioni! Prendetene atto pateticamente, colleghi della Lega.
Nella scorsa legislatura, comunque, non abbiamo avuto il timore di promuovere noi stessi un referendum, ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione, che abbiamo vinto anche per abbandono del campo da parte vostra.
In questa legislatura, anche sulla riforma costituzionale, la Casa delle libertà si dimostra terrorizzata dal giudizio della sovranità popolare, al punto che potevate votarvela in seconda deliberazione nell'aprile scorso (erano ampiamente trascorsi tre mesi), invece l'avete tirata a lungo fino ad ottobre, perché avete il terrore che si celebri il referendum prima delle elezioni politiche.
Ma, prima o dopo le elezioni politiche, questo referendum si celebrerà e, alla fine, sarà il popolo sovrano ad esprimere il suo giudizio definitivo.
La paura del giudizio popolare vi ha indotto a questo dilazionamento, ma, alla fine, questo giudizio popolare vi sarà. Vi è nemesi storica; vi è un limite a tutto, colleghi. Vi è, perfino, una eterogenesi dei fini; vi è, ed è ben noto, anche l'effetto boomerang di operazioni calcolate malamente a tavolino, senza sapere prevedere che, alla fine, il popolo sovrano avrà davvero l'ultima parola!
Noi verdi, noi gruppi del centrosinistra, noi gruppi dell'Unione voteremo «no» in quest'aula, ma voi prevarrete solo con l'imposizione di una disciplina militare e intimidatoria ai vostri deputati.
Non amiamo la demagogia, non amiamo il populismo, siamo fedeli - noi, sì - alle prerogative del Parlamento, che voi avete manomesso sistematicamente. Ma il primo articolo della Costituzione afferma solennemente che la sovranità popolare appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. Tra le tante controriforme che avete imposto, non avete ancora abolito l'articolo 1 della Costituzione, non siete riusciti ad abolire le elezioni politiche - anche se ne avete manomesso le regole -, e non vi è stata l'abolizione del referendum popolare, previsto dall'articolo 138 della Costituzione, che noi promuoveremo.
Alla fine di questa vostra metastasi interna, di questa vostra metastasi imposta alle regole, alle istituzioni e alla Costituzione, il giudizio tornerà al popolo sovrano, sia nelle elezioni politiche del 9 aprile 2006, sia nel successivo referendum popolare, nonché nelle elezioni amministrative.
Siamo fiduciosi - ve lo diciamo con tranquillità - che sarà il popolo sovrano a dirvi pacificamente e democraticamente «basta!». A dirvi questo «basta!» grande e solenne con l'arma pacifica e democratica del voto, prima nelle elezioni politiche, poi in quelle amministrative e, da ultimo - perché avete voluto voi che così fosse -, nel referendum popolare oppositivo a questo stravolgimento unilaterale della Costituzione. Ormai, la vostra stagione si è conclusa! Giuliano Ferrara vi aveva suggerito ripetutamente di chiuderla e concluderla con dignità; avete invece deciso di chiuderla malamente, con soprusi ed imposizioni.
Tutto ciò lascerà un segno profondo e lacerante anche al vostro interno (il caso Follini insegna). Uscirete di scena malamente, senza dignità, con arroganza, e maledirete il destino cinico e baro; questo destino si chiama sovranità popolare, e in essa riponiamo solennemente e tranquillamente la nostra speranza e la nostra fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-SDI-Unità Socialista).
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armando Cossutta. Ne ha facoltà.
 
ARMANDO COSSUTTA. Signor Presidente, colleghi, il Parlamento della Repubblica e il nostro paese devono fronteggiare in queste settimane i micidiali colpi di coda di questo Governo. E i colpi di coda, come sappiamo, spesso sono anche i più pericolosi!
Si voterà, probabilmente, il 9 aprile; questa Camera ha poche settimane di vita, a Natale di fatto si chiude e, in questo breve tempo, una dopo l'altra, si impongono leggi pesanti, una più grave dell'altra.
Si è approvata la legge elettorale, che ha sradicato un sistema politico ormai consolidato, che ha prospettato un avvenire di instabilità per le nostre istituzioni; una legge pessima, il popolo italiano se ne è reso conto, e molti dei 4 milioni di cittadini che sono andati a votare alle primarie ci sono andati proprio per protestare contro la soperchieria che avete compiuto.
Vi è poi la legge finanziaria, che non guarda allo sviluppo ma che, anzi, prevede diversi tagli, in particolare per i comuni e, dunque, per i servizi ai cittadini, colpendone il tenore di vita. Si tratta di una legge che vuole rappresentare una sorta di vendetta di Berlusconi contro i comuni che, in larga maggioranza, hanno votato in questi anni per il centrosinistra.
Inoltre, si vorrebbe approvare la cosiddetta legge «salva Previti», una nuova legge ad personam, per salvare dal carcere l'amico e compare di Silvio Berlusconi, nonché la legge sulla par condicio, che il Presidente del Consiglio vorrebbe imporre tentando di ingannare con migliaia di spot gli elettori italiani e salvarsi dal loro giudizio conclusivo.
Infine, oggi, qui alla Camera, si conclude l'iter della legge sulla cosiddetta devolution. Una legge che ferisce a fondo l'ordinamento costituzionale, annullando alcuni dei suoi principi fondamentali, primo tra tutti il principio di uguaglianza. Con l'approvazione di questa legge, i cittadini - è la verità - non sarebbero più uguali tra loro. Non si è uguali quando il diritto non è garantito allo stesso modo per tutti, in maniera universale. Un diritto, o è universalmente garantito, o non è un diritto. Si affidano alle regioni poteri esclusivi su materie di interesse generale e nazionale.
Sono stato per un'intera legislatura presidente della Commissione parlamentare bicamerale per le regioni. Per dieci anni ho diretto, nell'allora Partito comunista italiano, il settore delle regioni e delle autonomie locali. Pertanto, conosco questi problemi e da sempre sostengo con decisione e convinzione il principio ed i diritti di autonomia per le regioni, innanzitutto, per i comuni e per le province. Tuttavia, in questo caso, non è in corso l'attuazione di un principio tra i più importanti del nostro ordinamento costituzionale, come quello dell'autonomia, bensì una sovversione istituzionale. Voi la chiamate federalismo, ma si tratta di un grande pasticcio.
Il federalismo può essere anche una cosa seria, ma comporta equilibri, contrappesi, garanzie e condizioni materiali che molte regioni non posseggono e non potranno possedere. Lo chiamate federalismo, ma è semplicemente una struttura caotica. Tuttavia, essa è voluta dalla Lega che sa, forse meglio di altri, come questo nuovo ordinamento, stabilito con la legge sulla devolution, non garantirà quanto si ha in mente di realizzare. Infatti, sa perfettamente che non funzionerà e, anzi, confida - è questa la mia precisa opinione - sui disastri che tale nuovo ordinamento provocherà per poter rilanciare il suo vero obiettivo, peraltro mai nascosto: la secessione e la separazione. D'altra parte, affermano, scrivono a chiare lettere e perseguono tale obiettivo.
Ma voi, colleghi della maggioranza, come potete accettare questo misfatto? Onorevoli colleghi dell'UDC, ho ascoltato le parole e l'atteggiamento di dissenso degli onorevoli Tabacci e Follini. Ma il partito dell'UDC come si comporta di fronte a questo misfatto, che certamente non può condividere?
Voi stessi, onorevoli colleghi di Alleanza nazionale, che sostenete di richiamarvi ai valori della nazione e della sua unità, come potete accettare questo scempio?
E voi, onorevoli colleghi di Forza Italia, che nelle imprese e nelle professioni aspirate ad avere un equilibrato, serio ed ordinato intervento delle istituzioni? Invece, avremo una grande confusione e vedremo contrasti e contestazioni fra regioni e Stato, fra regioni e comuni, fra una regione e l'altra. Avremo ingiustizie, gravi differenze tra i cittadini italiani. Alle regioni saranno affidati con competenza esclusiva temi quali la sanità, l'istruzione, la polizia locale. Non si tratta di questioni quantitative su chi farà di più o di meno, bensì di questioni sostanziali, perché alle regioni sono affidati gli ambiti che riguardano l'ordinamento stesso di questi settori e la loro organizzazione. Ciò potrà comportare una grande differenza tra chi abita in Lombardia, in Puglia o in un'altra regione.
Voi sapete benissimo come stanno le cose, ma non osate ribellarvi perché questo è ciò che vuole la Lega ed è la Lega che lo impone. La Lega è l'asse portante della maggioranza di Berlusconi, senza la quale quest'ultimo sarebbe già crollato.
Come potete voi, amici e colleghi della Lega, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Alleanza nazionale, di Forza Italia, voi stessi come potete accettare che con questo ordinamento si dia vita a dei poteri in capo al nuovo dirigente del Governo (che verrà chiamato «Capo del Governo», e non più «Presidente del Consiglio») che sono poteri immensi, che non esistono e non sono praticati in nessun altro paese democratico, d'Europa e fuori d'Europa. Voi vi accingete a votare una stortura inaccettabile. Voi state per portare a compimento uno scempio giuridico, una violenza contro i cittadini!
Oh, cari colleghi, a ben altro pensavamo quando, allora, ancora giovane, sfilavo per le vie della mia città, Milano liberata, con la bandiera rossa della mia brigata partigiana e con la bandiera tricolore della patria. A ben altro allora pensavamo! E voi rinnegate quello che abbiamo conquistato con la nostra lotta, con la nostra battaglia, con l'unità democratica di tutte le forze politiche e del nostro popolo.
Oggi voterete, ma non avrete la maggioranza dei due terzi, senza la quale il referendum si renderà inevitabile, persino, possiamo dirlo, obbligatorio. È un referendum con il quale noi potremo seppellire questa legge iniqua, questa legge sbagliata, questa legge pericolosa. E con essa seppelliremo tutta quanta la vostra politica (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e di Rifondazione comunista)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pappaterra. Ne ha facoltà.
 
DOMENICO PAPPATERRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questi ultimi mesi della XIV legislatura, il Presidente del Consiglio, capo indiscusso della maggioranza di centrodestra, tenta di cimentarsi in uno slalom difficile, piazzando ad ogni porta le leggi di riforma sulle quali ha ricompattato la Casa delle libertà ed eliminando, come ha fatto, dal suo percorso, il segretario dell'UDC, Marco Follini, l'unico della squadra che aveva tentato di ostacolare la sua spericolata discesa.
Dopo la prima porta, agevolmente saltata, quella della riforma elettorale, sulla quale permangono forti dubbi di costituzionalità espressi da diversi costituzionalisti e da autorevoli rappresentanti delle istituzioni, oggi tocca saltare la seconda porta, quella della riforma costituzionale, meglio nota come devolution, giunta alla terza lettura delle quattro previste dall'articolo 138 della Costituzione, prima del referendum confermativo al quale sin da ora chiamiamo a raccolta tutti gli italiani che si ritrovano nelle parole del Capo dello Stato. Egli, nel suo straordinario settennato non ha mai smesso di difendere la Costituzione, il cui impianto non può essere smontato a pezzi al solo scopo di soddisfare esigenze particolaristiche o rivendicazioni localistiche; o al solo scopo di pagare, con un voto parlamentare di scambio, il prezzo dovuto alla Lega per aver dato via libera alla riforma elettorale voluta da Berlusconi.
Superata questa seconda porta, sarà la volta della terza, quella della legge «salva Previti», che cala il sipario sulle leggi ad personam e, in successione, quella della quarta, rappresentata dalla legge finanziaria, che anziché essere improntata al rigore economico si trasformerà, nei prossimi giorni, in un pozzo senza fondo, per trarre vantaggi elettorali di ogni specie. I segnali in tal senso, purtroppo, già si intravedono, in barba ad ogni esigenza di contenimento della spesa pubblica.
Poi si cimenterà nell'assalto all'ultima e decisiva porta, quella dell'abolizione della par condicio, che gli consentirà di parlare ventiquattr'ore su ventiquattro su tutti i canali televisivi di sua proprietà, o sotto il suo diretto controllo, per tentare di rovesciare un risultato che nelle previsioni appare irrimediabilmente compromesso.
Nei confronti di questa furia devastatrice, non ci meravigliano affatto i continui richiami del Capo dello Stato, da sempre custode delle regole e garante dell'unità del nostro paese. Anzi, come socialisti, continueremo sempre ad apprezzarlo.
In questa occasione siamo invece meravigliati del fatto che esponenti del mondo imprenditoriale e di quello ecclesiastico, che in occasione della prima lettura della riforma costituzionale avevano fatto sentire il loro autorevole pensiero, oggi restino chiusi in un assordante silenzio.
Voglio ricordare, colleghi, quello che disse il presidente di Confindustria, Montezemolo, quando la riforma costituzionale fu approvata in prima lettura. La riforma federale dello Stato - disse Montezemolo - va affrontata con razionalità e con un occhio al portafoglio. Facciamo prima i conti senza preclusioni, e se serve ad avvicinarsi ai cittadini, che ben venga il federalismo che non porta costi ulteriori, burocrazia in più e, soprattutto, non snatura l'impianto costituzionale di uno Stato moderno. In questo caso - disse Montezemolo - anziché il pasticcio, è meglio uno stop. Sarebbe curioso conoscere cosa è cambiato da allora ad oggi: il testo di ieri è uguale a quello di oggi. Così come, allo stesso modo, siamo stupiti, come Socialisti, dal silenzio del presidente della Conferenza episcopale italiana, che pure in questi mesi è intervenuto su tante vicende della vita del nostro Stato, dai PACS all'aborto, dal principio della laicità dello Stato all'esenzione ICI sugli immobili di proprietà della Chiesa. Avremmo gradito che, in questa triste circostanza per i destini della nostra Costituzione, egli avesse ripetuto le stesse cose che disse il 20 gennaio del 2004, all'apertura del consiglio permanente della CEI, che scatenarono la reazione dell'allora capogruppo della Lega nord, Alessandro Cè, che consigliò al cardinale Ruini di parlare il meno possibile e di occuparsi di più dell'ambito spirituale e di meno di quello materiale. Rileggiamole, colleghi, quelle parole: «Il percorso riformatore avviato da oltre un decennio deve essere portato a compimento con una visione il più possibile organica e lungimirante senza mettere nemmeno apparentemente in discussione l'unità della nazione». Un modo, questo, per esprimere, da parte del cardinale Ruini, una posizione storica della Chiesa. Noi Socialisti, che da sempre, prima con Nenni, poi con Craxi ed oggi con Boselli, abbiamo difeso la nostra rispettosa autonomia e le nostre battaglie per i diritti civili senza mai cadere in atteggiamenti anticlericali, sottoscriviamo alla lettera questo autorevole pensiero. Gradiremmo, però, che si levasse anche oggi un forte dissenso verso questa riforma, che è la stessa di allora e che rappresenta una ferita lacerante per la nostra Carta costituzionale.
Quello che sta avvenendo nel Parlamento è molto triste, perché è vero che con questa riforma si modifica solo la seconda parte della Costituzione, escludendo apparentemente i principi fondamentali, ma è altrettanto vero che, quando questa riforma sarà approvata con il suo disegno secessionista, con un premier alla Putin, con il Presidente della Repubblica che non potrà far sentire più la sua voce, con la Corte costituzionale assoggettata al potere politico, con un Senato federale che è tutto tranne che federale, con l'umiliazione continua di Roma «capitale ladrona» e con uno Stato che avrà venti sistemi sanitari e scolastici diversi, anche i principi fondamentale della Carta costituzionale saranno considerati valori vecchi e superati, dei quali liberarsi quanto prima possibile.
Non c'è alcun dubbio che questo scorcio finale della XIV legislatura sarà ricordato come una delle pagine più nere della lunga storia parlamentare italiana, perché le norme costituzionali che il centrodestra riscrive non sono il frutto di una condivisa strategia costituente, ma rappresentano semplicemente il punto di coagulo di una maggioranza condizionata dall'autoesaltazione del suo capo e sottoposta al continuo ricatto di un partito della coalizione (la Lega nord). D'altro canto, a cosa corrispondono se non a queste impostazioni le norme che, ad esempio, prevedono un premierato che indebolisce la base parlamentare della nostra Repubblica e che avvia il nostro paese verso una deriva plebiscitaria? Oppure, a cosa corrispondono norme costituzionalizzanti la devolution che rompono il principio di eguaglianza tipico di ogni Stato democratico e cancellano l'universalità dei diritti di ogni cittadino all'istruzione, alla sicurezza e alla salute? E, a proposito di questo, lasciatemi dire una cosa. I leader della Casa delle libertà avevano programmato un giro per tutte le città del sud per spiegare che la devolution non è affatto in contrasto con gli interessi del Mezzogiorno. Capofila di questo tour era il ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione, senatore Calderoli. Il giro è partito da Reggio Calabria il 24 settembre ma, dopo il prologo, si è fermato. Non hanno proseguito il giro perché hanno subito capito che al sud i cittadini gli effetti nefasti di questo ricatto scellerato li hanno ben compresi, dandone una prima prova alle elezioni regionali: ne daranno una seconda, ulteriore, alle prossime elezioni politiche, che penalizzeranno la classe dirigente, anche meridionale, della Casa delle libertà che si è prestata a questo tragico scambio.
Va dato atto, e lo facciamo come Socialisti, a Marco Follini di essersi chiamato fuori da questa offensiva sceneggiata di Reggio Calabria, ed oggi, alla luce delle sue ultime decisioni, quel gesto assume ancor di più un alto valore politico e di rispetto verso i cittadini del Mezzogiorno d'Italia.
Di fronte ai continui inviti a soprassedere al varo di questa riforma, il centrodestra ha sempre replicato ricordando che il Titolo V della Costituzione fu modificato dal centrosinistra nella passata legislatura con i soli voti della maggioranza.
Questo è vero, colleghi, ma è altrettanto vero che i leader del centrosinistra hanno più volte riconosciuto, con onestà, che sbagliarono a fare approvare la revisione del titolo V con i soli voti della maggioranza, pur avendo ricevuto, allora, il sostegno pieno di tutti i presidenti delle venti regioni italiane e pur essendo stata confermata la scelta da un referendum popolare.
Oggi, il discorso è - lasciatecelo dire - profondamente diverso. La riforma che proponete voi della maggioranza di centrodestra, sotto il ricatto di un partito che rappresenta meno del cinque per cento degli italiani, costituisce una modifica strutturale delle fondazioni della Casa costituzionale edificata nel 1948. Sarebbe il caso che si tornasse alla correttezza istituzionale e che prevalesse il buonsenso. In caso contrario, lo Stato rischierà di sgretolarsi a causa di queste continue alterazioni dei pilastri che lo sostengono. Prima di ogni altra cosa, dovrebbe essere chiaro a tutti, colleghi, che la Costituzione non può essere esposta di continuo alle spinte quotidiane di chi è al Governo né può essere riformata a colpi di maggioranza né può essere utilizzata come merce di scambio per garantirsi la tenuta di una coalizione.
Noi vi consigliamo di fermarvi. Se non lo farete, come purtroppo temiamo, dopo la grande spinta al cambiamento ricevuta dalle primarie, toccherà al centrosinistra aprire la nuova fase della riscossa nel nostro paese: con la vittoria elettorale nel 2006 e con il referendum abrogativo di questo mostro giuridico che cancella l'impianto di una Costituzione che noi Socialisti continuiamo a ritenere, nonostante i suoi anni, giovane, moderna, progressista e libertaria (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-SDI-Unità Socialista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.
 
PINO PISICCHIO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, con il voto di oggi sulla riforma costituzionale, la Camera si trova a fornire, a pochi giorni di distanza dall'approvazione della legge elettorale, una seconda prova di sconcertante velocità di decisione (quasi a volere evitare troppe occasioni di ripensamento): una decisione che viene assunta nella dimensione bizzarra dell'inaudita altera parte, su una riforma autoprodotta, autodiscussa ed autoapprovata da parte della stessa maggioranza, con una velocità che non abbiamo visto riservata, in quest'aula, neppure alle più innocue ratifiche di trattati internazionali.
Eppure, quel grumo di norme che la pubblica opinione ha imparato a conoscere con il vacuo ed inutile barbarismo di devolution non è faccenda di pochi addetti ai lavori: è la modifica di un'intera impalcatura dell'ordinamento costituzionale!
La Costituzione, così come la legge elettorale, ma ancora più di questa dal punto di vista della gerarchia delle norme, è la regola condivisa del gioco, a fondamento dello Stato democratico, e non può essere cambiata, com'è stato ricordato più volte, a colpi di maggioranza. A parere di molti autorevoli costituzionalisti, appare incerta, già oggi, l'applicabilità della formula prevista dall'articolo 138, proposto e predisposto dal costituente per adattamenti limitati e non certamente per riforme di impianto come quella che si va ad approvare, peraltro in un Parlamento espressione di uno spirito maggioritario. La revisione costituzionale è, infatti, un momento di riformulazione della regola condivisa, della norma di tutti gli italiani e non già di una maggioranza, come quella eletta per esprimere un Governo nel sistema maggioritario.
Approvarsi le riforme a maggioranza, a colpi di maggioranza - lo dico ai colleghi del centrodestra, recentemente conquistati dal demone del proporzionale, il che, per la verità, non ci dà dispiacere - significa sottoporre il sistema ad un'estenuazione continua: ogni maggioranza farà la sua Costituzione!
Già ha sbagliato il centrosinistra - noi dell'UDEUR abbiamo più volte stigmatizzato l'errore, ma ha avuto la lealtà intellettuale di riconoscerlo lo stesso centrosinistra - a forzare, nella passata legislatura, sul Titolo V, sia pure sostenuto del consenso dei rappresentanti delle autonomie locali di entrambi gli schieramenti.
Perseverare in questo errore ci sembra un inutile accanimento destinato a ricadere sull'ordinamento, sulla sua credibilità e, dunque, sui cittadini utenti della forma Stato.
La Costituzione è fatta per durare nel tempo, per essere la certezza, il riferimento sicuro della cittadinanza democratica. Non ci pare che gli Stati Uniti o la Francia o le grandi democrazie occidentali abbiano sentito il bisogno di scompaginare le sacre carte su cui è edificato l'ordinamento delle loro istituzioni statuali e il registro dei diritti fondamentali del cittadino di fronte allo Stato. Le loro Costituzioni sono le stesse da decenni se non addirittura da centinaia di anni, come negli Stati Uniti.
Probabilmente, occorrerebbe un'intesa, una sorta di moratoria tra tutte le parti politiche. Il Parlamento, quale che possa essere la maggioranza risultante dalle elezioni, deve impegnarsi a promuovere un'Assemblea per la revisione costituzionale eletta a base proporzionalistica e rappresentativa di tutte le culture e i filoni politici principali nel nostro paese; un'Assemblea chiamata, entro il tempo definito, alla riscrittura di quelle norme contemplate nella parte seconda della nostra Costituzione relative all'organizzazione dello Stato-ordinamento che, nel corso dei lunghi anni trascorsi dalla Costituente, si sono consumate.
Solo così potrebbe essere consegnato al paese un nuovo contratto sociale capace di esprimere davvero lo spirito civile del popolo sovrano. L'impianto che, invece, state approvando, colleghi della maggioranza, è solo il frutto di un patto scellerato, di un'intesa di scambio tra i partiti nazionali del centrodestra con il partito regionale della Lega, un do ut des ben cadenzato e sincronizzato, una legge elettorale contro una devolution con un sovrappiù di Cirielli.
Devolution: c'è un bello scritto di Magris comparso l'altro ieri su un quotidiano nazionale indipendente. È un interessante accostamento tra l'espressione devolution, ripetuta con coatta iattanza, e Alberto Sordi. Scrive Magris: «Alberto Sordi è morto e i suoi involontari imitatori hanno poco del suo genio e molto della balordaggine dei personaggi da lui creati».
Il fatto è, illustri colleghi della maggioranza, che questa parola ipnotica, così gagliardamente esibita dalla Lega, appare sempre più inconsapevole delle sue stesse ragioni. Cos'è, infatti, nell'esperienza storica e nella dottrina, il processo federalista che porta alla devoluzione delle competenze? È un processo di riunificazione o di unificazione di enti, territori, Stati, precedentemente separati. Gli Stati Uniti, per esempio, o la stessa Unione europea, anche se non ha raggiunto ancora l'esperienza di un'integrazione federalista.
Come si attua quel processo? Trasferendo poteri e porzioni di sovranità degli Stati all'entità ad essi sovraordinati: la Confederazione in America, l'Unione europea qui da noi. Il percorso inverso, quando non segue la logica del regionalismo e del decentramento funzionale, quando abbandona l'insegnamento di Sturzo, di Cattaneo, di Gioberti, quando diventa battaglia ideologica, rischia di scivolare verso altri approdi pericolosi e lesivi dell'unità nazionale. Ecco, allora, la devolution, con tutto il carico di ideologismo secessionista che reca con sé!
Colleghi, questa riforma è un pericolo per l'unità della nazione e per questa ragione l'UDEUR manifesta in quest'aula, ancora una volta, il forte «no» alla devolution per la sua intima portata secessionistica, antisolidaristica e fortemente antimeridionalistica (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-SDI-Unità Socialista - Congratulazioni)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
 
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, siamo giunti al termine di un percorso che porterà...
 
ANTONIO BOCCIA. Presidente, stiamo discutendo la riforma della Costituzione...!
 
PRESIDENTE. Per cortesia, prego i colleghi di prendere posto! Colleghi...!
 
GRAZIELLA MASCIA. ...la Camera dei deputati ad approvare la riforma della seconda parte della Costituzione, che avrà gravi ripercussione anche sulla prima parte, quella riguardante i diritti fondamentali; una riforma che demolisce diritti e princìpi, modifiche che finiranno per sfigurare definitivamente il nostro sistema costituzionale.
Sul merito dei singoli aspetti (l'alterazione dei poteri e delle funzioni del Capo dello Stato, la concentrazione di poteri forti nelle mani di un Primo ministro, la politicizzazione della Corte costituzionale, lo svuotamento dei poteri del Parlamento, la devolution) abbiamo a lungo discusso in quest'aula e già prodotto una mobilitazione nel paese per la difesa di una rinnovata legalità costituzionale, anche attraverso la riappropriazione di uno spazio pubblico espropriato da troppi interessi personalistici e da troppe riforme che guardano solo dalla parte del potere. Il nostro giudizio è netto e la nostra contrarietà è totale!
Ho trovato a tale proposito molto attuali le parole di Piero Calamandrei; già nel lontano 1952 egli ammoniva sugli effetti nefasti dell'identificazione tra maggioranza e Costituzione: padrona del Governo, diceva Calamandrei, si è accorta che chi governa può benissimo fare a meno di tutti quei controlli costituzionali che lo spirito romantico dell'Assemblea costituente aveva sognato, la Corte costituzionale, l'indipendenza della magistratura, il referendum popolare, bellissimi temi per conferenzieri da circoli rionali, ma in pratica intralci micidiali per chi è al potere e vuole rimanerci.
E allora, la conclusione, prima appena sussurrata, poi in questi ultimi tempi apertamente proclamata, è venuta da sé: non è il Governo che deve adattarsi alle esigenze della Costituzione, è la Costituzione che deve conformarsi alle esigenze di questo Governo! Questa non è la Costituzione fatta dal popolo italiano per il popolo italiano; questa è la Costituzione fatta affinché la maggioranza possa continuare a rimanere maggioranza: la Constitution c'est moi!
E ancora, aggiungeva Calamandrei, è stato detto che la schiettezza di una democrazia è data dalla lealtà con cui il partito (o la coalizione nel nostro caso) che ha il potere è disposta a lasciarlo. La lealtà del gioco democratico è soprattutto nel saper perdere, ma la democrazia diventa una vuota parola quando il partito che si è servito dei metodi democratici per salire al potere è disposto a violarli pur di rimanervi, il che può farsi anche senza mettere fuorilegge gli oppositori, con qualche ben studiata revisione costituzionale o anche semplicemente con qualche trucco elettorale, che permetta al partito che è al potere di rimanervi, anche quando nel paese sia diventato minoranza: parole purtroppo di piena attualità, che Calamandrei scriveva più di cinquant'anni fa. Oggi però, c'è qualcosa di più: la classe dirigente che ci governa ritiene che la politica serva essenzialmente a fare gli interessi delle lobby di suo riferimento e, prima di tutto, quelli personali del suo leader.
È una politica questa quale massima espressione del privato, è l'incarnazione portata alle estreme conseguenze del personalismo e dell'esaltazione del leader, e non più coalizione di ideali ma rappresentazione di interessi immediati, leciti e non: in altre parole, il tentativo di costituzione di un partito-azienda. L'attuale Costituzione, stando così le cose, non può essere altro che un intralcio agli affari, occorre cambiarla, adeguarla ai nuovi tempi che, se non gloriosi, saranno però forieri di grandi soddisfazioni materiali.
Così siete andati avanti a tappe forzate, con un progetto costruito e discusso fuori dalle aule del Parlamento, con i vostri cosiddetti «saggi» che definivano le sintesi possibili sulla base di interessi, sensibilità e sollecitazioni particolari delle diverse forze politiche della Casa delle libertà.
Potevano le opposizioni, le sinistre, cercare un accordo con questa maggioranza? Certamente no!
Nelle democrazie parlamentari, ma si potrebbe dire nelle democrazie tout court, compito delle opposizioni è quello di vigilare affinché la maggioranza legiferi entro i limiti posti dalla Costituzione, non quello di accordarsi con essa. L'opposizione è il cane da guardia della Costituzione e, di fronte al pericolo, deve abbaiare e all'occorrenza mordere.
Fuor di metafora, l'opposizione ricorre a tutti i metodi democratici, dal confronto parlamentare, alla sensibilizzazione, alla movimentazione nel paese, al ricorso alla Corte costituzionale (custode ultima della Carta), al referendum (procedura che attiveremo). Le opposizioni devono comunque sempre considerare ed usare, non per i propri interessi immediati ma per quelli del paese, tutti gli strumenti che la democrazia mette a disposizione.
Chi si rivolge alla Costituzione, diceva Togliatti citando Dante, è: «(...) come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte (...)». Oggi, la maggioranza, il lume, lo porta davanti, ad evitare tutti gli ostacoli che possono intralciare un cammino di affari, di immunità e di impunità. Perciò, in questi mesi, è stato necessario per le opposizioni dare al paese un segnale forte: non basta solo non trattare, ma bisogna far sapere che in questa Assemblea si è ormai nell'impossibilità di svolgere il proprio compito di parlamentare. Dunque, il più grande senso di responsabilità nei confronti delle istituzioni democratiche e del paese intero comporta proprio l'utilizzo di tutti gli strumenti consentiti dal regolamento; e così ci siamo condotti, dall'ostruzionismo all'abbandono dell'aula al momento del voto. Abbiamo in ogni caso voluto sottolineare come la democrazia, di questi tempi, rischi di diventare una parola vuota; oggi, ci sarà una sola votazione, quella finale di questa lettura - tuttavia, vogliamo che rimanga agli atti il nostro annuncio di voto contrario -, ma insisteremo nel paese con queste nostre denunce, preparando i referendum e dando segnali forti per dissociare inequivocabilmente le opposizioni dalle scelte scellerate della maggioranza: con chi ritiene la politica l'espressione migliore dei propri interessi, nessun commercio (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gibelli. Ne ha facoltà.
 
ANDREA GIBELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio Berlusconi, oggi, con il voto sulla riforma costituzionale, facciamo entrare la Casa delle libertà nella storia del paese (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo), introducendo un cambiamento epocale realizzato dopo sessant'anni di immobilismo. Il voto di oggi rappresenta le ragioni di un'alleanza politica nata cinque anni fa per cambiare un paese prigioniero di un sistema costituzionale che nei fatti gli ha impedito di essere competitivo e moderno.
Presidente, tutti gli Stati maggiormente protagonisti sul versante della crescita economica sono Stati federali: l'occasione offerta dal voto di oggi, o si coglie e si entra nella storia, oppure, non si coglie e si lascia per sempre la possibilità di cambiamento. Oggi, intendo dare risposte anche a chi ancora una volta tenta, o in termini politici - i colleghi di centrosinistra - o in termini giornalistici, di denigrare un modello di Stato che, là dove applicato, è stato un successo storico. Oggi si tenta di far passare concetti che nulla hanno a che fare con le ragioni stesse del federalismo o con la filosofia di pensiero che ha animato storicamente i padri del federalismo.
Per dare un senso a quanto ha sempre animato la Lega nella sua missione storica - proporre l'unica soluzione possibile per cambiare radicalmente il paese -, mi rivolgo a lei, Presidente Berlusconi, come leader della coalizione, con le parole scritte, circa centocinquanta anni fa, da Carlo Cattaneo. Ebbene, Cattaneo così scriveva: «(..) Ogni popolo può avere molti interessi da trattare in comune con altri popoli; ma vi sono interessi che può trattare egli solo, perché egli solo li sente, perché egli solo li intende. E v'è inoltre in ogni popolo anche la coscienza del suo essere, anche la superbia del suo nome, anche la gelosia dell'avita sua terra. Dì là il diritto federale, ossia il diritto dei popoli; il quale debba avere il suo luogo, accanto al diritto della nazione, accanto al diritto dell'umanità».
Queste parole, scritte nel XIX secolo, sono per noi oggi un lume sull'identità perduta dell'Europa; in contestazione con un modello di Stato continentale, tecnocratico ed indifferenziato, comincia oggi a far sentire il suo peso il senso di appartenenza dei popoli europei.
Oggi, vi è un gran parlare tra laici e cattolici sul tipo di società e di Europa che si vorrebbero edificare; si tenta di definire un insieme di valori irrinunciabili per vincere le aggressioni culturali e la sfida che la globalizzazione impone.
Questi intellettuali, pur affrontando il tema dell'identità dell'Europa in senso laico-cristiano, non affrontano mai, in concreto, il modello di Stato che dovrebbe garantire il giusto equilibrio tra locale e globale, tra identità e progresso. Noi della Lega Nord abbiamo fatto la nostra parte, proponendo una soluzione concreta.
Non va dimenticato che oggi si è giunti a questo importante appuntamento interpretando politicamente le spinte dal basso dei popoli, che hanno chiesto, dalle piazze, dalle strade e dagli enti locali, un diverso modo di partecipare alla vita istituzionale, comprendendo, prima di ogni altro, la crisi degli Stati nazionali, minacciati dalla globalizzazione.
Tale bisogno, cui prima la Lega Nord, poi tutta la Casa delle libertà hanno saputo dare una risposta, oggi diventa realtà. Infatti, il processo di globalizzazione in atto, che costituisce il principale carattere distintivo della fase storica che stiamo vivendo, ha nell'omologazione forzata delle diversità culturali, etniche, religiose e sociali il proprio fondamento. Il lato oscuro della globalizzazione trova come maggiore alleato la sinistra italiana ed europea, che vede nell'indifferenziazione l'attuazione in concreto dell'eguaglianza assoluta, ispirandosi a modelli sociali, culturali e politici crollati miseramente con la caduta del muro di Berlino del 1989, ma che, ancora oggi, tentano di omologare l'Europa ad una loro visione di parte, senza interpretare i bisogni e le ragioni storiche di un continente che, per millenni, si è dato un modo per riconoscersi, e quindi un modo per vincere le sfide del futuro.
Per contrastare il cosiddetto «mondo uno», in cui le differenze si appiattiscono, gli Stati più moderni - lo ripeto: gli Stati più moderni - hanno risposto in un modo: decentrando il potere politico. In altre parole, di fronte all'omologazione delle diversità, i popoli rispondono con la «rivoluzione federalista». Essi, cioè, tentano di preservare e di mantenere intatte le proprie tradizioni, le proprie radici e le proprie identità, vale a dire quel senso di appartenenza che ha fatto nascere, in Europa, quei principi fondanti che oggi, invece, qualcuno vuole relativizzare. I principi che rappresentano la cultura di riferimento dell'Europa non sono concetti astratti, Presidente Berlusconi, ma rappresentano la traduzione delle radici, delle identità e delle tradizioni dei popoli europei.
Annullare i popoli vuol dire annullare la cultura di riferimento che ha fatto dell'Europa la patria delle libertà e dei diritti, e lasciare il campo ai rigurgiti comunisti e postcomunisti, che considerano la tradizione e le identità il retaggio di un oscuro passato, per proporre, nell'uguaglianza indistinta, un sogno utopistico sconfessato dalla storia (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Oggi i nemici del federalismo e della devoluzione usano termini che denigrano un processo irreversibile, riportando sulle prime pagine di numerosi quotidiani nazionali falsità, distorcendo la realtà e proponendo concetti che sono l'opposto dell'essenza stessa del federalismo. È paradossale notare che i nemici del federalismo e della devoluzione continuano oggi a sostenere l'idea che il federalismo che la Lega propone dividerà il paese!
Non è forse un caso che, in Europa, l'esperienza di maggior progresso economico e sociale si sviluppi all'interno di paesi federali. Infatti, le ristrutturazioni dei poteri e delle libertà - e sottolineo delle libertà -, avviate primariamente nei cantoni svizzeri, poi nelle comunidades autonomas spagnole, nei Länder tedeschi ed austriaci, nelle comunità e regioni belghe e nella devolution di Scozia, Galles e Irlanda del Nord, stanno assumendo forme sempre più precise e motivazioni adeguate alle necessità di un mondo caratterizzato ormai, ed in modo definitivo, dal pluralismo culturale e decisionale, nonché dalla varietà rispetto all'uniformità.
Anche sulla devoluzione si parla a sproposito. Come si fa a credere che sia negativo il trasferimento di poteri e competenze dallo Stato centrale alla periferia, come afferma la sinistra italiana, senza avere l'onestà intellettuale di vedere un modello di riferimento nella Gran Bretagna di Tony Blair, un leader laburista che, proprio in questi anni, sta riformando il paese dando più potere alla Scozia e al Galles? Infatti, il Regno Unito, che rimane tale - al di là di tante chiacchiere comuniste! -, con l'approvazione dei progetti voluti dal Governo nel 1997, ha imposto un'accelerazione storica che ha visto, nella decentralizzazione dei poteri, un modo per sviluppare democrazia diretta ed autogoverno nelle comunità territoriali.
Mentre la Gran Bretagna compiva scelte coraggiose, diventando un faro di riforme istituzionali e sociali, noi abbiamo «sonnecchiato» con le riforme Bassanini e con l'inconcludenza di Romano Prodi (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Evidentemente, il federalismo e la devoluzione toglieranno potere all'ultimo partito-Stato, ossia i DS. Avrà minor peso quella cultura catto-comunista, che vede nell'identità non un fatto sociale, ma un fatto rigorosamente e vergognosamente privato. Noi, invece, riteniamo, attraverso il concetto di federalismo per devoluzione, un modo per spiegare come uno Stato ipercentralizzato ed iperburocratizzato - e, quindi, non federale - può trasformarsi gradualmente in uno Stato federale. Non una riforma di facciata, come quella del centrosinistra, ma una riforma che cambierà il volto del paese.
La lezione di Carlo Cattaneo, dopo centocinquanta anni, è ancora viva e straordinariamente attuale, ma per poterla concretizzare vi è stata la necessità di un movimento politico che ha portato il federalismo all'interno delle discussioni parlamentari. Ciò ha avuto bisogno della spinta, negli ultimi trent'anni, della Lega Nord che, in nome di un ideale, ha imposto e voluto un patto politico per un idem sentire con chi ha voluto approcciare tale progetto.
Proprio oggi mi rivolgo agli alleati della Casa delle libertà, Alleanza Nazionale, l'UDC e Forza Italia: con questo voto si dimostra che questa riforma è l'esempio che sensibilità diverse hanno saputo diventare complementari. Questa riforma è la testimonianza che la storia repubblicana può essere rinnovata. Riconosco il merito di chi ha abbracciato l'idea federalista. Ci aspettiamo che il processo iniziato oggi sia ancora, per il futuro e per il prossimo appuntamento elettorale, il punto di contatto tra noi e voi ed un modo per continuare sulla strada del federalismo. Con il federalismo fiscale, è un modo concreto per dare risposte alle esigenze del nord, alle esigenze del centro ed alle esigenze del sud. Non può esistere, cioè, uno Stato come quello attuale, che dietro la tenda corta dell'unità di facciata, toglie i soldi ai poveri delle regioni ricche per darli ai ricchi delle regioni povere (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Oggi, Presidente Berlusconi si deve prendere atto (Commenti del deputato Maura Cossutta)...
 
ANDREA GIBELLI. Stai zitta!
Si deve prendere atto che, con la scelta di democrazia e di cambiamento adottato dalla Lega Nord, la devolution ed il federalismo diventano un fatto concreto nella storia, non solo politica, ma istituzionale del paese.
 
PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, si avvii a concludere.
 
ANDREA GIBELLI. Concludo, signor Presidente.
La Lega Nord ha una sola parola. Non ammette tentennamenti, ma sa riconoscere chi rispetta gli accordi e se vi fosse ancora, nel centrodestra, qualcuno che avesse un dubbio sulla necessità storica di un cambiamento netto quale questo, nessuna tra le parole che potrei aggiungere a quelle che ho pronunziato possono valere quanto le seguenti: «(...) qui ho sentito linguaggi diversi dal nostro, eppure quelle lingue non ci erano straniere, perché parlavano del più grande bisogno dell'uomo, quello della libertà, quello del diritto di potersi riconoscere nella propria gente, quello del dovere di partecipare alla storia degli altri popoli, non come distruzione, non come sopraffazione, ma come collaborazione e solidarietà. Non, quindi, l'Europa dei finanzieri, ma anche l'Europa della piccola e della media industria e dell'artigianato, convinti come siamo che la vita la devono fare gli uomini. Noi non abbiamo paura di dire quello che pensiamo, perché siamo forti della forza dell'onestà, dell'obbedienza e della fratellanza (...)».
 
PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, concluda.
 
ANDREA GIBELLI. Concludo, signor Presidente. Queste parole sono state stampate, volantinate e pagate dal popolo di Pontida.
Se ho iniziato il mio intervento con le parole di Carlo Cattaneo, non posso che concluderlo con chi le ha pronunciate, il 9 dicembre del 1989, ossia Umberto Bossi (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.
 
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, voteremo ed approveremo oggi la riforma costituzionale, nella piena consapevolezza di aver lavorato, nel corso di questi anni, avendo a cuore il bene del paese e delle future generazioni (Una voce dai banchi del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo: Bravo!).
 
PRESIDENTE. Per cortesia! Prego i colleghi di prendere posto e di lasciar svolgere l'intervento all'onorevole Volontè. Ministro Landolfi, per cortesia!
Prego, onorevole Volontè.
 
LUCA VOLONTÈ. A fronte della richiesta pervenuta da parte di un alleato, soprattutto la Lega Nord, di attuare il programma della Casa delle libertà sulla devolution, chiedemmo infatti - noi dell'UDC - di ampliare le riflessioni sulle lacune e sugli errori presenti nella riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, ossia la riforma varata dal centrosinistra. Era la primavera del 2003. Da allora in poi, la storia di questa riforma, più ampia e più completa ha preso l'avvio.
L'approccio riflessivo e temperato che abbiamo dimostrato in questi anni ci ha consentito oggettivamente di rispondere a quei problemi e di far evolvere positivamente il sistema delle competenze verso un federalismo solidale, molto più equilibrato e comunitario di quello attuale.
Con un'azione attenta alla realtà, come essa si è evoluta in questi anni, si è posta mano ad alcune materie oggi collocate tra quelle concorrenti, riportandole laddove devono stare, cioè in uno Stato federale che abbia a cuore l'origine stessa della propria nazione.
Già nell'articolo 114 della Costituzione si è svolta esplicitamente un'analisi, per merito soprattutto nostro, e si è fatto riferimento ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà, come principi ordinativi dei rapporti e dei comportamenti istituzionali tra Stato, regioni, province, città metropolitane e comuni.
Per queste ragioni, l'inceppamento della riforma del Titolo V e la migliore definizione del principio di sussidiarietà, si sono voluti introdurre elementi correttivi e, nello stesso tempo, innovativi dell'articolo 117 della Costituzione.
Le materie riportate in capo allo Stato (le norme generali sulla tutela della salute, della sicurezza e della qualità alimentare, l'ordinamento della capitale federale, le reti strategiche di trasporto e navigazione di interesse nazionale, le relative norme di sicurezza, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento delle professioni intellettuali, l'ordinamento sportivo, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, la promozione internazionale del sistema economico produttivo italiano, come la politica monetaria, la tutela del credito, le organizzazioni comuni di mercato) rispondono a entrambe le esigenze già citate.
Quanto alle distorsioni prodotte dalle modifiche introdotte nella scorsa legislatura, basti guardare alle critiche, alle autocritiche, ai costi (circa 61 miliardi di euro stimati dall'ISAE) e ai contenziosi presenti e pendenti dinanzi alla Corte costituzionale.
Mi vorrei soffermare, in questa totale confusione e in questo disturbo - se mi consente -, su alcune altre materie. La promozione del sistema economico produttivo italiano in capo allo Stato, evidentemente, risponde alle esigenze che, nel mondo globalizzato, hanno non solo e non tanto le nostre imprese, quanto i prodotti italiani.
Un ultimo accento va posto sulla opportuna e indispensabile rimessione della tutela della salute in capo alla legislazione esclusiva dello Stato. Con ciò - è di tutta evidenza -, si risponde alle preoccupazioni del paese sulla possibilità di diverse norme e, quindi, di diversi interventi in materia di tutela della salute, a seconda della regione in cui il cittadino risiede. È indubitabile che, diversamente dalla precedente riforma costituzionale, la tutela della salute è garantita su tutto il territorio nazionale per tutti i cittadini italiani.
L'UDC ritiene fermamente che l'introduzione del principio di sussidiarietà e della sussidiarietà fiscale, in particolare, ossia di più libertà per le persone e per la società, produrrà riflessi positivi soprattutto per il cittadino, consentendogli di superare tutti gli ostacoli burocratici che incontra nel quotidiano. Soprattutto, ciò potrebbe rappresentare un volano di sviluppo straordinario per tutte quelle iniziative no profit che facilitano il passaggio da un welfare State bloccato ed antico ad una welfare society.
Il fatto che le autonomie funzionali non dovranno più tenere conto che una qualche regione approvi una norma contro di essa, una chiara e nuova allocazione delle materie che sono state riportate tra le competenze dello Stato, le nuove materie inserite tra quelle delle regioni e, infine, la cosiddetta clausola di supremazia, fortemente voluta da noi, tutto ciò attua un federalismo equilibrato e solidale tra il centro e la periferia, tra il Nord e il Sud, tra la società italiana lo Stato.
Siamo stati tra quelli più prudenti, rispettosi ed anche timorosi nei confronti del percorso delle riforme costituzionali. Lo siamo stati perché fermamente convinti che lo spirito unitario che ha animato i lavori costituenti debba essere ritrovato ogni qualvolta si affronti un tema centrale, qual è la legge fondamentale di una nazione.
Ricordo come nel luglio dello scorso anno eravamo stati messi sul banco degli imputati e ritenuti responsabili di una crisi. Ebbene, la nostra posizione era motivata da ragioni di cui oggi la maggioranza va in gran parte fiera. Il metodo del confronto con la società italiana ha portato molti miglioramenti del testo dall'inizio della legislatura ad oggi.
Ma, se, da una parte, grazie alla nostra tenacia e alla costanza di allora, oggi il testo è divenuto patrimonio comune e condiviso, non possiamo non ricordare con rammarico l'atteggiamento pregiudizievole assunto dall'opposizione (Il Presidente Casini fa il suo ingresso in aula - Generali applausi).
 
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 12,55)
PRESIDENTE. Vi ringrazio molto, onorevoli colleghi.
Mi scusi, onorevole Volontè, sono io l'elemento di perturbazione (Generali applausi). Onorevoli colleghi, lasciamo continuare l'onorevole Volontè.
 
LUCA VOLONTÈ. Complimenti, Presidente!
 
PRESIDENTE. Grazie!
 
LUCA VOLONTÈ. Se, grazie alla nostra tenacia e costanza di allora, oggi il testo è divenuto patrimonio comune e condiviso, non possiamo non ricordare con rammarico l'atteggiamento pregiudizievole assunto dall'opposizione, che allora lanciava fiori al nostro passaggio, salvo poi cambiare rotta - lo abbiamo visto qui lo scorso anno -, quando si avvide che le nostre ragioni non erano volte alla rottura, bensì al miglioramento del testo. È stato un «no» a prescindere, merito certamente di Prodi o meglio demerito suo e di chi, come lui, ha scelto di non contribuire alla costruzione comune della Carta costituzionale appunto di tutto il popolo italiano.
Non rintraccio alcun merito nell'evitare il dialogo. Non vi è merito alcuno ad evitare il confronto di lavoro comune per il bene del paese; un diabolico perseverare, che avete tenuto anche in occasione del dibattito sulla legge elettorale, una legge elettorale che non è assolutamente in contrasto, è evidente, con il testo costituzionale. Basterebbe ricordare qui, ai molti colleghi che hanno rinvenuto invece un contrasto, l'articolo 30 delle modifiche che andiamo a votare, dove esplicitamente è prevista anche la possibilità di una legge elettorale proporzionale. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere e di averlo fatto bene.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo votato allora e voteremo oggi una riforma che arriva in porto assai diversa da come era partita. Per cercare di cambiarla, ci siamo assunti le nostre responsabilità e i rischi del caso. La devolution è controbilanciata da tante competenze che tornano, com'è giusto, allo Stato. La clausola di supremazia segna il primato della politica nazionale sul localismo. La sussidiarietà è entrata a pieno titolo nel lessico costituzionale. Il premierato, infine, è temperato dalla possibilità di approvare una mozione di sfiducia costruttiva.
Questo è il contributo che il gruppo dell'UDC ha dato a questa riforma. Queste, come altre, sono le ragioni che ci stanno a cuore, per continuare a confermare anche oggi il nostro voto favorevole (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana).
 
Si riprende la discussione.
(Ripresa delle dichiarazioni di voto finale - A.C. 4862-C)
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
MARIO CLEMENTE MASTELLA
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.
 
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, siamo compiaciuti di vederla qui. La sapevamo impegnato in una visita di Stato in Giappone, invece è qui con noi (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale), a vivere - suppongo - la mortificazione di dover esprimere - lei che oggi poteva rappresentare tutta la nazione - il suo singolo voto di semplice parlamentare, un voto che rappresenta solo lei, aggiungo per nostra fortuna: il suo, solo lei.
Vengo dunque al merito. Questa seconda lettura della riforma, per il tempo e per il clima politico in cui avviene, consente di tracciare un bilancio della strategia riformista, che avete imposto a questa legislatura. Una strategia che mi pare si possa riassumere così: demolire i pilastri della cosiddetta Costituzione materiale, come precondizione della demolizione di quelli della Costituzione formale. Un disegno non certo moderato e ancor meno inseribile nella tradizione politica moderata della nostra storia repubblicana.
Anni fa, Beniamino Andreatta mi raccontava che un suo collega di Governo di allora, che oggi sostiene il suo Governo, onorevole Berlusconi, gli disse: alla fine vi batteremo, utilizzando la sola arma in cui vi superiamo, la spregiudicatezza! Ecco, a me pare che la vostra non sia stata una strategia riformista, né moderata, né rivoluzionaria, ma semplicemente spregiudicata. Una strategia nichilista! Avete infranto tabù, ma anche profanato istituti e comportamenti strettamente connessi alla lettera e allo spirito del nostro modello di democrazia costituzionale. Avete introdotto il precedente di leggi finalizzate a risolvere problemi privati e personali del ceto politico, attraverso un processo di impossessamento e successiva privatizzazione dell'ordinamento.
Avete intenzionalmente provocato conflitti tra istituzioni repubblicane al fine di ottenerne un dichiarato indebolimento sino a modificarne il ruolo, come nel caso del Parlamento. Avete intenzionalmente, in varie fasi della legislatura, con interventi a volte collegiali a volte individuali, aggredito le istituzioni di garanzia - il Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale, la magistratura -, all'evidente scopo di erodere ogni spazio di intangibilità politica. Avete configurato, seppure manchi ancora l'approvazione del Senato, un cambiamento radicale dell'ordinamento elettorale senza motivazione storica o politica, a soli fini di auspicate convenienze elettoralistiche. Avete innescato conflitti sistematici e privi di motivazione fondata con istituzioni internazionali e comunitarie.
Sì, onorevole Berlusconi, l'Italia che ci lasciate è molto cambiata. Purtroppo, in peggio rispetto a quella che avete ricevuto in eredità dai Governi che vi hanno proceduto. È un'Italia con istituzioni più fragili, meno credibili, meno affidabili per chi le guarda dall'esterno, con un ordinamento che ha rinunciato al requisito indispensabile agli occhi di chi deve investire risorse e fiducia e guardare al futuro: la durabilità dell'ordinamento.
Questo è il contesto in cui è maturata ed è stata coltivata questa riforma costituzionale, onorevole Volontè. In tutti i paesi le Costituzioni sono fatte per durare nel tempo, oltre la vita delle fasi e delle diverse maggioranze politiche, perché esprimono ciò che deve restare comune ai vari soggetti della dialettica politica. La Costituzione si configura per questo come un patto: un tempo, tra il sovrano ed il Parlamento; oggi, tra le forze politiche e la società. Il patto esprime un consenso, dunque unisce.
Tutto questo avete voluto infrangere, avete voluto distruggere, avete voluto superare. La vostra furia nichilista a questo vi ha condotto. L'avete fatto utilizzando uno strumento, l'articolo 138 della Costituzione, che, come è stato ricordato, non è adeguato alla portata così vasta di questa riforma. La giurisprudenza costituzionale, interpretando correttamente lo spirito e la lettera dell'articolo 138, ha sostenuto che tale articolo non è strumento proporzionato e, dunque, utilizzabile per modifiche dei cosiddetti principi supremi e, quindi, dell'essenza della Carta stessa, come in questo caso.
Dunque, anche sotto questo profilo, avete dato corpo all'ossimoro del professor Sartori di varare una Costituzione incostituzionale. In un sol colpo sono stati modificati più di 50 articoli e vari titoli, sì da rendere di difficile praticabilità persino il referendum confermativo. Fare votare contemporaneamente e con un solo quesito sia il federalismo, sia il premierato contraddice, infatti, oltre che la logica del referendum, quella più genericamente democratica che richiederebbe voti distinti per quesiti distinti.
Con questa riforma, colleghi della maggioranza, si modifica, infatti, sia la forma di governo, sia la forma di Stato. Vengono riscritti e pasticciati i rapporti tra Stato e regioni: altro che devolution! Vengono radicalmente riformati e privati di essenziali poteri tutti gli organi di garanzia. Anche se formalmente non viene intaccata la prima parte della Carta, le modifiche della seconda parte, volte essenzialmente a personalizzare e concentrare molti poteri nella figura del Primo ministro, incidono pesantemente e sostanzialmente su non pochi principi sanciti nella prima parte. In questo senso, si può parlare di modifiche della forma di governo che realizzano modifiche della forma di Stato.
La concentrazione eccessiva di poteri in capo ad un solo organo, contestualmente all'indebolimento dei contrappesi di controllo e di garanzia, va ben al di là del pur positivo rafforzamento dei poteri del Capo del Governo, rompendo lo schema classico non di una semplice democrazia, ma di una democrazia costituzionale, come siamo soliti definire i modelli democratici occidentali. Il contrappeso a questi enormi poteri del Primo ministro (tra l'altro, oggi vistosamente in contraddizione con lo spirito e la lettera della vostra stessa riforma elettorale proporzionale e, di fatto, priva di veri vincoli coalizionali), non potendo essere realizzato dal Parlamento e, ancora meno, dalle tradizionali figure di garanzia, come il Presidente della Repubblica, dovrebbe, nelle vostre intenzioni, essere garantito dalla struttura federale dello Stato. Ma - ahimè -, anche in questo caso, vi sono solo proclami, intenzioni divisive dell'unità del paese; un insieme di grave confusione di prerogative e di poteri parcellizzati, sovrapposti, ripetitivi e conflittuali. Dunque, confusione e prevedibili sprechi di risorse, credibilità e funzionalità della Repubblica.
Se il clima di oggi - lo voglio dire al collega Volontè, il quale fa riferimento ad una tradizione che oggi ha subito una violenza enorme - fosse non dico un clima costituente, ma anche solo un clima di disponibilità, di dialogo civile, vi diremmo: fermatevi, ripartiamo daccapo! Tuttavia, purtroppo, avete fatto commercio simoniaco di parti della riforma fra parti della maggioranza, realizzando un patto più rozzo che mediocre, che vi condiziona e vi ricatta a vicenda.
Non resta, dunque, a noi, che non rinunciamo mai ad essere vigilanti rispetto ai rischi di deriva plebiscitaria e proporzionalistica, che confidare nel popolo, nella saggezza del popolo sovrano, perché, oltre ciò che non è stato possibile a questo Parlamento, possa cancellare, con il referendum, questa devastazione della Costituzione e creare le condizioni perché, insieme, nella prossima legislatura, uscendo dal clima surreale di una legislatura nichilista, si possa ripartire con razionalità e responsabilità.
Noi partecipiamo al voto e voteremo contro questo testo di riforma, come abbiamo fatto in prima lettura. Il nostro è un voto che esprime tutta la nostra contrarietà e la nostra indignazione morale e politica e, nello stesso tempo, il rispetto, non per la vostra presunta nuova Costituzione, ma per la sola Costituzione che conosciamo e che onoriamo nella sua sacralità: la Costituzione varata proprio in quest'aula dai padri della Repubblica italiana (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-SDI-Unità Socialista e Misto-Verdi-l'Unione - Congratulazioni)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gasparri. Ne ha facoltà.
 
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Presidente del Consiglio, siamo all'ultimo passaggio dell'esame del provvedimento in tema di riforma costituzionale alla Camera dei deputati, che ci consente di fare un bilancio dell'iter di questa riforma.
Vorrei ricordare ai colleghi della sinistra i numerosi errori che hanno commesso. L'onorevole Castagnetti ha ricordato molte cose, ma dimentica di dire che, nella scorsa legislatura, introduceste una riforma sbagliata della Costituzione, approvata con soli quattro voti di scarto. Il centrosinistra è affetto da una sorta di arroganza intellettuale, per cui, se ha una maggioranza, benché risicata, può cambiare le regole, altrimenti, se la maggioranza è di altri, o si concordano i contenuti con il centrosinistra o i cambiamenti non si possono fare!
Sia che vinciate sia che perdiate, vorreste comandare voi, invece di confrontarvi, come avreste dovuto fare, nel merito della riforma, con la coalizione di centrodestra.
Avevate proposto il premierato, lo avevate fatto nella Bicamerale, lo hanno fatto Giuliano Amato e tanti altri. Questa riforma costituzionale rafforza l'istituto del Governo e va, quindi, in una direzione che voi stessi avevate sostenuto ed auspicato. Siete, quindi, trasformisti a secondo delle esigenze!
Avete varato una riforma costituzionale, quella ancora oggi vigente, che all'articolo 116, con il terza comma, introduce rischi, quelli sì, di secessionismo, consentendo ad alcune regioni più «avanzate» di fare scelte autonome.
Avete introdotto, con l'articolo 117, la possibilità per alcune regioni di creare organi autonomi ed accordi tra loro.
Voi che criticate una presunta secessione, che non è presente in questo testo, a cosa pensavate? A macroregioni, alla Padania o a cos'altro?
Siete stati capaci di creare un contenzioso enorme tra Stato e regioni. L'attuale stesura della Costituzione, che noi intendiamo cambiare, ha affidato alla competenza concorrente di Stato e regioni un elenco sterminato di materie, innescando scontri di fronte alla Corte costituzionale, ben noti al Governo e alle stesse regioni.
Avete eliminato il concetto di interesse nazionale; dunque, nessuna lezione di patriottismo, soprattutto nei confronti di Alleanza Nazionale, da parte di chi l'interesse nazionale lo ha cancellato con un tratto di penna (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
Avete cancellato il riferimento al sud e proponete un discorso falso. Le menzogne che hanno accompagnato questa riforma devono essere smantellate. Nella Costituzione del 1948, all'articolo 119, era previsto che, per valorizzare il Mezzogiorno e le isole, lo Stato assegnasse per legge a singole regioni contributi speciali. Voi del centrosinistra avete cancellato questo riferimento; allora, né lezioni di patriottismo né lezioni di meridionalismo dai nemici del sud che sono seduti di fronte a noi, non certo da questo lato dell'emiciclo (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
La nostra riforma - intendo sottolineare che si tratta della «nostra» riforma - e l'unità della coalizione costituiscono un valore importante per il bipolarismo italiano. Si tratta della riforma non della Lega, ma della Casa delle libertà, che si riconosce interamente in questo testo. È un provvedimento che la Lega ha sollecitato con passione, ma che tutti abbiamo contribuito a costruire.
Si tratta dunque di un atto di coerenza; infatti, in campagna elettorale parlammo della riforma della Costituzione e l'abbiamo realizzata. Noi rispettiamo i programmi elettorali, perché siamo persone serie!
Questa riforma costituzionale esalta nella democrazia il ruolo del Primo ministro, consentendogli di nominare e revocare i ministri e di proporre lo scioglimento delle Camere; ritengo che chi dispone di un mandato elettorale debba poterlo esercitare, così come previsto in questo nuovo testo della Costituzione.
Si introduce la sfiducia costruttiva, affinché si possano attuare cambiamenti, ma rispettando la stabilità dei Governi, la coerenza delle coalizioni e il coinvolgimento dell'elettorato. Infatti, questo testo - amici della sinistra - sposta il baricentro verso la sovranità popolare, perché il voto dei cittadini non potrà essere alterato, perché se cambia la maggioranza si va al voto. È prevista una norma antiribaltone che soprattutto Alleanza Nazionale intende sottolineare, in combinato disposto ideale con la legge elettorale che abbiamo approvato (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!
I ribaltoni che avete realizzato, saccheggiando eletti ed elettori, la Costituzione in futuro non ve li consentirà più: questa è la verità della riforma che stiamo per approvare (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!
Diminuisce il numero dei parlamentari - diciamolo ai cittadini italiani -, ponendosi in essere una scelta coraggiosa al fine di disporre di Assemblee più snelle. Si stabiliscono tempi certi per l'approvazione delle leggi, rispondendo ad un'esigenza della democrazia. Democrazia non vuol dire non decidere! L'onorevole Violante fu promotore di una riforma del regolamento della Camera in questo senso; oggi la Costituzione procede proprio nella direzione di una democrazia decidente e non paralizzata, garantendo il bipolarismo, la sovranità popolare e tempi certi per approvare le leggi.
In questa riforma è inoltre contenuta un'idea cara alla destra: era stato l'onorevole Tatarella a parlare per primo dello statuto delle opposizioni; dunque, a lui dedichiamo l'inserimento nella Costituzione della previsione di uno statuto delle opposizioni (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)! Si tratta di una regola bipolare, di democrazia e di rispetto di coloro che si troveranno all'opposizione che, in questo modo, si vedranno garantiti diritti precisi. Questo vuol dire una democrazia matura!
Abbiamo anche introdotto la clausola di salvaguardia a favore dello Stato, la clausola di supremazia con l'articolo 120, così come modificato, ripristinando poi, all'articolo 127, l'interesse nazionale che voi, falsi patrioti della sinistra, avevate cancellato dalla Costituzione della Repubblica italiana (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro)!
Viene inoltre istituito un Senato federale. Caro Prodi, questa riforma non è un passo indietro, bensì in avanti, perché termina l'epoca del bicameralismo perfetto e si va verso una nuova forma di bicameralismo, con un Senato federale che dà voce, rappresentanza e forza al territorio. Anche questa è un'innovazione di grande importanza.
Si combatte - e a voi sembrerà paradossale - il neocentralismo delle regioni, con una Costituzione che dà spazio al concetto di sussidiarietà. Si danno più poteri al Capo dello Stato, che potrà nominare i presidenti delle autorità di garanzia, il presidente del CNEL e compiere anche altre scelte, oggi precluse a questa figura.
Si introduce il concetto ed il ruolo di «Roma Capitale» e, in proposito, ringraziamo la Lega che ha condiviso tale scelta, che ha un valore simbolico e che viene introdotta nella Costituzione perché la riforma è di tutti - come ho detto all'inizio - e non solo di alcuni (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana).
Abbiamo cambiato i criteri di nomina dei giudici della Corte costituzionale, per dare spazio alle regioni e per depoliticizzare - Dio sa quanto ce n'è bisogno! - i criteri di scelta dei membri della Corte costituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
Cari colleghi, noi le riforme le facciamo. Abbiamo approvato nel corso di questa legislatura molte riforme importanti: pensioni, scuola, università, mercato del lavoro, diritto societario e fallimentare, radiotelevisione, forze armate, legge obiettivo per i lavori pubblici, codice della strada...
 
MAURA COSSUTTA. Conflitto di interessi (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
 
MAURIZIO GASPARRI. ... ordinamento giudiziario, riforma del fisco, riforma della legge sull'immigrazione, voto per gli italiani all'estero. Noi abbiamo rispettato il patto con gli italiani e cambiato questo nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, della Lega Nord Federazione Padana).
Ed allora, oggi, con questo terzo voto, daremo più forza ad una grande riforma, quella della Costituzione. Saremo uniti come coalizione, riformeremo la Costituzione, e con il consenso degli italiani continueremo a governare l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni)!
 
LUIGI OLIVIERI. Li avete impoveriti, gli italiani!
 
ROBERTO MENIA. Stai zitto!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà (Commenti).
Onorevoli colleghi...! Onorevole Fassino, aspetti pure che le acque si siano placate. Facciamo trascorrere il tempo con serenità...
 
PIERO FASSINO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, prima di affrontare il tema al centro dei nostri lavori, vorrei richiamare l'attenzione di tutto il Governo, del Presidente del Consiglio e della Camera...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia, vi prego, si tratta un dibattito estremamente delicato!

PIERO FASSINO. Grazie, signor Presidente.
Vorrei richiamare l'attenzione del Governo e della Camera sul gravissimo episodio di violenza che ha funestato la vita della Calabria e delle istituzioni democratiche in questi giorni. Oggi pomeriggio se ne parlerà in quest'aula e naturalmente ascolteremo con grande attenzione quanto dirà il ministro Pisanu. Tuttavia, poiché vedo il Governo, al gran completo - e naturalmente mi auguro che sarà al gran completo anche nel pomeriggio -, vorrei richiamare l'attenzione del Presidente del Consiglio sulla drammaticità della situazione determinatasi in alcune aree del paese, laddove l'illegalità e la violenza organizzata mettono a repentaglio la convivenza civile.
Infatti, l'assassinio del dottor Fortugno non è un episodio isolato, bensì l'ultimo atto di drammatica violenza di una sequenza di attentati, di intimidazioni e di atti gravi e drammatici contro uomini delle istituzioni - locali e regionali - di quella regione che segna una vera e propria sfida lanciata dalla criminalità organizzata contro lo Stato.
 
FRANCO CARDIELLO. Dillo a Bassolino!
 
PIERO FASSINO. Per questo vorrei richiamare l'attenzione del Governo sulla necessità di un salto di qualità nella risposta da dare alla sfida della criminalità organizzata contro lo Stato e le sue istituzioni. Mi auguro, pertanto, che oggi il ministro Pisanu voglia illustrarci il senso, il segno ed i contenuti di questo salto di qualità nell'azione del Governo.
Venendo alle questioni di cui stiamo discutendo oggi, non posso non rilevare - lo hanno già fatto altri rappresentanti dell'opposizione e, da ultimo, l'onorevole Castagnetti - come voi stiate oggi consumando un altro grave strappo istituzionale, dopo aver voluto imporre a tutti costi, qualche giorno fa, una legge elettorale che accrescerà l'ingovernabilità e l'instabilità del paese. Quest'ultima, infatti, renderà le maggioranze parlamentari più fragili, più deboli: vi siete inventati un premio di maggioranza che al Senato renderà impossibile, di fatto, avere in quella Camera una maggioranza stabile e sufficientemente forte, chiunque vinca le elezioni.
Dopo aver consumato questo strappo, oggi ci presentate una riforma istituzionale che renderà ancor meno funzionante, efficiente e capace di corrispondere alle esigenze del paese e alle domande dei cittadini lo Stato e l'intelaiatura istituzionale. Voi ci presentate una riforma nella quale è previsto un premier onnipotente, che di fatto viene svincolato da qualsiasi capacità e possibilità di bilanciamento, nei suoi poteri, dal potere del Parlamento.
Però, vi segnalo che avete fatto qui approvare una legge elettorale che, invece, consegnerà il premier della coalizione che governerà ai ricatti e alle rendite di posizione di qualsiasi forza politica. Quindi, avete consumato, nello spazio di pochi giorni, due strappi di segno radicalmente opposto: una riforma costituzionale che, nelle vostre intenzioni, avrebbe l'obiettivo di dare più poteri al Presidente del Consiglio ed eccede, non bilanciando questo eccesso di potere con altrettanti poteri di altri organi dell'assetto istituzionale; al tempo stesso, quei poteri il Presidente del Consiglio non sarà in grado di esercitarli, perché prigioniero di una maggioranza politica che, con quella legge elettorale, sarà capace di ricattarlo e di condizionarlo su ogni decisione, su ogni passaggio politico.
Voi ci presentate un assetto camerale che non è, come ha detto l'onorevole Gasparri poc'anzi, il superamento del bicameralismo perfetto, ma è il passaggio dal bicameralismo perfetto a due monocameralismi in conflitto; perché una Camera darà la fiducia al Governo e l'altra non la darà. Perché alcune prerogative le avrà la Camera e altre le avrà il Senato. Perché sui criteri regolatori dell'applicazione di queste diverse prerogative è affidata la funzione di moderazione e di arbitro ai Presidenti delle Camere. E se si produce un conflitto tra i Presidenti delle Camere nell'attribuzione della potestà della prerogativa legislativa a una delle due, si produce un conflitto che paralizza l'attività parlamentare e la procedura legislativa.
Voi avete tolto, così, la certezza del funzionamento e delle procedure legislative di questo Parlamento. Voi ci presentate un Senato che non darà la fiducia al Governo, ma che ha, per come è congegnato e per i poteri che gli riconoscete, un diritto di veto che renderà il Governo prigioniero di una Camera che a quel Governo non ha neanche dato la fiducia.
Voi ci presentate una Corte costituzionale violentata nella sua composizione. Vorrei segnalare all'onorevole Gasparri, che non se ne è accorto, che non è vero che la Corte costituzionale sarà così meno politicizzata. Semmai lo sarà di più, essendo aumentati i componenti eletti da questo Parlamento rispetto ai componenti nominati o dal Presidente della Repubblica o dalle magistrature.
Non è vero che avete reso più snello il procedimento legislativo: al contrario, si determinerà una sovrapposizione di competenze che aumenterà conflitto e competizione tra le Camere, ed il procedimento legislativo diventerà ancor più complesso e difficile.
Ci proponete una devolution che non è il federalismo e che è molto lontana dal federalismo. Quest'ultimo è la capacità di riconoscere autogoverno alle comunità regionali e locali nell'ambito di un quadro di diritti e di opportunità offerte paritariamente a tutti i cittadini. Questo non avverrà con la devolution. Noi passeremo da un sistema sanitario nazionale unico, che oggi è gestito direttamente dalle regioni, a venti sistemi sanitari regionali.
Noi passeremo da un sistema scolastico nazionale unico, che in buona misura vede titolarità di funzione e di responsabilità nel sistema regionale, tanto più dopo la riforma del Titolo V, a venti sistemi regionali. Anzi, venti oggi, perché sulla base di questa vostra legge le regioni potranno diventare cinquantasei. E ciò avviene, lo segnalo al signor Presidente del Consiglio dei ministri, perché voi riconoscete un diritto di separazione con l'unico criterio che si abbia una dimensione demografica minima di un milione di cittadini e, stante che questo paese ha cinquantasei, e forse anche più, milioni di abitanti, voi avete innestato un meccanismo separatista che determinerà l'ulteriore frammentazione istituzionale dello Stato.
Ciò premesso, dico agli amici e colleghi di Alleanza nazionale che si preparano a sventolare il tricolore, che non basta sventolare il tricolore in quest'aula quando lo stesso viene calpestato da una legge che mette in discussione l'unità del paese e la coesione nazionale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-SDI-Unità Socialista e Misto-Verdi-l'Unione - Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale). Se veramente questa legge fosse quello che dite voi, il tricolore lo dovrebbero sventolare i signori che siedono sui banchi della Lega nord i quali, invece, non lo faranno perché nel loro taschino, al posto del tricolore, hanno la bandiera della Lega nord, la bandiera separatista della Lega nord (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-SDI-Unità Socialista e Misto-Verdi-l'Unione - Commenti dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Alleanza Nazionale). Questa è la verità!
 
GUSTAVO SELVA. Voi avete sbandierato la bandiera rossa!
 
PIERO FASSINO. Voi ci presentate, infine, una Costituzione che svuota di qualsiasi potere il Presidente della Repubblica e mette in discussione anche quella funzione di garante dell'unità nazionale che da sempre questa più alta magistratura dello Stato rappresenta. Insomma, ci presentate una revisione della Costituzione, una devolution che allontanerà le istituzioni dal paese, che, ancora di meno, sarà capace di corrispondere alle attese dei cittadini e che ancora di meno sarà capace di governare la società e di soddisfare le sue domande e le sue esigenze. E ciò voi lo fate unicamente perché dovete pagare una moneta politica alla Lega nord che, tra l'altro, ve lo ha anche detto. Ve lo ha detto quattro giorni fa quando, in quest'aula, vi ha detto che forse la legge elettorale che gli avete fatto approvare non è la migliore del mondo, ma che l'avrebbero votata unicamente perché voi dopo li avreste ripagati votando la devolution (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana).
La verità è che voi avete trasformato le istituzioni, la legge elettorale, lo Stato e i suoi poteri, in una merce di scambio politico. Avete ridotto quella che è l'intelaiatura costituzionale del paese a merce di scambio per tenere insieme una maggioranza che non sta insieme.
 
MARIO VALDUCCI, Sottosegretario di Stato per le attività produttive. Voi questo lo fate normalmente!
 
PIERO FASSINO. Le riserve che provengono anche da esponenti che siedono sui vostri banchi confermano che quello che vi sto dicendo non è infondato.
Voi, a nostro parere, continuate a commettere un grave errore. Voi, di fronte ad una crisi profonda della vostra maggioranza - che la vostra maggioranza conosce (non è passato neanche un mese dalle dimissioni da ministro di Siniscalco, così come sono passati pochi giorni dalle dimissioni da segretario dell'UDC di Follini) - e del vostro modo di governare, anziché affrontare le ragioni di questa crisi, pensate di superarla alterando le regole, cambiando la forma dello Stato, mettendo in discussione la certezza del diritto, come vi preparate a fare tra qualche giorno imponendo a questo Parlamento la vergogna della ex Cirielli che nemmeno il suo primo firmatario ha più il coraggio di chiamare così (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani)!
Per tutte queste ragioni, noi voteremo «no» a questo provvedimento e continueremo a batterci contro questa brutta revisione della Costituzione e contro questo strappo istituzionale, e diremo al paese quali sono le vere intenzioni e le vere responsabilità che ricadono sulle vostre spalle. In tal modo creeremo le condizioni affinché siano gli italiani, quando arriveremo al referendum previsto dalla procedura costituzionale, a difendere quella Costituzione che voi oggi calpestate (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-SDI-Unità Socialista, Misto-Verdi-l'Unione e Misto-Popolari-UDEUR - Congratulazioni)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Antonio Leone. Ne ha facoltà.
 
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, debbo dire che l'intervento dell'onorevole Fassino ci ha fatti convincere ulteriormente di una cosa: meglio una bandiera verde che una bandiera rossa; almeno, c'è la speranza (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana)!
 
MAURA COSSUTTA. Abbiamo scritto la Costituzione (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana)!
 
ANTONIO LEONE. Con il voto di oggi completiamo ulteriormente il programma del Governo Berlusconi (Commenti) ...
 
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia! Par condicio ...
 
ANTONIO LEONE. Grazie, signor Presidente ...
 
PRESIDENTE. ... almeno in questo caso!
 
ANTONIO LEONE. Come sempre, signor Presidente, grazie.
Come dicevo, con il voto di oggi completiamo ulteriormente il programma del Governo Berlusconi. Ed è per questo che il gruppo di Forza Italia si sente fortemente impegnato ad approvare la riforma in esame.
Caratteristica di fondo del disegno riformatore è, infatti, quella di contemperare il rafforzamento delle competenze e delle funzioni delle regioni, attuato soprattutto attraverso l'attribuzione di nuove materie alla loro potestà legislativa esclusiva, con il rafforzamento del potere esecutivo, cioè del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale assume la nuova denominazione di Primo ministro, cui è demandato, tra l'altro, il potere di nominare e di revocare i ministri. Così facendo, si segue quello che è l'assetto costituzionale di tutti gli Stati federali, necessariamente caratterizzati da un potere esecutivo forte, stabile ed autorevole, necessario per controbilanciare il peso ed il ruolo delle regioni e per assicurare l'unità di indirizzo politico del paese.
Tale assetto è particolarmente adatto a gestire una società complessa come quella italiana e supera i difetti funzionali della Costituzione vigente, che resta un documento alto dal punto di vista democratico, ma che, purtroppo, risente del fatto di essere stato elaborato quando il nostro era un paese ancora prevalentemente agricolo, non ancora caratterizzato da una forte industrializzazione. Servono, oggi, più efficienza, più rapidità di decisione e maggiore flessibilità.
Altro pregio notevole della riforma è quello di porre riparo ai guasti prodotti dalla frettolosa riforma del Titolo V della Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia) varata dal centrosinistra con un'esigua maggioranza, alla fine della passata legislatura, nel tentativo maldestro, peraltro fallito, di accaparrarsi i consensi elettorali dei tanti cittadini favorevoli al federalismo. Alla faccia di quanto si è detto a proposito dell'approvazione della legge elettorale!
Quella riforma ha rischiato di spezzare e, soprattutto, di paralizzare il paese: assegnando alla legislazione concorrente tra Stato e regioni un numero infinito di materie, ha prodotto un'enorme confusione normativa ed un pericoloso contenzioso tra Stato e regioni, contenzioso a cui il secondo Governo Berlusconi ha dovuto porre riparo con una paziente ed equilibrata azione legislativa e amministrativa di cui gli diamo atto.
Questa maggioranza, quindi, intende rimediare, con la riforma al nostro esame, ai guasti prodotti dal centrosinistra e vuole introdurre nel paese un modello federativo avanzato ma, nel contempo, equilibrato e funzionale. Vediamone alcuni caratteri fondamentali.
Viene previsto, innanzitutto, il superamento del bicameralismo, come diceva il collega Gasparri, che rallenta inutilmente il processo legislativo senza alcuna logica politica e giuridica, in quanto, nell'attuale assetto, il Senato costituisce, in sostanza, un doppione della Camera. Il testo al nostro esame differenzia nettamente le due Camere rispetto alla composizione ed alle funzioni. Il legame tra il sistema delle regioni e le istituzioni centrali è costituito dall'accentuato carattere di rappresentanza territoriale dei senatori ed è sottolineato dalla contemporanea elezione del Senato e dei consigli regionali. Il superamento del bicameralismo perfetto ha riflessi importanti nella riforma del procedimento legislativo, che diviene più snello e razionale.
Uno dei punti più qualificanti del disegno di riforma è, come ho già accennato, il rafforzamento del potere esecutivo attraverso la trasformazione del Presidente del Consiglio dei ministri in Primo ministro, al quale vengono attribuiti, tra l'altro, i fondamentali poteri di nominare e revocare i ministri e di determinare l'indirizzo politico del Governo, che godrà di una forte legittimazione elettorale.
Onorevole Fassino, si metta d'accordo con se stesso! Lei afferma che la riforma rafforza il premier, che diventa onnipotente, ma un attimo dopo dice che il premier sarà soggetto e sottoposto al ricatto dei piccoli partiti. O l'uno o l'altro: decida cosa vuole dire (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)! Del resto, siamo abituati a questo e ad altro!
Al Primo ministro viene, inoltre, attribuito il potere di scioglimento della Camera, mentre la Camera, a sua volta, in caso di dimissioni del Primo ministro, potrà, con mozione sottoscritta da un numero sufficiente di deputati della maggioranza espressa dalle elezioni, indicare il nome di un nuovo Primo ministro. Questo, per impedire «ribaltoni» e per evitare che non si rispetti fino in fondo la volontà degli elettori (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)! È questo che avete sempre voluto ed è questo che vorreste ancora avere!
Vorrei ricordare ai critici malevoli di questa riforma che l'attribuzione di materie alle competenze esclusive delle regioni è contemperata dal limite oggettivo costituito dall'obbligo di rispetto dell'interesse nazionale. Inoltre, molte ed importanti materie sono riportate alla competenza esclusiva dello Stato. Tra queste, voglio citare la politica monetaria e creditizia, le norme generali di tutela della salute e della sicurezza alimentare, la sicurezza del lavoro, le grandi reti strategiche di trasporto.
Qualcuno ha cercato di sostenere che questa riforma penalizzerebbe, in qualche modo, le regioni meridionali. È un'altra falsità messa in giro dal centrosinistra! Non è vero affatto, in quanto è garantito, comunque, il sostegno finanziario alle regioni più svantaggiate e sono assolutamente garantite l'unità e la coerenza dell'indirizzo di politica economica e finanziaria del paese. Il rafforzamento dell'autonomia regionale deve essere considerato non un pericolo, ma una grande occasione di crescita e di sviluppo per le regioni meridionali.
C'è da chiedersi, di fronte alla veemente posizione assunta dal centrosinistra, quali siano le reali motivazioni di tale atteggiamento (ma in realtà sono note e sono sotto gli occhi di tutti). La verità è che siamo di fronte alla solita demonizzazione che l'opposizione fa di qualsiasi riforma portata avanti dalla Casa delle libertà e questo anche quando una valutazione oggettiva della normativa in discussione ne dovrebbe evidenziare sia l'utilità per il paese, sia la sua aderenza alla volontà della stragrande maggioranza dei cittadini. Tutti gli italiani vogliono istituzioni più moderne, più funzionali e, soprattutto, più vicine alle loro esigenze! Tutto questo non si può attuare, se non con l'introduzione del federalismo e con la più larga applicazione del principio di sussidiarietà.
I partiti che compongono la variegata opposizione hanno nel loro DNA ideologico il centralismo e il dirigismo, nonché dosi massicce di interventismo nell'economia che tanti danni hanno causato all'economia del paese, ivi compreso l'IRI del professor Prodi. Ed hanno ancora nell'anima una forte distinzione di comodo tra politica reale e politica virtuale. La vostra è e sarà sempre una politica virtuale, non reale e legata alle esigenze dei cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)!
Per tutte queste ragioni e perché siamo profondamente convinti dell'utilità di questo grande disegno riformatore per gli interessi del paese, il gruppo di Forza Italia darà nuovamente il proprio compatto voto favorevole al disegno di legge di riforma della parte seconda della Costituzione, non disdegnando di mettere in rilievo che il tanto sbandierato riformismo, di cui la sinistra si è sempre riempita la bocca, non ha mai trovato reale albergo nelle azioni concrete di queste sgangherate opposizioni. Noi abbiamo avuto la volontà di inserirle nel nostro programma ed il coraggio - sì, il coraggio - di attuarle (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana)!
 
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, avverto che agli ulteriori sei deputati che hanno chiesto di intervenire per dichiarazione di voto finale, concederò due minuti a titolo personale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Cossa.
Ne ha facoltà.

MICHELE COSSA. Signor Presidente, molti miglioramenti sono stati apportati al testo originario e soprattutto sono state introdotte importanti correzioni alla riforma del 2001 approvata con una mai abbastanza biasimata forzatura da parte del centrosinistra.
Ritengo positivo che si sia introdotto il principio di «interesse nazionale» e che sia stata affermata la clausola di salvaguardia all'articolo 43-bis, che esclude l'applicabilità del nuovo Titolo V alle regioni a statuto speciale. Tuttavia, le ombre prevalgono sulle luci sia per il contenuto di questa riforma, sia per il metodo che si è scelto.
Sul merito, non posso non sottolineare le responsabilità del centrosinistra in ordine alla apertura della strada verso un regionalismo tale da comportare l'attenuazione del ruolo dello Stato come garante, non solo e non tanto dell'unità della nazione, quanto di quelle situazioni di oggettiva debolezza, talora anche determinata da fattori strutturali - come nel caso della Sardegna -, in cui versano alcune aree del paese, che rischiano di venire schiacciate e lasciate indietro da quelli economicamente più forti, se si affievoliscono quei vincoli di solidarietà su cui si basa la nostra nazione.
Non solo: dal deprecabile centralismo dello Stato si passa ad un non migliore centralismo delle regioni, le quali, specie nel meridione d'Italia, non si sono certo distinte per efficienza o per il perseguimento di un rapporto più stretto con i cittadini, per tacere del preoccupante abbassamento della soglia di legalità nell'azione politico-amministrativa, aggravato da una sostanziale assenza di strumenti di garanzia di cui i cittadini e le opposizioni nelle assemblee elettive possano utilmente valersi.
Quella che poteva diventare la Repubblica delle autonomie, incentrata sul rafforzamento del ruolo degli enti locali, diventa uno Stato « federale», che già in parte vediamo e che, certo, non fa ben presagire.
 
PRESIDENTE. Onorevole Cossa, concluda!
 
MICHELE COSSA. Ora andiamo verso l'inevitabile referendum e, se vi sarà una bocciatura, come è possibile che accada, vi sarà l'occasione per intraprendere una nuova riflessione sia sul metodo che nel merito.
In conclusione chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.
 
PRESIDENTE. Onorevole Cossa, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mazzuca Poggiolini. Ne ha facoltà.
 
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor Presidente, a titolo personale ma a nome dei Repubblicani europei, esprimo la nostra avversità a questa legge che, con cinquanta modifiche, forza i poteri riconosciuti dall'articolo 138 della Costituzione e, nei suoi contenuti, mina le fondamenta del sistema repubblicano nato dalla lotta al fascismo.
Essa attua, infatti, la volontà di rendere quasi onnipotente il premier, di mortificare il Parlamento, di zittire il Presidente della Repubblica, di spezzettare l'Italia in tanti piccoli Stati che nulla hanno a che vedere con la necessaria, migliore autonomia regionale che, nella scorsa legislatura, forse anche sbagliando, noi configurammo e che renderanno ineguali i diritti dei cittadini in tutta Italia.
Quest'aula ha visto i nostri padri costituenti per lungo tempo impegnati a dotare l'Italia di una Carta repubblicana ampiamente condivisa, che rappresentasse i diritti dei cittadini, che ne delineasse i doveri, che apprezzasse le varie culture presenti nel nostro paese, all'interno di uno Stato rispettoso dei valori democratici, delle garanzie, degli equilibri istituzionali. Sempre in quest'aula, oggi questa maggioranza, senza alcun ritegno, ci impone di aderire alla spartizione avvenuta nel centrodestra sul suo tavolo, in cui come merce di scambio si è trattato dei supremi valori dello Stato quasi fossero cose private: a te la proporzionale; a te la devoluzione; a te un premier onnipotente o, meglio, quasi, visto che la legge elettorale sembra renderlo del tutto ricattabile.
Il nostro sentimento sarebbe oggi quello di non votare, lasciando tutta a voi della maggioranza la triste responsabilità di questo scempio, di questo atto che offende i democratici e che, in particolar modo, colpisce noi, Repubblicani europei, quali eredi di Giuseppe Mazzini, apostolo e costruttore della Repubblica, dell'unità nazionale, della civiltà democratica e solidale dell'Italia. Con dolente responsabilità, invece, abbiamo scelto di restare per dire «no» e per iscrivere nella storia d'Italia il nostro «no», oggi minoranza, ma domani alle elezioni politiche e al referendum, maggioranza...
 
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mazzuca.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Perrotta. Ne ha facoltà. (Commenti dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
 
ALDO PERROTTA. Signor Presidente, leggerò esattamente...
 
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi...!
 
ALDO PERROTTA. .... ciò che disse Mussi, allora capogruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, quando essi approvarono la riforma del Titolo V della Costituzione : «È evidente che si tratta di un grande passo, ma altri ne dovranno seguire; ci si rimanda a sua volta al tema della riforma del Governo, del meccanismo con cui le Camere danno la fiducia al Governo, della sfiducia costruttiva, dell'istituzione per esempio del premierato; se si va avanti su un'ipotesi di riforma elettorale, per esempio, un'indicazione del premier, che prefigura un cambiamento, una riforma del Governo è un altro passo che si può compiere». Vi chiedo, allora: perché oggi tornate indietro (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)?
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Nicolosi. Ne ha facoltà.
 
NICOLÒ NICOLOSI. Onorevole Presidente, svolgerò un intervento di sostegno al provvedimento che stiamo per votare, se pur con le preoccupazioni di un parlamentare eletto in Sicilia, dove si colgono aspetti, forse più psicologici che reali, di uno spostamento di interessi e di forze ancora di più verso il nord.
So che questo nel progetto di legge in votazione non c'è; so che invece si tratta di un provvedimento corretto, che contiene elementi positivi. So anche, tuttavia, che dobbiamo adoperarci per fare in modo che non vi sia la sensazione di un prevalere del nord nei confronti del sud e che concretamente si realizzino politiche di sostegno al Mezzogiorno e alla Sicilia.
Il mio rapporto di lealtà verso la maggioranza ed il Governo, che hanno assunto specifici impegni per l'approvazione del provvedimento in esame - sul quale, pertanto, non potranno mancare il mio voto ed il mio sostegno -, sarà completo. Sono leale verso questa maggioranza: lo sono stato dall'inizio e continuerò ad esserlo fino alla fine. Quindi, il mio voto sarà convintamente favorevole (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici, di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)!
 
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Savo. Ne ha facoltà.
 
BENITO SAVO. Signor Presidente, voglio solo annunciare il mio voto favorevole su questa riforma per le tante argomentazioni illustrate in questi anni da tanti politici e studiosi dell'argomento in termini di ordinamento dello Stato. Però, sono stato convinto a sostenere la tesi federale dall'opera di Luigi Angeloni (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo), di Frosinone, il quale, ai primi dell'Ottocento, aveva scritto un'opera politica dal titolo «Sull'ordinamento federale dello Stato». Nell'opera, l'Angeloni preconizzava la grandezza degli Stati Uniti per essersi, quella popolazione, data un ordinamento federale; ebbene, il risultato è sotto i nostri occhi. La nostra riforma dunque salterà le qualità delle singole comunità italiane, diverse ma in confronto, le quali saranno spinte verso il progresso nella libertà, rigettando quanto di negativo sia al loro interno. Il tutto, in una cornice solidale di italianità, come ci è stata consegnata (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)...
 
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Savo.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Falanga. Ne ha facoltà.
 
CIRO FALANGA. Signor Presidente, in verità, durante la prima lettura del provvedimento in questa Camera, espressi un voto favorevole su questo provvedimento ...
VALENTINA APREA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Traditore!
 
CIRO FALANGA. Potrei dirvi che ritenevo che esso si inserisse in un quadro più ampio di strutture dell'organizzazione dello Stato (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale) ...
 
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per favore... Prendete posto! Ricordo che dopo questo intervento si procederà alla votazione.
 
CIRO FALANGA. Preferisco dire in modo molto più semplice e umano che sbagliai. Sbagliai perché mi ingannai; sbagliai perché mi ingannaste (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)! Oggi, ho l'umiltà di ammettere il mio errore...
 
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, consentite al collega di proseguire. Onorevoli colleghi! Onorevole Falanga, coraggio!
 
CIRO FALANGA. Oggi, ritengo di dover avere l'umiltà di ammettere il mio errore e di dire: sbagliai...
 
Una voce: Vergogna!
 
GIACOMO STUCCHI. Venduto!
 
CIRO FALANGA. Chiedo comprensione perché, come dicevano i latini, errare humanum est; e, come me, sbagliarono molti italiani che voteranno, come me, contro di voi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, Misto-Comunisti italiani e Misto-SDI-Unità Socialista - Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)!
 
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
 
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TESTO INTEGRALE DELLE DICHIARAZIONI DI VOTO FINALE DEI DEPUTATI PIERLUIGI MANTINI E MICHELE COSSA SUL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE N. 4862-C
 
PIERLUIGI MANTINI. Illustre Presidente, onorevoli Colleghi! 
Il gruppo parlamentare della Margherita, DL-L'Ulivo e così pure tutto il centrosinistra, ritiene necessario il completamento della lunga fase di transizione istituzionale che caratterizza il nostro paese con la convinzione che occorra perseguire un duplice obiettivo: la realizzazione di un bipolarismo più democratico e maturo, basato sull'equilibrio dei poteri, ed il completamento di un federalismo solidale ed efficiente. Di ciò ho già detto in precedenti interventi e nella relazione introduttiva alla proposta di legge costituzionale che ho presentato alla Camera il 13 febbraio 2003 (A.C. 3864).
Il Senato federale e il bicameralismo: il testo della riforma all'esame della Camera dei deputati, come si afferma nella relazione, conferma la preferenza per un sistema bicamerale, superando tuttavia il tradizionale «bicameralismo perfetto», attraverso l'introduzione di una differenziazione tra le due Assemblee con riguardo sia alla loro composizione sia alle loro funzioni. In particolare, la Camera dei deputati muta, soltanto nel numero, passando da seicentotrenta a cinquecento componenti, oltre i dodici eletti nella circoscrizione Estero.
A riguardo si deve osservare come il nuovo articolo 56 della Costituzione approvato dal Senato prevedesse, in realtà, una riduzione dei deputati a quattrocento unità che, tuttavia, ad una più approfondita valutazione effettuata anche tenendo conto della composizione numerica delle Assemblee parlamentari dei paesi dell'Unione europea aventi una dimensione demografica analoga a quella italiana, si è ritenuta eccessiva, in quanto non in grado di garantire il dispiegarsi di un'adeguata ed effettiva rappresentanza degli elettori. Un'analoga correzione è stata apportata, per le medesime ragioni, anche con riguardo al numero dei senatori, la cui consistenza numerica, in un primo tempo ridotta dal Senato da trecentoquindici a duecento unità, è stata successivamente riportata ad un numero pari a duecentocinquantadue senatori.
Tale ramo del Parlamento, peraltro, muta la sua denominazione in «Senato federale della Repubblica», nell'intento di costituire l'organo costituzionale che connota la scelta federale del progetto di riforma e l'organo nel quale si intende realizzare il raccordo tra le potestà normative delle autonomie e dello Stato.
Il nuovo testo dell'articolo 57 della Costituzione dispone che, quanto a modalità di elezione, i senatori sono eletti su base regionale e che di tale consesso continuano a fare parte i sei senatori eletti nella circoscrizione estero, unitamente ai senatori a vita che sono stati Presidenti della Repubblica e a quelli di nomina presidenziale. Il numero di questi ultimi, tuttavia, non può essere superiore a tre, come dispone una novella apportata all'articolo 59 della Costituzione.
La connessione tra il sistema politico delle regioni e quello nazionale, che il testo individua come elemento che garantisce la «rappresentanza territoriale» dei senatori, è individuata, in modo discutibile, negli stessi requisiti richiesti per godere dell'elettorato passivo: in ciascuna regione, infatti, sono eleggibili a senatore gli elettori che hanno ricoperto o ricoprono cariche pubbliche elettive in enti territoriali o locali, all'interno della regione, oppure sono stati eletti deputati o senatori nella regione ovvero che risiedono nella regione alla data di indizione delle elezioni.
In tale contesto, si è peraltro ritenuto opportuno procedere, modificando il testo approvato dal Senato, anche all'allineamento del requisito anagrafico richiesto per l'eleggibilità a senatore a quello già previsto per l'eleggibilità a deputato, riducendolo da quaranta a venticinque anni di età. Il sistema elettorale del Senato, rimesso alla legge dello Stato, deve comunque «garantire la rappresentanza territoriale da parte dei senatori».
Si prevede inoltre, ed è la scelta di certo più discutibile, che l'elezione del Senato sia contestuale con l'elezione dei consigli regionali e che l'eventuale scioglimento anticipato di uno o più consigli regionali dia vita ad una legislatura regionale di durata ridotta per garantire che, comunque, il rinnovo del Senato avvenga contestualmente al rinnovo di tutte le assemblee legislative delle regioni e delle province autonome.
A completamento di tale disposizione, la I Commissione ha altresì previsto, introducendo un nuovo comma al testo dell'articolo 60 della Costituzione, che ove, in caso di guerra, si proceda alla proroga del Senato, sono prorogati anche i Consigli regionali in carica. Più in generale, i rapporti tra Senato federale e dimensione regionale sono sottolineati da varie disposizioni concernenti l'organizzazione interna e le attività dell'organo, oltre che dalle norme sul procedimento legislativo e dalla valutazione delle leggi regionali sotto il profilo dell'interesse nazionale, di cui si dirà più avanti. Il testo dispone, tra l'altro, che i Presidenti delle Giunte regionali sono sentiti ogni volta che ne facciano richiesta e, reciprocamente, che anche i senatori espressi da una regione hanno il diritto di essere sentiti dal rispettivo consiglio regionale. Si prevede altresì che le proposte di legge presentate da più regioni in coordinamento tra loro sono poste all'ordine del giorno della Camera competente entro i termini stabiliti dal proprio regolamento e che il Senato federale esprima il parere sullo scioglimento del Consiglio regionale e sulla rimozione del Presidente della Giunta regionale, ai sensi dell'articolo 126 della Costituzione. Viene soppresso conseguentemente, il riferimento costituzionale alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Infine, rispetto all'articolato licenziato dal Senato, dal nuovo testo dell'articolo 57 della Costituzione è stato espunto il sesto comma, recante la disposizione riferita al mantenimento di rapporti di reciproca informazione e collaborazione tra i senatori e gli organi della corrispondente regione.
Va comunque rilevato come rappresentanti delle regioni, pur non facendo parte della composizione ordinaria del Senato federale, concorrono comunque ad eleggere i componenti di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale di spettanza di tale organo. Basti in proposito pensare all'elezione del Presidente della Repubblica, che è rimessa all'apposita «Assemblea della Repubblica», composta dai componenti delle due Camere ed integrata dai Presidenti delle Giunte regionali e da un numero variabile di delegati eletti dai Consigli regionali anche in rappresentanza degli enti locali. I Presidenti delle Giunte delle regioni e delle province autonome sono inoltre chiamati ad integrare il Senato federale in occasione dell'elezione di quattro giudici della Corte costituzionale e di un sesto dei membri del Consiglio superiore della magistratura.
In relazione a tale adempimento va, tuttavia, segnalata una rilevante modifica introdotta dalla I Commissione rispetto al testo degli articoli 104 e 135 della Costituzione approvato dall'altro ramo del Parlamento, atteso che è stata riportata anche in capo alla Camera dei deputati la competenza in materia di elezione dei membri di tali organi che, secondo la Costituzione vigente, spetta al Parlamento in seduta comune. Quanto alle modalità di funzionamento delle Camere, rispetto al nuovo testo dell'articolo 64 della Costituzione approvato dal Senato, si è inteso uniformare il quorum per l'approvazione dei regolamenti parlamentari, che è ora pari, per entrambe le Assemblee, alla maggioranza assoluta dei componenti, con la conseguenza di ripristinare quanto attualmente già previsto in proposito dalla vigente Carta costituzionale. Più in generale, in sede referente si è voluta espungere l'ulteriore differenziazione che il Senato aveva introdotto con riferimento alla validità delle deliberazioni delle due Assemblee, non essendo più prevista a tale fine la presenza dei due quinti dei componenti del Senato. Resta quindi confermato l'ordinario requisito della presenza della maggioranza dei componenti per la validità delle deliberazioni, che viene tuttavia corretto dall'ulteriore vincolo della necessaria presenza di senatori espressi da almeno un terzo delle regioni.
In ordine alle disposizioni riconducibili al cosiddetto «statuto dell'opposizione», in linea generale si è ritenuto opportuno non irrigidire, tramite un'apposita menzione nella Carta costituzionale, il rinvio ai regolamenti parlamentari per la previsione delle modalità di iscrizione all'ordine del giorno di proposte e iniziative indicate dalle opposizioni, con riserva di tempi e previsione del voto finale, specificando altresì che la riserva in favore dei gruppi di opposizione della presidenza delle Commissioni cui sono attribuiti compiti ispettivi, di controllo o di garanzia non ricomprende la Commissione mista paritetica e il Comitato paritetico, rispettivamente disciplinati dai commi terzo e quarto del nuovo testo dell'articolo 70 della Costituzione.
Un ulteriore intervento correttivo rispetto al testo approvato dall'altro ramo del Parlamento, ha riguardato la soppressione della disposizione che rimetteva al regolamento del Senato federale la garanzia dei diritti delle minoranze, in considerazione del fatto che tale Assemblea non è configurata come una «Camera politica».
Resta ferma comunque l'introduzione della figura del «Capo dell'opposizione», le cui prerogative e la cui modalità di elezione dovranno essere definiti dal regolamento della Camera dei deputati. Con riferimento ad entrambe le Camere, resta confermato il divieto di mandato imperativo, benché anche l'articolo 67 della Costituzione sia oggetto di una novella che è volta a precisare che «ogni deputato o senatore rappresenta la Nazione e la Repubblica». Quanto al giudizio sui titoli di ammissione dei deputati e dei senatori, il nuovo testo dell'articolo 66 della Costituzione dispone che la Camera di appartenenza adotti le relative deliberazioni a maggioranza dei propri componenti, in luogo del quorum dei tre quinti dei componenti previsto dal testo approvato dal Senato, per la sola Camera dei deputati.
Passando ad esaminare le disposizioni concernenti il procedimento legislativo, deve premettersi che anche le modifiche apportate all'articolo 70 della Costituzione sono dirette alla già menzionata finalità consistente nel superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, in virtù del quale ciascun progetto di legge deve essere approvato, in eguale testo, da entrambi i rami del Parlamento.
Il testo in esame introduce infatti nell'ordinamento, accanto alle leggi approvate con procedimento bicamerale (anch'esse abbreviate nella procedura), leggi statali a carattere monocamerale, approvate cioè da uno solo dei due rami del Parlamento. È prevista bensì la possibilità, per l'altro ramo del Parlamento, di richiamare presso di sé il progetto di legge e di proporvi modifiche; ma i termini per questa fase eventuale sono ristretti (e dimezzati per le leggi di conversione di decreti-legge) e sulle modifiche proposte, in ogni caso, decide in via definitiva la Camera competente. Al fine di individuare la Camera competente, vige un criterio sostanzialmente mutuato dalla ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni dettata all'articolo 117 della Costituzione. In linea di massima, infatti, la Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui al secondo comma di tale articolo, quelle cioè nelle quali lo Stato ha legislazione esclusiva. Il Senato federale, invece, approva i disegni di legge concernenti la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, nelle quali la potestà legislativa dello Stato concorre con quella delle regioni.
Per determinate materie di particolare rilievo resta, tuttavia, ferma la procedura bicamerale. A tale proposito, va comunque precisato che per assicurare maggiore celerità ai lavori parlamentari, evitando il tradizionale fenomeno della navette, si prevede che, ove un progetto di legge non sia approvato, dopo una prima lettura, da entrambe le Camere nel medesimo testo, i Presidenti delle due Assemblee convocano una Commissione mista paritetica incaricata di redigere, in ordine alle disposizioni controverse, un testo che non è emendabile e che è sottoposto al voto delle due Assemblee.
Il procedimento bicamerale si applica all'esame dei disegni di legge concernenti: la perequazione delle risorse finanziarie, le materie di cui all'articolo 119 della Costituzione, la tutela della concorrenza, le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, il sistema elettorale di Camera e Senato e una serie di casi, partitamente elencati, in cui la Costituzione fa espresso rinvio alla legge dello Stato o della Repubblica. Il medesimo procedimento legislativo si applica anche ad altre materie previste in vari parti del nuovo testo costituzionale (determinazione dei casi di ineleggibilità ed incompatibilità con il mandato parlamentare; indennità spettante ai membri delle Camere; principi in materia di esercizio del potere sostitutivo di atti delle regioni). Quanto alle modifiche introdotte dalla Commissione in materia di procedimento legislativo, è stato in primo luogo disposto che l'esame dei disegni di legge concernenti il coordinamento di cui all'articolo 118, terzo comma primo periodo, sia di competenza della Camera dei deputati. La novità di maggiore rilievo riguarda tuttavia il procedimento legislativo cosiddetto «a prevalenza Senato», rispetto al quale è stato previsto che laddove il Governo dichiari che le modifiche proposte dalla Camera dei deputati sono essenziali per l'attuazione del suo programma e tali modifiche siano state approvate ai sensi dell'articolo 94, secondo comma, il disegno di legge è approvato dalla Camera dei deputati in via definitiva con le modifiche proposte, salvo che entro trenta giorni dalla data di trasmissione del disegno di legge, il Senato federale deliberi di non accogliere le modifiche con la maggioranza dei tre quinti dei propri componenti. Tenuto conto che l'unica Assemblea con la quale il Governo intrattiene un rapporto fiduciario è la Camera dei deputati, la disposizione da ultimo citata ha inteso riconoscere a tale Assemblea la possibilità di divenire la sede decisionale di ultima istanza anche con riferimento a materie ricomprese nell'ambito della competenza prevalente del Senato ma che possono essere di particolare rilevanza ai fini dell'attuazione del programma di Governo.
Tra le ulteriori modifiche introdotte dalla Commissione in materia di procedimento legislativo è da segnalare l'inclusione, nell'ambito delle materie su cui la funzione legislativa è esercitata con procedimento bicamerale, anche dei disegni di legge concernenti la determinazione dei principi fondamentali sull'armonizzazione della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e le norme generali sulla tutela della salute. Contestualmente, sono stati invece esclusi dall'esame bicamerale i progetti di legge concernenti l'esercizio dei diritti fondamentali di cui agli articoli da 13 a 21 della Costituzione.
Occorre rilevare che le questioni che possono sorgere tra le due Camere in ordine alla competenza per l'esame di progetti di legge sono decise, d'intesa fra di loro, dai Presidenti delle due Assemblee, i quali possono anche deferire la decisione ad un Comitato paritetico, composto da quattro deputati e da quattro senatori, designati dai Presidenti stessi proporzionalmente alla composizione delle due Camere.
La decisione adottata non è sindacabile. In proposito, si fa presente che una ulteriore modificazione apportata in sede referente all'articolo 13 riguarda la soppressione della parola «legislativa», al fine di estendere l'area di insindacabilità sulle questioni di competenza, anche alla luce del più generale principio di insindacabilità degli interna corporis acta.
Senato federale e rappresentanza territoriale: una questione controversa.
La riforma dei bicameralismo e la questione del Senato federale sono considerate un punto chiave dell'intera riforma; l'adeguamento del sistema bicamerale è infatti ritenuto necessario per razionalizzare la forma di Governo e il sistema delle autonomie territoriali
Dalla gran parte degli interventi, tuttavia, emergono perplessità circa la denominazione e la natura dell'istituendo Senato federale, ritenendosi che tale organo, come delineato dal progetto di riforma, non realizzi una reale rappresentanza dei territori pur avendo poteri molto più forti delle Camere territoriali previste da altri ordinamenti A tal riguardo, si è osservato che per proseguire nella strada del forte decentramento già preconizzato dalla nostra Costituzione, l'esperienza del diritto comparato insegna che occorre prevedere una maggiore partecipazione e integrazione del sistema delle autonomie territoriali nei processi decisionali dello Stato.
I congegni di collegamento approntati dal progetto di riforma (requisiti di eleggibilità dei senatori, contestualità dell'elezione, rapporti di informazione e collaborazione...) appaiono invece inadeguati a raggiungere lo scopo, tanto che nei casi in cui si vuole coinvolgere effettivamente la dimensione territoriale (esempio, elezione del Presidente della Repubblica, di membri del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale) viene prevista l'integrazione del Senato con rappresentanti regionali.
Per perseguire il fine della reale rappresentanza dei territori occorrono rappresentanze territoriali dirette, o elette direttamente dalle regioni, o costituite di persone che siano in carica presso le regioni. Anche se il modello Bundesrat non trova praticabilità nel nostro ordinamento, l'analisi comparata dimostra che nei modelli di rappresentanza elettiva degli enti territoriali (USA, Svizzera) è molto difficile ancorare il Senato a un ruolo di interpretazione delle esigenze locali, poiché la rappresentanza tende a divenire di tipo nazionale.
Una proposta avanzata è quella di realizzare la compresenza nella stessa persona di due mandati contestuali, regionale e nazionale: ciò al fine di assicurare che ci sia davvero la rappresentazione degli orientamenti locali. Ovviamente, il Senato così composto non potrebbe più essere il custode dell'interesse nazionale (la funzione passerebbe alla Camera).
Può essere interessante il modello proposto in Spagna: una rappresentanza di consigli e giunte attraverso l'elezione di tre rappresentanti, di cui uno della minoranza. In tal caso occorre però tentare di salvaguardare il voto unitario della delegazione regionale.
Volendo mantenere il sistema dell'elezione diretta, il Senato potrebbe comunque essere «più federale» prevedendo, ad esempio, la presenza dei Presidenti delle Giunte regionali come membri di diritto: si tratterebbe di un'integrazione numericamente debole, ma politicamente molto forte. Una tale proposta tuttavia lascia perplesso chi ne sostiene la scarsa praticabilità (per ragioni di tempo: «nessuno ha il dono dell'ubiquità») e l'inopportunità, poiché potrebbe dar vita a due specie di senatori: di serie «A», i governatori, e di serie «B», quelli elettivi.
Un'ulteriore proposta prevede l'abbandono della soluzione della seconda Camera integralmente regionale per perseguire il modello della composizione mista (con senatori elettivi e veri e propri rappresentanti regionali) che ne faccia una Camera di conciliazione tra Stato e regioni sul modello delle Conferenze o della «bicameralina». In questo quadro, si potrà ipotizzare che i senatori di estrazione politica siano anche associati istituzionalmente ai deputati nello svolgimento di funzioni legate all'indirizzo politico.
Vi è inoltre chi propone di mantenere il Senato «così com'è» e di individuare alcuni processi decisionali importanti ai fini degli interessi regionali in cui coinvolgere e integrare i presidenti delle regioni. Tali momenti deliberativi importanti potrebbero riguardare, ad esempio, la distribuzione delle risorse (articolo 119 della Costituzione) e le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117.
Ci si potrebbe anche orientare verso un sistema nel quale facciano parte della seconda Camera anche i rappresentanti delle altre autonomie locali, considerato che la singolarità del nostro ordinamento è quella di avere forti autonomie locali. Ciò tanto più che con la riforma del Titolo V (confronta articoli 114, 116, 118) i diversi enti territoriali si collocano sullo stesso piano. Di opinione contraria è chi sostiene l'impraticabilità di rappresentare nel Senato articolazioni territoriali che non abbiano competenza legislativa.
Certo è che se il Senato non riuscirà a divenire sede di mediazione tra Stato e autonomie, ancora maggiore sarà la funzione svolta in tal senso della Conferenza Stato-regioni, con il rischio di costruire un sistema istituzionale barocco e bizzarro. Infatti, poiché vi è necessità di un organo che sia sede di raccordo e concertazione tra il legislatore nazionale e i legislatori regionali (tanto più avendo disegnato un certo tipo di ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni), un Senato così congegnato produrrebbe l'effetto di far «emigrare» tale esigenza altrove, ovvero verso le Conferenze, che hanno ottenuto dei risultati certamente positivi. Occorre costituzionalizzare un meccanismo di governance che si richiami al sistema delle conferenze.
Con riguardo a profili ulteriori e collegati, se l'obiettivo è anche quello di fare del Senato federale un organo di contrappeso (non di «garanzia», poiché un organo politico quale quello delineato non può essere tale) rispetto al centralismo nei confronti delle autonomie, da un lato, e al continuum Camera-Governo, dall'altro, risaltano comunque alcune incongruenze. Ad esempio, l'esclusione del Senato federale nella determinazione dei livelli essenziali dei diritti rimessa, in quanto competenza legislativa esclusiva statale, alla legge unicamerale della Camera dei deputati: si osserva, infatti, a tal proposito che la determinazione di tali livelli è trasversale rispetto alle competenze regionali e dovrebbe chiamare in causa il Senato quale contrappeso rispetto ad indirizzi troppo centralistici. La proposta al riguardo è di includere tale materia tra quelle disciplinate dalle leggi bicamerali.
Rappresentanza territoriale e vincolo di mandato: vi sono, in via generale, perplessità circa la nuova formula dell'articolo 67 secondo la quale i deputati e i senatori rappresentano «la Nazione e la Repubblica». Si richiede una maggior chiarezza su questi concetti, che potranno far sorgere enormi problemi interpretativi. Si propone, in alternativa, la formula per cui «ogni parlamentare esercita le proprie funzioni senza vincolo di mandato».
Si critica inoltre l'aver raccordato in qualche modo i senatori con i territori regionali per poi averli resi, con l'assenza di vincolo di mandato, rappresentativi dell'intera Nazione e Repubblica. L'incongruenza sta anche nell'aver previsto che i senatori debbano sentire i rappresentanti delle regioni su tutte le materie dell'articolo 70 loro rimesse, definendo essi stessi nel Regolamento le modalità, e per di più chiarendo che essi siano sentiti dopo aver udito i rappresentanti delle autonomie locali. Risulta difficile interpretare questo complesso meccanismo alla luce dell'assenza di un vincolo di mandato.
Composizione e organizzazione del Senato federale: Il progetto di riforma non assegna un numero paritario (o comunque con bassa escursione tra i seggi) di rappresentanti a ciascun ente indipendentemente dalla consistenza demografica, tecnica che invece costituisce un classico dispositivo di federalizzazione. Pertanto, in base a prime proiezioni compiute dagli studiosi, potranno verificarsi degli eccessivi scarti di rappresentanza, con casi di regioni con un seggio (Valle d'Aosta) e regioni con 22/23 seggi (Lombardia). Ai «fini del federalismo», sarebbe stata migliore una scelta più paritaria di rappresentanti per regione.
La presenza dei senatori della circoscrizione Estero è ritenuta difficilmente comprensibile, come anche quella dei senatori a vita: sembrano indizi di uno scarso tasso di federalismo del Senato.
Si rileva la necessità di modificare il quorum strutturale di cui all'articolo 64, terzo comma, in base al quale per la validità delle deliberazioni del Senato federale occorre la presenza di due quinti dei componenti. La proposta è di aumentarlo ad almeno la maggioranza.
Con riferimento alla formulazione dell'articolo 66 è stato fatto osservare che mentre per la Camera dei deputati l'insussistenza del titolo o la sussistenza di cause sopraggiunte di ineleggibilità o di incompatibilità dei parlamentari sono accettate con deliberazione adottata a maggioranza dei tre quinti dei componenti l'Assemblea, per il Senato federale si richiede la maggioranza dei componenti.
Occorrerebbe, inoltre, sciogliere le incomprensioni che derivano dalla «criptica formula» secondo cui il Senato è organizzato in Commissioni anche con riferimento a quanto previsto dall'articolo 117, ottavo comma, della Costituzione (comma relativo alle intese tra regioni).
Il sistema di elezione e la contestualità: Se si intende dare al Senato federale un volto costituzionalmente preciso di contrappeso istituzionale, anche per evitare duplicazioni rispetto alla Camera, è auspicabile indicare con maggiore precisione quali principi di rango costituzionale debbano guidare la relativa legge elettorale.
La contestualità è ritenuta l'elemento più significativo ai fini del collegamento del Senato con le regioni, perché significa legare insieme i momenti elettorali; tuttavia non appare uno strumento sufficiente per fare in modo che queste si sentano rappresentate, tanto più che non vi è un vincolo di mandato, e considerato inoltre che la «contestualità affievolita» è un paradosso.
È opinione molto diffusa che la contestualità subordini le elezioni regionali a quelle del Senato e determini un «paradossale» effetto di schiacciamento del consiglio regionale in caso di suo scioglimento anticipato, per la compressione della durata della nuova legislatura regionale necessaria per garantire la contestualità con la successiva elezione del Senato.
Per altri, la contestualità con le elezioni regionali potrebbe utilmente attrarre il Senato verso le regioni, tuttavia il meccanismo della contestualità affievolita, con la forzosa unificazione delle elezioni, è molto complicato da applicare, e neanche le norme transitorie riescono ad operare efficacemente, tanto che esiste il rinvio a una futura legge che dovrà chiarire il funzionamento di tale istituto.
Volendo valorizzare effettivamente la dimensione regionale, si suggerisce allora di far decadere i senatori eletti nella singola regione nel momento in cui vi sia uno scioglimento del Consiglio regionale, con successiva rielezione. In questo modo, se decade il consiglio regionale si revoca la sua rappresentanza al Senato e si produce l'effetto di avere una maggioranza sempre diversa rispetto all'altra Camera, il che potrebbe garantire un buon equilibrio ai fini dei rapporti tra regioni e Stato.
Il procedimento legislativo tra leggi monocamerali e leggi bicamerali: la competenza della legge monocamerale del Senato è ritenuta in via generale di eccessiva ampiezza. Essa, infatti, riguarda la fissazione dei principi fondamentali della legislazione regionale che implicano una piena valutazione politica nel rapporto centro/autonomie in merito a quali debbano essere tali principi. Secondo alcuni, in tale ambito deve essere maggiormente coinvolta la Camera dei deputati (non solo col debole diritto di richiamo); secondo altri, sarebbe opportuno precisare che il Senato è competente per le leggi che disciplinano non genericamente l'esercizio, quanto piuttosto il contenuto essenziale dei diritti fondamentali.
Alcune competenze del Senato vanno circoscritte e non si comprende l'attribuzione a tale organo della materia della tutela della concorrenza, che può incidere profondamente sulla politica economica nazionale.
È eccessivamente intricato il sistema delle competenze di Camera e Senato per l'approvazione dei testi di legge in materia finanziaria. Il Senato deve ricoprire un ruolo nei confronti di leggi che trattano della finanza relativa agli enti territoriali (come fa il Bundesrat).
È stato proposto di includere tra gli argomenti oggetto delle leggi bicamerali che riguardano la disciplina dei diritti fondamentali, civili e la libertà di concorrenza anche i diritti sociali (lavoro, previdenza, salute e istruzione). Tale assenza, infatti, sarebbe problematica in uno Stato con disposizioni sociali come quelle della Parte prima della Costituzione.
Inoltre, si è segnalato un problema di coordinamento tra la materia dei diritti civili fondamentali (oggetto di leggi bicamerali) e la formula dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), per cui, quando si tratta dei livelli essenziali di tali diritti, emerge una competenza unicamerale della Camera dei deputati. Si propone pertanto di intervenire sulle sovrapposizioni tra articoli 70, terzo comma e 117, secondo comma, lettera m).
Le questioni di competenza: la costruzione della funzione legislativa su una base materiale competenziale tra Camera e Senato è considerata foriera di «infiniti conflitti» e di possibile «blocco istituzionale». Sulla qualificazione delle leggi (se monocamerali a prevalenza della Camera o del Senato, necessariamente bicamerali ed eventualmente bicamerali) potranno nascere conflitti non più solo tra enti territoriali ma addirittura tra i due rami del Parlamento. Infatti, ai sensi del progetto di riforma la decisione sulla competenza adottata dai Presidenti delle Camere e, eventualmente, dal Comitato paritetico di conciliazione, non è sindacabile in sede legislativa ma lo sarebbe in sede giurisdizionale. Se l'intento era quello di spezzare il bicameralismo perfetto, in tal modo si è dato vita a una diarchia parlamentare estremamente conflittuale cui occorre porre rimedio poiché si accompagnerà a contenziosi, diversità interpretative e, quindi, a scarsa funzionalità.
Un'ulteriore questione deriva dal fatto che il Senato ha una composizione politica diversa da quella della Camera dei deputati, perché viene eletto in tempi diversi e perché diverso potrebbe essere il sistema elettorale. In presenza di maggioranze politiche diverse nei due rami del Parlamento vi è un grave rischio di stallo decisionale, anche perché le competenze attribuite al Senato sono molto ampie.
Le criticità che scaturiscono dalla configurazione del riparto della funzione legislativa tra le due Camere, sono state oggetto di diverse riflessioni propositive: sulla gran parte delle leggi, la Camera dei deputati, che intrattiene il rapporto fiduciario con il Governo, deve poter decidere in ultima istanza; si potrebbe adottare un tipo di legislazione concorrente sul modello tedesco, attribuendone le competenze alla Camera; occorre attribuire una preminenza di decisione alla Camera dei deputati per le leggi necessarie all'attuazione del programma di Governo: ad esempio, in caso di stallo o di orientamento contrario a quelle leggi, la decisione spetterà alla Camera (magari a maggioranza qualificata, o assoluta); oppure, nel caso in cui il Primo ministro dichiari l'essenzialità per l'attuazione del programma di governo di un certo provvedimento, questo diviene di competenza prevalente della Camera; si potrebbe eliminare la legge a competenza prevalente del Senato, che non esiste in altri sistemi federali, ove le due categorie tipiche sono la legge a prevalenza della Camera politica e la legge paritaria; occorre ridurre il numero delle leggi bicamerali.
In relazione alla possibile presentazione di conflitti di competenza, vi è chi ipotizza un'intesa tra i Presidenti di Assemblea che sia preliminare al momento di presentazione del testo del disegno di legge, per evitare che sorgano conflitti alla fine del procedimento. Secondo altri, occorrerebbe prevedere che una volta risolta internamente alle Camere (dai Presidenti o attraverso il comitato di conciliazione), la questione di competenza non sia più sollevabile di fronte alla Corte costituzionale, onde evitare le numerose eccezioni di incostituzionalità per vizio del procedimento che senz'altro sarebbero sollevate nel corso dei processi.
Le competenze del Senato federale e i riflessi sulla forma di governo: l'ampiezza dei poteri del Senato federale costituisce, secondo più di un intervenuto, «l'anomalia di fondo» del progetto di riforma e non è coerente con il rafforzamento del Governo e del Primo ministro che pur si vuol perseguire; infatti, il modello di un Senato con competenza prevalente - cioè di ultima istanza - su tutte le materie dell'articolo 117, terzo comma, sicuramente rilevanti per il programma di Governo, sembra fortemente scontrarsi con le esigenze della governabilità.
Non essendovi né rapporto di fiducia né potestà di scioglimento, il Governo si troverebbe in una posizione di inferiorità, al Senato, su terreni molto importanti e non potrebbe assicurare la stabilità e l'efficacia dell'indirizzo politico nazionale.
Anche il potere del Governo di porre una sorta di questione di fiducia alla Camera per rendere bicamerali le leggi monocamerali del Senato è troppo limitato a casi specifici e impegnerebbe eccessivamente la fiducia al Governo.
Non si comprende inoltre perché il Governo dovrebbe essere costretto a presentare un disegno di legge in attuazione del suo programma a una Camera non legata da rapporto fiduciario o dove potrebbe esserci una maggioranza ostile. Il rischio è che per governare si ricorra a circuiti decisionali esterni, il cui esito potrà essere non una legge, ma regolamenti o atti non normativi; o che ci sia una spinta verso una «consociazione tra istituzioni», in cui il Governo deve costantemente contrattare l'attuazione dei proprio indirizzo politico con il Senato.
Inoltre, la distribuzione delle competenze tra Camera dei deputati e Senato provoca un risultato paradossale per cui la titolarità del rapporto fiduciario indebolisce la Camera e rafforza il Senato.
Occorre pensare a correzioni del testo per raggiungere l'equilibrio necessario per assicurare al circuito rappresentativo dello Stato una sufficiente unità di intenti e di azione, e a tal riguardo sono stati forniti alcuni suggerimenti di varia natura: o si sceglie un'ipotesi che rafforzi la governabilità - con riduzione delle competenze del Senato - oppure si ritorna all'idea, che è ormai un'anomalia italiana, delle due Camere entrambe con potere fiduciario e quindi scioglibili; se il Senato è una camera politica, e non delle regioni, allora essa deve essere inserita nel circuito politico e occorre ridurne le competenze; o si ritorna alla Camera politica e si crea una differenziazione funzionale che renda più spediti i lavori, o bisogna cercare di rafforzare il legame con i territori (con la presenza dei Presidenti delle regioni) e fare in modo che in certi casi si possa procedere allo scioglimento anticipato dell'organo, salva comunque la prevalenza della decisione della Camera nei casi di stallo; occorre reintrodurre, almeno su certe materie, un meccanismo fiduciario e comunque porre strumenti di deterrenza in capo al Governo.
Vi è, infine, il problema degli atti di indirizzo del Senato, che la riforma non circoscrive né collega alle competenze legislative dell'organo: potrebbe pertanto verificarsi che il Senato esamini mozioni o risoluzioni in tema di politica estera contrastanti con atti dello stesso tipo approvati dalla Camera.
Emendamenti migliorativi del centrosinistra: sulla composizione del Senato federale è stato proposto, dai gruppi del centrosinistra, il seguente emendamento: «Il Senato federale della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto su base regionale. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a cinque; il Trentino-Alto Adige/Südtirol ne ha tre per ciascuna Provincia autonoma; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste uno. Le regioni con più di un milione e fino a tre milioni di abitanti hanno sei seggi; le regioni con più di tre e fino a cinque milioni di abitanti hanno sette seggi; le regioni con più di cinque e fino a sette milioni di abitanti hanno otto seggi; le regioni con più di sette milioni di abitanti hanno nove seggi. Le elezioni dei senatori si svolgono, in ogni Regione e nelle Province autonome di Trento e Bolzano, contestualmente alle elezioni dei rispettivi Consigli, in data comunque diversa dalle elezioni per la Camera dei deputati.
Il Senato federale della Repubblica è integrato da rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali, che partecipano alla sua attività senza diritto di voto. Ogni Consiglio regionale e ogni Consiglio delle autonomie locali eleggono un proprio rappresentante all'inizio di ogni legislatura regionale. Per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol i Consigli delle Province autonome ed i rispettivi Consigli delle autonomie locali eleggono ciascuno un proprio rappresentante. Sono disciplinati con legge dello Stato i modi di reciproca informazione e collaborazione tra i senatori eletti nella regione, il Consiglio regionale e il Consiglio delle autonomie locali».
E ancora: «L'articolo 58 della Costituzione è sostituito dal seguente: Articolo 58. Sono eleggibili a senatori tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età e che risiedono da almeno centottanta giorni nella Regione.
Dopo l'articolo 58 della Costituzione è inserito il seguente: Articolo 58-bis. La legge disciplina le forme del finanziamento delle campagne elettorali, ne assicura la trasparenza e fissa i limiti delle spese elettorali, garantisce ai candidati, ai partiti, alle coalizioni tra partiti e agli altri soggetti presentatori di liste di candidati condizioni di parità nell'accesso al sistema, pubblico e privato, delle comunicazioni di massa. La legge disciplina altresì le modalità e i termini della presentazione e della pubblicazione del programma elettorale e del nome del candidato proposto per la Presidenza del Consiglio dei ministri unitamente a ciascuna lista di candidati alle elezioni politiche. La legge stabilisce inoltre disposizioni idonee a prevenire l'insorgere di conflitti tra gli interessi privati di chi accede ad uffici pubblici e a cariche elettive e gli interessi generali che il pubblico ufficiale deve tutelare. In ogni caso, non possono ricoprire uffici pubblici né sono eleggibili a cariche elettive coloro che detengono la proprietà o hanno il controllo, anche indiretto, di mezzi di comunicazione di massa diffusi nell'area interessata».
 Sul procedimento legislativo il principale emendamento è il seguente: «La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per i disegni di legge di revisione della costituzione, per gli altri disegni di legge costituzionale, per i disegni di legge di cui al terzo comma dell'articolo 116 e per quelli in materia di perequazione finanziaria di cui al terzo e quinto comma dell'articolo 119.
I disegni di legge nelle materie assegnate alla competenza esclusiva dello Stato sono esaminati ed approvati dalla Camera dei deputati. Dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati, tali disegni di legge sono trasmessi ai Senato federale della Repubblica, il quale, su richiesta di due quinti dei suoi componenti, formulata entro dieci giorni dalla trasmissione, li esamina e delibera entro i successivi 30 giorni. Qualora il Senato non approvi o introduca emendamenti al disegno di legge, questo torna all'esame della Camera dei deputati, che si pronuncia definitivamente.
Qualora il Senato non proponga modifiche entro i termini previsti, la legge è promulgata ai sensi degli articoli 73 e 74.
I disegni di legge nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, e di cui agli articoli 117, secondo comma, lettere m) e p), 117, quinto e nono comma, 118, secondo e terzo comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, nonché in materia di sistema di elezione del Senato, sono esaminati dalla Camera dei deputati. Essi vengono quindi trasmessi al Senato, il quale li esamina e delibera entro 60 giorni dalla trasmissione. Qualora il Senato non li approvi o introduca emendamenti, i disegni di legge tornano all'esame della Camera, la quale li approva definitivamente, pronunciandosi a maggioranza assoluta dei componenti. Qualora, a maggioranza dei tre quinti dei componenti, il Senato non approvi o introduca emendamenti ai disegni di legge, si applicano le disposizioni di cui al primo comma, relativamente alle parti di cui il Senato abbia in tal modo rifiutato l'approvazione. Qualora il Senato non proponga modifiche entro i termini previsti, la legge è promulgata ai sensi degli articoli 73 e 74. I disegni di legge che contengano disposizioni relative a materie per cui si dovrebbero applicare procedimenti diversi sono approvati secondo quello più aggravato.
I termini per l'esame da parte del Senato dei disegni di legge di conversione dei decreti legge sono ridotti a quindici giorni.
Per le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e per le relative norme di esecuzione si applicano i procedimenti previsti per le materie cui i trattati si riferiscono».
Un modello, quello descritto, diverso da quello approvato e che, per quanto suscettibile anche di soluzioni diverse, corregge almeno i principali problemi aperti dal nuovo bicameralismo «più che imperfetto».
Rilievi critici sul Senato cosiddetto federale e il procedimento legislativo.
Alla luce delle considerazioni svolte, appare evidente che il modello di Senato che emerge dal testo approvato in nulla corrisponde ad un Senato «federale».
In primo luogo, non vi è alcuna vicinanza ai modelli di ordinamenti federali conosciuti: quello tedesco, basato sul criterio della designazione dei rappresentanti regionali, e quello statunitense, basato invece sull'elezione paritaria da parte dei singoli Stati.
In secondo luogo, è evidente che il criterio della «contestualità elettorale con rappresentanza proporzionale» (agli abitanti delle singole regioni) dà luogo più ad una «nazionalizzazione delle elezioni regionali» che ad una «regionalizzazione del Senato».
Occorre inoltre esprimere un giudizio critico, e molto severo, sulla disciplina del procedimento legislativo che è scritta in forma regolamentare, a dimostrazione dell'assoluta farraginosità e impraticabilità tecnica.
È qui sufficiente richiamare quella dottrina che ha affermato che «all'estromissione del Senato dal circuito fiduciario con il Governo non corrisponde infatti una sua più spiccata connotazione in senso territoriale, ma anzi una più accentuata fisionomia politica, perchè le competenze che gli sono attribuite sono talmente rilevanti, sia quantitativamente che qualitativamente, da incidere praticamente su tutte le questioni che investono l'indirizzo governativo, rendendo il ruolo del Senato come sede di concertazione con le autonomie territoriali del tutto subalterno rispetto a quello ben più assorbente di contrappeso politico nei confronti del Primo ministro.
La stessa filosofia sembra ispirare il primato accordato al Senato nella legislazione concorrente, nonchè il potere ad esso affidato di proporre l'annullamento di una legge regionale per contrasto con il riesumato interesse nazionale». Come è agevole rilevare «si tratta di due competenze cui è in vero sottesa un'imprescindibile esigenza di tutela dell'uniformità del sistema, che in nessun ordinamento federale viene soddisfatta dalla Camera che rappresenta la diversità, ma da quella che rappresenta l'unità: non se ne spiega allora l'esclusiva attribuzione al Senato, se non interpretandola come l'ennesimo indizio della sua solo apparente riconversione territoriale»
Con specifico riferimento al procedimento legislativo poi, accanto alle tradizionali leggi bicamerali è introdotta, come noto, una duplice tipologia di leggi monocamerali: leggi a preferenza Camera - nelle materie di competenza esclusiva statale - in cui è la Camera politica ad avere l'ultima parola e leggi a preferenza Senato - le leggi cornice - la cui definitiva approvazione è invece rimessa alla Camera territoriale (oltre a quelle definite dalla prevista commissione «arbitrale» nei casi controversi).
Una simile distribuzione delle competenze legislative presta il fianco alla critica di riprodurre pedissequamente il criterio di riparto previsto dall'articolo 117, senza tenere per nulla in considerazione le indicazioni nel frattempo provenienti dalla Corte costituzionale, la cui recente giurisprudenza ha per certi versi «riscritto» il titolo V.
Una scelta impraticabile e insostenibile sia per il profilo pratico che per quello teorico.
La forma di governo: il primo ministro e il rapporto governo-parlamento.
Il rafforzamento dell'Esecutivo nel testo all'esame della Camera dei deputati: riguardo al rapporto Governo-Parlamento, tra gli aspetti qualificanti del disegno di legge di riforma vi è il sostanziale rafforzamento del potere esecutivo o, per dire meglio, del Presidente del Consiglio dei ministri: figura che muta significativamente la sua denominazione in quella di Primo ministro. Ai sensi del nuovo articolo 95 della Costituzione, il Primo ministro «determina» (non più «dirige», come nel testo vigente della Costituzione) la politica generale del Governo e «garantisce» (non più «mantiene») l'unità di indirizzo politico e amministrativo: a tal fine l'attività dei ministri è dal Primo ministro diretta, e non soltanto promossa e coordinata.
Ancora più rilevante in tal senso è il potere di nomina e di revoca dei ministri, che lo stesso articolo attribuisce al solo Primo ministro. Viene meno, dunque, il ruolo riconosciuto al Presidente della Repubblica nella determinazione della compagine ministeriale e, prima ancora, nella scelta del capo dell'Esecutivo: il meccanismo di nomina del Primo ministro, come delineato dal nuovo articolo 92 della Costituzione, si traduce infatti, nella sostanza, in una designazione del premier da parte dell'elettorato. La candidatura alla carica ha luogo, infatti, mediante collegamento con i candidati all'elezione della Camera dei deputati.
La legge elettorale dovrà comunque disciplinare l'elezione dei deputati «in modo da favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di Primo ministro».
L'atto di nomina del Primo ministro resta affidato al Presidente della Repubblica, ma la scelta presidenziale non presenta margini di discrezionalità: essa ha luogo infatti «sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati».
Quanto ai rapporti con il Parlamento, alla luce del peculiare ruolo attribuito al Senato federale, il circuito fiduciario non viene meno, ma interessa, nel nuovo testo costituzionale, la sola Camera dei deputati, nella forma della cosiddetta «fiducia implicita». Il nuovo testo dell'articolo 94 della Costituzione, infatti, non prevede più che il Governo, entro dieci giorni dalla sua formazione, si presenti alle Camere per ottenerne la fiducia, ma prevede che, entro dieci giorni dalla nomina, il Primo ministro illustri il programma del Governo alle Camere e sia tenuto a presentare, ogni anno, un rapporto sull'attuazione del programma e sullo stato del paese. Un'ulteriore, sostanziale innovazione rispetto all'attuale forma di governo, consiste nell'attribuzione al Primo ministro della facoltà di chiedere, assumendosene la esclusiva responsabilità, al Presidente della Repubblica di procedere allo scioglimento della Camera, ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 88 della Costituzione.
Il Capo dello Stato decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indice le elezioni, da tenersi non oltre i successivi sessanta giorni, anche nei casi di morte, impedimento permanente o dimissioni del Primo ministro ovvero nel caso in cui la Camera dei deputati approvi una mozione di sfiducia. La mozione, che non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione, deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti la Camera, deve essere votata per appello nominale ed approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti.
Essa, in caso di approvazione, obbliga il Primo ministro alle dimissioni e comporta lo scioglimento della Camera dei deputati, non essendo contemplata, in questo caso, la possibilità di sostituire il Primo ministro.
A tale proposito, è stato invece previsto che, in ogni altro caso in cui il Presidente della Repubblica sia tenuto a decretare lo scioglimento dell'Assemblea politica, tale procedura non è attivabile ove, entro dieci giorni dal ricorrere delle condizioni di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma dell'articolo 88 della Costituzione, venga presentata alla Camera dei deputati una mozione, sottoscritta dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni e di consistenza non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, nella quale si dichiari di voler continuare nell'attuazione del programma e si indichi il nome di un nuovo Primo ministro. È da notare, quindi, come in tutte le ipotesi esposte, la presentazione della mozione permette alla Camera di provocare la sostituzione del Primo ministro, non consentendo comunque il formarsi di una maggioranza diversa da quella espressa dalle elezioni.
I poteri del Primo ministro nel governo: la tendenza condivisa al rafforzamento.
Nel corso delle audizioni il rafforzamento della posizione costituzionale del Primo ministro è stato in via generale condiviso; esso è sembrato a taluni eccessivo e, da un certo punto di vista, superfluo perché il sistema attuale, attraverso la legge elettorale maggioritaria e l'evoluzione dei rapporti interni dei partiti, starebbe raggiungendo - sia pur gradualmente - una situazione che, di fatto, è quella che, in linea generale, si vorrebbe garantire con la riforma proposta.
La forma di governo parlamentare sarebbe sufficientemente elastica per recepire nel suo funzionamento l'influenza delle situazioni sociali e politiche. Se essa venisse irrigidita con un eccesso di regole formali, si rischierebbe, di fronte al continuo mutamento delle situazioni, di avere una forma di governo, costretta dalle norme costituzionali, non rispondente alla realtà.
La scelta operata di un Primo ministro con poteri di determinazione dell'indirizzo politico e in posizione di sovraordinazione rispetto ai ministri, ha trovato il consenso di molti. Per evitare il rischio della personalizzazione del potere, il rafforzamento dei poteri del Primo ministro dovrebbe essere bilanciato da una «rete di salvataggio», restituendo protagonismo alla sovranità popolare, che non si esaurisce nel voto, ma si esprime anche in altre forme (ad esempio la sussidiarietà orizzontale, e più in generale il federalismo).
Per quanto riguarda il potere di nomina e di revoca dei ministri, rimesso totalmente al Primo ministro, è stata sottolineata l'opportunità di mantenere la «camera di compensazione» rappresentata dalla nomina formale dei ministri da parte del Capo dello Stato e dalla deliberazione del Consiglio dei ministri.
Pur condividendo la linea che vede un premierato forte, alcuni hanno posto l'esigenza di prevedere rigorose incompatibilità ed ineleggibilità per i candidati a cariche di Governo, e in particolare a quella di Primo ministro.
Designazione popolare e nomina del Primo ministro.
È stata valutata favorevolmente la scelta operata dal disegno di legge di riforma di non introdurre l'elezione diretta del Primo ministro, anche se sono stati avanzati dubbi sulla necessità ed opportunità di prevedere in Costituzione la formalizzazione della candidatura alla carica di Primo ministro.
È positivo il riconoscimento di un collegamento tra la formazione di una maggioranza parlamentare e il Primo ministro che mette gli elettori in condizione di decidere. Ciò comporta anche una semplificazione del sistema parlamentare e la creazione di un sistema che è stato definito «monocameralismo politico».
L'elezione della maggioranza elettorale temporalmente contestuale e programmaticamente collegata alla selezione del Primo ministro è un altro elemento accolto con favore.
Il candidato premier e la coalizione che lo sostiene si presentano in qualche modo raccordati fra di loro di fronte all'elettorato. È stato proposto di chiarire come avviene la formalizzazione di questa maggioranza e in quale modo essa transita poi in Parlamento, in quanto questo diventa un momento fondamentale per il processo di formazione del Governo, nel quale il Presidente della Repubblica deve rispettare l'indicazione dell'elettorato, ma solo quando questa indicazione trovi nella Camera dei deputati la sua formalizzazione.
I rapporti con il Parlamento e il principio simul stabunt, simul cadent.
In un contesto nel quale il Primo ministro - e non l'Esecutivo nella sua collegialità - diventa il «padrone dei tempi della procedura parlamentare», è stato proposto di rafforzare, quale contrappeso sostanziale, il sistema delle fonti, prevedendone una normazione costituzionale.
Il rafforzamento del Governo, senza alcun dubbio necessario nella forma di Governo italiana, che ha sempre registrato una debolezza estrema in termini istituzionali e convenzionali, in particolare del Presidente del Consiglio, non dovrebbe comportare il totale depotenziamento dell'Assemblea rappresentativa.
Nel progetto di riforma - si afferma - non è chiaro il rapporto fra il leader, la maggioranza e il programma di governo e le modalità secondo cui questi soggetti si raccordano con gli elettori, che sono i detentori della legittimazione dell'Esecutivo a governare.
Il sistema proposto, basato sul principio secondo cui il Primo ministro e la Camera simul stabunt, simul cadent, è stato giudicato da alcuni troppo rigido: esso non permetterebbe, tra l'altro, la formazione di governi di minoranza.
Anche da parte di altri, è stata considerata con favore la possibilità di consentire, per periodi limitati o straordinari, l'esistenza di governi di minoranza, senza che ciò comporti lo scioglimento automatico e il ricorso alle urne, in quanto non vi è alcun sistema elettorale - a meno che non si pensi ad una legge elettorale con premio di maggioranza sul modello di quella vigente per gli enti locali - che può assicurare la formazione di un Governo con una maggioranza stabile. E peraltro, anche in tal caso, potrebbero verificarsi forme di dissolvimento della maggioranza.
È stato proposto, in questo caso, di affidare al Capo dello Stato la possibilità di valutare se la maggioranza firmataria di una mozione, non corrispondente necessariamente alla maggioranza assoluta risultante dalle elezioni, sia in coerenza con i risultati elettorali per la Camera dei deputati.
È stata evidenziata una sostanziale marginalizzazione del Parlamento nella delicatissima procedura riguardante lo scioglimento anticipato delle Camere e la sostituzione del Primo ministro, che vengono affidate a procedimenti extraparlamentari, quali l'apparentamento pre-elettorale del candidato Primo ministro e dei candidati deputati e la sottoscrizione della mozione fuori dalle aule parlamentari.
Con riferimento alla mozione prevista dagli articoli 88, secondo comma, e 92, quarto comma, per l'incarico al nuovo Primo ministro e per la sostituzione di quello in carica sono state manifestate da più parti perplessità circa il fatto che la mozione non sembra debba essere discussa e votata in Parlamento, bensì semplicemente sottoscritta da una maggioranza che si forma in un momento pre-parlamentare.
Il voto di fiducia.
Secondo alcuni tra gli intervenuti, la mancata previsione di un voto parlamentare iniziale sul programma di governo, per certi versi, eluderebbe la responsabilità politica. Come rimedio è stato proposto di introdurre la facoltà di richiedere il voto sul programma di governo (sia per approvarlo, sia per respingerlo), fissando il quorum della maggioranza assoluta dei deputati. Ciò attiverebbe la responsabilità del Governo e della maggioranza in merito al programma e consentirebbe il funzionamento del sistema con qualsiasi meccanismo elettorale (anche quello attuale).
È stata evidenziata questa contraddizione: poiché la legge elettorale non deve assicurare (ma soltanto «favorire») la formazione di una maggioranza e poiché non è più previsto il voto di fiducia iniziale, ne consegue implicitamente che il Presidente della Repubblica potrebbe nominare un Primo ministro di minoranza. A questo punto si verificherebbe una situazione paradossale, perché questo premier di minoranza sarebbe protetto dalle stesse clausole di garanzia del Governo che proteggono un premier avente dietro di sé una maggioranza. Anzi, costui risulterebbe più protetto perché non vi sarebbe la possibilità di sostituirlo utilizzando il potere di scioglimento previsto dall'articolo 88: per la sostituzione del Primo ministro, tale disposizione richiederebbe infatti una mozione di sfiducia firmata dalla maggioranza dei deputati che sostengono il Governo; maggioranza che non vi sarebbe, perché le elezioni non l'avrebbero prodotta.
È stata reputata importante la scelta di sottrarre alla seconda Camera la fiducia, eliminando un'anomalia propria dell'ordinamento italiano, perché in nessun altro sistema parlamentare si registrano due Camere che concedono entrambe la fiducia al Governo.
Per quanto riguarda la questione della fiducia presunta, ossia il fatto che non sia previsto un voto di fiducia all'inizio della legislatura, è stato rilevato che esso non è presente neanche in altri ordinamenti di impronta parlamentare (Regno unito, Francia). In proposito, è stata avanzata l'ipotesi di prevedere la fiducia come voto sul programma del Governo.
Lo scioglimento della Camera su richiesta del Primo ministro: alcuni strumenti introdotti (la previsione del collegamento diretto dell'indicazione del Primo ministro con i candidati all'elezione a deputato; la responsabilità esclusiva del Primo ministro, senza il concorso decisionale del Capo dello Stato, per lo scioglimento della Camera e l'automatismo dello scioglimento nel caso di voto di sfiducia) sono parsi ad alcuni eccessivi e tali da far uscire il sistema proposto dalla forma di governo parlamentare, che trova nella decisione parlamentare sulla nascita e sulla vita del governo e nel controllo del Capo dello Stato sulle proposte dello stesso gli elementi di contrappeso rispetto al primato dell'Esecutivo, ritenuti ineliminabili da ogni sistema di pluralismo dei poteri.
Per ridurre l'eccessiva influenza del Primo ministro sul Parlamento, è stato proposto di eliminare il potere di richiesta di scioglimento, rimettendolo al solo Presidente della Repubblica.
Il progetto di riforma, mentre da un lato attribuisce al Presidente della Repubblica una serie di decisioni politiche, per altri versi, lo esclude totalmente da altre, nelle quali la sua partecipazione a fini di garanzia sarebbe essenziale, come appunto per lo scioglimento anticipato. Desta preoccupazione il fatto che senza tali garanzie - «lo scioglimento possa brandirsi come un'arma in un sistema privo di bilanciamenti adeguati».
Secondo altre voci, all'interno di un sistema politico come quello italiano, che si struttura intorno a coalizioni non sempre coese al loro interno, realizzando una forma di «bicoalizionismo», il Primo ministro ha bisogno di strumenti di difesa e di deterrenza per tenere sotto controllo la conflittualità interna della coalizione che lo sostiene. Tenuto conto di ciò, è stata reputata necessaria e inevitabile l'attribuzione al Primo ministro del potere di scioglimento.
È stato osservato che, coerentemente con l'esigenza di un rafforzamento del sistema bipolare, occorre che il premier abbia la possibilità di utilizzare come deterrente il ricorso anticipato alle elezioni. Al riguardo è stato segnalato il problema che insorgerebbe nel caso in cui il Presidente del Consiglio sciogliesse le Camere contro la propria maggioranza. Non c'è dubbio che, se ciò fosse usato come deterrente, il Presidente del Consiglio dovrebbe poter sciogliere le Camere anche contro una parte della propria maggioranza, ma non potrebbe farlo contro la propria maggioranza, in quanto sarebbe certo di avere contro l'intera coalizione che potrebbe non ricandidarlo.
Sarebbe quindi più opportuno mantenere soltanto il primo comma dell'articolo 88, che lascia al premier la possibilità di chiedere o meno il ricorso anticipato alle urne. Oppure, volendo mantenere la possibilità per una maggioranza parlamentare sostanzialmente invariata di liberarsi di un premier disposto ad andare da solo allo scioglimento, si adottino formule che consentano al Presidente della Repubblica di negare lo scioglimento, non con totale discrezionalità come oggi, ma valutando se le nuove maggioranze che si prospettino siano coerenti con i risultati elettorali della Camera.
Per quanto riguarda la configurazione del potere di scioglimento in capo al Primo ministro, l'interpretazione che ne è stata data risulta inficiata da una sorta di «complesso del tiranno», che intravede nel potere di scioglimento discrezionalmente attribuito al Primo ministro una sorta di «fuoriuscita» dalla forma democratica e dal sistema parlamentare. Al contrario, non vi è assolutamente nulla di antidemocratico nell'attribuire un potere di questo tipo al Primo ministro.
Alcuni hanno prospettato l'opportunità di introdurre il potere di scioglimento anche nei confronti del Senato riservandolo, in funzione di garanzia e per evitare eventuali paralisi dei sistema, al Presidente della Repubblica.
La sostituzione del Primo ministro: da più parti è stato rilevato l'eccesso di irrigidimenti che sarebbero presenti in particolar modo nel meccanismo, introdotto dall'articolo 88, secondo comma, che permette alla Camera di determinare la sostituzione del Primo ministro (cosiddetta norma «antiribaltone») e nell'automatismo sfiducia - scioglimento. L'avvicendamento del premier in corso di legislatura presuppone la sussistenza di una maggioranza (assoluta) di parlamentari che sottoscriva, al riguardo, una mozione, per garantire la quale si dovrebbe costituzionalizzare un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza, l'unico che sia in grado di garantire a priori una maggioranza assoluta. Questa soluzione però presenta vari svantaggi: in primo luogo, costituzionalizzare un determinato sistema elettorale riduce i margini di flessibilità del sistema; in secondo luogo, essa è in qualche modo in contraddizione con la norma (articolo 92, secondo comma) che prevede genericamente (ed opportunamente) un sistema elettorale per la Camera che favorisca la formazione di maggioranze, non che la garantisca.
Per quanto riguarda la norma prevista dall'articolo 88, secondo comma, è stata reputata improbabile l'ipotesi, ad essa sottesa, di un premier che richieda lo scioglimento della Camera pur sapendo che la propria maggioranza non sarebbe disposta a ricandidarlo come Primo ministro.
Il meccanismo di sostituzione del Primo ministro rappresenta, secondo più studiosi, un buon temperamento rispetto al modello dello scioglimento puro, attribuito al Primo ministro.
La restrizione ai soli deputati che siano espressione della maggioranza vincitrice alle elezioni della possibilità di sottoscrivere la mozione di sfiducia costruttiva è stata da alcuni censurata per due motivi: da un lato questa ipotesi potrebbe essere in contrasto con l'articolo 67 della Costituzione, dall'altro essa fornirebbe un potere di veto a tutti i gruppi che avessero una dimensione tale da impedire la formazione di una qualsiasi maggioranza all'interno del perimetro della coalizione risultata vincente alle elezioni.
In alternativa, è stata proposta l'adozione del modello spagnolo: il premier può sciogliere la Camera discrezionalmente, in qualsiasi circostanza ritenga che la sua maggioranza non sia leale, ad esclusione solo del caso in cui sia stata già attivata una mozione di sfiducia costruttiva o quando sia stato formalmente sfiduciato, nel senso che una mozione di sfiducia sia stata già approvata. Oppure, è stato ritenuto condivisibile il modello svedese: il premier avrebbe un potere di scioglimento, in qualsiasi momento, discrezionale, anche in presenza di una mozione di sfiducia e anche a seguito di una mozione di fiducia non approvata.
L'aspetto di rigidità che sembra necessario eliminare è quello della connessione automatica tra approvazione della mozione di sfiducia e scioglimento. Anche in questo caso sarebbe prudente ed opportuno conferire qualche margine di flessibilità al sistema consentendo un cambio di Primo Ministro con la stessa maggioranza.
Un'ulteriore proposta prevede la soppressione della «mozione costruttiva interna alla maggioranza» (articolo 92, quarto comma), che consente la sostituzione del Primo ministro a seguito di morte o dimissioni ovvero per cause diverse da quelle dì cui all'articolo 94 (reiezione della questione di Governo o approvazione di una mozione di sfiducia). Viene in alternativa conferito al Capo dello Stato il potere di nominare il nuovo Primo ministro «sulla base dei risultati delle elezioni della Camera». Tale formula coprirebbe non solo la nomina di inizio legislatura ma anche il vuoto determinato da ipotetici e successivi casi di dimissione anticipata del premier in corso di legislatura.
Altri hanno suggerito di prevedere la possibilità di nominare un nuovo Primo ministro, secondo la procedura prevista dall'articolo 88, secondo comma, anche dopo l'approvazione di una mozione di sfiducia ai sensi dell'articolo 94, terzo comma.
Per disincentivare le dimissioni del Primo ministro non giustificate da ragioni politiche espresse e relative al rapporto fiduciario (cioè per cause diverse dall'articolo 94), è stato proposto di escludere la riproposizione alla carica di Primo ministro del premier che sia dimesso di propria iniziativa per motivi diversi da impedimento, morte, eccetera.
La «questione di Governo» dinanzi alla Camera: l'istituto della «questione di Governo», introdotto dal secondo comma dell'articolo 94 della Costituzione, secondo il quale il Primo ministro può chiedere che la Camera dei deputati si esprima, con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte dei Governo, è stato oggetto di puntuali osservazioni critiche e di proposte tendenti a limitarne il campo di applicazione.
Con la questione di Governo, il Primo ministro diverrebbe il dominus della funzione legislativa e ogni sua proposta dovrebbe essere approvata dall'Assemblea, ridotta ad un organo di esecuzione.
Essa determinerebbe una «torsione della questione di fiducia» del tutto anomala, con esiti ben più gravi, in caso di reiezione, della questione di fiducia. Quest'ultima produce come risultato, ove non sia approvata, le dimissioni del Presidente del Consiglio, mentre il voto contrario sulla questione di Governo comporterebbe come conseguenza principale lo scioglimento della Camera.
La questione di Governo avrebbe un campo di applicazione ben più ampio di quello attuale, che esclude la possibilità di porre la questione di fiducia sull'intero progetto di legge e su alcuni disegni di legge (come le leggi costituzionali) che sono esplicitamente o implicitamente lasciati fuori da questa previsione. Non essendoci oggetti esclusi, potrebbe riguardare qualsiasi oggetto: anche istituti quali la verifica delle elezioni, l'autorizzazione a procedere. Si avrebbe, infine, una questione di fiducia decisa esclusivamente dal Primo ministro, poiché manca nel progetto di riforma qualsiasi riferimento al Consiglio dei ministri.
Altri hanno considerato una forzatura la posizione della questione di Governo e hanno proposto di circoscriverne il campo d'azione alle sole materie essenziali per il programma di governo. In alternativa è stato suggerito di adottare le misure previste dall'articolo 102 del progetto di riforma della Commissione D'Alema, in base alle quali viene riconosciuta al Governo la disponibilità dell'ordine del giorno dell'Assemblea; il Governo può chiedere che un disegno di legge sia votato entro una data determinata (cosiddetta ghigliottina) e che, decorso il termine, la Camera deliberi su ciascun articolo, con gli emendamenti proposti o accettati dal Governo medesimo.
Vi è chi ritiene opportuno attenuare e rendere più flessibile il meccanismo della questione di Governo, mantenendo l'ipotesi del voto bloccato, non necessariamente collegato alle dimissioni del Primo ministro e allo scioglimento della Camera.
Secondo altri, dovrebbero essere previsti meccanismi per cui la maggioranza, nel momento stesso in cui non approva la proposta del Primo ministro, possa continuare ad attuare il suo programma di governo, individuando un diverso premier nel quale riconoscersi.
Una soluzione più radicale propone di sopprimere la questione di Governo e di reintrodurre, per la Camera dei deputati, la questione di fiducia e la mozione di sfiducia nei confronti del Primo ministro. Conseguenza della reiezione della fiducia o dell'approvazione della mozione di sfiducia, che devono ottenere il voto della maggioranza dei componenti della Camera, sarebbero le dimissioni del Primo ministro ovvero la sua richiesta al Presidente della Repubblica di scioglimento anticipato.
È stato segnalato un problema tecnico di formulazione del testo presente nell'articolo 94, secondo comma, che stabilisce, in caso di questione di Governo con esito negativo, che il Primo ministro rassegna le dimissioni e «può chiedere» lo scioglimento. Il progetto di riforma non disciplina le conseguenze derivanti dal mancato esercizio da parte del Primo ministro della facoltà di chiedere lo scioglimento della Camera. Per porre rimedio a questa lacuna, é stata suggerita la soppressione, dal comma quarto dell'articolo 92, dell'inciso «per cause diverse di quelle di cui all'articolo 94».
La mozione di fiducia: il meccanismo della mozione di sfiducia, prevista dall'articolo 94, terzo comma, ha come conseguenze l'obbligo di dimissioni del Governo e lo scioglimento automatico della Camera, non essendo contemplata la possibilità di sostituire il Primo ministro ricorrendo alle procedure di cui agli articoli 88 o 92 della Costituzione.
Questo automatismo costituzionale, probabilmente, porta il sistema delineato nel disegno di legge costituzionale fuori dal calco del Governo parlamentare, poiché in questo caso il Parlamento viene ad essere privato della possibilità di esprimere un nuovo Esecutivo.
Nel rapporto tra Primo ministro e maggioranza di Governo è stata rilevata una contraddizione tra l'intento che sottende la riforma - ovvero garantire che il programma proposto agli elettori sia portato a compimento - e la tutela prioritaria della persona del Primo ministro. L'attivazione dello strumento della sfiducia ha come «innaturali conseguenze» la fine anticipata della legislatura e il venir meno della possibilità di portare a termine l'impegno programmato. Da questa considerazione discende la proposta, volta a garantire la maggioranza di governo e ad evitare lo scioglimento, di eliminare l'automatismo dello scioglimento stesso in
caso di approvazione della mozione di sfiducia, estendendo ad essa la possibilità di sostituire il Primo ministro.
Altri hanno suggerito di lasciare al Primo ministro, nei confronti del quale sia stata approvata la mozione di sfiducia, la possibilità di decidere entro pochi giorni se dimettersi oppure sciogliere la Camera.
Le questioni relative alla configurazione e alle competenze del Senato e ai loro riflessi sulla forma di governo (quali, ad esempio, la sottrazione del Senato dal circuito fiduciario e dallo scioglimento anticipato, la competenza legislativa in materie essenziali per l'attuazione dell'indirizzo politico della maggioranza) sono esaminate nella scheda relativa al Senato federale e al bicameralismo.
Emendamenti migliorativi del centrosinistra:
Un primo significativo emendamento è il seguente: «Il Presidente della Repubblica, su richiesta del Primo ministro, ovvero nel caso in cui non sia possibile formare un Governo coerente con il risultato delle elezioni, decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indice le elezioni entro i successivi 60 giorni. Qualora, entro dieci giorni dalla richiesta, venga presentata da almeno un quarto dei componenti della Camera una mozione, nella quale si dichiari di voler continuare nell'attuazione del programma di Governo e si indichi il nome di un nuovo Primo ministro, essa è posta in votazione entro i successivi cinque giorni. Nel caso in cui la mozione venga approvata, il Presidente della Repubblica non emana il decreto di scioglimento qualora verifichi che la nomina del Primo ministro indicato nella mozione e il voto della Camera sono coerenti col risultato delle elezioni per la Camera dei deputati e col programma di legislatura. In caso di scioglimento della Camera successivo all'approvazione della mozione di cui al comma precedente o di una mozione di sfiducia, il Presidente della Repubblica nomina un governo di garanzia elettorale».
Il secondo emendamento significativo riguarda «il governo in parlamento» ed è il seguente: «Il Primo ministro, entro dieci giorni dalla nomina, illustra alle Camere il programma di legislatura e la composizione del Governo. Il programma specifica gli indirizzi sottoposti al corpo elettorale e contiene i principali indirizzi politici e le misure da adottare nell'attività governativa. La Camera dei deputati vota il programma che può essere respinto solo a maggioranza assoluta dei componenti. Il rigetto del programma comporta le dimissioni del Primo ministro.
Ogni anno il Primo ministro presenta alle Camere il rapporto sull'attuazione del programma e sullo stato della Repubblica, su cui si svolge un dibattito.
Il Primo ministro può chiedere alla Camera dei deputati il voto di fiducia su un provvedimento, compreso nel programma di legislatura o ad esso riconducibile. Il Regolamento della Camera disciplina i casi nei quali il Governo ha la facoltà di porre la fiducia sull'approvazione di singoli articoli o emendamenti, ferma l'applicazione del primo comma dell'articolo 72. Non è comunque ammessa la questione di fiducia sulle modifiche al Regolamento della Camera, sulle leggi costituzionali e di revisione costituzionale, nonché su disposizioni riguardanti materie di cui agli articoli 6, da 13 a 22, da 24 a 27, 29, 30, 31, secondo comma, 32, secondo comma. Il rigetto della fiducia comporta le dimissioni del Primo ministro.
La Camera dei deputati vota la sfiducia al Primo ministro mediante mozione motivata sottoscritta da almeno un quarto dei suoi componenti. La mozione non può essere posta in votazione prima di tre giorni e oltre cinque giorni dalla presentazione. L'approvazione della sfiducia comporta le dimissioni del Primo ministro.
Un modello anomalo: «il premierato assoluto».
Noi siamo favorevoli a garantire la stabilità e l'efficienza del Governo nel rispetto fondamentale della democrazia competitiva: la scelta del Governo con il voto da parte del cittadino-sovrano.
Ma è ben chiaro che questi obiettivi solo in parte perseguibili tramite regole costituzionali e che il disegno della maggioranza. come si evince dalla ricostruzione fatta, va ben oltre, configurando una sorta di anomalo «premierato» assoluto.
Il potenziamento estremo della figura del primo ministro attraverso la sua sostanziale elezione diretta e la sua esenzione dalla fiducia iniziale del Parlamento; il potere che gli è dato di forzare la Camera dei deputati all'approvazione delle misure legislative da lui ritenute essenziali; 1'automaticità dello scioglimento della Camera conseguente alla sfiducia e il larghissimo potere di determinarlo in altri casi da lui esclusivamente valutati facendo così venir meno un essenziale contrappeso alla forza dell'Esecutivo: tutte queste prerogative, assieme ad altre minori ma non certo inessenziali (quale il potere di nomina e revoca dei ministri sottratto, anche per casi gravi, ad ogni controllo del Presidente della Repubblica), ne irrigidiscono la supremazia oltre la realtà attuale e oltre ogni ragionevolezza. Dunque, non solo il Parlamento (o almeno la Camera) è messo nelle sue mani, ma la collegialità stessa del Governo è sminuita poiché quei poteri sono conferiti solo a lui; gli strumenti di contrappeso in mano al Presidente della Repubblica sono per gran parte vanificati; è impedito il rovesciamento in Parlamento della maggioranza elettorale ma inoltre la stessa maggioranza trova difficoltà a svolgere il suo ruolo di controllo del Primo ministro, quale si esplica nel sistema inglese. Insomma, il potere personale del premier sembra sostituire ogni articolazione della forma di governo, giustificando la definizione di chi (Elia) parla di «premierato assoluto».
Queste modifiche, secondo autorevole dottrina, costituiscono quindi una vera e propria alterazione della forma di governo: darebbero origine, come viene rilevato, ad una democrazia di mera investitura che, in realtà, corrisponde a un allontanamento tout court dalla forma democratica.
È difficile non condividere questa posizione che trova riscontro in larga parte della dottrina costituzionale. Osserva puntualmente Onida che «il senso profondo che ne emerge è piuttosto quello di una drastica «semplificazione» del circuito democratico, riducendolo alla scelta, ogni cinque anni, di una sola persona, direttamente investita della carica di Primo ministro, dotato dei massimi poteri nei confronti non solo dell'Esecutivo, ma anche del Parlamento, senza più nemmeno l'intralcio di un Capo dello Stato (i cui poteri vengono ridotti) controllore e garante del buon funzionamento del sistema parlamentare».
Secondo Onida «il cuore» del progetto, da questo punto di vista, è il nuovo articolo 92, nel quale si afferma che alle elezioni vi dovrà essere una «candidatura» alla carica di Primo ministro, che avverrà «mediante collegamento con i candidati ovvero con una o più liste di candidati all'elezione della Camera dei deputati», e che la legge elettorale dovrà »favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di Primo ministro». Ne segue che questi sarà senz'altro nominato alla carica, sulla base quindi di un'investitura che discenderà non più dalla volontà del Parlamento e per esso della maggioranza che esprime il Governo, ma direttamente dal voto popolare. A questo premier viene attribuito il potere non più solo di «dirigere», ma di «determinare» la politica generale del Governo, nominando e revocando i ministri, dirigendo l'attività di questi (articolo 95), e chiedendo al Parlamento di votare con procedure privilegiate sui testi da lui proposti, anche ponendo la questione di fiducia (articoli 72 e 94).
Il premierato «all'italiana» del progetto di riforma esprime una precisa filosofia: quella dell'estrema personalizzazione di un potere di governo affidato a un unico soggetto».
Un modello anomalo, che altera gli equilibri democratici senza assicurare l'efficienza politica del Governo.
Gli strumenti di garanzia e il Presidente della Repubblica.
Il disegno di legge in esame contiene alcune disposizioni che tendono complessivamente a rafforzare gli strumenti di garanzia costituzionale sebbene in modo insufficiente ed inadeguato.
Alcune di queste riguardano la tutela delle opposizioni in Parlamento. Si tratta degli articoli 7 ed 8, che modificano rispettivamente gli articoli 63 e 64 della Costituzione nel senso di: introdurre una maggioranza qualificata per l'elezione dei Presidenti di Camera e Senato; introdurre un quorum specifico per le deliberazioni dei Senato federale; prevedere uno «statuto dell'opposizione».
Relativamente a queste disposizioni rilevano due ordini di questioni: una, per così dire, di logica interna al disegno di legge in esame, l'altra di carattere più generale.
La prima questione riguarda la necessità di bilanciare il notevole aumento dei poteri del Capo del Governo con un parallelo rafforzamento del sistema di garanzie.
In secondo, il relativo accrescimento degli strumenti di tutela dell'opposizione cerca di venire incontro all'esigenza, sorta a seguito della riforma elettorale del 1993, di contemperare gli effetti del sistema maggioritario che rendono possibile la formazione di maggioranze parlamentari più ampie che nel passato.
Prenderemo quindi in esame anche le modifiche relative alla Corte costituzionale e al Consiglio superiore della magistratura.
L'elezione dei Presidenti delle Camere: l'articolo 7, che novella l'articolo 63 della Costituzione, costituzionalizza le modalità di elezione dei Presidenti delle Camere, ora disciplinate dai regolamenti parlamentari, prevedendo un sistema basato sul principio della maggioranza qualificata (due terzi dei componenti l'Assemblea per i primi tre scrutini; maggioranza assoluta dopo il terzo turno).
Si osserva che, a proposito della procedura relativa agli scrutini successivi al terzo, non viene specificato se si tratta di maggioranza assoluta dei componenti o di maggioranza assoluta dei voti.
I regolamenti di Camera e Senato prevedono entrambi il principio della maggioranza qualificata per l'elezione del Presidente con alcune differenze.
Alla Camera, per il primo scrutinio, è necessaria la maggioranza dei due terzi dei componenti, mentre per i successivi due turni è richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti, contando tra questi anche le schede bianche; dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti (regolamento Camera, articolo 4, comma 2).
Il regolamento del Senato richiede la maggioranza assoluta dei voti dei componenti l'Assemblea; al terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti dei presenti, computando anche le schede bianche. Se anche al terzo turno nessuno raggiunge la maggioranza si procede al ballottaggio tra i due candidati più votati al turno precedente (regolamento Senato, articolo 4).
Se si confronta il sistema di elezione proposto dal provvedimento in esame con quelli vigenti si può constatare l'innalzamento della maggioranza necessaria nei primi scrutini. Infatti, la maggioranza dei due terzi, ora prescritta solamente per il primo scrutinio della Camera, è estesa ai primi tre turni di votazioni; dal quarto in poi è necessario la maggioranza assoluta che attualmente costituisce la prima opzione per l'elezione del Presidente del Senato.
Lo «statuto dell'opposizione»: l'articolo 8 modifica l'articolo 64 della Costituzione introducendo una serie di misure volte a rafforzare i diritti delle opposizioni.
Si osserva preliminarmente che le misure prospettate riguardano soltanto la Camera dei deputati, ossia l'organo al quale la riforma assegna il ruolo di rappresentanza politica. Solamente alla Camera, in quanto sede del rapporto fiduciario Governo-Parlamento, sarà possibile individuare con chiarezza una o più opposizioni che si contrappongono alla maggioranza che sostiene il Governo. Mentre per quanto riguarda il Senato, in quanto organo di rappresentanza degli interessi territoriali, sarà più sfumato il confine tra opposizione e maggioranza (sempre che sia ancora possibile ricorrere a tali categorie).
Le misure proposte si possono sintetizzare come segue: previsione di un regime differenziato tra Camera e Senato per la validità delle votazioni; introduzione di uno «statuto dell'opposizione» alla Camera.
Per quanto riguarda le modalità di votazione delle Camere, l'articolo 64, terzo comma, della Costituzione prevede un regime indifferenziato per i due rami del Parlamento: le deliberazioni non sono valide se non è presente la maggioranza dei componenti (principio del numero legale) e devono essere approvate a maggioranza dei presenti. Inoltre, maggioranze diverse possono essere prescritte solo dalla Costituzione stessa.
L'articolo in esame lascia inalterata tale previsione. Viene, tuttavia, introdotta una ulteriore condizione: per la validità delle votazioni del Senato federale è richiesta la presenza dei senatori espressi da almeno un terzo delle regioni.
Il nuovo quarto comma dell'articolo 64 della Costituzione di cui si propone l'introduzione, costituisce l'innovazione principale dell'articolo in esame. Si tratta di un insieme di norme che complessivamente hanno l'obiettivo di creare una forma di «statuto dell'opposizione» della sola Camera dei deputati, mediante la previsione di alcune disposizioni da inserire nel regolamento.
Innanzitutto, viene fissato il principio in base al quale, nel suo complesso, il regolamento della Camera deve garantire sia le prerogative ed i poteri del Governo e della maggioranza, sia i diritti dell'opposizione.
Fortemente innovativa rispetto all'ordinamento vigente è la figura del «Capo dell'opposizione» le cui prerogative e la cui modalità di elezione dovranno però essere definite dal regolamento della Camera.
Si osserva, in proposito, che il sistema parlamentare attuale, non compiutamente bipolare, rende possibile la formazione di più di una opposizione.
Pertanto, il regolamento della Camera sarà chiamato preliminarmente a decidere se il capo dell'opposizione dovrà essere espressione della sola coalizione uscita sconfitta dalle elezioni, cioè dell'opposizione «principale», oppure di tutti i gruppi di opposizione, anche di quelli che non si riconoscono in quella coalizione. In alternativa a queste due soluzioni, il regolamento potrebbe anche prevedere l'elezione di più di un capo dell'opposizione. Tuttavia quest'ultima ipotesi appare la meno percorribile sia perché la meno coerente con lo spirito della riforma volto a rafforzare le tutele delle minoranze parlamentari, sia perché la dizione di «Capo dell'opposizione» non sembra lasciare spazio a dubbi sulla unicità dell'organo.
È utile ricordare che il capo dell'opposizione è un istituto tipico dell'ordinamento della Gran Bretagna, nonostante tale ruolo non sia formalizzato in termini di procedure e regole scritte. Una delle poche fonti normative in materia è il Ministers and others Salaries Act del 1975 con il quale viene attribuito al capo dell'opposizione, così come ad altre cariche istituzionali quali i ministri, una indennità a carico dell'erario, comprensiva dell'indennità parlamentare. Il ruolo di opposizione ufficiale è ricoperto dal principale partito di minoranza la cui identificazione ufficiale, in caso di dubbio, spetta allo speaker dei Comuni. Il capo dell'opposizione è il leader del gruppo di minoranza principale, ad esso si affianca il «gabinetto ombra», eletto dal gruppo (per i laburisti) o nominato dal leader (per i conservatori). Talvolta a queste figure si affianca anche un portavoce dell'opposizione, esterno al governo ombra.
Infine, l'articolo in esame introduce in Costituzione, a favore dei deputati appartenenti ai gruppi di opposizione, la riserva di presidenza delle Commissioni, Giunte e organismi interni, ai quali sono attribuiti compiti ispettivi, di controllo e di garanzia. Sono escluse esplicitamente le Commissioni di cui all'articolo 72, primo comma, della Costituzione, ossia le Commissioni permanenti che esaminano i progetti di legge, quella di cui all'articolo 70, terzo comma (la Commissione mista paritetica cui, nell'ambito del procedimento bicamerale, è affidato il compito di predisporre un testo inemendabile da sottoporre al voto delle due Assemblee), il Comitato misto paritetico di cui all'articolo 70, quarto comma, chiamato a decidere sulle questioni di competenza tra i due rami del Parlamento.
Per quanto riguarda le Commissioni cui sono attribuiti i compiti di cui sopra e che rientrerebbero nell'ambito di applicazione della disposizione in esame, sono attualmente tutte commissioni bicamerali. Due di queste, cui sono attribuite funzioni di coordinamento e di garanzia costituzionale, sono previste dalla Costituzione e da leggi costituzionali (Commissione per le questioni regionali e Comitato per i procedimenti di accusa) le altre sono state istituite con legge ordinaria ed hanno compiti ispettivi, di indirizzo e di controllo.
Le modalità di nomina dei componenti delle Commissioni bicamerali sono disciplinate dalle disposizioni istitutive di ciascuna di esse. Generalmente spetta ai Presidenti di Camera e Senato la nomina dei membri, i quali a loro volta scelgono al loro interno il proprio Presidente. Per prassi prevalente vengono nominati alla presidenza un deputato ed un senatore alternativamente ad ogni legislatura.
In epoca antecedente l'adozione del sistema maggioritario era diffusa la prassi, seguita in parte anche successivamente, di designare alla presidenza delle Commissioni di controllo rappresentanti dei gruppi di opposizione.
Si osserva che l'obbligo di riservare alle minoranze parlamentari la presidenza di tali Commissioni bicamerali andrebbe ad incidere anche sulle prerogative del Senato per il quale non è previsto un analogo obbligo costituzionale dal momento che la disposizione in esame riguarda solamente la Camera dei deputati.
La riserva di presidenza all'opposizione riguarda anche le Giunte con compiti di controllo, ispettivi e di garanzia. Rientrano tra queste sicuramente la Giunta delle elezioni (articolo 17, regolamento Camera) e la Giunta per le autorizzazioni (articolo 18, regolamento Camera), le quali per prassi già sono presiedute da membri dell'opposizione. Mentre appare più problematica l'inclusione tra di esse della terza giunta della Camera, la Giunta per il regolamento. Infatti, essa, ai sensi dell'articolo 16, regolamento Camera, è presieduta dal Presidente stesso della Camera, che viene ad assumere pertanto un ruolo di garante del regolamento sia nei confronti della maggioranza, che dell'opposizione.
Oltre alle Commissioni e alle Giunte, la disposizione in esame estende l'obbligo di presidenza anche agli «organismi interni» con compiti ispettivi, di controllo e di garanzia, la cui individuazione appare più problematica. Da questi sembra potersi escludere il Comitato per la legislazione (disciplinato dall'articolo 16-bis, regolamento Camera) in quanto organo consultivo chiamato ad esprimere un parere tecnico sulla qualità dei testi normativi e pertanto privo di compiti di controllo. Parimenti risultano privi di tali compiti altri organismi interni istituiti da fonti subregolamentari, quali i comitati istituiti in seno all'Ufficio di presidenza (Comitato di vigilanza sull'attività di documentazione, Comitato per la comunicazione e l'informazione esterna, Comitato per gli affari dei personale, eccetera). In definitiva, la disposizione in esame sembra configurarsi quale norma di principio, nel senso che qualora dovessero essere istituiti altri organismi con compiti di controllo, diversi dalle Commissioni e dalle Giunte, scatterebbe per essi la riserva di presidenza in favore dell'opposizione.
Si tratta, in definitiva, di norme di garanzia blande e insufficienti, come già osservato.
Il Presidente della Repubblica: l'articolo 19 del testo di riforma costituzionale in esame reca una nuova formulazione dell'articolo 83 della Costituzione.
Le modifiche proposte incidono sostanzialmente su due aspetti: la composizione del collegio elettorale del Presidente della Repubblica; il quorum richiesto per la sua elezione.
Il disegno di legge costituzionale mantiene il sistema vigente, che prevede l'elezione indiretta del Capo dello Stato da parte di un collegio ad hoc. In luogo del Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali, viene istituito un nuovo organo, denominato Assemblea della Repubblica.
L'Assemblea della Repubblica è presieduta dal Presidente della Camera, come il Parlamento in seduta comune, ed è composta dai componenti delle due Camere e da delegati eletti dai Consigli regionali.
Come stabilito dalla Costituzione attualmente vigente, ogni regione elegge tre delegati, ad eccezione della Valle d'Aosta, che ne esprime soltanto uno; viene peraltro innovativamente inclusa nell'assemblea elettiva un'ulteriore significativa rappresentanza delle autonomie territoriali. Il nuovo testo prevede infatti che facciano parte dell'Assemblea della Repubblica anche: i presidenti delle giunte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano; un numero ulteriore (rispetto ai 58 attualmente previsti) di delegati eletti dalle regioni, in ragione di un delegato per ogni milione di abitanti della regione.
I delegati sono scelti per almeno la metà tra i sindaci e i presidenti di provincia o città metropolitana. Nel corso dell'esame presso la I Commissione della Camera è stata soppressa la disposizione che riservava esplicitamente tale quota alla designazione dei Consigli delle autonomie locali.
Un'ulteriore modifica apportata dalla Commissione sopprime la previsione, recata dal testo vigente, che i delegati regionali siano eletti dai rispettivi Consigli in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze, e la sostituisce con un vincolo più stringente: l'elezione deve aver luogo in modo che sia assicurata la rappresentanza proporzionale rispetto alla composizione di ciascun Consiglio.
Il numero dei componenti dell'Assemblea federale verrebbe ad essere così determinato: 512 deputati, 258 senatori, 58 delegati regionali, 21 Presidenti delle Giunte regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, 48 delegati delle autonomie locali, per un totale di 897 membri.
Si rileva che, calcolando il numero degli ulteriori delegati regionali sulla base della popolazione della regione in ragione di uno ogni milione di abitanti, le cinque regioni (Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Umbria, Molise e Basilicata) che non raggiungono tale soglia demografica non avrebbero ulteriori rappresentanti (espressione delle autonomie locali) nell'assemblea elettiva del Presidente della Repubblica, oltre quelli già previsti dalla Costituzione attuale.
Nella nuova composizione del collegio elettivo del Presidente della Repubblica, il rapporto tra i parlamentari e i rappresentanti espressi dalle autonomie territoriali sale dall'attuale 6 per cento (58 membri su un totale di 1.003) al 14 per cento (127 su 897). Tale quota salirebbe al 43 per cento qualora si computassero in essa i senatori, considerandoli in senso lato come espressione della «periferia» per effetto del radicamento territoriale determinato dall'elezione contestuale del Senato federale e dei Consigli regionali e dalla scelta di introdurre, tra i presupposti dell'elettorato passivo, la residenza nella regione.
Il disegno di legge costituzionale modifica anche il quorum per l'elezione del Capo dello Stato, di cui al terzo comma dell'articolo 83, prevedendo la maggioranza dei due terzi dei componenti dell'assemblea della Repubblica nei primi quattro scrutini e, dopo il quarto, la maggioranza assoluta.
Nella norma in esame non si specifica, come d'altronde avviene anche nella Costituzione vigente, se la maggioranza assoluta debba calcolarsi sulla base degli aventi diritto al voto, oppure sul numero dei presenti. È comunque da ritenersi che andrebbe applicata l'interpretazione corrente, conforme alla prima ipotesi prospettata.
La convocazione dell'Assemblea della Repubblica: l'articolo 20, non modificato dalla Commissione, non apporta modifiche al primo comma dell'articolo 85 della Costituzione, lasciando immutata la durata settennale del mandato presidenziale ma, al secondo comma, innalza a 60 giorni dalla scadenza del mandato il termine per la convocazione, da parte del Presidente della Camera dei deputati, dell'Assemblea per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
La scelta è stata giustificata con l'esigenza di limitare il periodo di prorogatio del Presidente uscente e di garantire al collegio elettorale un maggiore periodo di ponderazione e riflessione per giungere ad una scelta largamente condivisa. Essendo stato ampliato il collegio elettorale, si è inteso altresì lasciare maggior tempo alle procedure di designazione dei delegati regionali.
Un'altra modifica riguarda il terzo comma dell'articolo 85, dove le parole «le Camere» sono sostituite con «la Camera dei deputati». In tal modo, la proroga dei poteri del Presidente della Repubblica nell'ipotesi che la scadenza del settennato coincida con la vacanza o con l'imminente scioglimento è prevista soltanto se questi eventi interessano la Camera dei deputati. Si ricorda che, nel nuovo sistema, la contestualità dell'elezione della Camera e del Senato possono venire meno a seguito di uno scioglimento anticipato della Camera dei deputati.
Non è stato invece previsto il caso secondo cui a trovarsi nelle condizioni di scioglimento siano il Senato federale o i consigli regionali.
La supplenza: l'articolo 21, non modificato dalla Commissione, introduce lievi modifiche all'articolo 86 della Costituzione, che disciplina la sostituzione momentanea della carica di Presidente della Repubblica, il quale, nei casi in cui non possa, per impedimento temporaneo, adempiere le sue funzioni, viene sostituito dal Presidente del Senato. Ferme le disposizioni recate dalla Costituzione vigente, il testo prevede solo che il supplente del Presidente della Repubblica sia il Presidente «del Senato federale della Repubblica».
Qualora l'impedimento si trasformi in permanente o intervengano la morte o le dimissioni del Presidente, il secondo comma dell'articolo 86 stabilisce che venga indetta, entro quindici giorni, l'elezione del nuovo Presidente, salvo che le Camere siano sciolte o manchino meno di tre mesi alla loro cessazione: anche questo caso, come per il precedente articolo 85, il disegno di legge costituzionale sostituisce le parole «le Camere» con «la Camera dei deputati».
Le modifiche introdotte hanno dunque mere finalità di coordinamento.
Le funzioni del Presidente della Repubblica.
L'articolo 22, sostituendo l'articolo 87 della Costituzione, definisce il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema istituzionale e individua i poteri e le funzioni del Capo dello Stato, consentendo di delineare complessivamente la sua posizione nel nuovo sistema proposto. Il primo comma del nuovo articolo 87, riformulato nel corso dell'esame in sede referente, enuncia le seguenti prerogative del Presidente: è il Capo dello Stato (così recita anche il testo vigente dell'articolo 87); rappresenta l'unità federale della Nazione (rispetto al testo vigente, è aggiunto l'aggettivo «federale»); è garante della Costituzione (si tratta di una formulazione non presente nell'attuale primo comma dell'articolo 87).
La riformulazione operata dalla I Commissione ha espunto la dizione: «esercita le funzioni che la Costituzione gli attribuisce espressamente», che il Senato aveva introdotto nel testo.
L'articolo 22 del disegno di legge costituzionale modifica in alcune parti l'elenco dei poteri attribuiti al Presidente della Repubblica dall'articolo 87 della Costituzione, nei commi successivi al primo. Alcuni nuovi poteri gli sono attribuiti, in relazione al suo ruolo di garanzia, quale «contrappeso istituzionale» al rafforzamento del vertice dell'Esecutivo - che riduce l'ambito di incidenza del Capo dello Stato nel rapporto Parlamento-Governo ed ai maggiori poteri assegnati alle autonomie territoriali.
In particolare, viene attribuito al Presidente della Repubblica il potere di: nominare, nei casi indicati dalla legge, i presidenti delle autorità amministrative indipendenti, sentiti i Presidenti delle due Camere (quest'ultimo inciso è stato aggiunto dalla I Commissione della Camera); designare il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, nell'ambito dei componenti di nomina parlamentare (anche questa precisazione è stata introdotta durante l'esame in sede referente).
Attualmente, secondo quanto prescrive l'articolo 104, quinto comma della Costituzione, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura viene eletto dal Consiglio stesso, tra i membri di nomina parlamentare.
Tali atti presidenziali sono espressamente sottratti alla proposta e alla controfirma del Primo ministro o dei ministri in virtù del terzo comma dell'articolo 89 della Costituzione, come sostituito dall'articolo 24 del testo della riforma. Tale norma sancisce e sottolinea l'autonomia con cui il Presidente deve esercitare la funzione assegnatagli.
In base a un ulteriore emendamento approvato dalla I Commissione della Camera, spetta al Capo dello Stato indire non solo le elezioni delle Camere, ma anche quelle dei Consigli regionali e dei Consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano, nonché dei rispettivi Presidenti. La modifica appare correlata con l'introduzione della cosiddetta «contestualità affievolita» tra l'elezione del Senato federale e quelle dei consigli regionali.
Attualmente, e fino a quando le singole regioni non disciplineranno diversamente la materia, nelle regioni a statuto ordinario le elezioni sono indette dal rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie, figura che, dopo la riforma del Titolo V, ha preso il posto del commissario di Governo (articolo 10, legge n. 131 del 2003); nelle regioni a statuto speciale, dal presidente della regione.
Il richiamo all'elezione dei presidenti delle regioni e delle province autonome, congruo nell'attuale contesto normativo, potrebbe non risultare in futuro applicabile in quelle regioni che, nel definire la propria forma di governo e il proprio sistema elettorale in attuazione degli articoli 122 e 123 della Costituzione, non prevedessero l'elezione diretta del Capo dell'Esecutivo.
A fronte dell'acquisto delle nuove attribuzioni, viene soppresso l'istituto dell'autorizzazione del Presidente della Repubblica per la presentazione dei disegni di legge di iniziativa governativa (prevista dal vigente comma quarto dell'articolo 87 della Costituzione).
Per il resto, il disegno di legge costituzionale mantiene le altre funzioni presidenziali previste dal testo attualmente vigente dell'articolo 87.
Si tratta delle seguenti funzioni, prevalentemente connesse al funzionamento dell'ordinamento costituzionale o rientranti nell'ambito delle competenze amministrative del Presidente della Repubblica: la possibilità di inviare messaggi alle Camere; la promulgazione delle leggi e l'emanazione dei decreti aventi valore di legge (decreti legislativi e decreti-legge) e dei regolamenti; l'indizione dei referendum abrogativi, dei referendum di approvazione delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali, dei referendum per la modifica territoriale di regioni e di enti locali la nomina dei funzionari dello Stato, nei casi previsti dalla legge; l'accreditamento e il ricevimento dei rappresentanti diplomatici e la ratifica dei trattati internazionali, previa, nei casi in cui sia richiesta, autorizzazione delle Camere; il comando delle Forze armate; la presidenza del Consiglio supremo di difesa; la dichiarazione dello stato di guerra deliberato dal Parlamento; la presidenza del Consiglio superiore della magistratura; il potere di concedere la grazia e di commutare le pene; il conferimento delle onorificenze della Repubblica.
Con riferimento alle norme concernenti le funzioni del Presidente della Repubblica contenute in altre parti della proposta di riforma, si ricordano le disposizioni che seguono: l'articolo 5, modificando l'articolo 59 della Costituzione, riduce a tre il numero dei senatori a vita di nomina presidenziale, e chiarisce che tale numero si riferisce al totale dei senatori a vita di nomina presidenziale simultaneamente in carica; con la modifica dell'articolo 135 della Costituzione prospettata dall'articolo 40, mantenendosi il numero complessivo attuale dei giudici della Corte costituzionale, è elevata a sette membri la componente di nomina parlamentare (tre eletti dalla Camera, quattro dal Senato federale); di conseguenza è ridotto il numero di membri nominati dal Presidente della Repubblica e dalle supreme magistrature (quattro ciascuno); dal punto di vista dei poteri presidenziali che incidono direttamente sul circuito dell'indirizzo politico, gli articoli 23, 26 e 28 introducono significative innovazioni, che contribuiscono a mutare la collocazione del Capo dello Stato nel sistema istituzionale: il potere di scioglimento anticipato della Camera viene ad essere prerogativa esclusiva del Primo ministro, per cui lo scioglimento si configura come un atto presidenziale formalmente misto, ma sostanzialmente ascrivibile alla responsabilità piena del premier; anche negli altri casi di scioglimento della Camera previsti dal testo in esame (impossibilità di procedere alla nomina di un nuovo Primo ministro in caso di morte, impedimento permanente o dimissioni di questi; approvazione di una mozione di sfiducia), il ruolo del Capo dello Stato è essenzialmente formale; è inoltre venuto meno il potere del Presidente della Repubblica di sciogliere il Senato federale (tale possibilità, prevista in origine dal testo della riforma nell'ipotesi di «prolungata impossibilità di funzionamento», è stata soppressa nel corso dell'esame al Senato).
Per quanto riguarda il potere di nomina del Primo ministro, il terzo comma dell'articolo 92 della Costituzione, come riformulato dall'articolo 26 del progetto, fissa un vincolo costituzionale per lo svolgimento della funzione presidenziale di nomina, che dovrà essere esercitata «sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati».
Tra i poteri che il testo della riforma propone di attribuire al Presidente della Repubblica, si segnala la possibilità, prevista dal secondo comma dell'articolo 127 della Costituzione (inserito dall'articolo 38 del disegno di legge), di annullare le leggi regionali in contrasto con l'interesse nazionale. Tale potere sarebbe peraltro esercitabile unicamente alla fine di un iter articolato, avviato su iniziativa del Governo ed affidato primariamente alla competenza del Senato federale.
La controfirma degli atti presidenziali: l'articolo 24 propone, attraverso una modifica dell'articolo 89 della Costituzione, la soppressione della controfirma ministeriale per i seguenti atti dei Presidente della Repubblica: rinvio delle leggi alle Camere ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione; messaggio alle Camere; concessione della grazia; nomina dei senatori a vita; nomina dei giudici costituzionali di sua competenza; «scioglimento della Camera dei deputati ai sensi dell'articolo 88 della Costituzione»; nomina del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura; nomina dei presidenti delle autorità amministrative indipendenti; «altre nomine che la legge attribuisce alla sua esclusiva competenza».
Dalla relazione illustrativa del disegno di legge costituzionale e dal dibattito parlamentare si desume che tale modifica è intesa a chiarire in maniera definitiva, in Costituzione, che tutti gli atti menzionati sono da ritenersi «formalmente e sostanzialmente» presidenziali (secondo le indicazioni della dottrina prevalente).
Il vigente articolo 89 della Costituzione, dopo aver stabilito che tutti gli atti del Capo dello Stato sono controfirmati dai ministri proponenti (prima comma), prevede che «gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio» (secondo comma). La stessa Costituzione, quindi, rinvia alla legge per individuare quali atti debbano essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio.
A tale proposito, l'articolo 5, comma 1, lettera d), della legge n. 400 del 1988 stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri controfirma: gli atti di promulgazione delle leggi; ogni atto per il quale è intervenuta deliberazione del Consiglio dei ministri; gli atti che hanno valore o forza di legge; «insieme con il ministro proponente, gli altri atti indicati dalla legge».
Sono altresì controfirmati dal Presidente del Consiglio dei ministri, in applicazione del primo comma dell'articolo 89 della Costituzione, anche gli altri atti adottati su sua proposta in quanto riferibili alle sue attribuzioni o all'ambito di competenza della Presidenza del Consiglio, ovvero alcuni «atti propri» del Capo dello Stato non riferibili, quanto all'oggetto, ad uno specifico settore di competenza ministeriale (ad esempio: nomina del Presidente dei Consiglio, nomina dei ministri, accettazione delle dimissioni del Governo, scioglimento delle Camere e dei Consigli regionali, nomina dei senatori a vita, nomina dei giudici costituzionali: quest'ultima ipotesi è espressamente contemplata dall'articolo 4 della legge n. 87 del 1953).
Con riguardo all'inciso «altre nomine che la legge eventualmente attribuisca alla sua esclusiva responsabilità», il testo approvato dal Senato è stato modificato in Commissione, sostituendosi il termine «responsabilità» con quello di «competenza».
La nuova formulazione appare testualmente meno confliggente con il disposto di cui all'articolo 90 della Costituzione, ove si prevede che il Presidente della Repubblica non sia responsabile per gli atti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni (tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione).
Viene comunque meno, con riguardo agli atti sostanzialmente presidenziali, la funzione che un'ampia dottrina tradizionalmente attribuisce alla controfirma ministeriale alla luce dell'articolo 90 della Costituzione: quella di scaricare sul Governo la responsabilità (giuridica) degli atti risalenti alla volontà del Presidente, che altrimenti risulterebbe priva di un titolare.
Un'altra modifica apportata dalla Commissione concerne il potere di scioglimento della Camera. Nel testo trasmesso dal Senato, la controfirma ministeriale era esclusa solo nei casi previsti dagli articoli 92, comma quarto (morte o impedimento permanente del Primo ministro, sue dimissioni per cause diverse da quelle legate alla fiducia), e 94, comma terzo (mozione di sfiducia); tale soluzione appariva giustificata dal fatto che lo scioglimento «su richiesta», di cui all'articolo 88, primo comma, avviene sotto la esclusiva responsabilità del Primo ministro richiedente.
Un emendamento approvato dalla Commissione ha tuttavia sostituito tali riferimenti con un generale richiamo all'articolo 88 della Costituzione: ne consegue che anche lo scioglimento della Camera richiesto dal Primo ministro è sottratto alla controfirma ministeriale. La disposizione andrebbe dunque coordinata con il disposto dell'articolo 88, primo comma, lettera a), della Costituzione, come riformulato dall'articolo 23 del testo licenziato dalla Commissione.
Rimangono sostanzialmente invariati i primi due commi del vigente articolo 89, eccetto una modifica di carattere formale al secondo comma, che provvede a sostituire l'espressione «Presidente del Consiglio dei ministri» con «Primo ministro».
L'articolo 25, non modificato dalla Commissione, sostituisce, all'articolo 91 della Costituzione, le parole: «Parlamento in seduta comune» con: «Assemblea della Repubblica». La disposizione è di mero coordinamento, e consegue alla necessità che il Presidente della Repubblica presti giuramento dinanzi allo stesso organo che lo ha eletto.
Sulla figura del Presidente della Repubblica i principali emendamenti del centrosinistra sono i seguenti:
«Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All'elezione partecipano i Presidenti di ciascun Consiglio regionale e i Presidenti dei Consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano. L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'Assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.
Il Presidente della Repubblica è eletto dall'Assemblea della Repubblica, presieduta dal Presidente della Camera e composta per metà dai deputati e per metà dai senatori e da rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali. I rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali sono eletti per metà dai consigli regionali e per metà dai consigli delle autonomie locali, secondo le disposizioni stabilite dalla legge.
Fino all'entrata in vigore della legge di cui all'articolo 83 della Costituzione, i rappresentanti delle autonomie locali sono eletti dal Consiglio regionale. La suddivisione dei rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali è effettuata in proporzione alla popolazione delle regioni, come risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Dopo il quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, comunque non inferiore alla maggioranza assoluta dei componenti».
Al primo comma dell'articolo 84 della Costituzione, le parole «cinquant'anni» sono sostituite dalle seguenti: «quarant'anni».
La Corte costituzionale: il completamento della transizione in senso federale dell'ordinamento comporta anche un ripensamento della composizione della Corte costituzionale. Da questo presupposto muove la modifica dell'articolo 135 della Costituzione proposta dall'articolo 41.
Fermo restando il numero complessivo dei giudici, fissato a quindici dall'articolo 135 della Costituzione, il numero della componente di nomina parlamentare è portato a sette. È in conseguenza ridotto il numero dei membri nominati dal Presidente della Repubblica e dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative (quattro ciascuno).
Si stabilisce inoltre che spetta al Senato federale la designazione di quattro giudici ed alla Camera quella di tre. Il testo licenziato dalla Commissione si differenzia sul punto da quello approvato dal Senato, nel quale l'intera componente di nomina parlamentare era nominata dal Senato federale.
Nei riguardi della Corte costituzionale l'intervento del Senato è stato giustificato con la necessità di far partecipare le autonomie territoriali alla elezione dell'organo chiamato a giudicare delle controversie tra Stato centrale e regioni. È per questa ragione che per l'elezione della Consulta il Senato viene integrato dai presidenti delle giunte delle regioni e delle province autonome.
L'articolo in esame propone ulteriori modifiche all'articolo 135 della Costituzione Per rafforzare l'indipendenza dei giudizi costituzionali, si prevede che, nei tre anni successivi alla cessazione della carica, il giudice costituzionale non possa ricoprire incarichi di governo, cariche pubbliche elettive o di nomina governativa, o svolgere funzioni in organi o enti pubblici individuati dalla legge. Il termine originario (cinque anni) è stato ridotto durante l'esame in Commissione.
È inoltre modificata la disciplina relativa alla scelta dei sedici cittadini chiamati ad integrare il collegio nei giudizi di accusa contro il Presidente della Repubblica: l'elenco da cui trarre a sorte i sedici membri è compilato dalla Camera e non dal Senato, come previsto dal settimo comma dell'articolo 135 della Costituzione, ed è necessario che i cittadini iscritti nell'elenco abbiano i requisiti per l'eleggibilità a deputato e non a senatore.
L'articolo in esame reca anche una modifica di tipo formale all'articolo 3 della legge costituzionale n. 2 del 1967 che disciplina le modalità di elezione dei giudici costituzionali di nomina parlamentare. Le modalità rimangono le stesse, ma non si applicano più al Parlamento in seduta comune bensì, distintamente, alla Camera dei deputati e al Senato federale.
Per raggiungere la composizione della Corte costituzionale come delineata dalla riforma è prevista (articolo 43, comma 5) una opportuna disciplina transitoria, anch'essa modificata in esito alla riformulazione dell'articolo 135 della Costituzione operata in sede referente. Il Senato nomina i giudici di propria competenza alle prime due scadenze dei giudici eletti dal Parlamento in seduta comune ed alle prime due scadenze rispettivamente di un giudice già eletto dalla suprema magistratura ordinaria e di un giudice nominato dal Presidente della Repubblica. La Camera dei deputati nomina i giudici di propria competenza alle successive scadenze di giudici eletti dal Parlamento in seduta comune.
Dei cinque giudici eletti dal Parlamento attualmente in carica, due cesseranno dalla carica nel gennaio 2005, uno nel luglio 2006 e due nell'aprile 2011. Il primo giudice nominato dal Presidente della Repubblica che completerà il mandato (nel settembre 2004) è l'attuale Presidente. Nel 2005 cesseranno dalla carica contemporaneamente altri tre giudici di nomina presidenziale ed il quinto nel 2009. Dei giudici espressi dalle supreme magistrature, il prossimo in scadenza (2008) è stato eletto dalla Corte di cassazione.
Considerato che ai sensi del comma 1 dell'articolo 43, il nuovo articolo 135 della Costituzione troverà applicazione con l'inizio della XV legislatura (dunque, prevedibilmente, a partire dalla primavera dei 2006), bisognerà attendere la scadenza dei giudici che saranno eletti nel 2005 (cioè il 2014) per il completamento della composizione della Corte costituzionale con i nuovi criteri.
Infatti il primo giudice ad essere eletto dal Senato federale sarà, presumibilmente, quello di nomina parlamentare destinato a scadere nel 2006. Seguiranno quelli da eleggere in sostituzione di un giudice eletto dalla Corte di cassazione (2008), e di un giudice nominato dal Capo dello Stato (2009). Nel 2011 verranno sostituiti altri due giudici di nomina parlamentare (uno dal Senato federale, l'altro dalla Camera); gli ultimi due saranno eletti (dalla Camera) nel 2014.
Si osserva in proposito che la disposizione transitoria relativa alla sostituzione dei giudici in scadenza con quelli nominati dal Senato fa riferimento, per quanto riguarda i giudici eletti dalla magistratura, esclusivamente a quelli eletti dalla magistratura ordinaria e non anche da quella amministrativa. In questo modo, se venisse a concludersi anzi tempo il mandato di uno dei giudici espressione di quest'ultima presumibilmente non si potrà procedere all'elezione del nuovo giudice da parte del Senato federale.
Quanto alle disposizioni poste dal comma quarto dell'articolo 135 della Costituzione (come modificato), si prevede che esse non trovino applicazione nei riguardi dei giudici costituzionali in carica alla data di entrata in vigore della proposta di legge costituzionale in commento (articolo 43, comma 6).
La proposta del centrosinistra: il ricorso preventivo alla Corte costituzionale da parte di una minoranza parlamentare è ritenuto dal centrosinistra uno strumento necessario di riequilibrio dei poteri nei sistemi bipolari e maggioritari.
L'emendamento proposto è il seguente:
«Un quarto dei componenti di una Camera può promuovere la questione di legittimità costituzionale per vizi del procedimento di una legge, entro cinque giorni dalla sua approvazione definitiva. La Corte costituzionale si pronuncia entro venti giorni, ridotti a dieci su richiesta del Governo per ragioni di necessità ed urgenza».
La composizione del Consiglio superiore della magistratura: l'articolo 31 del disegno di legge costituzionale interviene sull'articolo 104 della Costituzione, modificando le modalità di elezione del Consiglio superiore della magistratura.
In particolare, si propone che la quota di membri di nomina parlamentare non sia eletta dal Parlamento in seduta comune, bensì per un sesto dalla Camera dei deputati e per un sesto dal Senato federale, integrato dai Presidenti delle giunte delle regioni e delle province autonome.
Anche in questo caso, la I Commissione della Camera ha modificato il testo approvato dal Senato, nel quale l'intera componente di nomina parlamentare era nominata dal Senato federale.
Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura inoltre, non è più eletto dal Consiglio ma è nominato dal Presidente della Repubblica tra i componenti di nomina parlamentare: quest'ultimo inciso, previsto dalla disciplina vigente e soppresso nel testo approvato dal Senato, è stato reintrodotto nel corso dell'esame in sede referente.
La disciplina relativa al Consiglio superiore della magistratura è oggi contenuta nell'articolo 104 della Costituzione che provvede a: indicare i tre membri di diritto (il Presidente della Repubblica, che presiede l'organo, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione); disporre che gli altri componenti siano eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie (sono questi i cosiddetti componenti togati) e per un terzo (i cosiddetti componenti laici) dal Parlamento in seduta comune tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo quindici anni di esercizio professionale; ai sensi dei quinto comma dell'articolo 104, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura deve essere eletto tra i membri di nomina parlamentare; stabilire in quattro anni la durata in carica dei membri elettivi e la loro non rieleggibilità immediata; disporre che gli stessi membri elettivi non possano essere iscritti ad albi professionali, né far parte del Parlamento o di un consiglio regionale.
La relativa normativa di attuazione è recata dalla legge n. 195 del 1958, il cui articolo 1, prevedendo oltre ai tre membri di diritto, sedici componenti eletti dai magistrati e otto di nomina parlamentare, fissa in 27 il numero complessivo dei membri del Consiglio superiore della magistratura.
La disciplina in materia di rinnovo elettorale del Consiglio superiore della magistratura è contenuta nella medesima normativa del 1958, secondo la quale (articolo 21) le elezioni si svolgono nei giorni stabiliti dal Presidente del Consiglio superiore e dal Presidente delle due Camere del Parlamento ed hanno luogo entro tre mesi dallo scadere dei precedente. La stessa norma precisa che almeno 40 giorni prima delle elezioni deve essere pubblicizzata nella Gazzetta Ufficiale la convocazione dei rispettivi corpi elettorali.
La citata legge n. 195 (articolo 22) disciplina anche le modalità per l'elezione dei membri laici disponendo, in particolare, che tale elezione avvenga con votazione a scrutinio segreto e con la maggioranza dei tre quinti dell'Assemblea. Per gli scrutini successivi al secondo, è invece sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei soli votanti.
La composizione del Consiglio superiore della magistratura riflette l'esigenza, sorta in seno all'Assemblea costituente, di garantire l'autonomia della magistratura senza isolare l'ordine giudiziario dagli altri poteri dello Stato. Dopo un ampio dibattito, l'Assemblea costituente scelse una composizione mista nella quale la prevalenza numerica della componente togata fosse bilanciata dalla attribuzione della vice presidenza attribuita ad uno dei componenti laici. La scelta di attribuire la carica di Presidente al Capo dello Stato fu vista come espressione dell'unità dello Stato.
Formulerò, ora, taluni rilievi critici.
Le modifiche costituzionali relative al Consiglio superiore della magistratura si inquadrano nella linea di riduzione delle garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura spesso brutalmente perseguite dall'attuale maggioranza di Governo.
La riforma prevede la modifica dell'articolo 87 attribuendo al Presidente della Repubblica «la nomina del vice Presidente nell'ambito dei componenti eletti dalle Camere», mentre attualmente viene eletto dai componenti del Consiglio superiore della magistratura tra i membri designati dal Parlamento: la modifica riguarda l'organo cui è demandata la direzione effettiva del Consiglio superiore della magistratura (ivi compresa la presidenza della Sezione disciplinare), nonché la gestione del personale, delle risorse economiche e dei rapporti con le altre Istituzioni, tra cui il ministro della Giustizia.
Questa novità va a incidere non solo sui poteri di un organo collegiale costituzionale, ma anche sul rapporto di fiducia che lega il vice Presidente eletto ai consiglieri elettori, così privati di ogni effettiva possibilità di controllo sul suo operato: il nuovo vice Presidente, infatti, quale vero e proprio delegato del Capo dello Stato, a lui solo sarà chiamato a risponderne. È facile cogliere in questa scelta l'ennesima manifestazione di sfiducia dell'attuale maggioranza politica verso l'organo di autogoverno della magistratura, tanto più ove si pensi al ruolo puramente decorativo che si vuole attribuire al Presidente della Repubblica, eletto a maggioranza assoluta (e dunque, vincolato a «sicura obbedienza»).
In questo modo, con una modifica costituzionale apparentemente marginale, l'indipendenza della magistratura subisce un vulnus e il Consiglio superiore della magistratura viene «degradato a collegio tecnico etero-diretto».
Siamo dunque in presenza di una modifica costituzionale sbagliata che va respinta con fermezza.
Le regioni e le autonomie locali: sul piano politico, l'intera riforma costituzionale è caratterizzata dalla cosiddetta devolution ossia da una particolare soluzione dei problemi posti dal federalismo avviato con la riforma costituzionale del 2001.
Sul tema occorre dunque soffermarsi in modo specifico.
Le innovazioni del disegno all'esame della Camera: anche il Titolo V della parte seconda della Costituzione, che reca la disciplina in materia di regioni e autonomie locali, è fatto oggetto di sostanziali modifiche. In particolare, il primo comma dell'articolo 117 della Costituzione è riformulato escludendo gli «obblighi internazionali» dai limiti posti alla legislazione statale e regionale.
Secondo il disegno di legge, quindi, Stato e regioni legiferano nel rispetto della Costituzione e degli obblighi comunitari. Alla potestà esclusiva dello Stato viene riservata, con una modifica introdotta al secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, la definizione delle norme generali sulla salute, mentre al terzo comma del medesimo articolo, che indica le materie rispetto alle quali è individuata una competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni, è stato aggiunto un ulteriore periodo, nel quale si stabilisce che lo Stato e le regioni si conformano ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà. Nel quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione è quindi introdotto il riconoscimento in capo alle regioni della potestà legislativa esclusiva nelle materie dell'assistenza e organizzazione sanitaria, dell'organizzazione scolastica, della gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, della definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione e, infine, della polizia locale.
Resta comunque ferma la competenza esclusiva delle regioni in ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. All'ottavo comma dell'articolo 117, si consente poi alle regioni di stipulare «intese» tra loro per il migliore esercizio delle proprie funzioni, eventualmente individuando organi comuni, dei quali è specificato il carattere «amministrativo». L'articolo 118 della Costituzione è quindi riformulato ampliando le materie e gli ambiti per i quali la legge statale disciplina forme di intese e coordinamento tra Stato e regioni e prevedendo, nell'ambito del principio di sussidiarietà, un esplicito riconoscimento per gli «enti di autonomia funzionale». La disciplina dei rapporti tra Stato e regioni è infine completata con la previsione, all'articolo 120 della Costituzione, che una legge statale disciplini, in conformità ai criteri di sussidiarietà e di leale collaborazione, i principi che assicurino da parte delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni, il rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, l'incolumità e la sicurezza pubblica in caso di pericolo grave, la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e, in particolare, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. Va precisato che, in caso di mancato rispetto, da parte degli organi degli enti territoriali, delle predette finalità, viene confermata la titolarità del potere sostitutivo in capo al Governo, esercitabile secondo le modalità stabilite dalla legge. La Commissione ha inoltre introdotto una novella al vigente articolo 123 della Costituzione, espungendo il riferimento, da considerarsi oramai desueto a seguito della precedente riforma del Titolo V, all'opposizione del visto da parte del commissario del Governo sulle leggi di approvazione degli statuti regionali.
L'articolo 127 della Costituzione contempla, invece, l'interesse nazionale quale limite di merito per le leggi regionali, legittimando il Governo a sollevare, entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge regionale, la questione relativa al mancato rispetto da parte della legge stessa, o di una sua parte, dell'interesse nazionale. Su tale questione è chiamato a pronunciarsi, entro i successivi trenta giorni, il Senato federale che, qualora condivida la valutazione del Governo, può rinviare la legge alla regione, deliberando a maggioranza assoluta dei componenti e indicando le disposizioni pregiudizievoli.
In tal caso, qualora entro i successivi trenta giorni il Consiglio regionale non provveda a rimuovere le disposizioni censurate, il Senato federale, entro ulteriori trenta giorni e sempre a maggioranza assoluta dei componenti, può proporre al Presidente della Repubblica di annullare l'intera legge o sue disposizioni. Rispetto al testo approvato dal Senato, la Commissione ha introdotto un termine, pari a quindici giorni, entro il quale il Capo dello Stato può emanare il conseguente decreto di annullamento.
Sotto altro profilo, a Roma, come capitale della Repubblica federale, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale, nei limiti e con le modalità stabilite dallo statuto della regione Lazio, mentre il suo ordinamento è disciplinato con legge dello Stato. Si prevede poi che gli statuti delle regioni ad autonomia speciale debbano essere adottati, con legge costituzionale, previa intesa con la regione interessata; è soppressa la previsione, oggi recata dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che possano estendersi forme e condizioni particolari di autonomia ad altre regioni, diverse da quelle a statuto speciale. Sono infine modificate le ipotesi di scioglimento dei Consigli regionali, escludendosi lo scioglimento in caso di morte o impedimento permanente del Presidente della Giunta.
La soppressione del riferimento agli obblighi internazionali.
Il comma 1 dell'articolo 34, riformulando il primo comma dell'articolo 117 della Costituzione, esclude gli «obblighi internazionali» dai limiti, comuni a Stato e regioni, che tale comma impone all'esercizio della potestà legislativa. Secondo la proposta, quindi, Stato e regioni legiferano nel rispetto della Costituzione e degli obblighi comunitari.
Permane ovviamente il vincolo costituzionale, dettato dall'articolo 10 della Costituzione, del rispetto del diritto internazionale generalmente riconosciuto.
La motivazione della soppressione è stata indicata nei dubbi interpretativi sulla locuzione «obblighi internazionali«: se con essi ci si riferisca, o meno, ad ogni tipo di trattato internazionale, e dunque anche a quegli accordi per cui non è prevista alcuna forma di ratifica da parte del Parlamento.
Si ricorda a tale proposito che l'articolo 1, comma 1, della citata legge n. 131 del 2003, ribadisce i vincoli comuni al legislatore nazionale e regionale dettati dal primo comma dell'articolo 117, cosi specificandoli: norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, di cui all'articolo 10 della Costituzione; accordi di reciproca limitazione di sovranità, di cui all'articolo 11 della Costituzione; ordinamento comunitario; trattati internazionali.
In dottrina tutti gli interventi sul punto criticano la soppressione, all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, del riferimento agli obblighi internazionali, ritenuto contraddittorio con il crescere delle esigenze e delle pratiche di collaborazione internazionale.
Condivisa invece la necessità di limitare il vincolo ai trattati regolarmente ratificati dopo autorizzazione parlamentare con legge, ovvero l'opportunità di fare esplicito riferimento all'articolo 80 della Costituzione, che individua chiaramente quali sono «gli obblighi internazionali aventi necessità di una fonte legislativa per l'inserzione nell'ordinamento italiano».
Le modificazioni dell'assetto delle competenze legislative esclusive alle regioni (cosiddetta devolution): i commi 2 e 3 dell'articolo 34 sono frutto di due emendamenti approvati dalla I Commissione della Camera nel corso dell'esame in sede referente. Essi apportano due significative modificazioni al secondo e al terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione: la materia «tutela della salute» è espunta dall'elenco delle materie di competenza concorrente Stato-regioni (articolo 117, terzo comma) ed è inserita, con la più ristretta denominazione di «norme generali sulla tutela della salute», tra quelle di competenza statale esclusiva (articolo 117, secondo comma, lettera m-bis)): la novella va letta in correlazione con le competenze esclusive attribuite in materia alle regioni dal successivo comma 4; l'esercizio (da parte sia statale, sia regionale) della potestà legislativa concorrente è condizionato al rispetto dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, espressamente introdotti nel terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione.
Se è vero che il principio di sussìdìarietà è già richiamato nella Carta costituzionale con riferimento al riparto delle funzioni amministrative (articolo 118) ed all'esercizio del potere sostitutivo del Governo (articolo 120), appare meritevole di approfondimento la portata normativa di una disposizione che segnatamente preveda l'applicazione di tale principio all'esercizio della funzione legislativa concorrente; non appare di immediata evidenza, in particolare, se possa o meno derivarne una nuova interpretazione dell'oggetto e dell'ampiezza della competenza legislativa statale sui «principi fondamentali».
Tali modifiche si aggiungono a quella recata dal comma 4 dell'articolo 34 in commento, già presente nell'originario testo governativo del disegno di legge e non modificata nel corso dell'esame parlamentare. Tale comma riscrive il quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione, introducendo un elenco di materie specifiche nelle quali alle regioni spetta la potestà legislativa esclusiva: assistenza e organizzazione sanitaria; organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolatici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche; definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione; polizia locale.
Il quinto elemento dell'elenco è invece la norma residuale, già contenuta nel quarto comma dell'articolo 117: «a ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato».
Il comma riproduce, con alcune modifiche, il disegno, di legge costituzionale n. 3461, approvato in prima lettura sia dal Senato (5 dicembre 2002) sia dalla Camera dei deputati (14 aprile 2003). Identico è l'elenco delle materie; la competenza legislativa esclusiva su di esse, invece, è esplicitamente attribuita alle regioni nel disegno di legge in esame, mentre nell'n. 3461 doveva essere «attivata» dalle regioni stesse.
La ripartizione delle competenze legislative nell'attuale assetto costituzionale.
Com'è noto, la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 ha modificato, tra l'altro, il quadro delle competenze legislative di Stato e regioni, che attualmente risulta essere il seguente: un primo elenco di materie la cui disciplina è demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (articolo 117, secondo comma) che cessa così di essere soggetto a competenza generale per divenire soggetto a competenza enumerata; un secondo elenco di materie - che la stessa norma costituzionale definisce «di legislazione concorrente» - in cui «spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato» (articolo 117, terzo comma); una norma di chiusura, secondo cui la potestà legislativa su ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato spetta alle regioni (competenza generale residuale: articolo 117, quarto comma). La modifica proposta attribuisce dunque una potestà legislativa esclusiva anche alle regioni: in determinate materie e in tutte le altre non espressamente riservate alla legislazione dello Stato.
Il testo vigente dell'articolo 117 della Costituzione ricorre al termine «esclusiva» solo quando si riferisce alla potestà legislativa dello Stato nelle materie di cui al secondo comma dell'articolo. Quanto alle regioni, ad esse spetta la potestà legislativa» (senza ulteriori aggettivazioni) per le materie non espressamente riservate alla legislazione statale (quarto comma) e nelle materie di legislazione concorrente (terzo comma), fatta salva la determinazione dei principi fondamentali.
Con riguardo a ciascuna delle materie oggetto della proposta in esame, la ripartizione delle competenze si può sintetizzare come segue.
In particolare: secondo la Costituzione vigente, in ambito sanitario rileva: in primo luogo la competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni in materia di «tutela della salute», ove spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali ed alle regioni la restante disciplina legislativa; per altro verso, rileva la competenza esclusiva dello Stato nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali, fra i quali ha certamente un ruolo centrale il diritto alla salute (si ricordi a tale proposito anche l'articolo 32 della Costituzione, che sancisce il diritto alla salute quale diritto fondamentale dell'individuo e della collettività e ne affida alla Repubblica la tutela - e dunque anche a regioni ed enti locali ora pari ordinati nell'articolo 114 della Costituzione); in virtù del principio, introdotto dalla riforma, dell'affidamento alle regioni di competenze legislative residuali in tutte le materie non espressamente affidate allo Stato o alla competenza Stato-regioni, spetterebbe a queste ultime una competenza piena relativamente a quei profili in materia di sanità non rientranti nella tutela della salute. Data la portata generale di tale ultima definizione, non è peraltro agevole accertare l'esistenza e i limiti di questo ulteriore livello di competenza; va infine ricordata la possibilità di attribuire a regioni ad autonomia ordinaria ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (anche) in materia di tutela della salute, ricorrendo alla particolare procedura descritta al terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione (comma peraltro soppresso dal disegno di legge in esame).
Come si è detto, il testo in esame sopprime il livello di competenza concorrente in materia di «tutela della salute» ed introduce, quale materia di competenza esclusiva statale, le «norme generali sulla tutela della salute». La vigente competenza statale sui «principi fondamentali» si trasforma pertanto in una competenza sulle «norme generali» in materia.
Quanto alla competenza regionale, quella in materia di «assistenza e organizzazione sanitaria» è esplicitamente prevista dal testo in esame come «esclusiva».
Qualora si ritenga che la «determinazione dei livelli essenziali», le «norme generali» e l'«assistenza e organizzazione sanitaria» non esauriscano l'intera estensione della materia «tutela della salute», i restanti ambiti di intervento legislativo rientrerebbero comunque nella potestà legislativa esclusiva (residuale) delle regioni.
Per quanto riguarda l'organizzazione scolastica (gestione degli istituti; programmi scolastici di interesse regionale), in base al quadro costituzionale spetta allo Stato: la determinazione delle «norme generali sull'istruzione» (competenza esclusiva ex secondo comma articolo 117 e articolo 33 della Costituzione), tra cui dovrebbero rientrare, in base agli orientamenti interpretativi prevalenti, la garanzia dell'autonomia delle istituzioni scolastiche - espressamente sottratta alla competenza concorrente - e le regole essenziali di tali autonomie, la disciplina del personale, il quadro degli ordinamenti degli studi, la definizione dei relativi percorsi, la disciplina dell'obbligo scolastico, la garanzia della libertà d'insegnamento; la determinazione dei principi fondamentali della materia - concorrente «istruzione»; la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», tra cui potrebbero rientrare - tra gli altri - il «diritto (dei capaci e dei meritevoli) di raggiungere i gradi più alti degli studi» e il diritto all'istruzione inferiore «obbligatoria e gratuita» (articolo 34 della Costituzione).
Le regioni risultano, invece, titolari: della potestà legislativa concorrente in materia di istruzione, entro i limiti rappresentati dai principi fondamentali posti dallo Stato; della potestà legislativa esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale; di forme ulteriori e particolari di autonomia in materia, che lo Stato potrebbe attribuire loro, sulla base del terzo comma dell'articolo 116 (soppresso dal disegno di legge in esame).
La «polizia locale, urbana e rurale» costituiva, ai sensi della formulazione dell'articolo 117 della Costituzione antecedente alla riforma del Titolo V (legge costituzionale n. 3 del 2001), materia di competenza legislativa regionale concorrente per le regioni a statuto ordinario. Nel nuovo articolo 117, l'espressione «polizia locale, urbana e rurale» non è più presente e si fa invece riferimento alla «polizia amministrativa locale» (secondo comma, lettera h)), per sottrarla alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza è opinione condivisa che, per questo motivo, essa debba rientrare tra le materie di (piena) competenza regionale, dato che l'articolo 117, quarto comma, nel testo vigente, assegna «alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato». Da quanto detto può desumersi che la riforma costituzionale ha determinato un netto restringimento dell'ambito di intervento legislativo statale; non potendo esso più dettare neppure norme di principio in materia di polizia amministrativa locale, sembra residuare al legislatore statale la possibilità di intervenire sulle funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza che sono attribuite al personale appartenente alla polizia locale. Ciò in forza della potestà legislativa esclusiva di cui lo Stato gode in materia di giurisdizione, norme processuali e ordinamento penale (articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione) oltre che - come si è detto - in materia di ordine pubblico e sicurezza.
Si ricorda inoltre che l'ordine pubblico e la sicurezza rientrano tra le materie per le quali l'articolo 118, terzo comma, della Costituzione prevede una legge statale che disciplini forme di coordinamento tra Stato e regioni.
Ai sensi del sesto comma dell'articolo 117 della Costituzione, anche la potestà regolamentare statale può dirsi esclusa dalla materia in esame: quella regionale sembra anch'essa, peraltro, incontrare un limite nella «riserva di regolamento» che l'ultimo periodo del citato sesto comma garantisce a comuni, province e città metropolitane per la disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Il coordinamento tra Stato e regioni in materie di legislazione concorrente.
Nel corso dell'esame in Aula è stato approvato un emendamento (divenuto l'articolo 35 del testo approvato dal Senato e modificato dalla I Commissione della Camera) che novella l'articolo 118 della Costituzione sotto due profili: sono state ampliate le materie e gli ambiti per i quali la legge statale disciplina forme di intese e coordinamento tra Stato e regioni (articolo 118, comma terzo); nell'ambito del principio di sussidiarietà sono stati inseriti in Costituzione gli «enti di autonomia funzionale» (articolo 118, comma quarto).
Il vigente comma terzo dell'articolo 118 dispone che la legge statale disciplina forme di coordinamento tra Stato e regioni nelle materie «immigrazione» e «ordine pubblico e sicurezza ad esclusione della polizia amministrativa». La legge statale provvede inoltre a disciplinare «forme di intesa e coordinamento» nella materia dei beni culturali.
La proposta in esame - senza modificare il primo inciso - aggiunge alla tutela dei beni culturali le seguenti altre materie: grandi reti di trasporto e navigazione; produzione, trasporto, distribuzione nazionale dell'energia; ordinamento delle professioni.
Mentre la «tutela dei beni culturali» (al pari di «immigrazione» e «ordine pubblico e sicurezza») è materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, le materie che la proposta intende aggiungere rientrano nell'ambito della potestà concorrente (sono anzi quelle la cui attribuzione a tale ambito è stata criticata da più parti). Ne consegue un ampliamento, in queste materie, della potestà legislativa statale, dalla sola fissazione dei «principi fondamentali» alla determinazione delle forme di intesa e coordinamento.
In questo modo il disegno originario della riforma del 2001 sembra essere invertito: la necessità del coordinamento era nata per garantire alle regioni spazi di attività amministrativa in materie di competenza statale; mentre l'intento dell'attuale proposta sembra essere quello di far recuperare allo Stato competenze legislative affidate alle regioni.
Un emendamento approvato dalla I Commissione della Camera divide in due periodi il novellato terzo comma dell'articolo 118 della Costituzione, accorpando nel secondo periodo le materie di competenza concorrente. La modifica, in apparenza solo formale, va letta in relazione alle modifiche apportate dalla stessa Commissione alla disciplina del procedimento legislativo (articolo 13 del disegno di legge: in base ad esse, le leggi che dispongono il coordinamento nelle materie di competenza esclusiva dello Stato (primo periodo dei terzo comma dell'articolo 118) sono approvate dalla Camera dei deputati con procedimento monocamerale, mentre quelle che intervengono nelle materie concorrenti (di cui al secondo periodo dello stesso comma) sono approvate con procedimento bicamerale.
Le forme di intesa e coordinamento sono disciplinate sulla base dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, espressamente richiamati anche in questa occasione.
Va peraltro segnalato che, in esito all'emendamento approvato dalla I Commissione, il richiamo a tali principi resta collocato nel secondo periodo del terzo comma dell'articolo 118, riferendosi in tal modo alle leggi che disciplinano l'intesa e il coordinamento nelle sole materie di competenza concorrente.
Gli interventi sul punto, nel corso delle audizioni, si sono concentrati principalmente sul significato dell'aggettivazione «esclusiva» per le competenze regionali introdotte dal nuovo quarto comma dell'articolo 117, e quindi sulle relazioni e i rapporti tra i diversi tipi di competenze.
Quanto alla prima questione, taluno ha evidenziato perplessità e segnalato la possibilità di diverse interpretazioni, che cambierebbero sostanzialmente la portata della modifica.
Da una parte si sostiene che la competenza esclusiva delle regioni sarebbe comunque subordinata alla determinazione da parte dello Stato dei livelli minimi essenziali.
Dunque, non comporterebbe alcuno stravolgimento dell'ordinamento. Con riguardo, in specie, alle materie «organizzazione e assistenza sanitaria» e «organizzazione scolastica», per alcuni si tratta di competenze già presenti nell'ordinamento.
La recente giurisprudenza della Corte costituzionale sul riparto di competenze viene letta come possibilità di intervento da parte dello Stato praticamente su tutte le materie; in relazione a ciò è stata ipotizzata, anche se con qualche riserva, un'utilità della nomina di alcune competenze come esclusive per «sottrarle» ad ulteriori limitazioni.
Da un'altra parte invece si sostiene l'impossibilità di una lettura chiara del quadro delle competenze di Stato e regioni, come delineato dall'articolo 117 riformulato: ciò, soprattutto, in relazione al rapporto tra le competenze esclusive delle regioni e le competenze statali nelle materie appartenenti allo stesso ambito, e all'interazione con le altre autonomie costituzionalmente garantite (ad esempio le istituzioni scolastiche). Viene al riguardo proposta l'eliminazione della parola «esclusiva»: il termine infatti esclude che un legislatore diverso possa intervenire nel campo materiale oggetto di quell'attributo.
Pur condividendo la necessità di apportare alcune modifiche all'attuale articolo 117, alcuni degli intervenuti ritengono che quelle proposte dal disegno di legge non semplificherebbero, ma causerebbero maggiore conflittualità. Alcuni degli auditi di questa opinione evidenziano, più in generale, una contraddizione tra l'attribuzione di competenze esclusive alle regioni e la re-introduzione dell'interesse nazionale così come configurato nel disegno di legge in esame.
Le proposte relative alla ripartizione delle materie di cui all'articolo 117 della Costituzione (non modificata, a parte il quarto comma, dal testo in esame) riguardano in un caso singole materie - si segnala che energia e grandi reti di telecomunicazione dovrebbero rientrare tra le competenze esclusive dello Stato - in altri si traducono nell'auspicio sia corretto l'elenco delle materie concorrenti. Altri ancora criticano l'impianto stesso della ripartizione di competenze fatto per materia e propongono un altro modello: principalmente quello tedesco. Pochissimi gli interventi - e si tratta di brevi cenni - sul merito delle materie che verrebbero attribuite alla potestà esclusiva regionale. In alcuni casi, tra l'altro, gli stessi auditi hanno rinviato alle audizioni svolte circa un anno fa presso la stessa Commissione in occasione dell'esame del disegno di legge costituzionale n. 3461, !Modifiche dell'articolo 117 della Costituzione».
Una segnalazione riguarda la sanità: viene avanzata la proposta di eliminare la parola «assistenza», lasciando quindi come competenza regionale l'»organizzazione sanitaria». Questo perché non potrebbe conciliarsi la competenza esclusiva regionale in materia di assistenza sanitaria con la competenza concorrente sulla tutela della salute (come distinguere tutela della salute e assistenza?) e la competenza esclusiva statale della determinazione dei livelli essenziali di assistenza.
La questione della ripartizione delle competenze tra Stato e regioni viene affrontata anche in relazione al procedimento e alle competenze legislative delle due Camere. Gli interventi sostengono la difficoltà della attribuzione della funzione legislativa alla Camera dei deputati o al Senato federale, in relazione alla impossibilità di una distinzione netta tra materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato e quelle di competenza concorrente, come dimostra la legislazione successiva alla riforma del Titolo V e la conseguente giurisprudenza costituzionale.
Per alcuni va precisato il rapporto tra la ripartizione di competenze dettata dall'articolo 117 e il nuovo articolo 70 della Costituzione. Altri sono critici sul l'attribuzione al Senato della competenza su tutte le materie concorrenti, perché tra queste ve ne sono alcune considerate determinanti per l'indirizzo politico del Governo.
Il riconoscimento delle autonomie funzionali. L'altra modifica proposta all'articolo 118 della Costituzione riguarda la cosiddetta sussidiarietà orizzontale.
L'attuale quarto comma dell'articolo 118, com'è noto, dispone che Stato, regioni, enti locali «favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini singoli od associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale».
La proposta in esame inserisce in Costituzione gli enti di autonomia funzionale, nonché il «riconoscimento» dovuto quindi sia alle autonome iniziative dei privati che agli enti di autonomie funzionale da parte di Stato, regioni ed enti locali.
Tali enti hanno già ricevuto un riconoscimento nell'ambito dell'attuazione del decentramento amministrativo (già a partire dalla legge n. 59 del 1997) e, in seguito, con la citata legge n. 131 del 2003 che all'articolo 7, comma 1, nel dettare i criteri e i principi del conferimento di funzioni amministrative, espressamente ne garantisce le attribuzioni.
Unanime, tra gli intervenuti sul punto, il giudizio positivo e l'apprezzamento sull'esplicito riconoscimento costituzionale delle autonomie funzionali introdotto nell'articolo 118 della Costituzione. Ciò comporta da una parte l'obbligo per lo Stato e per gli enti locali di favorire l'azione di tali enti; dall'altro il divieto di interventi autoritativi dei pubblici poteri sull'organizzazione e l'attività dei medesimi.
Da un audito viene però evidenziato un possibile problema di interpretazione, in relazione alla doppia qualificazione di autonomia, una esplicitata nel testo, l'altra implicita in quanto si tratta di enti dotati di autonomia normativa.
La disciplina dei principi che regolano il sistema dei poteri sostitutivi dello Stato.
La riforma del 2001 ha introdotto in Costituzione, con il nuovo articolo 120, la previsione di un generale potere sostitutivo del Governo nei confronti degli organi delle regioni e degli enti locali. Le ipotesi che possono legittimare la sostituzione sono le seguenti: mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria; pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica; tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
La norma costituzionale rinvia alla legge per assicurare che il potere sostitutivo sia esercitato nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
In attuazione della disposizione costituzionale vigente, l'articolo 8 della citata legge n. 131 del 2003 (La Loggia») disciplina le modalità di esercizio potere sostitutivo. Schematicamente: la sostituzione, che può essere richiesta dalla stesse regioni o dagli enti locali, deve riguardare solo «provvedimenti dovuti o necessari»; è prevista una procedura collaborativa: diffida dell'ente ad adempiere entro un tempo congruo, scaduto il quale il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, adotta il provvedimento; i provvedimenti che il Governo adotta nell'esercizio del potere sostitutivo possono avere natura «anche normativa»; se la sostituzione è disposta nei confronti degli enti locali deve ispirarsi al principio di sussidiarietà e leale collaborazione.
L'Aula del Senato aveva novellato il testo dell'articolo 120 della Costituzione con un emendamento del relatore (attuale articolo 36 del disegno di legge) che inseriva un comma prima della vigente disposizione, ove si disponeva che «con legge approvata dalla Camera dei deputati e dal Senato federale a maggioranza dei propri componenti, sono disciplinati i principi che assicurino il conseguimento delle finalità di cui al comma successivo». Nel corso dell'esame alla Camera in sede referente è stato approvato un emendamento, interamente sostitutivo dell'articolo 36, che ha riformulato il secondo comma dell'articolo 120 della Costituzione sostituendolo con due commi, nei quali innanzitutto si attribuisce alla legge statale - approvata da entrambe le Camere a maggioranza dei componenti - il compito di fissare i principi che assicurino, da parte delle regioni e degli enti locali: il rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria; l'incolumità e la sicurezza pubblica in caso di pericolo grave; la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e, in particolare, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali; in secondo lugoo, si conferma il potere sostitutivo del Governo già previsto dal testo vigente«nel caso di mancato rispetto» delle su elencate finalità.
Il bilanciamento del conferimento di potestà legislative esclusive alle regioni è stato dunque individuato, oltre che nella previsione di un meccanismo di controllo delle leggi regionali secondo il parametro dell'interesse nazionale, nella possibilità per lo Stato (con legge «qualificata» e nel rispetto - ribadito una volta di più - dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà) di dettare principi legislativi volti alla tutela di quelle istanze unitarie che il vigente articolo 120 pone a fondamento dell'esercizio del potere sostitutivo.
Le leggi regionali e l'interesse nazionale.
L'articolo 39 aggiunge un nuovo comma all'articolo 127 della Costituzione, reintroducendo per le leggi regionali, il limite di merito dell'interesse nazionale della Repubblica.
Tale previsione era già contenuta, anteriormente alla riforma del titolo V della Costituzione, agli articoli 117 e 127 e di essa si trova ancora traccia sia nel Regolamento della Camera (articolo 102), che in quello del Senato (articolo 137).
Parte della dottrina, tuttavia, ritiene che, anche nell'ambito delle vigenti disposizioni costituzionali, non manchino i riferimenti all'interesse nazionale, di cui sarebbero espressione l'articolo 117, comma 2, lettera m), in cui si fa riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», nonché l'articolo 120, comma secondo, in cui si disciplinano i poteri sostitutivi del Governo da esercitarsi quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica ed in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali».
È appena il caso di ricordare che, anteriormente al 2001, non sono mai state impugnate leggi regionali per violazione dell'interesse nazionale e che, nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, il limite di merito ha assunto la connotazione di limite di competenza (e quindi di legittimità) delle leggi regionali.
In base alla novella recata dall'articolo in esame, è il Governo a sollevare, entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge regionale, la questione relativa al mancato rispetto da parte della legge stessa o di una sua parte (inciso aggiunto dalla I Commissione della Camera) dell'interesse nazionale. Su di essa decide, entro i successivi trenta giorni, il Senato federale che, qualora condivida la valutazione del Governo, può rinviare la legge alla Regione, deliberando a maggioranza assoluta dei componenti ed indicando le disposizioni pregiudizievoli. Qualora entro i successivi trenta giorni il Consiglio regionale non provveda a rimuovere tali disposizioni, il Senato, entro ulteriori trenta giorni e sempre a maggioranza assoluta dei componenti, può proporre al Capo dello Stato di annullare l'intera legge o, se possibile, soltanto quelle disposizioni che contrastano con l'interesse nazionale. Il Presidente della Repubblica può emanare, entro quindici giorni (il termine è stato introdotto dalla I Commissione) il conseguente decreto di annullamento.
Dalla lettura della norma si evince che, mentre al Senato federale spetta il potere di rinvio al Consiglio regionale della legge confliggente con l'interesse nazionale, al Capo dello Stato (melius al Governo ed al Capo dello Stato) è attribuito quello di annullamento della legge medesima. Se è vero infatti che la seconda deliberazione del Senato è la condicio sine qua non per l'esercizio del potere di annullamento, sembra anche vero che il relativo decreto possa non essere emanato (l'articolo usa la formula: «Il Presidente della Repubblica può [..] emanare»).
Se tale lettura è corretta, essa andrebbe esaminata alla luce del ruolo di garanzia attribuito al Capo dello Stato, dei suoi rapporti con il Senato federale (il procedimento in esame prevederebbe due deliberazioni del Senato federale a maggioranza assoluta dei componenti, per poi rimettere al Capo dello Stato la valutazione circa l'opportunità di emanare il decreto di annullamento) e dei suoi rapporti con il Governo.
Il decreto di annullamento, infatti, non figura tra gli atti del Capo dello Stato per i quali non è richiesta la controfirma ministeriale (ex articolo 89, terzo comma) e che quindi possono ritenersi «formalmente e sostanzialmente presidenziali»: esso potrebbe dunque essere qualificato come atto solo formalmente presidenziale o come atto misto, all'adozione del quale concorre anche il Governo, ovvero il medesimo soggetto che, ai sensi dell'articolo 127, è chiamato a sollevare la questione del contrasto con l'interesse nazionale.
Da ultimo occorre far riferimento alla natura del decreto presidenziale di annullamento, al quale può forse riconoscersi la forza di legge in quanto, pur non avendo l'effetto di introdurre nuove norme nell'ordinamento giuridico, è in grado di porre nel nulla fonti (ovvero singole disposizioni) di rango primario già pubblicate e probabilmente anche in vigore. In quanto atto avente forza di legge, il decreto dovrebbe essere controfirmato dal Primo ministro, in virtù del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'articolo 89; potrebbe essere impugnato di fronte alla Corte Costituzionale (ex articolo 134 della Costituzione): il giudizio di legittimità costituzionale dovrebbe, tuttavia, limitarsi alla valutazione circa il rispetto, da parte dei soggetti interessati, delle norme che la Costituzione detta in relazione alla procedura di emanazione del decreto; ogni altra considerazione rischierebbe di trasformare un limite di merito (il cui rispetto è sindacabile dal solo Senato federale) in limite di legittimità.
Infine, poiché l'articolo 86, comma primo, attribuisce al Presidente del Senato il potere di esercitare le funzioni del Presidente della Repubblica «in ogni caso in cui egli non possa adempierle», si potrebbe in teoria verificare la circostanza in cui l'annullamento della legge regionale sia disposto dal Presidente del Senato (nelle funzioni vicarie del Capo dello Stato), su proposta della Camera federale da lui stesso presieduta.
La questione della clausola di salvaguardia, o norma di chiusura del sistema a tutela dell'interesse nazionale, è stata la più dibattuta tra gli interventi riguardanti le modifiche al Titolo V.
Sulla questione dell'interesse nazionale le opinioni si sono diversificate: da compromesso accettabile, alle critiche riguardo il procedimento di valutazione del pregiudizio e il ruolo dei soggetti coinvolti, alle critiche complessive e quindi alla proposta di soluzioni diverse.
Molti rilievi sono stati rivolti al procedimento delineato dall'articolo 38 del disegno di legge (nuovo articolo 127, secondo comma, della Costituzione).
La prima questione attiene all'opportunità che sia il Senato a valutare il pregiudizio dell'interesse nazionale, ossia al ruolo del Senato federale: è il luogo dove si compongono le diverse istanze o diventa un organo di controllo delle regioni? La valutazione dell'interesse nazionale dovrebbe, se dei caso, essere affidata alla Camera dei deputati, in quanto organo preposto alla legislazione avente rilievo nazionale.
La seconda questione è il ruolo del Presidente della Repubblica in relazione al potere di annullamento della legge regionale. Qui la critica è praticamente unanime: in tal modo il Presidente della Repubblica sarebbe investito di una funzione assolutamente politica, non coerente con la funzione di garanzia istituzionale dello stesso. A riguardo è stata proposta una correzione tesa a far sì che sia il Governo ad assumersi la piena responsabilità dell'annullamento della legge regionale, mediante decreto del Presidente della Repubblica e previo parere conforme delle due Camere.
È stato inoltre rilevato un problema di coordinamento tra annullamento da parte del Capo dello Stato e giudizio di costituzionalità (potrebbe il Governo sottoporre la questione del pregiudizio dell'interesse nazionale al Senato ed altresì impugnare la legge regionale per questione di legittimità costituzionale?). C'è chi infine suggerisce di specificare meglio a chi spetta la titolarità effettiva del potere.
La re-introduzione dell'interesse nazionale - e dunque di un controllo di merito - è ritenuta da una parte degli auditi assolutamente inopportuna e in contraddizione - per il suo carattere fortemente «centralista» discrezionale ed unilaterale - con la «devoluzione» di ulteriori competenze alle regioni. Perplessità vertono anche sul significato dell'espressione «interesse nazionale», soprattutto in relazione alla trascorsa storia costituzionale.
Si lamenta inoltre la mancanza di strumenti preventivi di composizione delle diverse istanze. In questa direzione l'ipotesi di poter considerare la stessa norma come procedura conciliativa anziché sanzionatoria, come strumento di dialogo tra Senato federale e Consiglio regionale (senza l'intervento, ovviamente, del Presidente della Repubblica).
Le proposte alternative seguono sostanzialmente due filoni: adottare un sistema basato sulla legislazione concorrente del tipo di quella tedesca; puntare su strumenti di cooperazione e concertazione preventiva.
 La competenza concorrente «alla tedesca»: l'introduzione della «competenza concorrente alla tedesca» comporta che lo Stato può, su questioni determinate, adottare i provvedimenti legislativi, regolamentari ed organizzativi dichiarati di interesse nazionale in quanto necessari per l'unità giuridica o economica del paese.
In sostanza verrebbe meno la rigida divisione delle competenze per materia: tutte le competenze sono regionali, ma la legge «federale» adottata con l'accordo delle regioni prevale sempre, senza necessità di annullare la legge regionale.
Per l'adozione di questi provvedimenti legislativi da una parte si propone una modalità di approvazione delle leggi bicamerali che preveda possibilità di blocco di provvedimenti potenzialmente compressivi dall'autonomia regionale attraverso l'introduzione dei «quorum paralleli». Più è alto il quorum con cui viene bocciata una legge al Senato, più deve essere alto il quorum con cui la Camera può approvarlo in via definitiva (quindi contro la volontà più o meno ampia del Senato). Dall'altra invece non si ritiene utile l'introduzione di meccanismi che potrebbero rivelarsi paralizzanti, mentre è preferibile agire sulla effettiva rappresentanza territoriale della Camera federale.
Le osservazioni e i rilievi sin qui svolti, sia quelli di natura critica che ricostruttiva, dimostrano a sufficienza tre aspetti.
In primo luogo, che il processo di riforma si sta svolgendo in totale assenza dello «spirito costituzionale» che dovrebbe ispirarlo.
In secondo luogo, che il disegno proposto dalla maggioranza è gravemente pasticciato e confuso e insostenibile sul piano tecnico-istituzionale.
In terzo luogo, che esso persegue finalità opposte al di là di singole questioni, rispetto a quello proposto dal centrosinistra: si va cioè in direzione di un ulteriore squilibrio dei poteri e verso un federalismo che, basato sulla visione leghista della devolution, divide il paese e le sue istituzioni, genera costi incalcolati, risulta impraticabile in concreto.
Diceva Voltaire che l'illusione è il primo dei piaceri.
Abbiamo il dovere di illuderci che tutto ciò possa cambiare.
 
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MICHELE COSSA. Signor Presidente, molti miglioramenti sono stati apportati al testo originario della riforma costituzionale, alla quale va anche ascritto il merito di introdurre alcuni correttivi importanti alla riforma del 2001, approvata con una mai abbastanza biasimata forzatura dall'allora maggioranza di centrosinistra.
Ritengo positivo che si sia reintrodotto il principio di «interesse nazionale»; e affermata la clausola di salvaguardia di cui all'articolo 43-bis, che esclude l'applicabilità del nuovo Titolo V alle regioni a statuto speciale per le parti che comportino una diminuzione del loro grado di autonomia. E il carattere pattizio delle stesse regioni nell'ambito della Repubblica, che rappresenta per queste il presupposto per approfondire, se ancora sussistono, le ragioni della loro specialità, novità, queste, fortemente volute dalle regioni speciali e sostenute con determinazione dai parlamentari da esse espressi.
Tuttavia le ombre prevalgono sulle luci, sia per il contenuto di questa riforma, sia per il metodo che si è scelto.
Sul merito: non posso non sottolineare le responsabilità del centrosinistra in ordine all'apertura della strada verso un regionalismo tale da comportare l'attenuazione del ruolo dello Stato come garante non solo e non tanto dell'unità della nazione, quanto di quelle situazioni di oggettiva debolezza, talora anche determinata da fattori strutturali - come la Sardegna - in cui versano alcune aree del paese, che rischiano di venire schiacciate e lasciate indietro da quelle economicamente più forti, se si affievoliscono quei vincoli di solidarietà su cui si basa la nostra nazione. Non solo: dal deprecabile centralismo dello Stato si passa a un non migliore centralismo delle regioni le quali - specie nel meridione d'Italia - non si sono certo distinte per efficienza o per il perseguimento di un rapporto più stretto con i cittadini. Per tacere del preoccupante abbassamento della soglia di legalità nell'azione politico-amministrativa, aggravata dalla sostanziale assenza di strumenti di garanzia di cui i cittadini e le opposizioni nelle assemblee elettive possano utilmente valersi.
Quella che poteva diventare la Repubblica delle autonomie, incentrata sul rafforzamento del ruolo degli enti locali, diventa uno Stato «federale», che già in parte vediamo e che non fa ben presagire.
Alle perplessità maturate durante l'iter parlamentare si aggiunge che - come ha autorevolmente evidenziato già un anno fa il collega onorevole Tabacci - stiamo andando verso una legge elettorale proporzionale che risponde a logiche diametralmente opposte a quelle di questa riforma costituzionale, che richiederebbe non la scomparsa ma un rafforzamento del sistema maggioritario.
Per questo motivo il mio voto sarà contrario. Ora andiamo verso l'inevitabile referendum, e verso una possibile bocciatura di questo testo. Se questo accadrà, ci sarà una nuova occasione per riprendere la riflessione, anche sul metodo.
Sarà infatti necessario intraprendere un percorso diverso nella modifica di una parte così rilevante della Costituzione; un percorso che garantisca il massimo coinvolgimento non solo delle Camere, ma del paese. Una Assemblea costituente che porti finalmente ad una riforma condivisa, percepita come propria da tutti i cittadini italiani.
 

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Speciale "Referendum costituzionale" 2006