Dichiarazioni di voto Ddl di revisione
Costituzionale: voto della Camera dei Deputati - 20 ottobre 2005
Fonte: Camera |
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PRESIDENTE. L'ordine del giorno
reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale,
già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in
prima deliberazione, dalla Camera e approvato, senza modificazioni, in
prima deliberazione, dal Senato: Modifiche alla Parte II della Costituzione
(vedi l'allegato A - A.C. 4862-C - sezione 1).
Ricordo che nella seduta del 19 settembre
2005 si è conclusa la discussione sulle linee generali.
Avverto che, trattandosi di seconda deliberazione
su una proposta di legge costituzionale, a norma del comma 3 dell'articolo
99 del regolamento, si procederà direttamente alla votazione finale,
previe dichiarazioni di voto.
Avverto altresì che lo schema recante
la relativa ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente
calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 4862-C)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni
di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.
LINO DUILIO. Signor presidente,
signor ministro, onorevoli colleghi, mentre aspettavo di intervenire questa
mattina come primo degli iscritti dinanzi ad un numero così esiguo
e sparuto di colleghi, mi chiedevo se i costituenti che hanno dato vita
alla nostra Carta costituzionale avrebbero mai previsto che si sarebbe
arrivati ad una situazione in cui essa viene modificata unilateralmente
da parte della maggioranza, in un clima di indifferenza così sostanziale.
Ciò peraltro avviene in seconda lettura, essendosi previsto che
la modifica della Costituzione, data la sua importanza, non si può
realizzare in un'unica soluzione ma necessita di un doppio passaggio.
Cala in me, che sono un romantico sul
piano costituzionale, un po' di tristezza nell'osservare la condizione
in cui siamo precipitati, con una seconda riflessione che servirà
a ben poco e non produrrà alcun sussulto circa la possibilità
di tornare indietro su questa modifica. Invito la maggioranza che l'ha
realizzata questa modifica a riflettere sul fatto che essa ha modificato
la legge elettorale sostenendo che abbiamo un Parlamento basato su una
legge elettorale che produce una rappresentanza che non rispecchia la rappresentanza
della maggioranza degli italiani - questa è la motivazione sostanziale
che è stata data - e, dimenticandosi di questa motivazione, adesso,
con 100 voti di differenza, alla fine della legislatura, modifica da sola
la Costituzione. È una contraddizione in termini che si commenta
da sé, al di là di quello che può essere il merito,
su cui si può essere d'accordo o meno. Non si può cambiare
la legge elettorale affermando che essa non riflette la maggioranza dell'opinione
degli italiani e poi, con questo tipo di maggioranza, frutto dell'attuale
legge elettorale, modificare la Costituzione.
Ripeto: questa è una contraddizione
in termini, che ritengo vada stigmatizzata anche alla luce del fatto che
l'attuale maggioranza scricchiola anche da un punto di vista politico.
Non appartengo a quelli che guardano nella sfera di cristallo, ma non sono
proprio sicuro che questa sarà ancora una maggioranza tra pochi
mesi, a seguito della consultazione elettorale.
Detto questo, accenno ad alcuni punti
nel merito del provvedimento in esame, che vorrei ricordare per invitare,
con l'ottimismo della volontà ed il pessimismo della ragione, ad
un sussulto che torni a far riflettere su quanto si sta facendo.
La prima questione è il tema delle
garanzie, che non sono previste in questo progetto. Basta pensare al ruolo
della Corte costituzionale, al quorum per l'elezione del Presidente della
Repubblica, al referendum popolare, ai regolamenti parlamentari che mortificano
il ruolo dell'opposizione. Il discorso delle garanzie è di grandissima
rilevanza e a fondamento della vita democratica, per affrancarla dai rischi
di una regressione qualitativamente poco democratica.
Credo che questo sia uno dei primi aspetti
da riconsiderare relativamente al disegno di legge costituzionale di modifica
della nostra Costituzione.
The second best, come dicono gli inglesi,
vale a dire il secondo elemento che vorrei richiamare alla vostra attenzione,
riguarda il ruolo del Primo ministro, il cui strapotere produce una mutazione
del nostro sistema parlamentare, peraltro in modo subdolo. Vorrei sottolineare,
inoltre, che voi avete approvato una legge elettorale che, sostanzialmente,
porta questo Parlamento ad avere una trentina di sedicenti leader, come
ha affermato il mio amico e maestro Gerardo Bianco, «uomini forti
dal pensiero debole», e circa seicento «camerieri», lo
dico tra virgolette, con tutto il rispetto per la categoria.
In tale contesto, con questo tipo di Parlamento,
prevedete lo strapotere del Primo ministro, che sarà anche in grado
di licenziarlo, in una situazione che è veramente un capolavoro
sul piano della gentilezza democratica e sotto il profilo dei principi,
degli equilibri, dei pesi e dei contrappesi di un sistema parlamentare
nel quale il potere esecutivo dovrebbe porsi, rispetto a quello legislativo,
in una condizione ben diversa da quella prevista in questo progetto.
Sono di fronte ad uno svilimento del Parlamento,
che mette questa istituzione gloriosa in una condizione avvilente. Basta
vedere lo spettacolo a cui è ridotto oggi il Parlamento per renderci
conto che stiamo producendo una ferita gravissima al tessuto istituzionale!
Sebbene ci troviamo in questa condizione, con la modifica della legge elettorale
e la prossima modifica della Costituzione, mettiamo sotto i piedi, se così
posso dire, i principi su cui abbiamo costruito nel nostro paese un sistema
democratico che ha retto per più di cinquant'anni.
State producendo una deriva cesarista,
che sarà dovuta non alla cattiva volontà o ai cromosomi antidemocratici
di Tizio, di Caio o di Sempronio! La democrazia è fatta di regole,
di presupposti, di pesi e contrappesi (questo è il principio di
fondo) e, pertanto, non ce la prendiamo con Tizio, con Caio o con Sempronio;
quando le istituzioni sono messe nelle condizioni per cui chiunque ne può
approfittare, in presenza di regole che elevano il potere e determinano
strapotere, credo che soprattutto gli spiriti liberali che dovrebbero abitare
nella maggioranza di centrodestra si dovrebbero sollevare.
Abbiamo un'altra idea di democrazia, anche
con riferimento alla questione del federalismo, che è il terzo elemento
- the third best, per essere ironici - che vorrei affrontare.
Noi abbiamo in mente un'idea di federalismo
che unisce e non che divide; forse, tutti siamo stati un po' superficiali
nell'introdurre la questione del federalismo, anche solo in termini semantici,
oltre che istituzionali, nel nostro paese, senza avere posto un'adeguata
attenzione a ciò che è accaduto in altri paesi che hanno
già avviato alcune esperienze in senso federalista.
Noi siamo per un'idea di federalismo che
unisce, che produce unità nel paese e non la sua disunità!
A me, peraltro, piace poco la parola federalismo, perché amo il
concetto di autonomia, essendo un popolare sturziano. Noi popolari siamo
per lo Stato delle autonomie, piuttosto che per uno Stato federalista!
Con questa modifica state introducendo
nel testo della Costituzione la previsione di competenze esclusive delle
regioni in determinate materie (sanità, scuola, polizia locale)
senza nemmeno sapere di che cosa si sta parlando. Qualcuno dice che la
polizia sarà solamente amministrativa; qualcun altro afferma che
sarà come quella che vediamo nei film americani, con la pistola,
che insegue qualche malfattore sulla strada, e così seguitando.
Ci troviamo, insomma, in una situazione
di pressappochismo giuridico e costituzionale che credo rappresenti un
vulnus.
Vorrei concludere il mio intervento ribadendo
che siamo per lo Stato delle autonomie, poiché proveniamo da una
tradizione culturale, quella del popolarismo (da Sturzo a Moro, a Bachelet
a Ruffilli), che individuava nelle autonomie il cuore dello Stato, in un'ottica
di condivisione, non di divisione, come strada maestra per la costruzione
per via sussidiaria di uno Stato in un orizzonte anche sovranazionale.
Un impianto che non mortifica la solidarietà e che non esalta, come
il vostro, un egoismo territoriale inevitabilmente destinato a produrre
il temibile e regressivo rischio di coltivare principi, come sangue, suolo
e valori, che sono suscettibili di involuzioni pericolosissime per la vita
della nostra comunità.
Per tutte queste considerazioni, esprimeremo
convintamente un voto contrario sul provvedimento in esame, confidando
sul fatto che il referendum popolare cancelli questo colpo di mano che
si sta realizzando con riferimento alla Costituzione del nostro paese (Applausi
dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di
sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione).
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente,
colleghi, a oltre quattro anni dal suo insediamento, tutti possono constatare
che il centrodestra non è in grado di condurre l'Italia nel processo
di modernizzazione indispensabile per il suo rilancio.
Gli annunci del Presidente del Consiglio,
Berlusconi, non hanno avuto alcun seguito concreto ed il paese rischia
il declino, schiacciato dalle mancate riforme. Per il terzo anno consecutivo
la crescita sarà inferiore all'1 per cento, la mobilità sociale
è bloccata, la transizione politico-istituzionale sembra non avere
fine, la competitività e le esportazioni non reggono il passo con
gli altri paesi europei e stiamo cadendo in una spirale di illegalità
e di immoralità che non ha eguali in nessun paese avanzato.
E quando le cose vanno male e il centrodestra
è in affanno, quando la discordia tra le forze della maggioranza
parlamentare impedisce decisioni efficaci, si torna a premere il pedale
sulle riforme costituzionali, sulle modifiche alla legge elettorale, quali
obiettivi alternativi da dare in pasto all'opinione pubblica e, addirittura,
come possibile terreno di incontro, di mediazione, tra partiti in conflitto
sulle politiche concrete. Insomma, si dà la devolution alla Lega,
il proporzionale all'UDC, il premierato forte a Forza Italia, si garantisce
all'onorevole Fini la successione alla guida della Casa delle libertà
e poi si vedrà!
Tuttavia, il rischio è quello di
avviare processi di cambiamento non sufficientemente motivati e, comunque,
di indebolire il tessuto costituzionale. La Costituzione non è una
qualsiasi legge che offre risposte contingenti in base agli indirizzi prevalenti
nell'elettorato in un dato momento: è il testo che racchiude ed
esprime le basi stesse della convivenza civile e politica, che offre una
cornice permanente di principi, all'interno della quale la dialettica politica
si può svolgere, consentendo la prevalenza, di volta in volta, di
indirizzi diversi, ma sempre nel rispetto di esigenze essenziali, di garanzie
che riguardano tutti.
Disperdere e banalizzare questo patrimonio
segnerebbe un pauroso regresso. Per questa ragione, di fronte al progetto
proposto dalla maggioranza, prima ancora della valanga di motivatissime
critiche che ne hanno investito i contenuti, occorre ribadire che è
sbagliata la premessa. Una riforma costituzionale non si può approvare
per volontà di una maggioranza elettorale comunque contingente,
senza e contro il consenso delle minoranze. E se ha sbagliato il centrosinistra
nella scorsa legislatura ad approvare da solo, all'ultimo momento, la riforma
del Titolo V della Carta costituzionale (anche se in quel caso non si è
trattato di una intesa della maggioranza imposta all'opposizione, ma di
una intesa che ha travalicato i confini delle parti politiche, tanto che
quella riforma alla Camera di deputati è stata votata insieme da
maggioranza ed opposizione e solo in seguito il centrodestra si è
ritirato improvvisamente dal processo riformatore che aveva condiviso),
tanto più sbaglia l'attuale maggioranza ad insistere nel portare
avanti una riforma ben più ampia e dirompente quale frutto di un
programma approvato solo dagli elettori della Casa delle libertà
e, addirittura, con un'iniziativa formalmente inclusa nel programma di
Governo.
In questo modo finiremo per avere non
una Costituzione, ma una legge costituzionale della maggioranza e del Governo
per poi attendere magari che, in futuro, una nuova maggioranza e un nuovo
esecutivo approvino a loro volta una nuova e diversa legge di riforma costituzionale.
Le modifiche alla Costituzione dovrebbero
essere sempre un fatto straordinario, che interviene solo in presenza di
una convinzione maturata sull'esistenza di problemi che non possono trovare
una soluzione diversa ed adeguata all'interno della cornice costituzionale
vigente nonché sull'attitudine delle riforme proposte a risolvere
i problemi senza aprirne di maggiori.
Per questa ragione, le modifiche della
Costituzione non dovrebbero mai essere il frutto di decisioni di maggioranza,
nel senso di decisioni volute dalla maggioranza politica che dà
vita al Governo né, tantomeno, di decisioni promosse dall'esecutivo.
Tale convinzione sta alla base della scelta,
generalmente accolta in tutte le Costituzioni, compresa la nostra, di garantire
la rigidità della Costituzione, attraverso la previsione di procedimenti
di revisione speciale. Una previsione - mi riferisco all'articolo 138 della
Costituzione - che, insieme alla disposizione sulla Corte costituzionale,
non a caso fu inserita nella sezione della Carta intitolata alle garanzie
costituzionali.
Semmai, oggi, dopo la trasformazione in
senso prevalentemente maggioritario del sistema elettorale, il procedimento
consente l'approvazione di modifiche sostenute da un consenso parlamentare
troppo ristretto e da un troppo limitato consenso popolare esplicito.
Questo non vuol dire chiudersi; nessuno
di noi pensa di chiudersi di fronte a proposte di revisioni costituzionali
mirate, di cui si dovesse dimostrare la necessità, anche perché
la stessa Costituzione è già cambiata, nel senso che già
oggi riceve, per alcuni aspetti, un'applicazione diversa rispetto alle
previsione del passato, pur mantenendo fermi i riferimenti di principio.
E non siamo chiusi a proposte mirate di
revisione, anche perché le riteniamo necessarie; mentre il sistema
politico precedente, con tutti i suoi limiti, possedeva una coerenza interna,
costruita a tavolino dai padri costituenti nel 1947, il nuovo sistema non
ha più questa coerenza. La modifica della legge elettorale, da proporzionale
a maggioritario, impone di ripensare l'intero sistema dei pesi e contrappesi
tra poteri ed istituzioni dello Stato, perché esiste il rischio
che una minoranza nel paese, in grado di esprimere tuttavia una maggioranza
in Parlamento grazie al sistema maggioritario, si mangi tutto e controlli
tutto.
Senza contare che il nuovo Titolo V della
Costituzione ha introdotto una modifica nei rapporti politici e finanziari
tra i diversi livelli di governo che il nostro sistema istituzionale non
è più in grado di gestire efficacemente. Per questo è
necessaria una Camera parlamentare rappresentativa del mondo e delle esigenze
delle autonomie territoriali, che svolga una funzione di coordinamento
delle politiche e di mediazione dei conflitti tra i governi. Non vi è
dubbio che si tratta di esigenze reali, ma la proposta in esame costituisce
una risposta a questa esigenza per molti versi sbagliata e contraddittoria.
Intanto va chiarito che la proposta non
trova la sua vera ragione d'essere in un progetto di effettivo rafforzamento
del regionalismo italiano. La proposta del federalismo, infatti, doveva
servire a ricomporre il rapporto logorato tra società ed istituzioni,
ma da quando gli italiani nel 2001 hanno votato a favore di una riforma
federale che doveva accrescere i poteri degli enti locali e rendere la
politica più vicina agli interessi dei cittadini, le cose vanno
avanti come e peggio di prima. Questo accade perché nei fatti la
politica nazionale ha ridotto lo spazio di autonomia degli enti locali
e, a parte un po' di lavoro in più per i giudici costituzionali,
chiamati a mediare i conflitti tra le regioni e lo Stato determinati dalle
diverse interpretazioni della nuova Carta costituzionale, di questo famoso
federalismo non si è vista traccia, al punto che anche nel caso
della devolution le novità sono in larga parte apparenti, perché,
al di là di alcune correzioni minori, l'impianto della riforma del
2001 non viene sostanzialmente alterato.
La novità dovrebbe essere l'attribuzione
di una competenza legislativa esclusiva alle regioni in alcune materie
specifiche. Il progetto in discussione lascia, tuttavia, alla competenza
statale la determinazione dei livelli essenziali dei diritti e le norme
generali sull'istruzione, aggiungendo anche le norme generali sulla tutela
della salute, mentre resterebbe di competenza concorrente l'istruzione.
Quanto alla polizia amministrativa, tutto si ridurrebbe alla precisazione
che essa può essere anche regionale, oltre che locale.
Come ha osservato Valerio Onida, il fatto
che in tal modo si devolva alle regioni qualcosa e addirittura qualcosa
di esclusivo è difficilmente sostenibile. Vi saranno naturalmente
controversie ulteriori sui rapporti tra norme generali e princìpi
fondamentali, di competenza dello Stato, e normativa di organizzazione
di dettaglio di competenza regionale. Si discuterà su quanto la
legislazione statale, in tema di determinazione dei livelli essenziali
dei diritti, possa interferire nelle materie di competenza regionale, ma
non verranno sostanzialmente spostati i confini tra i poteri centrali e
locali.
«E allora - si è chiesto
proprio Onida - val la pena di impiegare tante energie
politiche e parlamentari in una contrapposizione
su temi costituzionali, anziché concentrarsi sullo sforzo per far
funzionare un po' meglio questo nostro zoppicante regionalismo, attraverso
la legislazione ordinaria, le riforme amministrative, la realizzazione
del nuovo sistema finanziario e fiscale, promesso dalla Costituzione ma
ancora inattuato e in assenza del quale i nuovi poteri delle regioni sono
destinate a rimanere soltanto sulla carta»? E come si fa a non vedere
il paradosso per cui, mentre si promettono alle regioni nuovi poteri con
la cosiddetta devolution, lo stesso Governo che propone la riforma fa approvare
in Parlamento norme e misure di legge ordinaria, diverse volte annullate
dalla Corte costituzionale, che il più delle volte rinverdiscono
pratiche centralistiche nel campo dei lavori pubblici, dell'urbanistica,
dei fondi e microfondi gestiti dallo Stato per le finalità più
diverse, in materie di competenza già regionali?
Come si fa a non vedere, con tutto il
rispetto per le difficoltà congiunturali, anche in sede di legge
finanziaria, che è necessario evitare manovre estemporanee e che
occorre impostare con urgenza un sistema di finanza pubblica regionale
e locale che sia certo, stabile, coerente? Che è necessario realizzare
quel federalismo fiscale che l'articolo 119 della Costituzione detta, ma
che nessuno nell'attuale maggioranza pare abbia fretta di realizzare, nemmeno
quelli che dicono di battersi per il federalismo e che, in realtà
lo tradiscono, perché non comprendono che il fallimento si evita
non già mettendo altra carne al fuoco nel paniere delle competenze,
ma rendendo effettivo l'ampio spazio di autonomia che è già
concessa agli enti locali?
E non stupisce che il progetto di riforma
in discussione, che sembra mosso da questo apparente intento di rifondare
il bicameralismo su basi diverse da quelle attuali, non compia il passo
necessario verso tale scopo, cioè l'istituzione di una Camera rappresentativa
del mondo delle autonomie territoriali: un Senato federale. È ciò
perché il Senato federale di federale ha pochissimo, e, come oggi,
sarebbe formato da senatori eletti direttamente dai cittadini e vedrebbe
solo una partecipazione, senza diritto di voto, dei rappresentanti regionali
e locali. Dunque, sarebbe destinato a deliberare sulla base di schieramenti
di partito e non sulla base di una provenienza regionale. Questa proposta
non compie i passi necessari in questa direzione, perché la riforma
in discussione non ha la sua vera ragion d'essere in un progetto di rafforzamento
effettivo del regionalismo italiano.
Ci sarebbe da discutere se forme di regionalizzazione
più intense di quella attuale siano auspicabili, sopportabili dal
nostro paese. Ma resta il fatto che la riforma in discussione è
diventata soltanto una bandiera che la Lega sventola al proprio elettorato,
in cui le norme della cosiddetta devolution funzionano da merce di scambio,
da traino per altre innovazioni costituzionali: sul Governo, sul Parlamento,
sulla Corte costituzionale; innovazioni, queste sì, che rischiano
di alterare equilibri costituzionali delicati.
Ma se la riforma non ha questo obiettivo,
qual è l'obiettivo centrale?
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Maran.
ALESSANDRO MARAN. Ho terminato, signor
Presidente. Come dicevo, l'obiettivo è quello centrale di Governo.
Ce n'è abbastanza, allora, per
chiedere, come faremo, il referendum per annullare una riforma contraddittoria
(Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e
della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Invito i colleghi a rispettare
i tempi.
Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente,
molte obiezioni di carattere generale, di ordine politico e costituzionale,
sono già state svolte: le condivido e ad esse mi richiamo. In questa
dichiarazione vorrei, però, soffermarmi su uno dei punti emblematici
della riforma che oggi discutiamo, e precisamente sull'articolo 39 del
disegno di legge costituzionale, che modifica l'articolo 117 della Costituzione,
già novellato nel 2001.
Con queste disposizioni si interviene,
tra l'altro, con diverse correzioni ed integrazioni rispetto al testo del
2001, sia per quanto riguarda la definizione del riparto di competenze
tra Stato e regioni, in alcuni ambiti materiali, sia con la novella relativa
al quarto comma dell'articolo, introducendo la cosiddetta devoluzione.
È necessario operare una netta
distinzione tra le due tipologie di modifiche, perché sono ragioni
diverse che le ispirano. Infatti, mentre avrebbe potuto anche essere opportuno
un intervento a fini migliorativi degli elenchi dei commi secondo e terzo
dell'articolo 117 della Costituzione, questo non accade con la riformulazione
del quarto comma dello stesso articolo, ovvero la cosiddetta devolution
in senso stretto, che attribuisce competenze esclusive alla legislazione
regionale su scuola, sanità e polizia amministrativa, regionale
e locale.
Sul primo punto, in astratto, si sarebbe
anche potuta valutare l'opportunità di intervenire su alcuni profili
opinabili contenuti nel testo del 2001. Mi riferisco, in particolare, a
materie quali le grandi reti di trasporto e navigazione, la produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, e ad altre ancora.
Per quanto riguarda la devolution è
invece necessario svolgere alcune considerazioni ulteriori. Essa è
frutto di una sorta di trapianto; ricordiamo che la devolution costituiva
una proposta di legge costituzionale a sé stante, dibattuta ed approvata
in prima lettura all'inizio della legislatura e poi inserita bruscamente
nel testo di riforma della seconda parte della Costituzione. Sebbene la
devoluzione richiami, almeno in termini formali, il processo avvenuto in
Gran Bretagna, gli aspetti di affinità sostanziale con una simile
esperienza sono del tutto inconsistenti.
Una simile attribuzione di competenze
esclusive non si riscontra neanche nelle esperienze europee tendenti alla
più forte valorizzazione delle istanze decentrate: non si verifica
nei Länder tedeschi, né nelle comunità autonome spagnole
e nemmeno nell'esperienza belga. Di fronte ad una attribuzione di competenze
così rilevante, non si riscontra, nel nostro ordinamento, una parallela
affermazione della clausola di supremazia americana, o dell'analoga clausola
costituzionale tedesca: in pratica, un istituto unificante azionabile dallo
Stato centrale, che è stato richiamato anche dalla Corte costituzionale
nella celebre sentenza n. 303 del 2003.
Non è possibile, infatti, considerare
in questa luce la reintroduzione del limite dell'interesse nazionale per
la legislazione regionale, soprattutto alla luce del controverso meccanismo
individuato per la sua procedibilità.
Mi preme, soprattutto, sottolineare come
il testo in esame sia oscuro e si presti alle interpretazioni più
contrastanti. Dimostrazione: è stata sostenuta un'impostazione per
così dire continuistica - lo ha sostenuto D'Onofrio - ed anche un'interpretazione
di dirompente novità.
È interessante quello che in dottrina
sostiene Gambino, il quale ha riassunto le due impostazioni in una sorta
di binomio paradossale fra una bomba, da un lato, e una bolla di sapone,
dall'altro. Tanto per fare un esempio, non si sa, né lo hanno chiarito
gli esponenti del Governo, che cosa sia davvero la polizia amministrativa
regionale e cosa comporti l'attribuzione esclusiva alle regioni della sua
disciplina, a fianco dell'attribuzione allo Stato delle competenze in materia
di ordine pubblico e sicurezza. Non è neppure ben chiarito il discrimine
tra gli interventi dello Stato e delle regioni in materia di istruzione,
date le attribuzioni, altrettanto esclusive dello Stato, in materia di
norme generali sull'istruzione definite dall'articolo 117 della Costituzione.
Un altro dei principali rischi derivanti
dalla cosiddetta devolution è la possibilità di un eccessivo
rafforzamento della posizione delle regioni, non solo e non tanto nei confronti
dello Stato centrale ma, anche e soprattutto, sul versante delle autonomie
infraregionali. Il principio autonomistico è ben presente nella
Costituzione sin dall'articolo 5 e si è progressivamente affermato
nell'ordinamento, anche attraverso le riforme attuate con norme ordinarie;
cito, fra tutte, le leggi Bassanini. La riforma del Titolo V della Costituzione
sembra averlo sviluppato ulteriormente anche se forse non ancora pienamente.
L'assegnazione alle regioni di competenze così rilevanti rischia
di trasformare gli enti locali da enti autonomi in meri istituti di decentramento
che, com'è noto, è cosa ben diversa. Successivamente, mentre
da una parte si fonda la legittimità e l'opportunità della
devolution sul ritenuto necessario ampliamento delle funzioni e delle competenze
delle regioni, dall'altra se ne limita una possibilità di sviluppo
e di possibile differenziazione.
La maggioranza ha prospettato una sorta
di bilanciamento all'interno della riforma costituzionale tra devoluzione
di competenze esclusive alle regioni e reintroduzione della clausola dell'interesse
nazionale. In dottrina si è da più parti contestato che la
reintroduzione in Costituzione di una simile clausola sia sufficiente a
ripristinare un indirizzo unificante a fronte della aumentata autonomia
regionale. Si è da più parti ricordato come essa costituisca
una sorta di formula vuota e come il vero parametro di confronto debba
essere costituito dai livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale indicati dall'articolo
117, comma secondo, della Costituzione (questa è la posizione di
Manzella). Inoltre, alla riesumazione dell'interesse nazionale si è
proceduto inserendo una formula davvero originale, affidando il sindacato
delle leggi regionali al Parlamento in seduta comune: vi ricordate, quando
il Parlamento interviene, ad esempio, per eleggere i giudici costituzionali,
che efficienza dimostra? Forse non ci si è accorti che il giudizio
di merito sull'interesse nazionale delle leggi regionali non è mai
stato, - ripeto, mai - attivato prima del 2001, quando era previsto il
procedimento attraverso un atto bicamerale non legislativo. Figuriamoci
cosa accadrebbe se lo si affidasse alla improbabile mediazione elefantiaca
della struttura immaginata in questo testo.
Il pericolo maggiore del testo di questo
provvedimento è quello che «tocca» l'unità nazionale
nel suo risvolto di coesione sociale e territoriale. Tutti conosciamo bene
il nostro paese, con le sue diversità e gli squilibri che storicamente
ha vissuto e che tuttora lo attraversano. Lo sapevano bene i nostri padri
costituenti che, per questo fine, avevano dato un forte impianto solidaristico
alla nostra Carta costituzionale. Nella Costituzione del 1948, all'articolo
119, quarto comma, si prevedevano contributi speciali finalizzati alla
valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole o di singole regioni. Tali
squilibri non sono stati eliminati nel corso degli anni e con la riforma
del Titolo V si è generalizzata la clausola, istituendo, a fianco
dei principi del cosiddetto federalismo fiscale, il fondo perequativo per
i territori con minore capacità fiscale (articolo 119, terzo comma,
della Costituzione). Inoltre, il testo del 2001 dispone la destinazione
di risorse aggiuntive e prevede interventi speciali per promuovere la coesione
e la solidarietà sociale e per rimuovere gli squilibri economici
e sociali. Si tratta di un apparato molto complesso, ma in questa materia
non si può intervenire con l'accetta.
Tutto ciò sta a dimostrare un interesse
costante del costituente e del legislatore costituzionale a fini di solidarietà
e di redistribuzione in una realtà nazionale estremamente diversificata
dal punto di vista delle condizioni di partenza delle diverse parti del
paese. Al contrario, la devolution mira direttamente, in nome, o meglio,
con il pretesto dell'autonomia regionale, ad un abbandono dell'intervento
di perequazione e di redistribuzione, a tutto vantaggio delle zone più
ricche, lasciando, di fatto, al loro destino le zone più disagiate.
Questo è stato ben colto durante
il dibattito che si è svolto nel paese in occasione delle elezioni
regionali: in alcune regioni avete perso soltanto perché non avete
compreso che la gente avrebbe capito questa modifica così devastante.
Le regioni riceveranno anche minori trasferimenti dallo Stato a causa dei
continui tagli che vengono dalle vostre leggi finanziarie.
In conclusione, signor Presidente, credo
che voi - voglio dire voi della maggioranza - approverete senza il nostro
concorso questo pessimo testo di riforma costituzionale; ma noi abbiamo
la certezza morale che vi batteremo al referendum: così salveremo
la nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita,
DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione)!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente,
in ragione della complessità e della delicatezza della materia,
le chiedo, ringraziandola anticipatamente, di accordarmi la facoltà
di produrre un testo scritto da pubblicare
integralmente in calce al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente
sulla base dei criteri costantemente seguiti.
PIERLUIGI MANTINI. Di conseguenza, in
questa sede mi limiterò alle osservazioni possibili.
È ormai noto agli italiani che
abbiamo più volte evocato e rievocato l'intervento dello spiritus
creator su questi nostri lavori costituenti, come già fece, per
il vero con maggiore successo, Benedetto Croce. Siamo rimasti inascoltati!
Neanche il più laico spirito costituente,
quello del reale confronto democratico richiesto dalla Costituzione per
ogni sua riforma, si è materializzato nel corso di questi travagliati
lavori. Al contrario, il potere costituito si è fatto costituente
e la maggioranza si è chiusa in se stessa, prima con i cosiddetti
saggi, nella baita di Lorenzago, poi nelle aule del Parlamento.
Divisa e confusa, la maggioranza sta utilizzando
la riforma della seconda parte della Costituzione a soli fini di equilibrio
e riequilibrio interni: un po' di devolution alla Lega, l'interesse nazionale
per AN, lo scambio con la legge proporzionale per l'UDC, il «premierato
assoluto» per le pulsioni plebiscitarie e populiste di Forza Italia,
accompagnato da una legge «salva Previti». Sembra un calembour
assurdo e surreale, eppure è la realtà!
La riforma costituzionale in esame è
priva di un'anima ed è intrisa soltanto di interessi di parte: regole
per la Casa delle libertà anziché per la casa comune degli
italiani, come dovrebbe essere la Costituzione. Non abbiamo mai negato
la necessità di riforme mirate, adeguate a sostenere un bipolarismo
democratico e l'efficienza del Governo, in un quadro di federalismo ordinato
e solidale: in tal senso, abbiamo avanzato proposte (su cui non tornerò
nello specifico) per cercare di disegnare le istituzioni del bipolarismo.
Ma ciò che, invece, emerge e viene
sottoposto al nostro voto è un pasticcio indigeribile, un duro colpo
ai principi sostanziali su cui si fonda l'ordinamento repubblicano. Userei
tre espressioni gergali per riassumere ciò che questo disegno di
legge costituzionale tenta di realizzare: involution, «premierato
assoluto», da qualcuno definito «Silvierato assoluto»,
bicameralismo più che imperfetto.
Con la parola involution voglio indicare
quel groviglio confuso di competenze legislative esclusive che sono state
suddivise tra Stato e regioni, attraverso un meccanismo che, da una parte,
le assegna e, dall'altro, le rinnega: attribuite una competenza esclusiva
alle regioni in materia di sanità, polizia, istruzione, ma poi la
rinnegate attribuendo alla competenza esclusiva dello Stato le norme generali
sulla sanità!
Ponete grande enfasi sull'organizzazione
scolastica delle regioni, ma restano allo Stato le norme generali sull'istruzione
e i poteri che discendono dall'articolo 33 della Costituzione.
Volete la polizia dei governatori, ma
vi riducete alla polizia amministrativa regionale, con ciò mortificando
lo stesso principio di sussidiarietà che attribuisce ai comuni compiti
amministrativi.
A questo pasticcio avete aggiunto la clausola
di supremazia dell'interesse nazionale che consente, in pratica, alla maggioranza
di Governo di annullare la stessa autonomia legislativa delle regioni.
Complicazioni inutili che aumentano il contenzioso presso la Corte costituzionale
nei conflitti di attribuzione, senza alcuna utilità.
Si rischia di perdere ulteriormente il
principio fondamentale di sussidiarietà istituzionale, in favore
di un federalismo autoreferenziale, competitivo e rissoso. In questo modo,
però, non si svilupperanno mai con efficacia le politiche nazionali
di cui l'Italia ha bisogno per uscire dalla deriva nella quale avete contribuito
a metterla.
E poi, ancora, il premierato assoluto.
Tutta la dottrina costituzionale più autorevole concorda sulla gravità
del modello che avete disegnato con questa riforma: il potenziamento estremo
della figura del Primo ministro attraverso la sua sostanziale elezione
diretta e la sua esenzione dalla fiducia iniziale del Parlamento; il potere
che gli è dato di forzare la Camera dei deputati all'approvazione
delle misure legislative da lui ritenute essenziali; l'automaticità
dello scioglimento della Camera, conseguente alla sfiducia ed il larghissimo
potere di determinarlo in altri casi da lui esclusivamente valutati, facendo
così venir meno le prerogative stesse, il contrappeso e l'equilibrio
dei rapporti tra esecutivo e Parlamento.
Tutto questo, per l'appunto, senza alcuna
attenzione per i poteri del Parlamento, per l'equilibrio tra gli organi
istituzionali. Ed è giusto quanto detto da altra autorevole dottrina
e cioè che il senso profondo che emerge è piuttosto quello
di una drastica semplificazione del circuito democratico, riducendolo alla
scelta, ogni cinque anni, di una sola persona direttamente investita dalla
carica di Primo ministro, dotato dei massimi poteri nei confronti, non
solo dell'esecutivo, ma anche del Parlamento, senza più nemmeno
l'intralcio di un Capo dello Stato, i cui poteri vengono ridotti drasticamente.
E poi si passa da un bicameralismo perfetto,
certamente atipico sulla scena istituzionale a livello mondiale, ad un
bicameralismo che definirei più che imperfetto, perché non
abbiamo un Senato federale, perché ci siamo fortemente distanziati
sia dal modello americano sia da quello tedesco. Non abbiamo, quindi, membri
del Senato designati dalle autonomie regionali, ma non li abbiamo neanche
eletti in misura pari, quindi, secondo il principio del federalismo americano,
che vuole che ogni Stato elegga un pari numero di senatori. Ed abbiamo
un procedimento legislativo che, francamente, potrà essere materia
per avvocati, perché ormai abbiamo quattro tipi di leggi ad iniziativa
della Camera e del Senato, bicamerali e anche quelle post-contenzioso arbitrale.
Infatti, avete voluto istituire addirittura una commissione arbitrale per
capire quali siano e quali possano essere in determinate materie le competenze
legislative, il che, credo, la dica tutta sul carattere assolutamente poco
funzionale e tecnicamente grave ed impraticabile di questa stessa riforma.
Signor Presidente, onorevoli colleghi,
non ho più tempo per fare ulteriori osservazioni, ma mi sia consentito
di concludere con un appello, rivolto, in particolare, ai colleghi dell'UDC,
che, più volte, hanno dichiarato di non apprezzare questa riforma
costituzionale (mi pare di comprendere che i colleghi Follini e Tabacci
si asterranno oggi dal voto, mentre altri voteranno a favore).
Ebbene, vorrei dire loro: smettetela con
l'elogio dell'incoerenza, non riducete la politica alla mera distanza tra
le parole e i fatti e ricordate che Winston Churchill...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Mantini!
PIERLUIGI MANTINI. ..., ormai senile -
ho concluso -, il quale era solito dire che preferiva avere ragione piuttosto
che essere coerente, era ormai un politico sconfitto (Applausi dei deputati
del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente,
oggi, a distanza di una settimana, stiamo assistendo al secondo tempo,
dopo il voto sulla legge elettorale, di quello che voi, colleghe e colleghi
di maggioranza, ritenete essere il vostro sogno della grande riforma politica
istituzionale per l'Italia.
Friedrich Nietzsche dice che il vero sogno
è la capacità di sognare sapendo di sognare, ma voi non sapete
che state sognando, voi credete invece per davvero di stare facendo la
grande riforma, ma questo potete crederlo solo qui ed ora in quest'aula,
in una paradossale rivisitazione della sindrome del sommergibile, per cui
si crede che la realtà non sia il mondo che vive, ma la dimensione
entro cui si è costretti.
La dottrina costituzionale italiana non
crede che questa sia la grande riforma, nella sua stragrande maggioranza,
la considera sbagliata e pericolosa; non lo crede il mondo dell'economia
e del lavoro, che si muove e si mobilita contro questa vostra proposta;
non credono che questa sia la grande riforma i cittadini italiani che domenica,
numerosissimi, vi hanno mostrato un assaggio molto saporito di quello che
desiderano veramente: mandarvi a casa!
Non è il caso che, ancora una volta,
ripeta i motivi di assoluta, radicale, irriducibile contrarietà
alla vostra riforma. Mi limiterò a una sola osservazione per sottolineare
la gravità di quanto state facendo ricorrendo ad una riflessione
di Pietro Calamandrei, fatta qualche tempo dopo l'approvazione della nostra
Carta costituzionale.
Calamandrei si lamentava allora di alcuni
ritardi nell'attuazione della Costituzione, cosa quindi ben diversa dallo
scempio che state consumando voi qui oggi, e diceva: «Più
che la carenza delle leggi, sembra pericolosa la carenza della coscienza»,
e rinviava ad un giudizio molto duro di Balladore Pallieri che vi ripropongo
per la straordinaria attualità ed efficacia: «Il fatto più
grave è che si è accentuato il discredito per la legge, si
è autorizzato il popolo italiano a considerare la legge, anche nella
forma costituzionale, cosa di poco momento a cui si può passare
sopra e che comunque deve cedere il passo di fronte ad altre esigenze considerate
più importanti». Pericolosissimo principio in uno Stato repubblicano,
il quale proprio nel rispetto della legge e della Costituzione trova il
fondamento della propria unità e la base della vita ordinata.
Riflettete, colleghi, perché sembra
scritta profeticamente per voi. Avete fatto una verifica di maggioranza
e l'avete chiamata «riforma costituzionale» e più che
la carenza della legge è pericolosa la carenza della coscienza di
quello che state facendo. È questa banalizzazione della Costituzione
- l'avere scambiato la devoluzione con l'interesse nazionale, il premierato
assoluto con uno Senato pseudofederale, quasi fossero piatti sulla tavola
imbandita dell'accordo di maggioranza e che nulla hanno a che fare con
idee e forme del costituzionalismo moderno - che costituisce l'elemento
di maggiore gravità e di grande preoccupazione.
Il diritto innaturale che vi siete arrogati
a rifare a vostra immagine e somiglianza un pezzo cospicuo della Costituzione
conduce inevitabilmente verso l'esito di trasformare la nostra Costituzione
in una Costituzione di parte che, in un ordinamento che vuole essere autenticamente
pluralista, è una contraddizione che rinnega della Costituzione
proprio l'essenza quale luogo espressivo di valori condivisi e di regole
del gioco idonee ad assicurarne l'attuazione.
Quella che state perpetrando è
una vera e propria rottura costituzionale sul piano culturale e su quello
normativo. Due sono i punti cruciali, entrambi convergenti verso l'obiettivo
di devitalizzare la forza ordinativa della nostra Costituzione: l'esasperazione
dei conflitti politici tra Governo e Parlamento, tra Governo e Presidenza
della Repubblica, tra Camera e Senato, tra centro e autonomie; l'affievolimento
delle garanzie per come sono designati il ruolo e le funzioni del Presidente
della Repubblica, della Corte costituzionale, il rapporto tra maggioranza
e minoranza, i diritti di cittadinanza.
Nel primo caso, che si concreta nella
prima rottura, l'esito è una politicizzazione della Costituzione;
nel secondo caso, invece, il risultato è una sostanziale decostituzionalizzazione
della nostra Carta: questa è la vostra grande riforma!
A rileggerla, non viene in mente Piero
Calamandrei, che evocava lo spirito lungimirante, il senso storico appreso
da Benedetto Croce, che impediva di trasformare la Costituzione in un gretto
compromesso di partito schiacciato sulle previsioni elettorali dell'immediato
domani; a rileggerla, mi viene in mente, piuttosto, il titolo di un libro,
di una dolente bellezza, di Jean-Claude Izzo Casino totale e, più
ancora, la frase di Jim Morrison con cui si apre il libro: «Non esiste
la verità, ci sono solo storie». Sembra scritto proprio per
voi: questa riforma è un «casino totale»! È una
riforma costituzionale senza verità, ma con molte storie dietro:
la storia della vostra incapacità di essere forza di governo e di
cambiamento; la storia della vostra arroganza di maggioranza; la storia
della vostra incapacità di ascoltare il Parlamento ed il paese;
la storia di una stagione politica che non ha saputo guardare oltre se
stessa ed i suoi immediati tristissimi interessi. Una storia da dimenticare
e superare. E ciò è esattamente quanto accadrà la
prossima primavera, quando a votare non sarete solo voi, in quest'aula,
ma tutti i cittadini italiani (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita,
DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista
- Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor presidente,
onorevoli colleghi, si sta per compiere, stamani, l'ennesimo atto di protervia
di una maggioranza parlamentare che, come hanno chiaramente rivelato le
recenti elezioni regionali, non è più maggioranza nel paese.
Personalmente, sono tra quanti, non solo per scaramanzia ma per profondo
rispetto nei confronti degli elettori, ritengono aperto in ogni caso l'esito
delle prossime elezioni politiche; non penso che l'Unione abbia già
vinto le elezioni...
PRESIDENTE. Scusi, onorevole Leoni; colleghi,
per cortesia, lasciate parlare il collega. Ministro Calderoli...
CARLO LEONI. Ma ora, in una situazione
quantomeno incerta, una maggioranza parlamentare che è stata già
sconfitta alle «regionali», se non altro per rispetto nei confronti
delle istituzioni, dovrebbe astenersi dall'operare forzature sulle regole,
come invece è avvenuto attraverso la riforma della legge elettorale;
soprattutto, dovrebbe astenersi da uno stravolgimento della Carta quale
quello che intendete operare.
Le elezioni regionali vi hanno visto nettamente
in minoranza; non è dato ora sapere se sarete maggioranza con le
prossime elezioni politiche, molto probabilmente no. Certamente, oggi voi
non potete pensare di essere i padroni dell'Italia; gli oltre quattro milioni
di cittadini che domenica scorsa hanno votato alle «primarie»
dell'Unione hanno voluto manifestare un senso di adesione al progetto politico
del centrosinistra, ma anche una reazione a questa vostra protervia. Hanno
capito che il vostro atteggiamento costituisce un segno di debolezza, non
di forza; di disperazione, non di sicurezza: esso produrrà un effetto
boomerang perché la reazione democratica della maggioranza degli
italiani crescerà e vi porterà, di qui a qualche mese, due
cattive notizie: la prima giungerà con le elezioni politiche della
prossima primavera; la seconda con il referendum che cancellerà
questo stravolgimento della Costituzione. Che la vostra sia una prova di
debolezza e non di forza lo dimostra, d'altronde, lo slalom parlamentare
che avete allestito: vi guardate in cagnesco, con diffidenza l'uno nei
confronti dell'altro disputando se varare prima o dopo la devolution la
legge elettorale.
Ciò significa che vi controllate
a vicenda e che in ogni caso l'atto che si compie oggi è voluto
dalla Lega, è frutto di una trattativa e di un accordo posticcio
dove ognuno ha messo la suo bandierina.
Ne vengono fuori un patchwork privo di
armonia e di funzionalità; un salto grave oltre la Repubblica parlamentare,
con l'aumento dei poteri del Primo ministro; un doppio colpo all'unità
federale del paese, sia con la devolution, che introduce una diseguaglianza
nell'esercizio e nella fruizione di diritti sociali, a seconda delle regioni
di appartenenza, sia con la clausola dell'interesse nazionale, attraverso
la quale una maggioranza parlamentare può giungere a cancellare
una legge regionale.
Si allestisce un Senato che è tutt'altro
che federale: non lo è per composizione, né per meccanismo
di elezione, né per le competenze ad esso attribuite. Si prevede
un procedimento di formazione delle leggi che, bene che vada, porterà
alla paralisi ed alla confusione permanente. Si contempla, altresì,
un Presidente della Repubblica il cui ruolo viene ridotto a poco più
di un maestro di cerimonie.
Affermo che il vostro è un atto
di disperazione, e non di forza, poiché sono certo che i più
consapevoli tra di voi magari non pensano, come facciamo noi, che si stia
portando un grave attacco alla Repubblica parlamentare ed all'unità
del paese, ma certamente sanno che tale impalcatura istituzionale non può
funzionare. Tuttavia, non potete farci niente, perché a questo passaggio
sono legate le sorti della maggioranza e della coalizione: per questi motivi,
si tratta di un atto disperato e senza futuro.
Qualcuno tra di voi (come, ad esempio,
gli onorevoli Tabacci ed Adornato), nel corso del dibattito, la scorsa
settimana, sulla proposta di riforma della legge elettorale, ha fatto appello
ad un confronto bipolare e meno drammatico, ad uscire dalla logica amico-nemico
e ad un maggiore rispetto reciproco tra le due coalizioni. La domanda che
vi pongo è: a chi rivolgete tale predica? Che rispetto c'è
da parte di una maggioranza che, con i suoi soli voti, impone l'approvazione
di una legge elettorale e lo stravolgimento della Costituzione, dopo aver
imposto la legge Gasparri e le leggi ad personam? Vorrei altresì
ricordare che oggi il Presidente del Consiglio ha affermato che, con i
suoi voti, vuole cambiare anche la par condicio.
Che opposizione sarebbe quella che non
dovesse ribellarsi a tale protervia? Noi non vogliamo la conservazione.
Sappiamo bene che è necessario apportare degli aggiornamenti a taluni
aspetti della Parte II della Costituzione, come la fine del bicameralismo
perfetto ed un vero Senato federale o delle regioni. Riteniamo, altresì,
che, per consolidare il bipolarismo, contro il rischio di un maggioritario
estremista, occorra introdurre garanzie a favore non dell'opposizione,
ma del Parlamento. Crediamo, infine, che servano interventi correttivi
all'attuale Titolo V della Costituzione.
Vogliamo non conservare, ma migliorare.
Migliorare, tuttavia, non significa lo stravolgimento arrogante e confuso
della Parte II della Costituzione. Ebbene, noi intendiamo contrastare tale
stravolgimento. Ci opponiamo oggi, ancora una volta, in Parlamento, e ci
appelliamo da subito ai cittadini italiani, affinché, nella prossima
primavera, diano vita ad un'alternativa politica democratica al Governo
della Casa delle libertà ed affinché il referendum cancelli
questa pagina nera della storia italiana (Applausi dei deputati dei gruppi
dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente,
il disegno di legge costituzionale al nostro esame può essere scomposto
in due parti ben distinte. La prima è diretta a correggere e ad
integrare la riforma federalista approvata dal centrosinistra nello scorcio
finale della XIII legislatura. Quella riforma, infatti, varata senza la
necessaria ponderazione per conseguire un obiettivo politico di corto respiro,
merita senz'altro di essere emendata, anche sulla base dell'esperienza
sin qui maturata, che ne ha evidenziato limiti e difetti.
Vorrei rispondere all'onorevole Leoni
che il principio in base al quale ognuno si approva la sua Costituzione,
purtroppo, è stato avviato, in maniera erronea, proprio dal centrosinistra,
nella passata legislatura. Sarebbe bene che ciò non proseguisse:
questa è la mia opinione odierna.
Il Parlamento ha compiuto, in massima
parte, un buon lavoro, modificando una ripartizione delle competenze per
non pochi aspetti irragionevole, nonché foriera di effetti paralizzanti
e distorsivi dell'attività legislativa sia statale, sia regionale.
Per rendersi conto delle incongruenze di cui è disseminata la materia,
basti dare uno sguardo alla giurisprudenza della Corte costituzionale,
la quale è stata chiamata a dirimere conflitti sempre più
evidenti nei rapporti tra regioni e Stato.
Si trattava e si tratta, invece, di costruire
un sistema realmente rispettoso dei principi di sussidiarietà, di
adeguatezza e differenziazione che la riforma del Titolo V - lo ribadisco
-, frettolosamente e demagogicamente concepita, avrebbe del resto già
dovuto far propri.
Nell'ambito di interventi legislativi,
tra l'altro, merita di essere sottolineata la riproposizione della nozione
di «interesse nazionale» che, in omaggio ad una certa retorica
federalista, si era deciso di espungere dall'ordinamento costituzionale,
immemori della circostanza che la Repubblica, per quanto la si voglia federalista
e autonomista, rimane, per nostra fortuna, una e indivisibile.
Il contenuto del disegno di legge, su
questo versante, è condiviso anche da molti colleghi dell'opposizione,
che onestamente, anche se tardivamente, hanno riconosciuto l'esigenza di
correggere la rotta, facendo tesoro della prassi applicativa.
Invece, bisogna continuare a riflettere
sul tema delle competenze esclusive. Del resto, è evidente come
le competenze esclusive dello Stato e, in particolare quelle di natura
orizzontale (determinazione dei livelli essenziali, eccetera), siano inevitabilmente
destinate a lambire le competenze regionali.
Più in generale, è gravido
di rischi parificare in toto le competenze legislative statali e regionali,
perché questo meccanismo, se ci va bene, ci consegna ad una conflittualità
istituzionale permanente e a tensioni politiche ed istituzionali alimentate
dal fatto che le maggioranze a livello nazionale sono diverse da quelle
a livello regionale e che da noi c'è la tradizione di utilizzare
le maggioranze periferiche in alternativa al potere centrale.
Da un punto di vista strettamente politico,
un simile innesto costituzionale è in aperta contraddizione con
l'apparato complessivo dello stesso disegno di legge del Titolo V della
Costituzione. Siamo intervenuti per riequilibrare e per restituire coerenza
e funzionalità al disegno complessivo e per far valere le ragioni
dell'unità.
È sicuramente un giudizio ingeneroso
ed ingiusto, però, quello secondo il quale noi lo abbiamo fatto
per disgregare lo Stato, penalizzando il Sud del paese. A questo tipo di
accusa, però, non possiamo sottrarci per il modo con cui la Lega
ne ha rivendicato il merito, che ha finito per evidenziare un contrasto
di interessi che, forse, va al di là del vero, ma che ha determinato
delle conseguenze che, sul piano elettorale, sono state pagate in misura
assai evidente. Abbiamo invocato il vincolo di coalizione in circostanze
assai meno rilevanti per l'interesse del paese e non siamo stati capaci
di affermarlo quando sono entrati in gioco l'architettura costituzionale
dello Stato e la nostra credibilità nei confronti di settori non
irrilevanti del corpo elettorale.
Ciò che mi interessa osservare
oggi - lo avevo già detto un anno fa - è che va esaminata
la questione della modifica della forma di governo con riferimento alla
recente approvazione della legge elettorale, alla quale anche io ho dato
un contributo con una certa passione.
Ho avuto modo di dire ai colleghi dell'UDC
che mi dispiace anche per quelli tra essi, i quali, avendo il giusto desiderio
di fare una battaglia per un modello di tipo proporzionale, si trovano
ora in contraddizione politica rispetto ad un testo che avrebbe bisogno
di un rafforzamento del sistema maggioritario.
Ovviamente, avevo detto queste cose un
anno fa e non immaginavo che saremmo arrivati così maturamente a
portare a conclusione un processo di riforma elettorale in senso proporzionale.
Però, vedo che c'è un'antinomia molto forte. Ovviamente,
oggi do atto ai colleghi dell'UDC e a me medesimo di aver compiuto quella
battaglia e di averla anche vinta. Ma, poiché non ho cambiato idea
e ritengo che la riforma costituzionale al nostro esame presupponga, invece,
un rafforzamento del sistema maggioritario, non posso non chiedermi oggi
quali riflessi debba avere su tale riforma l'essere andati in una direzione
diametralmente opposta, nonostante si trattasse di un approdo allora inimmaginabile.
Questo è il tema di fondo.
Ovviamente, lo dico solo in termini dialogici
al presidente Bruno e ai componenti della Commissione: il maggioritario
è stato abbandonato perché abbiamo valutato che esso era
all'origine di coalizioni innaturali e coatte, strumentali alla raccolta
del consenso, ma profondamente inadeguate a gestirlo. Il leader della coalizione
aveva un ruolo di arbitro e di decisione finale nell'attribuzione dei collegi,
giustificato dal fatto che i singoli candidati sarebbero stati votati dagli
elettori di tutti i partiti della coalizione.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO
BIONDI (ore 10,35)
BRUNO TABACCI. Ad elezioni avvenute, per
la medesima ragione, il leader poteva rivendicare un potere di guida all'interno
della coalizione. Così, la riforma costituzionale ha immaginato
di rafforzare sensibilmente i poteri e di garantirgli una sostanziale inamovibilità,
applicando il principio del simul stabunt simul cadent: il leader, da una
parte, e, dall'altra, la maggioranza parlamentare.
Già in occasione della prima deliberazione
ho avuto modo di chiarire che ritengo del tutto inadeguati i meccanismi,
a volte veri e propri marchingegni, come nel caso della disciplina sulla
questione di fiducia, finalizzati a conseguire gli obiettivi della stabilità
e della governabilità.
L'unico risultato certo appare quello
di far risaltare l'onnipotenza del Capo del Governo, che stride però
con gli equilibri propri del regime parlamentare. Che questo sia il tentativo,
lo si evince da due istituti introdotti dal testo in esame: il voto bloccato
e la questione di fiducia. In entrambi i casi, si vuole porre il Capo del
Governo nelle condizioni di forzare la mano al Parlamento. Il paradosso
è che, come tutti sappiamo, i regolamenti parlamentari, salvo il
caso del tutto particolare dei decreti-legge, consentono oggi alla maggioranza
di approvare ogni sorta di provvedimento legislativo in tempi brevi e certi;
lo abbiamo fatto più volte in questa legislatura. La volontà,
che il Capo del Governo dovrebbe coartare, è quindi con tutta evidenza
quella dei parlamentari che lo sostengono, quasi che egli potesse governare
da solo contro tutti e non sulla base del consenso della maggioranza parlamentare.
La riforma elettorale proporzionale cambia
lo scenario e consente di ragionare sulla riforma costituzionale partendo
da premesse diverse. Quella riforma ha dei limiti: penso all'assenza del
voto di preferenza, ma al riguardo non mi ripeto, perché l'ho già
detto. Tuttavia essa è obiettivamente diretta ad innescare una complessiva
riforma del sistema politico. La scelta per il proporzionale manifesta
la volontà di abbandonare un sistema imperniato sulla dialettica
tra coalizioni, tanto eterogenee ed instabili al loro interno, quanto nettamente
contrapposte, anche su tematiche quali le riforme costituzionali e la politica
estera. Il risultato complessivo di una simile dialettica non poteva che
essere una scarsissima capacità di governo del paese, e questo anche
nei casi in cui la coalizione è maggioritaria ed ha resistito per
l'intera durata della legislatura.
La nuova legge elettorale pone invece
al centro i partiti, come del resto si conviene ad una democrazia parlamentare.
Porre al centro i partiti equivale a porre al centro le identità
politiche, i contenuti programmatici, le affinità culturali e ideali.
Il maggioritario all'italiana ha segnato uno svuotamento e l'impoverimento
della forma partito. La nuova legge elettorale crea le condizioni per rilanciare
la forma partito, favorendo processi di riaggregazione e disaggregazione
delle attuali forze politiche. In tal modo, potranno porsi le premesse
per una vera governabilità, fondata, come avviene in tutta Europa,
su partiti che, anche quando fanno parte di una coalizione, presentano
identità chiare, definite e tra loro affini.
Le nuove prospettive aperte dalla riforma
elettorale impongono con tutta evidenza di ripensare anche la riforma costituzionale.
Il Capo del Governo non può più essere considerato, come
peraltro con non poche forzature si poteva sostenere in costanza di un
sistema maggioritario, l'unico depositario, interprete ed esecutore dell'indirizzo
politico e programmatico della maggioranza di Governo.
Per questo ragioni, egregi colleghi, devo
ribadire il mio dissenso, che resta profondo. Mi dispiace per i colleghi
della Lega, che rispetto profondamente, i quali avevano l'opportunità
di prospettare l'inserimento della devoluzione all'interno di un contesto
costituzionale condiviso. Proseguendo lo scontro parlamentare, si arriverà
ad uno sbocco referendario duro e semplificatore. Non potrò non
partecipare, interpretando il pensiero di molti moderati, a tale chiarimento
referendario, nella speranza che si apra finalmente la strada per un'Assemblea
costituente, in grado di aggiornare davvero la Costituzione, proseguendone
lo spirito.
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Soda. Ne ha facoltà.
ANTONIO SODA. Signor Presidente,
questa requisitoria dell'onorevole Tabacci sulle contraddizioni, non soltanto
interne al testo, ma anche in tema di scelte politiche che sono state compiute
in quest'aula nella riorganizzazione del sistema politico, mi esime dal
riprendere alcuni temi di merito. Non c'è tensione, in quest'aula,
da parte vostra. Non c'è la consapevolezza di segnare un passaggio
storico, come avete detto in questi ultimi tempi. C'è piuttosto
la mortificazione dell'intelligenza, della cultura e della capacità
di esprimere liberamente le riflessioni, che anche molti di voi hanno fatto.
Quindi mi limiterò ad un brevissimo appello a quei pochi che possono
ancora ascoltare e forse proclamarsi uomini liberi.
L'invito a riflettere - se ne avete ancora
il tempo, la capacità e la libertà - sull'opportunità
di astenervi da questo voto suicida non nasce ricorrendo allo sdegno e
all'ironia dolente di Claudio Magris, che il vostro ministro non ha neppure
compreso; questo ministro che scrive piccoli saggi forse neppure accorgendosi
di essere in grado di firmarli.
Né ricorrerò al dileggio
di un insigne grammatico di Padova per il quale la tendenza all'anglicismo
della devolution, che pochi di voi conoscono, è rivelatrice, nella
povertà della cultura, dell'affanno che avete nel vano inseguimento
di un orizzonte europeo, quando invece siete immersi in un soffocante provincialismo.
Né mi appellerò ad un'insigne analista del «Devolution
club», che ha sottolineato il collegamento fra differenti regimi
di autogoverno e le divaricazioni degli statuti dei diritti sociali esercitabili
in aree diverse del paese. Né, infine, invocherò gli allarmi
sulle annunciate disuguaglianze su cui gli improvvisati riformatori da
osteria sono stati più volte chiamati a meditare. Più semplicemente,
vi ricorderò le conclusioni di un raro giornalista di inchiesta
qual è Gianantonio Stella.
Narrando le metamorfosi del mitico nord-est,
questo inviato di politica, cronaca e costume del più prestigioso
quotidiano italiano segnalava come, in due brevi tornate elettorali, con
buona pace del centralismo onnivero, onorevole Tabacci, fu spazzato via
il più grande partito del dopoguerra italiano (dall'80, 70, 90 per
cento, in alcune aree del nord-est, allo 0,2, 2 e 3,4 per cento). Egli
ne indicò la ragione, sia pure evocando un proverbio popolare poco
elegante che forse gli amici della Lega conoscono meglio di me. Esso -
scusate la mia pronuncia - in quelle aree suona così: «Finchè
ghe n'è, viva il re. Se non ghe ne ve più, in mona anche
lù!». Il messaggio è chiaro.
Sono infine le condizioni reali, quelle
materiali e quelle morali e, in ultima istanza, secondo l'intuizione di
una cultura dispersa ma non morta, sono queste le condizioni reali che
muovono i singoli, le comunità, i popoli, anche nelle scelte politiche.
Insisto, presidente Bruno, sull'aspetto
relativo all'ingovernabile sistema delle fonti delineate in questo testo.
Esso sarà ingovernabile in quanto creerà un percorso labirintico
nel quale non vi saranno commissioni paritetiche, legittimazione dei Presidenti
delle due Camere, definizione di competenze, intervento della Corte costituzionale
che renderanno praticabile qualsiasi intervento legislativo. Tutto ciò
in un quadro per giunta complesso del sistema delle fonti che vede, da
una parte, la presenza sempre più forte dell'ordinamento comunitario
e della sua armonizzazione nelle legislazioni nazionali, la fonte legislativa
primaria del Parlamento, le fonti normative secondarie del Governo, le
fonti legislative primarie delle regioni e le loro fonti regolamentari.
Voi avete costruito un percorso nel quale questo paese annegherà,
se non vi fermate! Insieme alla devoluzione, scardinante sotto il profilo
dell'uguaglianza dei diritti, al sistema delle fonti divenuto ingovernabile,
state tracciando un modello di Governo rigido, per un verso, e populista,
per un altro, delineato - Dio mi perdoni! - da questi esperti confusi,
chiamandolo pomposamente riforma costituzionale!
Questo modello di Stato, di Governo, di
legislazione e di rapporti (con l'Unione europea, tra lo Stato e le regioni
e tra Governo ed il Parlamento) comporterà - voi siete sfuggiti
a questa domanda - un costo altissimo in termini finanziari.
Qualcuno ha provato a fare i conti dei
costi di questo farraginoso e pericoloso sistema; alla disgregazione della
garanzia ugualitaria o universalistica dei diritti sociali fondamentali
si associa il costo elevato ed insopportabile che graverà sul cittadino
italiano e sulle comunità, in un periodo, peraltro, di scarsità
di risorse pubbliche e di crisi del sistema produttivo del paese.
I cittadini stanno cominciando a capirlo;
di qui quel proverbio popolare secondo il quale, in fondo, bisogna fare
riferimento alle condizioni reali per l'organizzazione dei rapporti sociali,
etici e produttivi fra i singoli e fra i singoli e le comunità e
le comunità fra di loro.
Tali costi altissimi renderanno impraticabile
questa riforma, che non vedrà mai la luce sotto il profilo del diritto
vivente, perché noi vi fermeremo con i vostri elettori.
Voi pensate che questo sistema, questa
cosiddetta riforma, susciti preoccupazioni e perplessità soltanto
nel Mezzogiorno d'Italia, perché siete fermi all'epoca in cui l'onda,
la spinta disgregatrice o, nella migliore delle ipotesi, la spinta delle
autonomie che proviene dal nord faceva leva sui concetti di uno Stato che
spendeva troppo, che destinava troppe risorse all'autoconservazione, del
cosiddetto assistenzialismo del sud e via seguitando.
Oggi, nel nord-est e nelle aree più
avanzate del paese, inondate da questa crisi terribile che impone la ricerca
di un nuovo modello di sviluppo, quelle popolazioni che si rendono conto
del costo degli apparati, della moltiplicazione delle organizzazioni anche
territoriali, che non rispondono ad una visione democratica di partecipazione,
ma soltanto ad una dimensione politicistica, si ribelleranno e su questo
vi sfideremo! Lo faremo non soltanto in Calabria, in Basilicata, in Puglia,
dicendo a quei nostri compatrioti, a quei nostri cittadini che saranno
mortificati i loro diritti e che saranno annegate le loro esigenze, ma
parleremo anche alle comunità del nord. Diremo loro che questa sciagura,
che li mortifica e che diventerà per loro un peso insopportabile,
è il frutto di una scelta confusa, irrazionale ed arbitraria che
non potrà passare nella coscienza del paese (Applausi dei deputati
dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha
facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente,
colleghe e colleghi, oggi non è un giorno felice per la nostra Repubblica
e anche la sciatteria di quest'aula e l'assenza dei colleghi lo confermano.
Sembra non vi sia sufficiente consapevolezza della gravità che si
sta per consumare. Eppure, intere pagine di storia rischiano di essere
cancellate da una riforma costituzionale che nasce dal retrobottega della
politica.
È questo, infatti, lo sfondo che
caratterizza l'iter di questo improvvido testo: lo scambio, il mercanteggiamento,
il reciproco ricatto, il cattivo compromesso. Siamo molto distanti, signor
Presidente - lei che è un grande liberale -, dall'atmosfera ideale
e culturale che alimentò la Carta costituzionale che voi della maggioranza
vi accingete a stravolgere, quella Carta costituzionale che vide i grandi
spiriti della Costituente in quest'aula. Essa fiorì dalla lotta
al fascismo, da un'ansia profonda di libertà, da una comune volontà
di costruire uno Stato democratico che avesse nel Parlamento il suo caposaldo.
Essa riprese il filo interrotto dell'eredità risorgimentale, che
aveva raccolto e realizzato la secolare aspirazione, coerentemente espressa
dalla più alta tradizione culturale e civile italiana - da Dante
a Petrarca, da Leopardi a Manzoni, a Mazzini, che vedrà oggi consumare,
in questo anno di celebrazione, il disfacimento dell'Italia -, ad essere
un unico popolo in un'unica nazione.
Oggi, questa vostra riforma viene celebrata
nelle sagre strapaesane dei presunti popoli padani - onorevole ministro
-, nel disprezzo del tricolore, disperdendo in tal modo la nostra più
preziosa storia.
Sento profondo nel mio animo lo sdegno,
quel sentimento di rifiuto intellettuale e morale che, l'altro ieri, ha
magistralmente espresso un grande intellettuale italiano, Claudio Magris,
nel suo sarcastico atto di accusa - che dovrebbe essere letto da tutti
voi - contro la cosiddetta devoluzione.
Questa non è una riforma, ma piuttosto
una irresponsabile manomissione della Costituzione repubblicana. È
uno strappo anche più grave - e invito i colleghi dell'opposizione
a mobilitarsi - della pessima legge elettorale, che squalifica questa maggioranza.
L'utilizzazione dell'articolo 138 per
modificare ben 50 articoli - circa i due terzi della seconda parte della
Costituzione - che ne capovolgono la logica, l'impianto e l'equilibrio
delle parti, non può che suscitare, onorevole Bruno, forti dubbi
di correttezza costituzionale.
Siete privi del mandato parlamentare per
modificare così radicalmente la Costituzione: manca quella proporzionalità
che riflette le realtà sociali, politiche e culturali del paese,
che possono poi consentire la condivisione generalizzata di una costruzione
che stringe il patto solidale di tutto un popolo. Questo è un testo
di parte e, quindi, è intrinsecamente ed a priori delegittimato.
In quale archivio - onorevoli di Alleanza
nazionale, ieri Movimento sociale - è finita la vostra proposta
di Assemblea costituente, che poteva costituire un itinerario positivo
che avrebbe aperto nel paese un vasto dibattito, creando quel clima di
partecipazione che è elemento essenziale per far sentire come comune
quel patto fondativo della vita politica e civile di un popolo?
Avete preferito ammainare le vostre bandiere
e perfino spegnere quel sentimento di patria che costituiva il valore più
alto della vostra tradizione per un piatto di lenticchie governative.
Rileggetevelo questo vostro testo assurdo,
prolisso e contraddittorio! L'elegante articolo 70, di un rigo e mezzo,
viene sostituito da oltre 90 righe; l'articolo 72 passa da 24 a 67 righe;
gli articoli 57 e 64 vengono triplicati; il 94 passa da 13 a 53 righe.
È chiaro che in questa complicazione del testo vi è il tentativo
di saldare le contraddizioni che derivano da quel mercanteggiamento interno
alla maggioranza. Davvero, in coscienza, mi chiedo se riteniate che si
scriva così la Costituzione.
La vostra ossessione di esaltare il ruolo
del Primo ministro, quasi che il vostro possa essere eterno, rompe il delicato
equilibrio tra il Parlamento (la Camera dei «camerieri», come
ha detto l'onorevole Duilio) e il Capo del Governo. Ciò è
appunto sancito da quel capolavoro legislativo che rende obbligatorio il
collegamento con il designato Primo ministro dei candidati, che annulla
l'articolo 67 della rappresentanza.
Vi è molta arretratezza culturale
nell'idea di rafforzare la governabilità con un accentuato potere
del vertice. Le società complesse si governano con trame istituzionali
articolate, con la libera e convergente cooperazione sociale e politica,
non per comandi autoritari.
Voi decretate l'eclisse del Parlamento,
che era l'asse portante della nostra Carta repubblicana, e aprite la strada
al peronismo e al populismo. Come ha scritto il Kelsen: «Al tramonto
del Parlamento segue sempre quello delle libertà e della democrazia».
Onorevole Bruno, beffarde sono le sue
parole allorché afferma che la complessiva deminutio delle prerogative
del Presidente della Repubblica mira ad esaltare il suo ruolo di garanzia.
Il ridimensionamento è tale da ridurre quel ruolo a pura figura
patetica.
Così pensate di equilibrare le
istituzioni del paese? Con la Corte costituzionale (come è stato
già detto) perversamente politicizzata nella sua composizione? La
Costituzione repubblicana ha unito nel suo lungo corso l'Italia; questa
la divide.
Onorevoli colleghi della destra, voi spesso
invocate riconciliazioni storiche e politiche, ma invece state provocando
profonde fratture.
Onorevole Tabacci, lei ha esposto una
serie di contraddizioni; tuttavia, quale ruolo e quale peso avranno le
sue indubbie ragioni nelle decisioni che saranno adottate? So che gli appelli
fatti in quest'aula non servono a nulla. Tuttavia, onorevoli dell'UDC,
che siete oggi assenti e che rivendicate eredità degasperiane e
democristiane, davvero non siete consapevoli che con questa riforma rinnegate
la Carta costituzionale scritta dai nostri padri costituenti?
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE
MASTELLA (ore 11)
GERARDO BIANCO. Chi quella carta non l'ha
scritta e, pur giovandosene, l'ha contestata può essere oggi indifferente
e disinvolto.
Onorevole ministro, non basterà
tutta l'acqua del Po per assolvervi dal peccato del disfacimento dell'Italia.
Tuttavia, chi ha la storia alle spalle ed ha coltivato ideali di libertà
e di italianità, chi proviene dalle vicende di forze politiche che
hanno costruito questa Repubblica dovrebbe pur interrogarsi e dire: «No,
io non c'entro».
Circa 700 anni fa, in un'epistola ai reggenti
di Roma, Dante Alighieri scrisse: «Con l'attuale miseria trafisse
di dolore gli altri italiani e li confuse con la vergogna. Chi potrebbe
dubitare che siate voi a dovervi vergognare e dolere, voi che allora foste
la causa della sua inaudita eclisse?». Onorevoli deputati della maggioranza,
questa eclisse della nostra Costituzione è la vostra vergogna, che
ci coinvolge tutti. Abbiamo la speranza che domani gli italiani, con il
referendum, ne ripristineranno l'onore (Applausi dei deputati dei gruppi
dei della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo,
di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni -
Commenti dei deputati della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rotondi. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO ROTONDI. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, la Democrazia cristiana voterà convintamente
la devoluzione e ritiene che questa riforma...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia.
GIANFRANCO ROTONDI. Signor Presidente,
la Democrazia cristiana accetta volentieri un'interruzione per consentire
ai colleghi di complimentarsi con l'onorevole Gerardo Bianco, il cui intervento
è sempre interessante, anche quando è dissonante.
PRESIDENTE. Onorevole Bressa, per cortesia...
GIANFRANCO ROTONDI. Esaurito l'entusiasmo
condivisibile per l'intervento dell'onorevole Gerardo Bianco, voglio annunciare
che voteremo convintamente questa riforma, recuperando una ragione supplementare
dal disagio di coloro che, per 20 anni, hanno bloccato ogni ipotesi di
riforma e ritrovano oggi un sussulto di energia per contestare l'unica
riforma che in questo paese sia giunta al voto del Parlamento e che giungerà
al voto degli italiani. Non si tratta, infatti, di una riforma che naviga
nelle sole acque parlamentari: presto gli italiani si pronunceranno e trarranno
da soli le valutazioni che noi abbiamo accompagnato al varo di questa riforma.
Quindi, chi grida al golpe, chi grida
alla tecnica del blitz, chi agita bandiere confuse di fronte all'elettorato,
avrà tutto il tempo di spiegare le proprie ragioni. L'elettorato,
altresì, avrà tutto il tempo di verificare i danni che annunciate,
e che io non vedo, perché la devoluzione presenta delle sfide, anche
per il Mezzogiorno d'Italia, ma salutare questa riforma con le parole di
un grande meridionalista come Guido Dorso credo sia l'accompagnamento più
appropriato per un testo che tanto dibattito sta suscitando nei meridionalisti
che si affollano al capezzale di un Mezzogiorno che muore.
Nel suo volume «La rivoluzione meridionale»,
Guido Dorso affermava che la sfida del Mezzogiorno è aggredire lo
Stato agitando la bandiera del federalismo. Dorso diceva che il sud deve
minacciare la secessione per ottenere il federalismo e che cento uomini
di ferro, ottenuto il federalismo, cambieranno il Mezzogiorno.
L'eterogenesi dei fini, che il presidente
Gerardo Bianco sovente cita e che ci ha insegnato negli anni giovanili,
può aiutarmi a trasmettere l'idea che questa stessa riforma nasce
dalla volontà di un uomo del nord, ma è nelle mani delle
capacità degli uomini del sud. E, come tutte le riforme federaliste,
può essere un contributo per unire questo paese e non per dividerlo
(Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha
facoltà.
LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, questa è una giornata molto importante per la
Lega Nord, perché riesce a coronare anni di lungo lavoro nel tentativo
di modernizzare questo paese. È una giornata importante anche per
tutta la Casa delle libertà, che ha creduto in questo caposaldo
del programma elettorale che abbiamo proposto ai cittadini nel 2001. È
una giornata importante anche per il paese.
È ovvio - ascoltavamo poc'anzi
alcuni interventi in tal senso - che taluni tentino di rovinare la festa
con le solite bugie. Prima, addirittura, un esponente della Margherita
affermava che questa maggioranza è priva di legittimità parlamentare.
L'ho ricordato l'altro giorno ed anche in precedenza, ma, visto che si
continua con le bugie, rimandiamo al deputato della Margherita quanto egli
ha affermato: infatti, la vostra maggioranza abusiva, che nel 2001 ha cambiato
la Costituzione con i voti comperati dall'altra parte, testimonia che siete
falsi (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)!
Ma, se continuate a ribadire queste falsità, troverete sempre qualcuno
che vi dirà che siete falsi, bugiardi fino alla fine (Commenti dei
deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
Queste sono cose che noi non dimentichiamo
e che ribadiremo sempre. Si tratta di legittima difesa contro i bugiardi.
Vi è una serie di insistenze che
provengono da parte di una opposizione che non vuol cambiare questo paese,
che si fa sponsor di uno Stato borbonico, di uno statalismo ormai asfittico
e fuori tempo, non più in grado di adeguarsi all'economia e alla
globalizzazione, che ci è passata sopra la testa, ma che ci obbliga
a fare qualcosa di nuovo nel paese. Bisogna modificare anche la Carta costituzionale,
non per peggiorarla ma per migliorarla e renderla più moderna e
più vicina ai testi costituzionali degli altri paesi che sono, sotto
questo aspetto, più avanti del nostro. Ma c'è qualcuno, come
testimonia l'intervento «borbonico» che abbiamo ascoltato poc'anzi,
che cerca di rovinare la nostra festa (Applausi dei deputati del gruppo
della Lega Nord Federazione Padana).
Perché dicevo poc'anzi che quella
odierna è una giornata importante? Perché finalmente stiamo
per dare seguito e rispettare uno dei capisaldi, uno degli articoli più
importanti della nostra Carta costituzionale varata nel 1948. Mi riferisco
all'articolo 5. Ricordo, a me stesso e a chi vuole dimenticarlo, che in
tale articolo si prevede che la Repubblica riconosce e promuove le autonomie
locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio
decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione
alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.
Tale articolo è stato considerato
lettera morta dal 1948 fino ad oggi. Con il provvedimento al nostro esame
stiamo, quindi, rispettando uno dei capisaldi della Costituzione. Un caposaldo
che stiamo difendendo noi, non certo voi, che invece state difendendo una
cosa che purtroppo, in alcuni passaggi, non sta più ai tempi. Voi
avete cercato, come ricordavo prima, di modificare il Titolo V della Costituzione
con i voti di una maggioranza abusiva; modifica confermata poi dai cittadini
con un referendum, che - ahimè - non prevede un quorum, in cui solo
un cittadino su otto ha detto «sì», cioè un cittadino
su otto ha riconosciuto che voi avevate proposto qualcosa di buono. Una
modifica che è stata bocciata addirittura dai governatori delle
regioni cosiddette «rosse» in quanto, nel corso di questi cinque
anni dalla riforma del Titolo V proposta dal centrosinistra, l'Emilia-Romagna,
la Toscana e la Campania non hanno attinto un bel nulla proprio perché
voi avete cambiato la Costituzione affinché nulla cambiasse. La
vostra è, infatti, una mentalità ultra borbonica.
Ciò detto, vi era il dovere da
parte di chi è un po' più «sveglio» di proporre
qualcosa di nuovo a questo paese, che ne ha bisogno, come testimoniano
i discorsi retorici che abbiamo ascoltato poc'anzi, i quali, a nostro avviso,
cozzano terribilmente con la necessità di adeguare la macchina statale
di questo paese perché essa non dà risposte ai cittadini.
Cosa stiamo proponendo? Stiamo proponendo
delle cose importanti. Innanzitutto, il rispetto dell'articolo 5 della
Costituzione, ma anche il rispetto di quell'articolo che già nel
1948 istituiva le regioni ma che la Democrazia cristiana, ferma e sempre
a braccetto con un Partito comunista altrettanto fermo e logoro, ha bloccato
fino al 1975. Difatti, le regioni sono state ferme per tre decenni per
colpa vostra! E dal 1975 fino ad ora sono rimaste ingessate. Con questa
riforma, allora, noi attribuiamo competenze esclusive sia allo Stato sia
alle regioni; in tal modo, i governatori regionali potranno misurarsi direttamente
con il loro elettorato e non potranno più nascondersi dietro alle
inefficienze del sistema borbonico, tanto caro all'onorevole Gerardo Bianco,
che nascondeva le responsabilità di tutti.
Bocciamo definitivamente un bicameralismo
che era peggio di una partita a ping pong - così è stato
descritto -, perché prevedeva che un provvedimento rimbalzasse dalla
Camera dei deputati al Senato e in quella sede bisognasse poi mettersi
d'accordo con l'allora Partito comunista affinché si potesse rimodificarlo
a virgole imbrogliando i cittadini e vanificando tutti i meriti del nostro
popolo. Tutto ciò ha condotto il nostro paese allo stesso livello
di quei paesi che sono molto più inefficienti del nostro, paesi
sottosviluppati, qualcuno suggerisce, ed ha ragione, proprio per le responsabilità
di quella macchina statale che giustificava le inefficienze intellettuali
dei signori che ancora oggi raccontano bugie dentro questo Parlamento.
Pertanto, via anche il bicameralismo!
Si prevede una garanzia di governabilità
perché vi è l'indicazione del premier.
Ricordo all'onorevole Gerardo Bianco,
borbonico, che l'Ulivo si presentò, nel 2001, con un programma che
contemplava il premierato forte. Dunque, ecco un'altra bugia che abbiamo
udito oggi! Probabilmente, si tratta di una dimenticanza, ma del premierato
forte avete parlato voi; oggi lo rinnegate, mentre noi lo portiamo avanti,
perché siamo più coerenti con il nostro programma e, soprattutto,
con quanto abbiamo scritto ai cittadini. Infatti, ricordo, a beneficio
anche di quest'altra parte (perché ho sentito qualche voce dissenziente),
che la Casa delle libertà ottenne la maggioranza dei voti dei cittadini
italiani, nel 2001, sulla base di un programma che fu stampato (il famoso
librettino) ed inviato famiglia per famiglia. Ebbene, a pagina 3 dell'opuscolo,
al punto 7), si parlava, per l'appunto, della devoluzione dei poteri dallo
Stato centrale alle regioni.
Sia a sinistra sia all'interno della Casa
delle libertà qualcuno dimentica che alle promesse bisognerebbe
rispondere con i fatti, per l'elementare esigenza di non andare a raccontare
frottole al corpo elettorale. Il corpo elettorale ricorda se qualcuno non
sta ai patti!
Non entro nel merito, perché ne
abbiamo parlato tantissime volte e, comunque, il nostro capogruppo interverrà
successivamente al riguardo, ma mi auguro che l'ennesimo imbroglio che
sta preparando la sinistra non vada a creare ulteriori danni al paese,
che ha bisogno di verità.
Stanno già orchestrando un referendum
con gli spot che abbiamo udito prima. Ad esempio, dicono: «Questa
è la riforma costituzionale voluta dalla Lega»; ma dimenticano
che è stata votata anche dai cittadini del centrosud, perché
anche costoro hanno approvato le proposte contenute nel programma della
Casa delle libertà del 2001.
Un altro spot sarà: «Regioni
ricche contro regioni povere». Allora, mi auguro che la Casa delle
libertà riesca, tramite i mass media, a ricordare ai cittadini che
questo è un appuntamento storico: se essi non si recheranno alle
urne per confermare una proposta volta a modernizzare la macchina asfittica
che descrivevo in precedenza, rischiamo che questo paese non abbia, nei
prossimi decenni, nulla di nuovo. In tale denegata ipotesi, resterà
ai cittadini una macchina statale che non sarà più al passo
con i tempi: l'economia mondiale ed i rapporti sociali che stiamo vivendo
a livello mondiale in questi ultimi periodi richiederanno accelerazioni
che questa vecchia macchina non potrà più dare!
Quindi, la bugia delle regioni ricche
contro le regioni povere rischia di fare male più alle regioni povere
che a quelle ricche. Infatti, se riuscirete...
PRESIDENTE. Onorevole Luciano Dussin...
LUCIANO DUSSIN. ... a bloccare l'economia
anche delle regioni ricche, che voi osteggiate da sempre, i primi a patire
la fame saranno i cittadini residenti nelle regioni più povere (Applausi
dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana), i quali sono,
pertanto, i primi ad avere la necessità di non essere imbrogliati
da voi! Ci auguriamo che, quando saranno chiamati al referendum, essi si
dimostrino più intelligenti ...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Luciano
Dussin.
LUCIANO DUSSIN. ... delle proposta che
sentiamo avanzare dal centrosinistra.
Concludo ricordando che, in questa giornata
che segna un po' il trionfo del lavoro degli ultimi anni, il gruppo della
Lega Nord Federazione Padana ...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Luciano
Dussin.
LUCIANO DUSSIN. ... si sente a posto con
la coscienza, perché è riuscito a rispettare uno dei capisaldi
del programma elettorale del 2001 (Applausi dei deputati del gruppo della
Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cabras. Ne ha facoltà.
ANTONELLO CABRAS. Signor Presidente,
mi spiace dover deludere il collega Luciano Dussin, pur comprendendo le
ragioni per le quali egli ha considerato questa giornata - come l'ha definita?
- la giornata del trionfo: al contrario, questa non appare una giornata
trionfale, per come si sta sviluppando la discussione qui alla Camera e,
ancor meno, per come viene vissuta dalla società, dal popolo, dal
paese, che non sembra gioire per il trionfo a cui faceva riferimento il
collega.
Come hanno efficacemente detto i colleghi
dell'opposizione che sono intervenuti prima di me e come abbiamo preannunciato
in precedenti occasioni, anche entrando nel merito con dovizia di dettagli,
noi non voteremo il disegno di legge costituzionale in esame.
Tuttavia, vorrei che fossero abbandonati
alcuni toni, che credo siano fuori misura, sia tra chi la sostiene, sia
tra chi la contrasta.
In realtà, si tratta di una riforma
senza capo né coda e dovremmo trasmettere al paese questo messaggio.
È una riforma che non affronta nessuno dei problemi che, invece,
sarebbe necessario affrontare. È piuttosto caricaturale la rappresentazione
che vede, da una parte, i riformatori e, dall'altra, i conservatori, nella
fattispecie noi dell'opposizione, perché è così che
siamo considerati. In realtà, siamo stati gli unici ad aver avviato
una vera riforma di sistema con il Titolo V della Costituzione, che inizialmente
avete condiviso (mi riferisco alla fase istruttoria e delle votazioni della
Commissione bicamerale e alla prima lettura dell'Assemblea). Poi, soltanto
per una regione squisitamente politica, avete deciso di interrompere quel
percorso. Poiché questa era la ragione politica, abbiamo pensato
di concludere la riforma nella successiva legislatura. Ma su quel terreno
occorreva proseguire e non sul vostro, senza capo né coda e che
ha il solo obiettivo di tenere unita la vostra coalizione.
Dunque, con una mano, avete concesso alla
Lega la possibilità di attaccare i manifesti durante la prossima
campagna elettorale per comunicare che finalmente aveva conquistato una
grande riforma della Costituzione, e, con l'altra, sempre nell'ambito della
riforma, avete negato gli elementi di autonomia che la Lega vi ha chiesto,
inventandovi un interesse nazionale che entra con gli scarponi nell'autonomia
e nell'autogoverno che avevamo costruito (per cui è sufficiente
che il Parlamento voti per cancellare una legge regionale).
Dovete spiegare al popolo del nord che
questi sono l'autonomia e l'autogoverno che state approvando attraverso
questa riforma costituzionale. Sicuramente, sarà questo l'argomento
della propaganda che l'altra parte della maggioranza farà nel Mezzogiorno
d'Italia, per cercare di negare il contenuto della riforma che prevede,
tra l'altro, un Senato federale che di federale non ha niente.
La verità sta nel fatto che del
Titolo V non avete cambiato sostanzialmente nulla! Avevate la possibilità
di farlo, ma non lo avete fatto. E sta proprio lì la dimostrazione
della nostra ragione, quando abbiamo percorso quella strada. Certamente,
alcune cose andavano modificate - noi stessi lo abbiamo riconosciuto -,
ma, in realtà, l'asse di quella riforma è la strada che dobbiamo
riprendere e voi, con il vostro comportamento, avete dimostrato che quella
era la strada giusta da percorrere.
La perla della vostra proposta sta nel
contraddittorio equilibrio che avete costruito tra le due Camere. Avete
aggiustato le cose, perché mai e poi mai il Senato avrebbe votato
una proposta come quella che sarebbe stato necessario votare, perché
non aveva un'anima. Quindi, per fare in modo che il Senato l'approvasse,
avete inventato un percorso contraddittorio nel quale il Premier è
padrone della Camera politica, ma è assolutamente prigioniero, con
le mani legate dietro la schiena, dell'altra Camera, ossia del Senato.
Dunque, non avete migliorato il testo. Semmai, avete appesantito gli elementi
di fragilità presenti nel sistema attuale.
Con questa proposta, vi state riprendendo
l'autonomia e l'autogoverno che noi abbiamo rafforzato con la riforma del
Titolo V, con l'interesse nazionale, ignorando completamente l'altra parte
della riforma, ossia il federalismo fiscale, che avevate la possibilità
di attuare grazie alla maggioranza che avete in entrambi i rami del Parlamento.
Non vi sfiora assolutamente, neanche in
questo dibattito, il dubbio che, dopo reiterate sconfitte (ne avete già
collezionate quattro; domenica avete avuto «l'antipasto» di
una futura sconfitta che subirete il prossimo aprile, se il leader del
Governo manterrà la promessa di votare il 9 aprile), state perseverando
su una linea sbagliata?
È una legislatura che sarà
ricordata per le vostre leggi sulla giustizia, per questo pasticcio sulla
Costituzione, per la legge elettorale che avete finalizzato esclusivamente
ad un vostro interesse politico del momento.
Il grande successo di partecipazione che
si è verificato domenica, in occasione delle elezioni primarie da
noi indette, e che voi avete anche provato all'inizio a minimizzare, vi
ha fatto accorgere poi della grande contraddizione tra quanto dicevate
(e cioè che si trattava solo di un trucco) e le immagini trasmesse
da tutte le televisioni, che mostravano file enormi di cittadini, uomini,
donne, giovani e vecchi che si recavano a votare. A quel punto avete cambiato
versione: avete detto che in realtà le elezioni vere saranno un'altra
cosa e che, quando voterà anche il centrodestra, Prodi non prenderà
il 75 per cento dei voti...! Noi non pensiamo di raccogliere il 75 per
cento alle prossime elezioni; siamo convinti però di ottenere la
maggioranza sufficiente a mandarvi a casa! Dunque, tutti voi dovreste riflettere
nei pochi mesi che restano, e anche qui, nel voto di oggi e in quello che
vi sarà al Senato.
A conclusione del dibattito sulla legge
elettorale vi abbiamo detto: attenti ché il popolo finirà
per travolgervi! Sembrava un'affermazione eccessiva: mancavano pochi giorni,
poi è arrivata la domenica e il popolo in realtà ha detto
di avere tutta l'intenzione di travolgervi!
Penso che il prossimo 9 aprile, se non
volete finire come un esercito in rotta e se volete essere sconfitti con
dignità (perché si può essere sconfitti anche con
dignità!), forse dovreste dimostrare di far tesoro dei messaggi
inequivocabili che vi stanno giungendo dal popolo italiano ancora in queste
ore e in questi giorni: a tale proposito, vi consiglio di rinforzare i
vostri ormeggi, perché, se quello di domenica era il segnale di
una meteorologia che vi è contraria, con probabilità il prossimo
aprile sarete travolti da un uragano del tipo di quello verificatosi negli
Stati Uniti.
Attenti a non perseverare, dunque, poiché
in Italia è necessario che la dialettica tra maggioranza e opposizione
prosegua anche nella prossima legislatura, ovviamente noi come maggioranza
e voi come opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici
di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Grazie della
concessione!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.
GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente,
un popolo che non riconosce i diritti dell'uomo e non attua la divisione
dei poteri non ha Costituzione: queste parole, scolpite nella Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo e dei cittadini, dovrebbero essere la
base di ogni ordinamento democratico e la casa comune in cui si può
e si deve riconoscere la grande maggioranza dei cittadini.
La Costituzione dovrebbe essere il testo
condiviso che deriva dal confronto di culture, storie ed esperienze diverse
e che, in un rapporto dialettico ma sempre teso al massimo di condivisioni,
affermi, tuteli e garantisca princìpi, diritti e doveri validi per
tutti e di cui la divisione dei poteri, il rispetto delle reciproche competenze
in un rapporto di leale collaborazione tra poteri dello Stato, come ha
ribadito in più occasioni, anche recentemente, la Corte costituzionale,
l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, un sistema di pesi e contrappesi
che trovano il loro fulcro negli organi di garanzia, debbono essere nel
contempo i presupposti e i punti fondanti.
Dopo la sconfitta della dittatura e il
superamento della monarchia, la Costituzione in senso moderno ha il compito
di limitare i poteri e di garantire i diritti. Oggi, la maggioranza parlamentare,
che non è più maggioranza nel paese, invece di cercare quelle
convergenze necessarie affinché i princìpi base di un ordinamento
democratico siano sentiti e recepiti come princìpi di tutti, o quantomeno
di una larga maggioranza di cittadini, sta per l'ennesima volta stravolgendo
le basi di una moderna democrazia, quali l'equilibrio e la divisione dei
poteri, l'universalità dei diritti, l'eguaglianza dei cittadini,
il pluralismo istituzionale.
Si sono indeboliti con la controriforma
del centrodestra quegli organi di garanzia la cui finalità è
il controllo sull'esercizio del potere e il cui scopo è garantire
le libertà individuali ed assicurare un equilibrato pluralismo istituzionale,
in un contesto di uguaglianza tra i cittadini nonché tra le diverse
regioni e le diverse zone del paese; si sono modificati e in parte stravolti
non solo oltre 40 articoli della nostra Carta costituzionale, tra le più
belle, le più attuali ed apprezzate del mondo, ma si è anche
inciso sulla Prima parte della Costituzione, che tutela i diritti soggettivi
e regola i rapporti politici, economici e sociali di tutti noi.
L'indignazione, in Parlamento e nel paese,
è sempre più forte perché si vogliono imporre regole
che non tutelano i diritti ed i principi di una moderna democrazia, diritti
e principi in cui la maggioranza di centrodestra non si riconosce. Non
mi è possibile ripercorrere i vari e fondati motivi della nostra
forte opposizione a questa controriforma costituzionale, in quanto anche
il tempo è tiranno, come lo è stato questo modo di scardinare
i principi fondanti della nostra Repubblica. Lo hanno fatto, però,
con un'incisività pari all'efficacia, ragionevolezza e fondatezza
dei motivi della nostra profonda critica, l'onorevole Mascia e gli altri
parlamentari del gruppo di Rifondazione comunista e di tutta l'attuale
opposizione.
La maggioranza di centrodestra ha fatto
prevalere, ancora una volta, la forza dei numeri - e anzi, più propriamente
in questo caso, la tirannia dei numeri - su ogni ragione e su qualsiasi
ragionevolezza; non posso quindi non ricordare come non sia certo stato
un caso il fatto che, nella ricerca spasmodica di un testo condiviso, l'Assemblea
costituente, il 22 dicembre 1947, a scrutinio segreto, approvò il
testo della Costituzione con un'ampia maggioranza: 453 voti favorevoli
su 515 presenti. Inoltre, in quei giorni, ha rappresentato la riprova della
ricerca di una Casa comune - riconoscibile anche da chi aveva e poteva
avere, su alcuni temi e su alcuni articoli, posizioni diverse - il fatto
che, prima della votazione finale della Carta costituzionale, l'onorevole
La Pira, che aveva partecipato ai lavori della prima sottocommissione della
Commissione dei 75 (presieduta dall'onorevole Muccio Ruini), dapprima chiese
che fosse messo ai voti un preambolo che faceva un richiamo alle radici
religiose della Carta costituzionale; poi, dopo un confronto che raggiunse
livelli altissimi di reciproco rispetto tra posizioni diverse, ritirò
- dopo un invito del presidente Terracini, teso a non incrinare quel nobile
equilibrio raggiunto dai padri costituenti - la proposta proprio per non
creare divisioni in un momento così importante per il nostro paese.
Del resto, un legislatore saggio avrebbe
dovuto innanzitutto - e prima di stravolgerlo - rendere realtà concreta
quel testo: dal ripudio della guerra, troppo spesso violato, alla libertà
religiosa, all'articolo 2, che «riconosce e garantisce» i diritti
fondamentali dell'uomo, alla «pari dignità sociale»,
prevista dall'articolo 3 della Costituzione, al diritto al lavoro, al diritto
di asilo per lo straniero «al quale sia impedito (...) l'effettivo
esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione».
Questa maggioranza invece si è premurata solo di scardinare i principi
costituzionali e non ha voluto comprendere - o, peggio, non è stata
in grado di comprendere - gli insegnamenti di chi a quel testo aveva dato
un contributo determinante, tesi a ricordare sempre che, per preparare
il testo di una nuova Costituzione democratica, non solo è più
opportuno ma è addirittura più prudente muovere dal punto
di vista delle minoranze e soprattutto rispettarne il punto di vista. Come
non ricordare il saggio e forte ammonimento di Piero Calamandrei: «Cerchiamo
di esaminare i problemi costituzionali con spirito lungimirante. Quel senso
storico che abbiamo imparato da Benedetto Croce non si deve trasformare
in un gretto compromesso di partito che restringa il nostro campo visivo
alle previsioni elettorali o elettoralistiche dell'immediato domani».
Nulla di tutto ciò è stato
compiuto; questo insegnamento è rimasto carta straccia. Il centrodestra
si è limitato ad un vergognoso, ignobile, inaccettabile - «gretto»,
avrebbe detto Piero Calamandrei - compromesso di alcuni partiti, anzi di
poche persone che si sono autodefinite «saggi» di quella che
oggi non possiamo non definire la casa delle «illiberalità».
Tutto ciò, oltretutto, in aperta violazione di una delle norme cardine
del nostro ordinamento costituzionale, quell'articolo 138 che indica gli
strumenti e le modalità delle riforme costituzionali; una norma,
peraltro, che dovrebbe essere utilizzata con ancora maggiore prudenza in
un sistema maggioritario e di cui invece è stato violato, apertamente,
lo spirito.
Ancora, Piero Calamandrei, riprendendo
i concetti espressi da un altro padre costituente, Costantino Mortati,
aveva chiarito come non tutte le norme della Costituzione fossero rivedibili
e come non si potessero modificare più norme che trattano temi tra
loro completamente differenti, come, nel caso specifico, quelle relative
al federalismo, agli organi di garanzia ed ai rapporti tra poteri dello
Stato.
Il referendum confermativo, infatti, per
essere effettivamente un modo per dare l'ultima parola ai cittadini, deve
proporre un quesito su una materia omogenea e ben individuata. Le modifiche
ammissibili, hanno sostenuto i padri costituenti, debbono essere puntuali,
specifiche ed attinenti a un determinato istituto o ad un singolo tema.
Così non è, così
non è stato. Gli italiani, tuttavia, sapranno cancellare questo
ripetuto tradimento della Carta costituzionale, nata dalla Resistenza e
dalla volontà democratica di chi si era opposto alla dittatura ed
aveva sconfitto il regime che aveva cancellato, nel nostro paese, le libertà
fondamentali.
Nella Costituzione, come ha ricordato
il Presidente Scálfaro nel suo libro La mia Costituzione, vi sono
le regole perché un popolo possa convivere nella pace e nella serenità;
vi sono le regole affinché un popolo possa vivere in modo costruttivo,
collaborativo e solidale; vi sono le regole per vivere liberi, lavorando
e lottando per la giustizia; vi sono, nella nostra Carta costituzionale,
le regole per mantenere viva la pace, sia al proprio interno, sia nei rapporti
con gli altri popoli.
Nella Carta costituzionale votata dai
nostri padri costituenti, vi sono tutte le regole scritte della nostra
democrazia. L'abbiamo studiata, l'abbiamo amata e l'amiamo ancora. La difenderemo
con le armi della democrazia: il referendum, strumento di alta democrazia,
cancellerà la controriforma che il paese non vuole e non può
accettare (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista,
dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-SDI-Unità
Socialista e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.
KARL ZELLER. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, il provvedimento in esame contiene non solo aspetti
indubbiamente positivi, ma anche parecchie ombre. La Südtiroler Volkspartei,
infatti, avrebbe voluto e sostenuto una riforma più coraggiosa,
per introdurre un sistema federale avanzato, paragonabile a quello vigente
nella Svizzera, nel Belgio o nella Germania.
Il nuovo Senato, in verità, ha
poco di federale, poiché i senatori non sono espressione dei consigli
o delle giunte regionali, ma saranno, come avviene dal 1948 ad oggi, eletti
direttamente, e manca un collegamento vero con il territorio. Vorrei altresì
osservare che anche il procedimento legislativo appare assai farraginoso.
Non apprezziamo, inoltre, le modifiche che hanno concentrato troppi poteri
nelle mani del premier.
Vorrei rilevare che anche nel nuovo articolo
117 della Costituzione si notano alcuni passi indietro rispetto al testo
vigente. Vi è solo da sperare che tale tendenza possa essere controbilanciata
dalla cosiddetta devolution, in forza della quale alle regioni vengono
trasferite competenze esclusive in materia di assistenza e di organizzazione
sanitaria e scolastica.
Sebbene il nostro giudizio sui punti sopraelencati
non sia positivo, non nascondiamo comunque la nostra soddisfazione per
l'introduzione di una clausola di salvaguardia per le regioni a statuto
speciale, che dovrebbe garantire contro ingerenze statali compiute in nome
dell'interesse nazionale. Ringraziamo il ministro Calderoli per i chiarimenti
forniti in occasione dell'esame del provvedimento da parte del Senato della
Repubblica, confermati anche dal presidente Pastore, in ordine alla portata
della predetta clausola di salvaguardia. Infatti, condividiamo pienamente
la lettura data, con cui si esclude l'applicabilità, sulla base
dell'interesse nazionale, dell'annullamento degli atti delle regioni a
statuto speciale.
A nostro avviso, costituisce indubbiamente
un notevole passo in avanti la scelta per cui, in futuro, la modifica degli
statuti speciali sarà possibile solo previa intesa con le stesse
regioni e le province autonome. Il novellato testo dell'articolo 117 della
Costituzione...
PRESIDENTE. Onorevole Zeller, concluda.
KARL ZELLER. ... costituzionalizza infatti,
per la prima volta nella storia della Repubblica, il carattere pattizio
delle regioni a statuto speciale.
Pertanto, per i motivi sopra illustrati,
preannunzio l'astensione dal voto dei deputati appartenenti alla Südtiroler
Volkspartei (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).
PRESIDENTE. Ha
chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lo Presti. Ne
ha facoltà.
ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, vorrei svolgere un breve intervento per sottolineare
un aspetto della riforma in esame sfuggito ai più, ma che dimostra
come bene abbia fatto il centrodestra a modificare la Costituzione per
restituire ad essa l'autentico ruolo di garanzia dell'equità delle
leggi e della loro corretta e coerente applicazione a difesa dell'interesse
della collettività.
Si tratta di un ruolo che un'improvvida
e pasticciata riforma varata dal centrosinistra, con soli quattro voti
di scarto, aveva formalmente messo in discussione. Vengo subito alla questione,
concernente uno dei tanti vizi cui oggi, come già detto, porremo
rimedio.
Il testo ancora vigente dell'articolo
117 della Costituzione - quello da voi, colleghi della sinistra, modificato
- attribuisce alle regioni italiane la potestà legislativa concorrente
in materia di professioni, senza distinzioni tra intellettuali e no. In
pratica, i legislatori di sinistra, con tale riforma costituzionale, avevano
aperto la porta ad una reale e pericolosissima secessione normativa, che
avrebbe potuto stravolgere un intero sistema, quale, ad esempio, quello
degli ordini, modulato a difesa di interessi generali rilevanti, attribuendo
alle regioni competenze a legiferare a piacimento, in modo concorrente
o, addirittura, contrapposto con lo Stato.
Comprenderete sicuramente, cari colleghi
della sinistra, ma lo hanno già compreso i milioni di professionisti
italiani che continuate a prendere in giro, quali conseguenze quel sistema
che voi avete creato avrebbe potuto comportare. Ad esempio, la regione
Lombardia avrebbe potuto prevedere un sistema di organizzazione territoriale
regionale degli ordini diverso dalla Sicilia o un sistema di tariffe diverso
da quello della Campania o del Veneto. Immaginate, quindi, quale guazzabuglio!
Per la verità, le regioni, soprattutto
quelle amministrate dalla sinistra, ci avevano provato ad andare per la
loro strada in tale delicatissimo settore. Per fortuna, sono state «stoppate»
dalla Corte costituzionale, che ha rilevato l'incoerenza della previsione
costituzionale da voi introdotta, che noi oggi modificheremo, imponendo
alle regioni di rispettare i principi generali in materia di professioni,
dettati - per fortuna - dalle leggi ancora in vigore, che il centrodestra
ha difeso e valorizzato. Quella sì, dunque, che sarebbe stata la
vera secessione! Altro che le bugie, le «balle» che andate
raccontando in giro per il paese, trovando persino sponda in alcuni giornali
pseudoindipendenti, che contribuiscono a falsificare la realtà,
ingannando i cittadini con parole di inaudita violenza. Penso, ad esempio,
a quelle lette l'altro ieri sul Corriere della Sera: «Ributtante
riforma; attentato al patriottismo e al buon Governo; la devolution mira
a disfare l'Italia». Ma di cosa parlate? Ma di cosa parla il Corriere
della Sera? E voi pseudo - o neo - patrioti di una sinistra che ancora
oggi nelle piazze sfila insieme agli «incappucciati» e li accoglie
nelle liste dei candidati alle elezioni primarie, inneggianti all'odio
verso gli elettori, ai cittadini che non la pensano allo stesso modo e
che voi ritenete, con disprezzo, «minoranze da educare»?
Ma vedrete quale sarà la forza
di queste minoranze, la forza dei moderati che non sfilano, ma che ragionano
e sanno distinguere il giusto dall'ingiusto, l'utile dal superfluo o dal
dannoso. Noi metteremo le cose a posto, con questa riforma. Restituiremo
allo Stato la potestà legislativa primaria nelle professioni; riequilibreremo
i poteri delle regioni e potremo, in tal modo, proseguire sulla strada
delle riforme, compresa quella delle professioni che milioni di professionisti
attendono. Quegli stessi professionisti alla cui autonomia, libertà
e professionalità avete più volte attentato, proponendo improbabili
e selvagge liberalizzazioni per vanificarne il ruolo, il prestigio e la
funzione.
Noi garantiremo, con la nostra riforma,
o meglio, con la nostra «controriforma», la vera unità
del paese, quell'unità che voi avete messo in discussione, quando
avete pure abolito l'interesse nazionale, che noi reintrodurremo, per impedire
la deriva secessionista che voi - e soltanto voi - avete rischiato si potesse
determinare.
Cari colleghi, gli italiani, i professionisti
italiani, per fortuna non sono sprovveduti e le vostre menzogne, condite
dalla vostra penosa retorica, vi faranno naufragare miseramente (Applausi
dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha
chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mattarella. Ne
ha facoltà.
SERGIO MATTARELLA. Signor Presidente,
tra la metà del 1946 e la fine del 1947, in quest'aula, si è
esaminata, predisposta ed approvata la Costituzione della Repubblica. Con
l'attuale Costituzione, che vige dal 1948, l'Italia è cresciuta,
nella sua democrazia anzitutto, nella sua vita civile, sociale ed economica.
In quell'epoca, vi erano forti contrasti, anche in quest'aula. Nell'aprile
del 1947 si era formato il primo governo attorno alla Democrazia Cristiana,
con il Partito comunista e quello socialista all'opposizione. Vi erano
contrasti molto forti, contrapposizioni che riguardavano la visione della
società, la collocazione internazionale del nostro paese.
Vi erano serie questioni di contrasto,
un confronto acceso e polemiche molto forti. Eppure, maggioranza e opposizione,
insieme, hanno approvato allora la Costituzione.
Al banco del Governo, quando si trattava
di esaminare provvedimenti ordinari o parlare di politica e di confronto
tra maggioranza e opposizione, sedevano De Gasperi e i suoi ministri. Ma
quando quest'aula si occupava della Costituzione, esaminandone il testo,
al banco del Governo sedeva la Commissione dei 75, composta da maggioranza
ed opposizione. Il Governo di allora, il Governo De Gasperi, non sedeva
ai banchi del Governo, per sottolineare la distinzione tra le due dimensioni:
quella del confronto tra maggioranza ed opposizione e quella che riguarda
le regole della Costituzione.
Questa lezione di un Governo e di una
maggioranza che, pur nel forte contrasto che vi era, sapevano mantenere
e dimostrare, anche con i gesti formali, la differenza che vi è
tra la Costituzione e il confronto normale tra maggioranza ed opposizione,
in questo momento, è del tutto dimenticata.
Le istituzioni sono comuni: è questo
il messaggio costante che in quell'anno e mezzo è venuto da un'Assemblea
costituente attraversata - lo ripeto - da forti contrasti politici. Per
quanto duro fosse questo contrasto, vi erano la convinzione e la capacità
di pensare che dovessero approvare una Costituzione gli uni per gli altri,
per sé e per gli altri. Questa lezione e questo esempio sono stati
del tutto abbandonati.
Oggi, voi del Governo e della maggioranza
state facendo la «vostra» Costituzione. L'avete preparata e
la volete approvare voi, da soli, pensando soltanto alle vostre esigenze,
alle vostre opinioni e ai rapporti interni alla vostra maggioranza.
Il Governo e la maggioranza hanno cercato
accordi soltanto al loro interno, nella vicenda che ha accompagnato il
formarsi di questa modifica, profonda e radicale, della Costituzione. Il
Governo e la maggioranza - ripeto - hanno cercato accordi al loro interno
e, ogni volta che hanno modificato il testo e trovato l'accordo tra di
loro, hanno blindato tale accordo. Avete sistematicamente escluso ogni
disponibilità ad esaminare le proposte dell'opposizione o anche
soltanto a discutere con l'opposizione. Ciò perché non volevate
rischiare di modificare gli accordi al vostro interno, i vostri difficili
accordi interni.
Il modo di procedere di questo Governo
e di questa maggioranza - lo sottolineo ancora una volta - è stato
il contrario di quello seguito in quest'aula, nell'Assemblea costituente,
dal Governo, dalla maggioranza e dall'opposizione di allora.
Dov'è la moderazione di questa
maggioranza? Non ve n'è! Dove sono i moderati? Tranne qualche sporadica
eccezione, non se ne trovano, perché la moderazione è il
contrario dell'atteggiamento seguito in questa vicenda decisiva, importantissima
e fondamentale, dal Governo e dalla maggioranza.
Siete andati avanti, con questa dissennata
riforma, al contrario rispetto all'esempio della Costituente, soltanto
per non far cadere il Governo. Tante volte la Lega ha proclamato ed ha
annunziato che avrebbe provocato la crisi e che sarebbe uscita dal Governo
se questa riforma, con questa profonda modifica della Costituzione, non
fosse stata approvata.
Ebbene, questa modifica è fatta
male e lo sapete anche voi. Con questa modifica dissennata avete previsto
che la gran parte delle norme di questa riforma entrino in vigore nel 2011.
Altre norme ancora entreranno in vigore nel 2016, ossia tra 11 anni. Per
esempio, la norma che abbassa il numero dei parlamentari entrerà
in vigore tra 11 anni, nel 2016!
Sapete anche voi che è fatta male,
ma state barattando la Costituzione vigente del 1948 con qualche mese in
più di vita per il Governo Berlusconi. Questo è l'atteggiamento
che ha contrassegnato questa vicenda.
Ancora una volta, in questa occasione
emerge la concezione che è propria di questo Governo e di questa
maggioranza, secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni,
ne è il proprietario. Questo è un errore. È una concezione
profondamente sbagliata. Le istituzioni sono di tutti, di chi è
al Governo e di chi è all'opposizione. La cosa grave è che,
questa volta, vittima di questa vostra concezione è la nostra Costituzione
(Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici
di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani
e Misto-SDI-Unità Socialista - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Collè. Ne ha facoltà.
IVO COLLÈ. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, ci accingiamo oggi a votare un testo di riforma costituzionale
che, nel percorso sin qui intrapreso, ha sollevato e solleva tuttora dubbi
e preoccupazioni. Ciò, a scapito di quella che avrebbe dovuto essere
la ricerca di una concertazione e di un consenso ampio, più ampio.
Si tratta di preoccupazioni già evidenziate in quest'aula nel corso
della prima deliberazione ed ulteriormente manifestate da più parti
nel successivo passaggio in Senato. Sono preoccupazioni emerse in varie
sedi e sollevate a più riprese da tutti i presidenti dei Consigli
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che congiuntamente
hanno evidenziato le loro riserve. Preoccupazioni, potremmo dire veri e
propri segnali dell'azione unilaterale di questa maggioranza, che ci riporta
inevitabilmente all'attuale situazione, per noi poco chiara nel metodo
e nel merito.
Mi auguravo che il segnale positivo scaturito
dall'approvazione dell'intesa avrebbe rappresentato il primo passo verso
una più ampia corresponsabilità: ipotesi oggi smentita da
un provvedimento privo di quella chiarezza necessaria ad assicurare la
giusta linearità di intenti e di principi. Mi chiedo come si possa
pretendere di realizzare un ordinamento in senso federale, senza richiedere
il concorso ed il consenso, con pari dignità, di tutti i soggetti
che lo costituiscono.
Questo testo non dà, purtroppo,
le risposte auspicate. Entrando brevemente nel merito, infatti, ci troviamo
oggi a dover approvare un provvedimento che non individua con certezza
e non distingue con chiarezza le competenze regionali da quelle statali.
Promette, ma nei fatti non attribuisce, una rappresentanza vera alle autonomie
all'interno del Senato federale. Introduce elementi di incertezza tali
da incrementare ulteriormente il contenzioso costituzionale tra Stato e
regioni. Mette a rischio l'autonomia e la potestà legislativa delle
regioni, attribuendo al Governo la discrezionalità ad impugnare
norme regionali, sotto il pretesto del mantenimento della salvaguardia
dell'interesse nazionale.
Avremmo voluto, onorevoli colleghi, che
la maggioranza riprendesse quel confronto e quel dibattito indispensabili
per giungere ad una soluzione condivisa. Ciò non è avvenuto,
nonostante i nostri numerosi appelli al buonsenso ed i nostri ripetuti
richiami a quei principi democratici fondanti la nostra Costituzione
PRESIDENTE. Onorevole Collè, la
invito a concludere.
IVO COLLÈ. Annuncio pertanto che,
venendo a mancare queste prerogative essenziali e vista l'attuale situazione,
il mio voto, signor Presidente, non potrà essere favorevole.
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.
CHIARA MORONI. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, il Nuovo PSI voterà questa riforma costituzionale.
Si tratta certamente di un progetto ambizioso, che modifica in modo sostanziale
il sistema istituzionale italiano, ma è pur vero che i riformisti
hanno il dovere di essere ambiziosi.
Sono profondamente convinta che oggi la
politica abbia un dovere primario nei confronti dei cittadini: quello di
tentare in ogni modo di ricomporre quella frattura così evidente
fra i cittadini italiani e le istituzioni che li devono rappresentare.
La partecipazione non può essere tema di fugaci e superficiali riflessioni
solo all'indomani di consultazioni elettorali, che ogni volta dimostrano
un'irreversibile tendenza alla riduzione della partecipazione. È
evidente come il cittadino non si senta rappresentato dalle istituzioni,
che vive come qualcosa di distante da lui, di estraneo e di incapace di
dare risposte alle sue esigenze, non solo materiali.
Tutti noi, classe dirigente, sbagliamo
quando rincorriamo demagogicamente, a scopo elettorale, l'insofferenza
dei cittadini, accettando di svilire non già le nostre persone ma
l'istituzione che rappresentiamo, anziché rafforzare e valorizzare
l'istituzione stessa. Il luogo privilegiato di partecipazione attiva dei
cittadini al meccanismo di formazione della rappresentanza deve tornare
ad essere quello dei partiti. Lì deve concretizzarsi la mediazione
culturale e politica, l'elaborazione, che deve costruire i contenuti, volta
a definire l'identità delle singole forze politiche.
Tutti dobbiamo e abbiamo profondissimo
rispetto nei confronti del lavoro dei nostri padri costituenti. Un eccezionale
senso di responsabilità deve animare il legislatore che intenda
mettere mano alla Carta costituzionale. Indubbiamente le riforme costituzionali
dovrebbero avere larghissima condivisione, certamente però non è
questa maggioranza ad avere introdotto il vulnus dell'approvazione a colpi
di maggioranza di riforme così importanti. È innegabile ed
evidente la necessità di correggere quella scellerata riforma del
Titolo V approvata alla fine della scorsa legislatura, che non ha fatto
altro che innescare una sostanziale destrutturazione dello Stato unitario.
L'attuale articolo 114 della Costituzione segue una logica di disarticolazione
dello Stato estremamente pericolosa, affidando allo Stato il ruolo di elemento
costitutivo della Repubblica in modo paritario rispetto agli altri enti
territoriali, scindendo lo Stato e la Repubblica, che rimane termine vuoto
laddove perde la sua coincidenza con lo Stato stesso.
Il Nuovo PSI ha contribuito, per quello
che ha potuto, a rendere questa riforma più coerente, efficace ed
efficiente esprimendo spesso opinioni criticamente costruttive nel merito.
La costruzione di un sistema federale, per così dire, dall'alto
non è cosa facile e quasi certamente comporterà un percorso
di approssimazione successiva nel quale vanno contemporaneamente consolidati
i valori unitari e collaborativi. La volontà di dare avvio a questo
percorso ha portato a pensare ad un sistema federale coerente, che non
si risolve nella devoluzione di competenze alle regioni ma necessita di
una architettura organicamente costruita.
In ordine alla forma di governo e quindi
al premierato, siamo stati fra coloro che hanno sostenuto la necessità
di correnti pesi e contrappesi, della tutela del principio della separazione
dei poteri e della valorizzazione del ruolo centrale del Parlamento. Ad
un rafforzamento del Primo ministro e dell'esecutivo e al rapporto dialettico
con la propria maggioranza, non può che fare da contraltare un Parlamento
forte e un ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica. Indubbiamente,
nel testo finale sono stati compiuti numerosi passi in avanti sul tema.
L'introduzione della possibilità di una mozione di sfiducia costruttiva
da parte della maggioranza collegata al premier rappresenta un bilanciamento
fondamentale dei poteri del premier stesso rispetto alla sua maggioranza.
Da ultimo, la riforma della legge elettorale
in senso proporzionale recentemente approvata da questa Camera certamente
rappresenta l'ideale contrappeso rispetto ad un sistema che ha un esecutivo
forte, ma che altrettanto vuole un Parlamento rafforzato da un sistema
proporzionale che valorizza il ruolo dei partiti e della partecipazione
democratica all'interno dei partiti, che rafforza l'identità e l'autonomia
delle singole forze politiche e che garantisce un rafforzamento della capacità
politica di trovare sintesi all'interno delle coalizioni. L'identità
dei partiti è garanzia di elaborazione politica ed è garanzia
di capacità di sintesi all'interno di coalizioni che devono tendere
ad essere più omogenee per essere più forti nell'azione di
governo.
Il Nuovo PSI ha sempre detto che il primo
punto programmatico della nostra forza politica era la legge elettorale
proporzionale. Certamente, colleghi della sinistra, questa maggioranza
e questo Governo saranno ricordati - ebbene sì - per la capacità,
la forza e l'orgoglio di aver mandato in sordina un sistema maggioritario
che tanti danni ha creato a questo paese, per la capacità e la forza
di introdurre un sistema proporzionale che garantisce l'efficienza della
rappresentanza democratica, coordinandosi con la capacità di garantire
Governi stabili.
Il Nuovo PSI ha sempre detto che avrebbe
votato questa riforma costituzionale se, insieme ad essa, fosse stata presentata
ed approvata una legge di riforma del sistema elettorale in senso proporzionale,
perché abbiamo sempre ritenuto e tuttora riteniamo che questo sistema
istituzionale si possa reggere con i giusti pesi e contrappesi solo in
un sistema elettorale proporzionale. Ebbene, oggi, la legge elettorale
proporzionale c'è, e il Nuovo PSI non si tira indietro e voterà
convintamente questa riforma costituzionale (Applausi dei deputati dei
gruppi Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e della Lega
Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, credo che non sia più tempo di sottili disquisizioni
dottrinarie né di merito, né di analisi tecnico-giuridiche.
A tutto questo siete stati sordi e ciechi ed è ora il momento di
dire «basta».
La Casa delle libertà ha fatto
della riforma costituzionale una merce di scambio al proprio interno e
addirittura un'arma di ricatto e di intimidazione reciproca, per evitare
la dissoluzione della stessa maggioranza e la conseguente definitiva crisi
del Governo Berlusconi. La settimana scorsa, la Casa delle libertà
ha imposto, per così dire, manu militari e in modo assolutamente
unilaterale, un totale stravolgimento del sistema elettorale. Talmente
grave è apparsa questa squallida operazione di manomissione delle
regole del gioco, talmente grave è stata che colui che aveva proposto
questa iniziativa di riforma elettorale, il segretario dell'UDC Follini,
si è clamorosamente dimesso, disconoscendo questo figlio abnorme
e deforme che pure aveva contribuito poco responsabilmente a concepire.
A Marco Follini, scaricato da tutta la Casa delle libertà e da quasi
tutto il suo partito con una brutalità e una soddisfazione prive
di precedenti, va il nostro rispetto ma anche il nostro profondo dissenso
per essere stato l'apprendista stregone che ha evocato questo «mostro»
politico e giuridico che ora, giustamente ma tardivamente, disconosce.
Qualche settimana fa, il Presidente Berlusconi
ha parlato pubblicamente, con un'espressione davvero infelice e poco rispettosa,
di metastasi all'interno della propria maggioranza. In realtà, la
riforma costituzionale, così come la riforma elettorale, sono parti
integranti di questa vera e propria metastasi che avete imposto alle istituzioni
repubblicane. Avete già fatto strame delle regole del gioco elettorale,
e oggi fate strame delle istituzioni costituzionali, di cui alla legge
fondamentale che è stata scritta in quest'aula dall'Assemblea costituente
negli anni 1946-1947.
La Repubblica italiana non è di
vostra proprietà, non è né un'impresa di assicurazione
né una holding finanziaria, né un gruppo televisivo. La Costituzione
repubblicana è il patrimonio più nobile e prezioso della
Repubblica e del popolo italiano attraverso tutte le sue generazioni, dalla
sconfitta del fascismo e dal referendum repubblicano ad oggi.
Oggi, voi imporrete, con la mera forza
dei numeri, questo ignobile patto di sangue che avete stretto tra di voi
per non prendere atto che siete ancora solo formalmente maggioranza in
Parlamento - ancora per pochi mesi -, ma non lo siete più nel paese.
Spesso - ahimè - non vi stimate neppure tra di voi. Talora vi disprezzate
reciprocamente. In molti casi, sospettate gli uni degli altri di possibili
tradimenti e quando qualcuno, come Follini, osa obiettare, viene brutalmente
scaricato.
Avete stretto questo ignobile patto di
sangue per cercare di sopravvivere a quella che avete definito la vostra
metastasi; una metastasi che, per voi, è una malattia mortale in
termini di consenso popolare, di credibilità internazionale e di
governabilità nazionale.
In questo patto di sangue per la sopravvivenza,
avete imposto, con disciplina militare, lo stravolgimento unilaterale della
legge elettorale, oggi lo stravolgimento della Carta costituzionale; e
poi lo farete con le norme penali e processuali a vostro vantaggio nella
cosiddetta ex Cirielli e, da ultimo, tenterete di spazzare via anche la
par condicio.
Sono i vostri tentativi disperati di cambiare
manu militari l'assetto del sistema costituzionale ed istituzionale e di
avere mano libera per cercare di manomettere, a suon di miliardi, la sovranità
popolare.
Domenica scorsa, lo dico senza retorica,
avete già avuto una prima, sia pur parziale, risposta dalla straordinaria
partecipazione popolare alle primarie dell'Unione e, a questa straordinaria
partecipazione di popolo, avete risposto con imbarazzo e sarcasmo e, prima
di tutto, spazzando via qualunque ipotesi di primarie del centrodestra,
da cui sareste terrorizzati.
Per quanto riguarda le riforme costituzionali,
i colleghi della Lega non se ne sono accorti: il Presidente Berlusconi
ha dichiarato ieri che il centrosinistra, con la riforma del Titolo V,
ha dato troppi poteri alle regioni. Altro che richiamo al regime borbonico
pateticamente fatto da Dussin! Berlusconi dice che il centrosinistra ha
dato troppi poteri alle regioni! Prendetene atto pateticamente, colleghi
della Lega.
Nella scorsa legislatura, comunque, non
abbiamo avuto il timore di promuovere noi stessi un referendum, ai sensi
dell'articolo 138 della Costituzione, che abbiamo vinto anche per abbandono
del campo da parte vostra.
In questa legislatura, anche sulla riforma
costituzionale, la Casa delle libertà si dimostra terrorizzata dal
giudizio della sovranità popolare, al punto che potevate votarvela
in seconda deliberazione nell'aprile scorso (erano ampiamente trascorsi
tre mesi), invece l'avete tirata a lungo fino ad ottobre, perché
avete il terrore che si celebri il referendum prima delle elezioni politiche.
Ma, prima o dopo le elezioni politiche,
questo referendum si celebrerà e, alla fine, sarà il popolo
sovrano ad esprimere il suo giudizio definitivo.
La paura del giudizio popolare vi ha indotto
a questo dilazionamento, ma, alla fine, questo giudizio popolare vi sarà.
Vi è nemesi storica; vi è un limite a tutto, colleghi. Vi
è, perfino, una eterogenesi dei fini; vi è, ed è ben
noto, anche l'effetto boomerang di operazioni calcolate malamente a tavolino,
senza sapere prevedere che, alla fine, il popolo sovrano avrà davvero
l'ultima parola!
Noi verdi, noi gruppi del centrosinistra,
noi gruppi dell'Unione voteremo «no» in quest'aula, ma voi
prevarrete solo con l'imposizione di una disciplina militare e intimidatoria
ai vostri deputati.
Non amiamo la demagogia, non amiamo il
populismo, siamo fedeli - noi, sì - alle prerogative del Parlamento,
che voi avete manomesso sistematicamente. Ma il primo articolo della Costituzione
afferma solennemente che la sovranità popolare appartiene al popolo,
che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. Tra
le tante controriforme che avete imposto, non avete ancora abolito l'articolo
1 della Costituzione, non siete riusciti ad abolire le elezioni politiche
- anche se ne avete manomesso le regole -, e non vi è stata l'abolizione
del referendum popolare, previsto dall'articolo 138 della Costituzione,
che noi promuoveremo.
Alla fine di questa vostra metastasi interna,
di questa vostra metastasi imposta alle regole, alle istituzioni e alla
Costituzione, il giudizio tornerà al popolo sovrano, sia nelle elezioni
politiche del 9 aprile 2006, sia nel successivo referendum popolare, nonché
nelle elezioni amministrative.
Siamo fiduciosi - ve lo diciamo con tranquillità
- che sarà il popolo sovrano a dirvi pacificamente e democraticamente
«basta!». A dirvi questo «basta!» grande e solenne
con l'arma pacifica e democratica del voto, prima nelle elezioni politiche,
poi in quelle amministrative e, da ultimo - perché avete voluto
voi che così fosse -, nel referendum popolare oppositivo a questo
stravolgimento unilaterale della Costituzione. Ormai, la vostra stagione
si è conclusa! Giuliano Ferrara vi aveva suggerito ripetutamente
di chiuderla e concluderla con dignità; avete invece deciso di chiuderla
malamente, con soprusi ed imposizioni.
Tutto ciò lascerà un segno
profondo e lacerante anche al vostro interno (il caso Follini insegna).
Uscirete di scena malamente, senza dignità, con arroganza, e maledirete
il destino cinico e baro; questo destino si chiama sovranità popolare,
e in essa riponiamo solennemente e tranquillamente la nostra speranza e
la nostra fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione,
dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-SDI-Unità
Socialista).
PRESIDENTE. Ha
chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armando Cossutta.
Ne ha facoltà.
ARMANDO COSSUTTA. Signor Presidente,
colleghi, il Parlamento della Repubblica e il nostro paese devono fronteggiare
in queste settimane i micidiali colpi di coda di questo Governo. E i colpi
di coda, come sappiamo, spesso sono anche i più pericolosi!
Si voterà, probabilmente, il 9
aprile; questa Camera ha poche settimane di vita, a Natale di fatto si
chiude e, in questo breve tempo, una dopo l'altra, si impongono leggi pesanti,
una più grave dell'altra.
Si è approvata la legge elettorale,
che ha sradicato un sistema politico ormai consolidato, che ha prospettato
un avvenire di instabilità per le nostre istituzioni; una legge
pessima, il popolo italiano se ne è reso conto, e molti dei 4 milioni
di cittadini che sono andati a votare alle primarie ci sono andati proprio
per protestare contro la soperchieria che avete compiuto.
Vi è poi la legge finanziaria,
che non guarda allo sviluppo ma che, anzi, prevede diversi tagli, in particolare
per i comuni e, dunque, per i servizi ai cittadini, colpendone il tenore
di vita. Si tratta di una legge che vuole rappresentare una sorta di vendetta
di Berlusconi contro i comuni che, in larga maggioranza, hanno votato in
questi anni per il centrosinistra.
Inoltre, si vorrebbe approvare la cosiddetta
legge «salva Previti», una nuova legge ad personam, per salvare
dal carcere l'amico e compare di Silvio Berlusconi, nonché la legge
sulla par condicio, che il Presidente del Consiglio vorrebbe imporre tentando
di ingannare con migliaia di spot gli elettori italiani e salvarsi dal
loro giudizio conclusivo.
Infine, oggi, qui alla Camera, si conclude
l'iter della legge sulla cosiddetta devolution. Una legge che ferisce a
fondo l'ordinamento costituzionale, annullando alcuni dei suoi principi
fondamentali, primo tra tutti il principio di uguaglianza. Con l'approvazione
di questa legge, i cittadini - è la verità - non sarebbero
più uguali tra loro. Non si è uguali quando il diritto non
è garantito allo stesso modo per tutti, in maniera universale. Un
diritto, o è universalmente garantito, o non è un diritto.
Si affidano alle regioni poteri esclusivi su materie di interesse generale
e nazionale.
Sono stato per un'intera legislatura presidente
della Commissione parlamentare bicamerale per le regioni. Per dieci anni
ho diretto, nell'allora Partito comunista italiano, il settore delle regioni
e delle autonomie locali. Pertanto, conosco questi problemi e da sempre
sostengo con decisione e convinzione il principio ed i diritti di autonomia
per le regioni, innanzitutto, per i comuni e per le province. Tuttavia,
in questo caso, non è in corso l'attuazione di un principio tra
i più importanti del nostro ordinamento costituzionale, come quello
dell'autonomia, bensì una sovversione istituzionale. Voi la chiamate
federalismo, ma si tratta di un grande pasticcio.
Il federalismo può essere anche
una cosa seria, ma comporta equilibri, contrappesi, garanzie e condizioni
materiali che molte regioni non posseggono e non potranno possedere. Lo
chiamate federalismo, ma è semplicemente una struttura caotica.
Tuttavia, essa è voluta dalla Lega che sa, forse meglio di altri,
come questo nuovo ordinamento, stabilito con la legge sulla devolution,
non garantirà quanto si ha in mente di realizzare. Infatti, sa perfettamente
che non funzionerà e, anzi, confida - è questa la mia precisa
opinione - sui disastri che tale nuovo ordinamento provocherà per
poter rilanciare il suo vero obiettivo, peraltro mai nascosto: la secessione
e la separazione. D'altra parte, affermano, scrivono a chiare lettere e
perseguono tale obiettivo.
Ma voi, colleghi della maggioranza, come
potete accettare questo misfatto? Onorevoli colleghi dell'UDC, ho ascoltato
le parole e l'atteggiamento di dissenso degli onorevoli Tabacci e Follini.
Ma il partito dell'UDC come si comporta di fronte a questo misfatto, che
certamente non può condividere?
Voi stessi, onorevoli colleghi di Alleanza
nazionale, che sostenete di richiamarvi ai valori della nazione e della
sua unità, come potete accettare questo scempio?
E voi, onorevoli colleghi di Forza Italia,
che nelle imprese e nelle professioni aspirate ad avere un equilibrato,
serio ed ordinato intervento delle istituzioni? Invece, avremo una grande
confusione e vedremo contrasti e contestazioni fra regioni e Stato, fra
regioni e comuni, fra una regione e l'altra. Avremo ingiustizie, gravi
differenze tra i cittadini italiani. Alle regioni saranno affidati con
competenza esclusiva temi quali la sanità, l'istruzione, la polizia
locale. Non si tratta di questioni quantitative su chi farà di più
o di meno, bensì di questioni sostanziali, perché alle regioni
sono affidati gli ambiti che riguardano l'ordinamento stesso di questi
settori e la loro organizzazione. Ciò potrà comportare una
grande differenza tra chi abita in Lombardia, in Puglia o in un'altra regione.
Voi sapete benissimo come stanno le cose,
ma non osate ribellarvi perché questo è ciò che vuole
la Lega ed è la Lega che lo impone. La Lega è l'asse portante
della maggioranza di Berlusconi, senza la quale quest'ultimo sarebbe già
crollato.
Come potete voi, amici e colleghi della
Lega, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro,
di Alleanza nazionale, di Forza Italia, voi stessi come potete accettare
che con questo ordinamento si dia vita a dei poteri in capo al nuovo dirigente
del Governo (che verrà chiamato «Capo del Governo»,
e non più «Presidente del Consiglio») che sono poteri
immensi, che non esistono e non sono praticati in nessun altro paese democratico,
d'Europa e fuori d'Europa. Voi vi accingete a votare una stortura inaccettabile.
Voi state per portare a compimento uno scempio giuridico, una violenza
contro i cittadini!
Oh, cari colleghi, a ben altro pensavamo
quando, allora, ancora giovane, sfilavo per le vie della mia città,
Milano liberata, con la bandiera rossa della mia brigata partigiana e con
la bandiera tricolore della patria. A ben altro allora pensavamo! E voi
rinnegate quello che abbiamo conquistato con la nostra lotta, con la nostra
battaglia, con l'unità democratica di tutte le forze politiche e
del nostro popolo.
Oggi voterete, ma non avrete la maggioranza
dei due terzi, senza la quale il referendum si renderà inevitabile,
persino, possiamo dirlo, obbligatorio. È un referendum con il quale
noi potremo seppellire questa legge iniqua, questa legge sbagliata, questa
legge pericolosa. E con essa seppelliremo tutta quanta la vostra politica
(Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici
di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e di Rifondazione comunista)!
PRESIDENTE. Ha
chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pappaterra. Ne
ha facoltà.
DOMENICO PAPPATERRA. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, in questi ultimi mesi della XIV legislatura, il Presidente
del Consiglio, capo indiscusso della maggioranza di centrodestra, tenta
di cimentarsi in uno slalom difficile, piazzando ad ogni porta le leggi
di riforma sulle quali ha ricompattato la Casa delle libertà ed
eliminando, come ha fatto, dal suo percorso, il segretario dell'UDC, Marco
Follini, l'unico della squadra che aveva tentato di ostacolare la sua spericolata
discesa.
Dopo la prima porta, agevolmente saltata,
quella della riforma elettorale, sulla quale permangono forti dubbi di
costituzionalità espressi da diversi costituzionalisti e da autorevoli
rappresentanti delle istituzioni, oggi tocca saltare la seconda porta,
quella della riforma costituzionale, meglio nota come devolution, giunta
alla terza lettura delle quattro previste dall'articolo 138 della Costituzione,
prima del referendum confermativo al quale sin da ora chiamiamo a raccolta
tutti gli italiani che si ritrovano nelle parole del Capo dello Stato.
Egli, nel suo straordinario settennato non ha mai smesso di difendere la
Costituzione, il cui impianto non può essere smontato a pezzi al
solo scopo di soddisfare esigenze particolaristiche o rivendicazioni localistiche;
o al solo scopo di pagare, con un voto parlamentare di scambio, il prezzo
dovuto alla Lega per aver dato via libera alla riforma elettorale voluta
da Berlusconi.
Superata questa seconda porta, sarà
la volta della terza, quella della legge «salva Previti», che
cala il sipario sulle leggi ad personam e, in successione, quella della
quarta, rappresentata dalla legge finanziaria, che anziché essere
improntata al rigore economico si trasformerà, nei prossimi giorni,
in un pozzo senza fondo, per trarre vantaggi elettorali di ogni specie.
I segnali in tal senso, purtroppo, già si intravedono, in barba
ad ogni esigenza di contenimento della spesa pubblica.
Poi si cimenterà nell'assalto all'ultima
e decisiva porta, quella dell'abolizione della par condicio, che gli consentirà
di parlare ventiquattr'ore su ventiquattro su tutti i canali televisivi
di sua proprietà, o sotto il suo diretto controllo, per tentare
di rovesciare un risultato che nelle previsioni appare irrimediabilmente
compromesso.
Nei confronti di questa furia devastatrice,
non ci meravigliano affatto i continui richiami del Capo dello Stato, da
sempre custode delle regole e garante dell'unità del nostro paese.
Anzi, come socialisti, continueremo sempre ad apprezzarlo.
In questa occasione siamo invece meravigliati
del fatto che esponenti del mondo imprenditoriale e di quello ecclesiastico,
che in occasione della prima lettura della riforma costituzionale avevano
fatto sentire il loro autorevole pensiero, oggi restino chiusi in un assordante
silenzio.
Voglio ricordare, colleghi, quello che
disse il presidente di Confindustria, Montezemolo, quando la riforma costituzionale
fu approvata in prima lettura. La riforma federale dello Stato - disse
Montezemolo - va affrontata con razionalità e con un occhio al portafoglio.
Facciamo prima i conti senza preclusioni, e se serve ad avvicinarsi ai
cittadini, che ben venga il federalismo che non porta costi ulteriori,
burocrazia in più e, soprattutto, non snatura l'impianto costituzionale
di uno Stato moderno. In questo caso - disse Montezemolo - anziché
il pasticcio, è meglio uno stop. Sarebbe curioso conoscere cosa
è cambiato da allora ad oggi: il testo di ieri è uguale a
quello di oggi. Così come, allo stesso modo, siamo stupiti, come
Socialisti, dal silenzio del presidente della Conferenza episcopale italiana,
che pure in questi mesi è intervenuto su tante vicende della vita
del nostro Stato, dai PACS all'aborto, dal principio della laicità
dello Stato all'esenzione ICI sugli immobili di proprietà della
Chiesa. Avremmo gradito che, in questa triste circostanza per i destini
della nostra Costituzione, egli avesse ripetuto le stesse cose che disse
il 20 gennaio del 2004, all'apertura del consiglio permanente della CEI,
che scatenarono la reazione dell'allora capogruppo della Lega nord, Alessandro
Cè, che consigliò al cardinale Ruini di parlare il meno possibile
e di occuparsi di più dell'ambito spirituale e di meno di quello
materiale. Rileggiamole, colleghi, quelle parole: «Il percorso riformatore
avviato da oltre un decennio deve essere portato a compimento con una visione
il più possibile organica e lungimirante senza mettere nemmeno apparentemente
in discussione l'unità della nazione». Un modo, questo, per
esprimere, da parte del cardinale Ruini, una posizione storica della Chiesa.
Noi Socialisti, che da sempre, prima con Nenni, poi con Craxi ed oggi con
Boselli, abbiamo difeso la nostra rispettosa autonomia e le nostre battaglie
per i diritti civili senza mai cadere in atteggiamenti anticlericali, sottoscriviamo
alla lettera questo autorevole pensiero. Gradiremmo, però, che si
levasse anche oggi un forte dissenso verso questa riforma, che è
la stessa di allora e che rappresenta una ferita lacerante per la nostra
Carta costituzionale.
Quello che sta avvenendo nel Parlamento
è molto triste, perché è vero che con questa riforma
si modifica solo la seconda parte della Costituzione, escludendo apparentemente
i principi fondamentali, ma è altrettanto vero che, quando questa
riforma sarà approvata con il suo disegno secessionista, con un
premier alla Putin, con il Presidente della Repubblica che non potrà
far sentire più la sua voce, con la Corte costituzionale assoggettata
al potere politico, con un Senato federale che è tutto tranne che
federale, con l'umiliazione continua di Roma «capitale ladrona»
e con uno Stato che avrà venti sistemi sanitari e scolastici diversi,
anche i principi fondamentale della Carta costituzionale saranno considerati
valori vecchi e superati, dei quali liberarsi quanto prima possibile.
Non c'è alcun dubbio che questo
scorcio finale della XIV legislatura sarà ricordato come una delle
pagine più nere della lunga storia parlamentare italiana, perché
le norme costituzionali che il centrodestra riscrive non sono il frutto
di una condivisa strategia costituente, ma rappresentano semplicemente
il punto di coagulo di una maggioranza condizionata dall'autoesaltazione
del suo capo e sottoposta al continuo ricatto di un partito della coalizione
(la Lega nord). D'altro canto, a cosa corrispondono se non a queste impostazioni
le norme che, ad esempio, prevedono un premierato che indebolisce la base
parlamentare della nostra Repubblica e che avvia il nostro paese verso
una deriva plebiscitaria? Oppure, a cosa corrispondono norme costituzionalizzanti
la devolution che rompono il principio di eguaglianza tipico di ogni Stato
democratico e cancellano l'universalità dei diritti di ogni cittadino
all'istruzione, alla sicurezza e alla salute? E, a proposito di questo,
lasciatemi dire una cosa. I leader della Casa delle libertà avevano
programmato un giro per tutte le città del sud per spiegare che
la devolution non è affatto in contrasto con gli interessi del Mezzogiorno.
Capofila di questo tour era il ministro per le riforme istituzionali e
la devoluzione, senatore Calderoli. Il giro è partito da Reggio
Calabria il 24 settembre ma, dopo il prologo, si è fermato. Non
hanno proseguito il giro perché hanno subito capito che al sud i
cittadini gli effetti nefasti di questo ricatto scellerato li hanno ben
compresi, dandone una prima prova alle elezioni regionali: ne daranno una
seconda, ulteriore, alle prossime elezioni politiche, che penalizzeranno
la classe dirigente, anche meridionale, della Casa delle libertà
che si è prestata a questo tragico scambio.
Va dato atto, e lo facciamo come Socialisti,
a Marco Follini di essersi chiamato fuori da questa offensiva sceneggiata
di Reggio Calabria, ed oggi, alla luce delle sue ultime decisioni, quel
gesto assume ancor di più un alto valore politico e di rispetto
verso i cittadini del Mezzogiorno d'Italia.
Di fronte ai continui inviti a soprassedere
al varo di questa riforma, il centrodestra ha sempre replicato ricordando
che il Titolo V della Costituzione fu modificato dal centrosinistra nella
passata legislatura con i soli voti della maggioranza.
Questo è vero, colleghi, ma è
altrettanto vero che i leader del centrosinistra hanno più volte
riconosciuto, con onestà, che sbagliarono a fare approvare la revisione
del titolo V con i soli voti della maggioranza, pur avendo ricevuto, allora,
il sostegno pieno di tutti i presidenti delle venti regioni italiane e
pur essendo stata confermata la scelta da un referendum popolare.
Oggi, il discorso è - lasciatecelo
dire - profondamente diverso. La riforma che proponete voi della maggioranza
di centrodestra, sotto il ricatto di un partito che rappresenta meno del
cinque per cento degli italiani, costituisce una modifica strutturale delle
fondazioni della Casa costituzionale edificata nel 1948. Sarebbe il caso
che si tornasse alla correttezza istituzionale e che prevalesse il buonsenso.
In caso contrario, lo Stato rischierà di sgretolarsi a causa di
queste continue alterazioni dei pilastri che lo sostengono. Prima di ogni
altra cosa, dovrebbe essere chiaro a tutti, colleghi, che la Costituzione
non può essere esposta di continuo alle spinte quotidiane di chi
è al Governo né può essere riformata a colpi di maggioranza
né può essere utilizzata come merce di scambio per garantirsi
la tenuta di una coalizione.
Noi vi consigliamo di fermarvi. Se non
lo farete, come purtroppo temiamo, dopo la grande spinta al cambiamento
ricevuta dalle primarie, toccherà al centrosinistra aprire la nuova
fase della riscossa nel nostro paese: con la vittoria elettorale nel 2006
e con il referendum abrogativo di questo mostro giuridico che cancella
l'impianto di una Costituzione che noi Socialisti continuiamo a ritenere,
nonostante i suoi anni, giovane, moderna, progressista e libertaria (Applausi
dei deputati dei gruppi Misto-SDI-Unità Socialista, dei Democratici
di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha
chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisicchio. Ne
ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Onorevole Presidente,
onorevoli colleghi, con il voto di oggi sulla riforma costituzionale, la
Camera si trova a fornire, a pochi giorni di distanza dall'approvazione
della legge elettorale, una seconda prova di sconcertante velocità
di decisione (quasi a volere evitare troppe occasioni di ripensamento):
una decisione che viene assunta nella dimensione bizzarra dell'inaudita
altera parte, su una riforma autoprodotta, autodiscussa ed autoapprovata
da parte della stessa maggioranza, con una velocità che non abbiamo
visto riservata, in quest'aula, neppure alle più innocue ratifiche
di trattati internazionali.
Eppure, quel grumo di norme che la pubblica
opinione ha imparato a conoscere con il vacuo ed inutile barbarismo di
devolution non è faccenda di pochi addetti ai lavori: è la
modifica di un'intera impalcatura dell'ordinamento costituzionale!
La Costituzione, così come la legge
elettorale, ma ancora più di questa dal punto di vista della gerarchia
delle norme, è la regola condivisa del gioco, a fondamento dello
Stato democratico, e non può essere cambiata, com'è stato
ricordato più volte, a colpi di maggioranza. A parere di molti autorevoli
costituzionalisti, appare incerta, già oggi, l'applicabilità
della formula prevista dall'articolo 138, proposto e predisposto dal costituente
per adattamenti limitati e non certamente per riforme di impianto come
quella che si va ad approvare, peraltro in un Parlamento espressione di
uno spirito maggioritario. La revisione costituzionale è, infatti,
un momento di riformulazione della regola condivisa, della norma di tutti
gli italiani e non già di una maggioranza, come quella eletta per
esprimere un Governo nel sistema maggioritario.
Approvarsi le riforme a maggioranza, a
colpi di maggioranza - lo dico ai colleghi del centrodestra, recentemente
conquistati dal demone del proporzionale, il che, per la verità,
non ci dà dispiacere - significa sottoporre il sistema ad un'estenuazione
continua: ogni maggioranza farà la sua Costituzione!
Già ha sbagliato il centrosinistra
- noi dell'UDEUR abbiamo più volte stigmatizzato l'errore, ma ha
avuto la lealtà intellettuale di riconoscerlo lo stesso centrosinistra
- a forzare, nella passata legislatura, sul Titolo V, sia pure sostenuto
del consenso dei rappresentanti delle autonomie locali di entrambi gli
schieramenti.
Perseverare in questo errore ci sembra
un inutile accanimento destinato a ricadere sull'ordinamento, sulla sua
credibilità e, dunque, sui cittadini utenti della forma Stato.
La Costituzione è fatta per durare
nel tempo, per essere la certezza, il riferimento sicuro della cittadinanza
democratica. Non ci pare che gli Stati Uniti o la Francia o le grandi democrazie
occidentali abbiano sentito il bisogno di scompaginare le sacre carte su
cui è edificato l'ordinamento delle loro istituzioni statuali e
il registro dei diritti fondamentali del cittadino di fronte allo Stato.
Le loro Costituzioni sono le stesse da decenni se non addirittura da centinaia
di anni, come negli Stati Uniti.
Probabilmente, occorrerebbe un'intesa,
una sorta di moratoria tra tutte le parti politiche. Il Parlamento, quale
che possa essere la maggioranza risultante dalle elezioni, deve impegnarsi
a promuovere un'Assemblea per la revisione costituzionale eletta a base
proporzionalistica e rappresentativa di tutte le culture e i filoni politici
principali nel nostro paese; un'Assemblea chiamata, entro il tempo definito,
alla riscrittura di quelle norme contemplate nella parte seconda della
nostra Costituzione relative all'organizzazione dello Stato-ordinamento
che, nel corso dei lunghi anni trascorsi dalla Costituente, si sono consumate.
Solo così potrebbe essere consegnato
al paese un nuovo contratto sociale capace di esprimere davvero lo spirito
civile del popolo sovrano. L'impianto che, invece, state approvando, colleghi
della maggioranza, è solo il frutto di un patto scellerato, di un'intesa
di scambio tra i partiti nazionali del centrodestra con il partito regionale
della Lega, un do ut des ben cadenzato e sincronizzato, una legge elettorale
contro una devolution con un sovrappiù di Cirielli.
Devolution: c'è un bello scritto
di Magris comparso l'altro ieri su un quotidiano nazionale indipendente.
È un interessante accostamento tra l'espressione devolution, ripetuta
con coatta iattanza, e Alberto Sordi. Scrive Magris: «Alberto Sordi
è morto e i suoi involontari imitatori hanno poco del suo genio
e molto della balordaggine dei personaggi da lui creati».
Il fatto è, illustri colleghi della
maggioranza, che questa parola ipnotica, così gagliardamente esibita
dalla Lega, appare sempre più inconsapevole delle sue stesse ragioni.
Cos'è, infatti, nell'esperienza storica e nella dottrina, il processo
federalista che porta alla devoluzione delle competenze? È un processo
di riunificazione o di unificazione di enti, territori, Stati, precedentemente
separati. Gli Stati Uniti, per esempio, o la stessa Unione europea, anche
se non ha raggiunto ancora l'esperienza di un'integrazione federalista.
Come si attua quel processo? Trasferendo
poteri e porzioni di sovranità degli Stati all'entità ad
essi sovraordinati: la Confederazione in America, l'Unione europea qui
da noi. Il percorso inverso, quando non segue la logica del regionalismo
e del decentramento funzionale, quando abbandona l'insegnamento di Sturzo,
di Cattaneo, di Gioberti, quando diventa battaglia ideologica, rischia
di scivolare verso altri approdi pericolosi e lesivi dell'unità
nazionale. Ecco, allora, la devolution, con tutto il carico di ideologismo
secessionista che reca con sé!
Colleghi, questa riforma è un pericolo
per l'unità della nazione e per questa ragione l'UDEUR manifesta
in quest'aula, ancora una volta, il forte «no» alla devolution
per la sua intima portata secessionistica, antisolidaristica e fortemente
antimeridionalistica (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR,
dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-SDI-Unità
Socialista - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente,
siamo giunti al termine di un percorso che porterà...
ANTONIO BOCCIA. Presidente, stiamo discutendo
la riforma della Costituzione...!
PRESIDENTE. Per cortesia, prego i colleghi
di prendere posto! Colleghi...!
GRAZIELLA MASCIA. ...la Camera dei deputati
ad approvare la riforma della seconda parte della Costituzione, che avrà
gravi ripercussione anche sulla prima parte, quella riguardante i diritti
fondamentali; una riforma che demolisce diritti e princìpi, modifiche
che finiranno per sfigurare definitivamente il nostro sistema costituzionale.
Sul merito dei singoli aspetti (l'alterazione
dei poteri e delle funzioni del Capo dello Stato, la concentrazione di
poteri forti nelle mani di un Primo ministro, la politicizzazione della
Corte costituzionale, lo svuotamento dei poteri del Parlamento, la devolution)
abbiamo a lungo discusso in quest'aula e già prodotto una mobilitazione
nel paese per la difesa di una rinnovata legalità costituzionale,
anche attraverso la riappropriazione di uno spazio pubblico espropriato
da troppi interessi personalistici e da troppe riforme che guardano solo
dalla parte del potere. Il nostro giudizio è netto e la nostra contrarietà
è totale!
Ho trovato a tale proposito molto attuali
le parole di Piero Calamandrei; già nel lontano 1952 egli ammoniva
sugli effetti nefasti dell'identificazione tra maggioranza e Costituzione:
padrona del Governo, diceva Calamandrei, si è accorta che chi governa
può benissimo fare a meno di tutti quei controlli costituzionali
che lo spirito romantico dell'Assemblea costituente aveva sognato, la Corte
costituzionale, l'indipendenza della magistratura, il referendum popolare,
bellissimi temi per conferenzieri da circoli rionali, ma in pratica intralci
micidiali per chi è al potere e vuole rimanerci.
E allora, la conclusione, prima appena
sussurrata, poi in questi ultimi tempi apertamente proclamata, è
venuta da sé: non è il Governo che deve adattarsi alle esigenze
della Costituzione, è la Costituzione che deve conformarsi alle
esigenze di questo Governo! Questa non è la Costituzione fatta dal
popolo italiano per il popolo italiano; questa è la Costituzione
fatta affinché la maggioranza possa continuare a rimanere maggioranza:
la Constitution c'est moi!
E ancora, aggiungeva Calamandrei, è
stato detto che la schiettezza di una democrazia è data dalla lealtà
con cui il partito (o la coalizione nel nostro caso) che ha il potere è
disposta a lasciarlo. La lealtà del gioco democratico è soprattutto
nel saper perdere, ma la democrazia diventa una vuota parola quando il
partito che si è servito dei metodi democratici per salire al potere
è disposto a violarli pur di rimanervi, il che può farsi
anche senza mettere fuorilegge gli oppositori, con qualche ben studiata
revisione costituzionale o anche semplicemente con qualche trucco elettorale,
che permetta al partito che è al potere di rimanervi, anche quando
nel paese sia diventato minoranza: parole purtroppo di piena attualità,
che Calamandrei scriveva più di cinquant'anni fa. Oggi però,
c'è qualcosa di più: la classe dirigente che ci governa ritiene
che la politica serva essenzialmente a fare gli interessi delle lobby di
suo riferimento e, prima di tutto, quelli personali del suo leader.
È una politica questa quale massima
espressione del privato, è l'incarnazione portata alle estreme conseguenze
del personalismo e dell'esaltazione del leader, e non più coalizione
di ideali ma rappresentazione di interessi immediati, leciti e non: in
altre parole, il tentativo di costituzione di un partito-azienda. L'attuale
Costituzione, stando così le cose, non può essere altro che
un intralcio agli affari, occorre cambiarla, adeguarla ai nuovi tempi che,
se non gloriosi, saranno però forieri di grandi soddisfazioni materiali.
Così siete andati avanti a tappe
forzate, con un progetto costruito e discusso fuori dalle aule del Parlamento,
con i vostri cosiddetti «saggi» che definivano le sintesi possibili
sulla base di interessi, sensibilità e sollecitazioni particolari
delle diverse forze politiche della Casa delle libertà.
Potevano le opposizioni, le sinistre,
cercare un accordo con questa maggioranza? Certamente no!
Nelle democrazie parlamentari, ma si potrebbe
dire nelle democrazie tout court, compito delle opposizioni è quello
di vigilare affinché la maggioranza legiferi entro i limiti posti
dalla Costituzione, non quello di accordarsi con essa. L'opposizione è
il cane da guardia della Costituzione e, di fronte al pericolo, deve abbaiare
e all'occorrenza mordere.
Fuor di metafora, l'opposizione ricorre
a tutti i metodi democratici, dal confronto parlamentare, alla sensibilizzazione,
alla movimentazione nel paese, al ricorso alla Corte costituzionale (custode
ultima della Carta), al referendum (procedura che attiveremo). Le opposizioni
devono comunque sempre considerare ed usare, non per i propri interessi
immediati ma per quelli del paese, tutti gli strumenti che la democrazia
mette a disposizione.
Chi si rivolge alla Costituzione, diceva
Togliatti citando Dante, è: «(...) come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le
persone dotte (...)». Oggi, la maggioranza, il lume, lo porta davanti,
ad evitare tutti gli ostacoli che possono intralciare un cammino di affari,
di immunità e di impunità. Perciò, in questi mesi,
è stato necessario per le opposizioni dare al paese un segnale forte:
non basta solo non trattare, ma bisogna far sapere che in questa Assemblea
si è ormai nell'impossibilità di svolgere il proprio compito
di parlamentare. Dunque, il più grande senso di responsabilità
nei confronti delle istituzioni democratiche e del paese intero comporta
proprio l'utilizzo di tutti gli strumenti consentiti dal regolamento; e
così ci siamo condotti, dall'ostruzionismo all'abbandono dell'aula
al momento del voto. Abbiamo in ogni caso voluto sottolineare come la democrazia,
di questi tempi, rischi di diventare una parola vuota; oggi, ci sarà
una sola votazione, quella finale di questa lettura - tuttavia, vogliamo
che rimanga agli atti il nostro annuncio di voto contrario -, ma insisteremo
nel paese con queste nostre denunce, preparando i referendum e dando segnali
forti per dissociare inequivocabilmente le opposizioni dalle scelte scellerate
della maggioranza: con chi ritiene la politica l'espressione migliore dei
propri interessi, nessun commercio (Applausi dei deputati dei gruppi di
Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita,
DL-L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gibelli. Ne ha facoltà.
ANDREA GIBELLI. Onorevole Presidente,
onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio Berlusconi, oggi,
con il voto sulla riforma costituzionale, facciamo entrare la Casa delle
libertà nella storia del paese (Commenti dei deputati del gruppo
dei Democratici di sinistra-L'Ulivo), introducendo un cambiamento epocale
realizzato dopo sessant'anni di immobilismo. Il voto di oggi rappresenta
le ragioni di un'alleanza politica nata cinque anni fa per cambiare un
paese prigioniero di un sistema costituzionale che nei fatti gli ha impedito
di essere competitivo e moderno.
Presidente, tutti gli Stati maggiormente
protagonisti sul versante della crescita economica sono Stati federali:
l'occasione offerta dal voto di oggi, o si coglie e si entra nella storia,
oppure, non si coglie e si lascia per sempre la possibilità di cambiamento.
Oggi, intendo dare risposte anche a chi ancora una volta tenta, o in termini
politici - i colleghi di centrosinistra - o in termini giornalistici, di
denigrare un modello di Stato che, là dove applicato, è stato
un successo storico. Oggi si tenta di far passare concetti che nulla hanno
a che fare con le ragioni stesse del federalismo o con la filosofia di
pensiero che ha animato storicamente i padri del federalismo.
Per dare un senso a quanto ha sempre animato
la Lega nella sua missione storica - proporre l'unica soluzione possibile
per cambiare radicalmente il paese -, mi rivolgo a lei, Presidente Berlusconi,
come leader della coalizione, con le parole scritte, circa centocinquanta
anni fa, da Carlo Cattaneo. Ebbene, Cattaneo così scriveva: «(..)
Ogni popolo può avere molti interessi da trattare in comune con
altri popoli; ma vi sono interessi che può trattare egli solo, perché
egli solo li sente, perché egli solo li intende. E v'è inoltre
in ogni popolo anche la coscienza del suo essere, anche la superbia del
suo nome, anche la gelosia dell'avita sua terra. Dì là il
diritto federale, ossia il diritto dei popoli; il quale debba avere il
suo luogo, accanto al diritto della nazione, accanto al diritto dell'umanità».
Queste parole, scritte nel XIX secolo,
sono per noi oggi un lume sull'identità perduta dell'Europa; in
contestazione con un modello di Stato continentale, tecnocratico ed indifferenziato,
comincia oggi a far sentire il suo peso il senso di appartenenza dei popoli
europei.
Oggi, vi è un gran parlare tra
laici e cattolici sul tipo di società e di Europa che si vorrebbero
edificare; si tenta di definire un insieme di valori irrinunciabili per
vincere le aggressioni culturali e la sfida che la globalizzazione impone.
Questi intellettuali, pur affrontando
il tema dell'identità dell'Europa in senso laico-cristiano, non
affrontano mai, in concreto, il modello di Stato che dovrebbe garantire
il giusto equilibrio tra locale e globale, tra identità e progresso.
Noi della Lega Nord abbiamo fatto la nostra parte, proponendo una soluzione
concreta.
Non va dimenticato che oggi si è
giunti a questo importante appuntamento interpretando politicamente le
spinte dal basso dei popoli, che hanno chiesto, dalle piazze, dalle strade
e dagli enti locali, un diverso modo di partecipare alla vita istituzionale,
comprendendo, prima di ogni altro, la crisi degli Stati nazionali, minacciati
dalla globalizzazione.
Tale bisogno, cui prima la Lega Nord,
poi tutta la Casa delle libertà hanno saputo dare una risposta,
oggi diventa realtà. Infatti, il processo di globalizzazione in
atto, che costituisce il principale carattere distintivo della fase storica
che stiamo vivendo, ha nell'omologazione forzata delle diversità
culturali, etniche, religiose e sociali il proprio fondamento. Il lato
oscuro della globalizzazione trova come maggiore alleato la sinistra italiana
ed europea, che vede nell'indifferenziazione l'attuazione in concreto dell'eguaglianza
assoluta, ispirandosi a modelli sociali, culturali e politici crollati
miseramente con la caduta del muro di Berlino del 1989, ma che, ancora
oggi, tentano di omologare l'Europa ad una loro visione di parte, senza
interpretare i bisogni e le ragioni storiche di un continente che, per
millenni, si è dato un modo per riconoscersi, e quindi un modo per
vincere le sfide del futuro.
Per contrastare il cosiddetto «mondo
uno», in cui le differenze si appiattiscono, gli Stati più
moderni - lo ripeto: gli Stati più moderni - hanno risposto in un
modo: decentrando il potere politico. In altre parole, di fronte all'omologazione
delle diversità, i popoli rispondono con la «rivoluzione federalista».
Essi, cioè, tentano di preservare e di mantenere intatte le proprie
tradizioni, le proprie radici e le proprie identità, vale a dire
quel senso di appartenenza che ha fatto nascere, in Europa, quei principi
fondanti che oggi, invece, qualcuno vuole relativizzare. I principi che
rappresentano la cultura di riferimento dell'Europa non sono concetti astratti,
Presidente Berlusconi, ma rappresentano la traduzione delle radici, delle
identità e delle tradizioni dei popoli europei.
Annullare i popoli vuol dire annullare
la cultura di riferimento che ha fatto dell'Europa la patria delle libertà
e dei diritti, e lasciare il campo ai rigurgiti comunisti e postcomunisti,
che considerano la tradizione e le identità il retaggio di un oscuro
passato, per proporre, nell'uguaglianza indistinta, un sogno utopistico
sconfessato dalla storia (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord
Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Oggi i nemici del federalismo e della
devoluzione usano termini che denigrano un processo irreversibile, riportando
sulle prime pagine di numerosi quotidiani nazionali falsità, distorcendo
la realtà e proponendo concetti che sono l'opposto dell'essenza
stessa del federalismo. È paradossale notare che i nemici del federalismo
e della devoluzione continuano oggi a sostenere l'idea che il federalismo
che la Lega propone dividerà il paese!
Non è forse un caso che, in Europa,
l'esperienza di maggior progresso economico e sociale si sviluppi all'interno
di paesi federali. Infatti, le ristrutturazioni dei poteri e delle libertà
- e sottolineo delle libertà -, avviate primariamente nei cantoni
svizzeri, poi nelle comunidades autonomas spagnole, nei Länder tedeschi
ed austriaci, nelle comunità e regioni belghe e nella devolution
di Scozia, Galles e Irlanda del Nord, stanno assumendo forme sempre più
precise e motivazioni adeguate alle necessità di un mondo caratterizzato
ormai, ed in modo definitivo, dal pluralismo culturale e decisionale, nonché
dalla varietà rispetto all'uniformità.
Anche sulla devoluzione si parla a sproposito.
Come si fa a credere che sia negativo il trasferimento di poteri e competenze
dallo Stato centrale alla periferia, come afferma la sinistra italiana,
senza avere l'onestà intellettuale di vedere un modello di riferimento
nella Gran Bretagna di Tony Blair, un leader laburista che, proprio in
questi anni, sta riformando il paese dando più potere alla Scozia
e al Galles? Infatti, il Regno Unito, che rimane tale - al di là
di tante chiacchiere comuniste! -, con l'approvazione dei progetti voluti
dal Governo nel 1997, ha imposto un'accelerazione storica che ha visto,
nella decentralizzazione dei poteri, un modo per sviluppare democrazia
diretta ed autogoverno nelle comunità territoriali.
Mentre la Gran Bretagna compiva scelte
coraggiose, diventando un faro di riforme istituzionali e sociali, noi
abbiamo «sonnecchiato» con le riforme Bassanini e con l'inconcludenza
di Romano Prodi (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione
Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Evidentemente, il federalismo e la devoluzione
toglieranno potere all'ultimo partito-Stato, ossia i DS. Avrà minor
peso quella cultura catto-comunista, che vede nell'identità non
un fatto sociale, ma un fatto rigorosamente e vergognosamente privato.
Noi, invece, riteniamo, attraverso il concetto di federalismo per devoluzione,
un modo per spiegare come uno Stato ipercentralizzato ed iperburocratizzato
- e, quindi, non federale - può trasformarsi gradualmente in uno
Stato federale. Non una riforma di facciata, come quella del centrosinistra,
ma una riforma che cambierà il volto del paese.
La lezione di Carlo Cattaneo, dopo centocinquanta
anni, è ancora viva e straordinariamente attuale, ma per poterla
concretizzare vi è stata la necessità di un movimento politico
che ha portato il federalismo all'interno delle discussioni parlamentari.
Ciò ha avuto bisogno della spinta, negli ultimi trent'anni, della
Lega Nord che, in nome di un ideale, ha imposto e voluto un patto politico
per un idem sentire con chi ha voluto approcciare tale progetto.
Proprio oggi mi rivolgo agli alleati della
Casa delle libertà, Alleanza Nazionale, l'UDC e Forza Italia: con
questo voto si dimostra che questa riforma è l'esempio che sensibilità
diverse hanno saputo diventare complementari. Questa riforma è la
testimonianza che la storia repubblicana può essere rinnovata. Riconosco
il merito di chi ha abbracciato l'idea federalista. Ci aspettiamo che il
processo iniziato oggi sia ancora, per il futuro e per il prossimo appuntamento
elettorale, il punto di contatto tra noi e voi ed un modo per continuare
sulla strada del federalismo. Con il federalismo fiscale, è un modo
concreto per dare risposte alle esigenze del nord, alle esigenze del centro
ed alle esigenze del sud. Non può esistere, cioè, uno Stato
come quello attuale, che dietro la tenda corta dell'unità di facciata,
toglie i soldi ai poveri delle regioni ricche per darli ai ricchi delle
regioni povere (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione
Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Oggi, Presidente Berlusconi si deve prendere
atto (Commenti del deputato Maura Cossutta)...
ANDREA GIBELLI. Stai zitta!
Si deve prendere atto che, con la scelta
di democrazia e di cambiamento adottato dalla Lega Nord, la devolution
ed il federalismo diventano un fatto concreto nella storia, non solo politica,
ma istituzionale del paese.
PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, si avvii
a concludere.
ANDREA GIBELLI. Concludo, signor Presidente.
La Lega Nord ha una sola parola. Non ammette
tentennamenti, ma sa riconoscere chi rispetta gli accordi e se vi fosse
ancora, nel centrodestra, qualcuno che avesse un dubbio sulla necessità
storica di un cambiamento netto quale questo, nessuna tra le parole che
potrei aggiungere a quelle che ho pronunziato possono valere quanto le
seguenti: «(...) qui ho sentito linguaggi diversi dal nostro, eppure
quelle lingue non ci erano straniere, perché parlavano del più
grande bisogno dell'uomo, quello della libertà, quello del diritto
di potersi riconoscere nella propria gente, quello del dovere di partecipare
alla storia degli altri popoli, non come distruzione, non come sopraffazione,
ma come collaborazione e solidarietà. Non, quindi, l'Europa dei
finanzieri, ma anche l'Europa della piccola e della media industria e dell'artigianato,
convinti come siamo che la vita la devono fare gli uomini. Noi non abbiamo
paura di dire quello che pensiamo, perché siamo forti della forza
dell'onestà, dell'obbedienza e della fratellanza (...)».
PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, concluda.
ANDREA GIBELLI. Concludo, signor Presidente.
Queste parole sono state stampate, volantinate e pagate dal popolo di Pontida.
Se ho iniziato il mio intervento con le
parole di Carlo Cattaneo, non posso che concluderlo con chi le ha pronunciate,
il 9 dicembre del 1989, ossia Umberto Bossi (Applausi dei deputati dei
gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza
Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha
facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, voteremo ed approveremo oggi la riforma costituzionale,
nella piena consapevolezza di aver lavorato, nel corso di questi anni,
avendo a cuore il bene del paese e delle future generazioni (Una voce dai
banchi del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo: Bravo!).
PRESIDENTE. Per cortesia! Prego i colleghi
di prendere posto e di lasciar svolgere l'intervento all'onorevole Volontè.
Ministro Landolfi, per cortesia!
Prego, onorevole Volontè.
LUCA VOLONTÈ. A fronte della richiesta
pervenuta da parte di un alleato, soprattutto la Lega Nord, di attuare
il programma della Casa delle libertà sulla devolution, chiedemmo
infatti - noi dell'UDC - di ampliare le riflessioni sulle lacune e sugli
errori presenti nella riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione,
ossia la riforma varata dal centrosinistra. Era la primavera del 2003.
Da allora in poi, la storia di questa riforma, più ampia e più
completa ha preso l'avvio.
L'approccio riflessivo e temperato che
abbiamo dimostrato in questi anni ci ha consentito oggettivamente di rispondere
a quei problemi e di far evolvere positivamente il sistema delle competenze
verso un federalismo solidale, molto più equilibrato e comunitario
di quello attuale.
Con un'azione attenta alla realtà,
come essa si è evoluta in questi anni, si è posta mano ad
alcune materie oggi collocate tra quelle concorrenti, riportandole laddove
devono stare, cioè in uno Stato federale che abbia a cuore l'origine
stessa della propria nazione.
Già nell'articolo 114 della Costituzione
si è svolta esplicitamente un'analisi, per merito soprattutto nostro,
e si è fatto riferimento ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà,
come principi ordinativi dei rapporti e dei comportamenti istituzionali
tra Stato, regioni, province, città metropolitane e comuni.
Per queste ragioni, l'inceppamento della
riforma del Titolo V e la migliore definizione del principio di sussidiarietà,
si sono voluti introdurre elementi correttivi e, nello stesso tempo, innovativi
dell'articolo 117 della Costituzione.
Le materie riportate in capo allo Stato
(le norme generali sulla tutela della salute, della sicurezza e della qualità
alimentare, l'ordinamento della capitale federale, le reti strategiche
di trasporto e navigazione di interesse nazionale, le relative norme di
sicurezza, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento delle professioni
intellettuali, l'ordinamento sportivo, la produzione, il trasporto e la
distribuzione nazionale dell'energia, la promozione internazionale del
sistema economico produttivo italiano, come la politica monetaria, la tutela
del credito, le organizzazioni comuni di mercato) rispondono a entrambe
le esigenze già citate.
Quanto alle distorsioni prodotte dalle
modifiche introdotte nella scorsa legislatura, basti guardare alle critiche,
alle autocritiche, ai costi (circa 61 miliardi di euro stimati dall'ISAE)
e ai contenziosi presenti e pendenti dinanzi alla Corte costituzionale.
Mi vorrei soffermare, in questa totale
confusione e in questo disturbo - se mi consente -, su alcune altre materie.
La promozione del sistema economico produttivo italiano in capo allo Stato,
evidentemente, risponde alle esigenze che, nel mondo globalizzato, hanno
non solo e non tanto le nostre imprese, quanto i prodotti italiani.
Un ultimo accento va posto sulla opportuna
e indispensabile rimessione della tutela della salute in capo alla legislazione
esclusiva dello Stato. Con ciò - è di tutta evidenza -, si
risponde alle preoccupazioni del paese sulla possibilità di diverse
norme e, quindi, di diversi interventi in materia di tutela della salute,
a seconda della regione in cui il cittadino risiede. È indubitabile
che, diversamente dalla precedente riforma costituzionale, la tutela della
salute è garantita su tutto il territorio nazionale per tutti i
cittadini italiani.
L'UDC ritiene fermamente che l'introduzione
del principio di sussidiarietà e della sussidiarietà fiscale,
in particolare, ossia di più libertà per le persone e per
la società, produrrà riflessi positivi soprattutto per il
cittadino, consentendogli di superare tutti gli ostacoli burocratici che
incontra nel quotidiano. Soprattutto, ciò potrebbe rappresentare
un volano di sviluppo straordinario per tutte quelle iniziative no profit
che facilitano il passaggio da un welfare State bloccato ed antico ad una
welfare society.
Il fatto che le autonomie funzionali non
dovranno più tenere conto che una qualche regione approvi una norma
contro di essa, una chiara e nuova allocazione delle materie che sono state
riportate tra le competenze dello Stato, le nuove materie inserite tra
quelle delle regioni e, infine, la cosiddetta clausola di supremazia, fortemente
voluta da noi, tutto ciò attua un federalismo equilibrato e solidale
tra il centro e la periferia, tra il Nord e il Sud, tra la società
italiana lo Stato.
Siamo stati tra quelli più prudenti,
rispettosi ed anche timorosi nei confronti del percorso delle riforme costituzionali.
Lo siamo stati perché fermamente convinti che lo spirito unitario
che ha animato i lavori costituenti debba essere ritrovato ogni qualvolta
si affronti un tema centrale, qual è la legge fondamentale di una
nazione.
Ricordo come nel luglio dello scorso anno
eravamo stati messi sul banco degli imputati e ritenuti responsabili di
una crisi. Ebbene, la nostra posizione era motivata da ragioni di cui oggi
la maggioranza va in gran parte fiera. Il metodo del confronto con la società
italiana ha portato molti miglioramenti del testo dall'inizio della legislatura
ad oggi.
Ma, se, da una parte, grazie alla nostra
tenacia e alla costanza di allora, oggi il testo è divenuto patrimonio
comune e condiviso, non possiamo non ricordare con rammarico l'atteggiamento
pregiudizievole assunto dall'opposizione (Il Presidente Casini fa il suo
ingresso in aula - Generali applausi).
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO
CASINI (ore 12,55)
PRESIDENTE. Vi ringrazio molto, onorevoli
colleghi.
Mi scusi, onorevole Volontè, sono
io l'elemento di perturbazione (Generali applausi). Onorevoli colleghi,
lasciamo continuare l'onorevole Volontè.
LUCA VOLONTÈ. Complimenti, Presidente!
PRESIDENTE. Grazie!
LUCA VOLONTÈ. Se, grazie alla nostra
tenacia e costanza di allora, oggi il testo è divenuto patrimonio
comune e condiviso, non possiamo non ricordare con rammarico l'atteggiamento
pregiudizievole assunto dall'opposizione, che allora lanciava fiori al
nostro passaggio, salvo poi cambiare rotta - lo abbiamo visto qui lo scorso
anno -, quando si avvide che le nostre ragioni non erano volte alla rottura,
bensì al miglioramento del testo. È stato un «no»
a prescindere, merito certamente di Prodi o meglio demerito suo e di chi,
come lui, ha scelto di non contribuire alla costruzione comune della Carta
costituzionale appunto di tutto il popolo italiano.
Non rintraccio alcun merito nell'evitare
il dialogo. Non vi è merito alcuno ad evitare il confronto di lavoro
comune per il bene del paese; un diabolico perseverare, che avete tenuto
anche in occasione del dibattito sulla legge elettorale, una legge elettorale
che non è assolutamente in contrasto, è evidente, con il
testo costituzionale. Basterebbe ricordare qui, ai molti colleghi che hanno
rinvenuto invece un contrasto, l'articolo 30 delle modifiche che andiamo
a votare, dove esplicitamente è prevista anche la possibilità
di una legge elettorale proporzionale. Pensiamo di aver fatto il nostro
dovere e di averlo fatto bene.
Signor Presidente, onorevoli colleghi,
abbiamo votato allora e voteremo oggi una riforma che arriva in porto assai
diversa da come era partita. Per cercare di cambiarla, ci siamo assunti
le nostre responsabilità e i rischi del caso. La devolution è
controbilanciata da tante competenze che tornano, com'è giusto,
allo Stato. La clausola di supremazia segna il primato della politica nazionale
sul localismo. La sussidiarietà è entrata a pieno titolo
nel lessico costituzionale. Il premierato, infine, è temperato dalla
possibilità di approvare una mozione di sfiducia costruttiva.
Questo è il contributo che il gruppo
dell'UDC ha dato a questa riforma. Queste, come altre, sono le ragioni
che ci stanno a cuore, per continuare a confermare anche oggi il nostro
voto favorevole (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici
cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia, di Alleanza Nazionale
e della Lega Nord Federazione Padana).
Si riprende la discussione.
(Ripresa delle dichiarazioni di voto finale
- A.C. 4862-C)
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
MARIO CLEMENTE MASTELLA
PRESIDENTE.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Castagnetti.
Ne ha facoltà.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente,
signor Presidente del Consiglio, siamo compiaciuti di vederla qui. La sapevamo
impegnato in una visita di Stato in Giappone, invece è qui con noi
(Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale), a vivere - suppongo
- la mortificazione di dover esprimere - lei che oggi poteva rappresentare
tutta la nazione - il suo singolo voto di semplice parlamentare, un voto
che rappresenta solo lei, aggiungo per nostra fortuna: il suo, solo lei.
Vengo dunque al merito. Questa seconda
lettura della riforma, per il tempo e per il clima politico in cui avviene,
consente di tracciare un bilancio della strategia riformista, che avete
imposto a questa legislatura. Una strategia che mi pare si possa riassumere
così: demolire i pilastri della cosiddetta Costituzione materiale,
come precondizione della demolizione di quelli della Costituzione formale.
Un disegno non certo moderato e ancor meno inseribile nella tradizione
politica moderata della nostra storia repubblicana.
Anni fa, Beniamino Andreatta mi raccontava
che un suo collega di Governo di allora, che oggi sostiene il suo Governo,
onorevole Berlusconi, gli disse: alla fine vi batteremo, utilizzando la
sola arma in cui vi superiamo, la spregiudicatezza! Ecco, a me pare che
la vostra non sia stata una strategia riformista, né moderata, né
rivoluzionaria, ma semplicemente spregiudicata. Una strategia nichilista!
Avete infranto tabù, ma anche profanato istituti e comportamenti
strettamente connessi alla lettera e allo spirito del nostro modello di
democrazia costituzionale. Avete introdotto il precedente di leggi finalizzate
a risolvere problemi privati e personali del ceto politico, attraverso
un processo di impossessamento e successiva privatizzazione dell'ordinamento.
Avete intenzionalmente provocato conflitti
tra istituzioni repubblicane al fine di ottenerne un dichiarato indebolimento
sino a modificarne il ruolo, come nel caso del Parlamento. Avete intenzionalmente,
in varie fasi della legislatura, con interventi a volte collegiali a volte
individuali, aggredito le istituzioni di garanzia - il Presidente della
Repubblica, la Corte costituzionale, la magistratura -, all'evidente scopo
di erodere ogni spazio di intangibilità politica. Avete configurato,
seppure manchi ancora l'approvazione del Senato, un cambiamento radicale
dell'ordinamento elettorale senza motivazione storica o politica, a soli
fini di auspicate convenienze elettoralistiche. Avete innescato conflitti
sistematici e privi di motivazione fondata con istituzioni internazionali
e comunitarie.
Sì, onorevole Berlusconi, l'Italia
che ci lasciate è molto cambiata. Purtroppo, in peggio rispetto
a quella che avete ricevuto in eredità dai Governi che vi hanno
proceduto. È un'Italia con istituzioni più fragili, meno
credibili, meno affidabili per chi le guarda dall'esterno, con un ordinamento
che ha rinunciato al requisito indispensabile agli occhi di chi deve investire
risorse e fiducia e guardare al futuro: la durabilità dell'ordinamento.
Questo è il contesto in cui è
maturata ed è stata coltivata questa riforma costituzionale, onorevole
Volontè. In tutti i paesi le Costituzioni sono fatte per durare
nel tempo, oltre la vita delle fasi e delle diverse maggioranze politiche,
perché esprimono ciò che deve restare comune ai vari soggetti
della dialettica politica. La Costituzione si configura per questo come
un patto: un tempo, tra il sovrano ed il Parlamento; oggi, tra le forze
politiche e la società. Il patto esprime un consenso, dunque unisce.
Tutto questo avete voluto infrangere,
avete voluto distruggere, avete voluto superare. La vostra furia nichilista
a questo vi ha condotto. L'avete fatto utilizzando uno strumento, l'articolo
138 della Costituzione, che, come è stato ricordato, non è
adeguato alla portata così vasta di questa riforma. La giurisprudenza
costituzionale, interpretando correttamente lo spirito e la lettera dell'articolo
138, ha sostenuto che tale articolo non è strumento proporzionato
e, dunque, utilizzabile per modifiche dei cosiddetti principi supremi e,
quindi, dell'essenza della Carta stessa, come in questo caso.
Dunque, anche sotto questo profilo, avete
dato corpo all'ossimoro del professor Sartori di varare una Costituzione
incostituzionale. In un sol colpo sono stati modificati più di 50
articoli e vari titoli, sì da rendere di difficile praticabilità
persino il referendum confermativo. Fare votare contemporaneamente e con
un solo quesito sia il federalismo, sia il premierato contraddice, infatti,
oltre che la logica del referendum, quella più genericamente democratica
che richiederebbe voti distinti per quesiti distinti.
Con questa riforma, colleghi della maggioranza,
si modifica, infatti, sia la forma di governo, sia la forma di Stato. Vengono
riscritti e pasticciati i rapporti tra Stato e regioni: altro che devolution!
Vengono radicalmente riformati e privati di essenziali poteri tutti gli
organi di garanzia. Anche se formalmente non viene intaccata la prima parte
della Carta, le modifiche della seconda parte, volte essenzialmente a personalizzare
e concentrare molti poteri nella figura del Primo ministro, incidono pesantemente
e sostanzialmente su non pochi principi sanciti nella prima parte. In questo
senso, si può parlare di modifiche della forma di governo che realizzano
modifiche della forma di Stato.
La concentrazione eccessiva di poteri
in capo ad un solo organo, contestualmente all'indebolimento dei contrappesi
di controllo e di garanzia, va ben al di là del pur positivo rafforzamento
dei poteri del Capo del Governo, rompendo lo schema classico non di una
semplice democrazia, ma di una democrazia costituzionale, come siamo soliti
definire i modelli democratici occidentali. Il contrappeso a questi enormi
poteri del Primo ministro (tra l'altro, oggi vistosamente in contraddizione
con lo spirito e la lettera della vostra stessa riforma elettorale proporzionale
e, di fatto, priva di veri vincoli coalizionali), non potendo essere realizzato
dal Parlamento e, ancora meno, dalle tradizionali figure di garanzia, come
il Presidente della Repubblica, dovrebbe, nelle vostre intenzioni, essere
garantito dalla struttura federale dello Stato. Ma - ahimè -, anche
in questo caso, vi sono solo proclami, intenzioni divisive dell'unità
del paese; un insieme di grave confusione di prerogative e di poteri parcellizzati,
sovrapposti, ripetitivi e conflittuali. Dunque, confusione e prevedibili
sprechi di risorse, credibilità e funzionalità della Repubblica.
Se il clima di oggi - lo voglio dire al
collega Volontè, il quale fa riferimento ad una tradizione che oggi
ha subito una violenza enorme - fosse non dico un clima costituente, ma
anche solo un clima di disponibilità, di dialogo civile, vi diremmo:
fermatevi, ripartiamo daccapo! Tuttavia, purtroppo, avete fatto commercio
simoniaco di parti della riforma fra parti della maggioranza, realizzando
un patto più rozzo che mediocre, che vi condiziona e vi ricatta
a vicenda.
Non resta, dunque, a noi, che non rinunciamo
mai ad essere vigilanti rispetto ai rischi di deriva plebiscitaria e proporzionalistica,
che confidare nel popolo, nella saggezza del popolo sovrano, perché,
oltre ciò che non è stato possibile a questo Parlamento,
possa cancellare, con il referendum, questa devastazione della Costituzione
e creare le condizioni perché, insieme, nella prossima legislatura,
uscendo dal clima surreale di una legislatura nichilista, si possa ripartire
con razionalità e responsabilità.
Noi partecipiamo al voto e voteremo contro
questo testo di riforma, come abbiamo fatto in prima lettura. Il nostro
è un voto che esprime tutta la nostra contrarietà e la nostra
indignazione morale e politica e, nello stesso tempo, il rispetto, non
per la vostra presunta nuova Costituzione, ma per la sola Costituzione
che conosciamo e che onoriamo nella sua sacralità: la Costituzione
varata proprio in quest'aula dai padri della Repubblica italiana (Applausi
dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di
sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani,
Misto-SDI-Unità Socialista e Misto-Verdi-l'Unione - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha
chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gasparri. Ne ha
facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, Presidente del Consiglio, siamo all'ultimo passaggio
dell'esame del provvedimento in tema di riforma costituzionale alla Camera
dei deputati, che ci consente di fare un bilancio dell'iter di questa riforma.
Vorrei ricordare ai colleghi della sinistra
i numerosi errori che hanno commesso. L'onorevole Castagnetti ha ricordato
molte cose, ma dimentica di dire che, nella scorsa legislatura, introduceste
una riforma sbagliata della Costituzione, approvata con soli quattro voti
di scarto. Il centrosinistra è affetto da una sorta di arroganza
intellettuale, per cui, se ha una maggioranza, benché risicata,
può cambiare le regole, altrimenti, se la maggioranza è di
altri, o si concordano i contenuti con il centrosinistra o i cambiamenti
non si possono fare!
Sia che vinciate sia che perdiate, vorreste
comandare voi, invece di confrontarvi, come avreste dovuto fare, nel merito
della riforma, con la coalizione di centrodestra.
Avevate proposto il premierato, lo avevate
fatto nella Bicamerale, lo hanno fatto Giuliano Amato e tanti altri. Questa
riforma costituzionale rafforza l'istituto del Governo e va, quindi, in
una direzione che voi stessi avevate sostenuto ed auspicato. Siete, quindi,
trasformisti a secondo delle esigenze!
Avete varato una riforma costituzionale,
quella ancora oggi vigente, che all'articolo 116, con il terza comma, introduce
rischi, quelli sì, di secessionismo, consentendo ad alcune regioni
più «avanzate» di fare scelte autonome.
Avete introdotto, con l'articolo 117,
la possibilità per alcune regioni di creare organi autonomi ed accordi
tra loro.
Voi che criticate una presunta secessione,
che non è presente in questo testo, a cosa pensavate? A macroregioni,
alla Padania o a cos'altro?
Siete stati capaci di creare un contenzioso
enorme tra Stato e regioni. L'attuale stesura della Costituzione, che noi
intendiamo cambiare, ha affidato alla competenza concorrente di Stato e
regioni un elenco sterminato di materie, innescando scontri di fronte alla
Corte costituzionale, ben noti al Governo e alle stesse regioni.
Avete eliminato il concetto di interesse
nazionale; dunque, nessuna lezione di patriottismo, soprattutto nei confronti
di Alleanza Nazionale, da parte di chi l'interesse nazionale lo ha cancellato
con un tratto di penna (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
Avete cancellato il riferimento al sud
e proponete un discorso falso. Le menzogne che hanno accompagnato questa
riforma devono essere smantellate. Nella Costituzione del 1948, all'articolo
119, era previsto che, per valorizzare il Mezzogiorno e le isole, lo Stato
assegnasse per legge a singole regioni contributi speciali. Voi del centrosinistra
avete cancellato questo riferimento; allora, né lezioni di patriottismo
né lezioni di meridionalismo dai nemici del sud che sono seduti
di fronte a noi, non certo da questo lato dell'emiciclo (Applausi dei deputati
del gruppo di Alleanza Nazionale)!
La nostra riforma - intendo sottolineare
che si tratta della «nostra» riforma - e l'unità della
coalizione costituiscono un valore importante per il bipolarismo italiano.
Si tratta della riforma non della Lega, ma della Casa delle libertà,
che si riconosce interamente in questo testo. È un provvedimento
che la Lega ha sollecitato con passione, ma che tutti abbiamo contribuito
a costruire.
Si tratta dunque di un atto di coerenza;
infatti, in campagna elettorale parlammo della riforma della Costituzione
e l'abbiamo realizzata. Noi rispettiamo i programmi elettorali, perché
siamo persone serie!
Questa riforma costituzionale esalta nella
democrazia il ruolo del Primo ministro, consentendogli di nominare e revocare
i ministri e di proporre lo scioglimento delle Camere; ritengo che chi
dispone di un mandato elettorale debba poterlo esercitare, così
come previsto in questo nuovo testo della Costituzione.
Si introduce la sfiducia costruttiva,
affinché si possano attuare cambiamenti, ma rispettando la stabilità
dei Governi, la coerenza delle coalizioni e il coinvolgimento dell'elettorato.
Infatti, questo testo - amici della sinistra - sposta il baricentro verso
la sovranità popolare, perché il voto dei cittadini non potrà
essere alterato, perché se cambia la maggioranza si va al voto.
È prevista una norma antiribaltone che soprattutto Alleanza Nazionale
intende sottolineare, in combinato disposto ideale con la legge elettorale
che abbiamo approvato (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale
e di Forza Italia)!
I ribaltoni che avete realizzato, saccheggiando
eletti ed elettori, la Costituzione in futuro non ve li consentirà
più: questa è la verità della riforma che stiamo per
approvare (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di
Forza Italia)!
Diminuisce il numero dei parlamentari
- diciamolo ai cittadini italiani -, ponendosi in essere una scelta coraggiosa
al fine di disporre di Assemblee più snelle. Si stabiliscono tempi
certi per l'approvazione delle leggi, rispondendo ad un'esigenza della
democrazia. Democrazia non vuol dire non decidere! L'onorevole Violante
fu promotore di una riforma del regolamento della Camera in questo senso;
oggi la Costituzione procede proprio nella direzione di una democrazia
decidente e non paralizzata, garantendo il bipolarismo, la sovranità
popolare e tempi certi per approvare le leggi.
In questa riforma è inoltre contenuta
un'idea cara alla destra: era stato l'onorevole Tatarella a parlare per
primo dello statuto delle opposizioni; dunque, a lui dedichiamo l'inserimento
nella Costituzione della previsione di uno statuto delle opposizioni (Applausi
dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)! Si tratta
di una regola bipolare, di democrazia e di rispetto di coloro che si troveranno
all'opposizione che, in questo modo, si vedranno garantiti diritti precisi.
Questo vuol dire una democrazia matura!
Abbiamo anche introdotto la clausola di
salvaguardia a favore dello Stato, la clausola di supremazia con l'articolo
120, così come modificato, ripristinando poi, all'articolo 127,
l'interesse nazionale che voi, falsi patrioti della sinistra, avevate cancellato
dalla Costituzione della Repubblica italiana (Applausi dei deputati dei
gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e dell'Unione dei democratici
cristiani e dei democratici di centro)!
Viene inoltre istituito un Senato federale.
Caro Prodi, questa riforma non è un passo indietro, bensì
in avanti, perché termina l'epoca del bicameralismo perfetto e si
va verso una nuova forma di bicameralismo, con un Senato federale che dà
voce, rappresentanza e forza al territorio. Anche questa è un'innovazione
di grande importanza.
Si combatte - e a voi sembrerà
paradossale - il neocentralismo delle regioni, con una Costituzione che
dà spazio al concetto di sussidiarietà. Si danno più
poteri al Capo dello Stato, che potrà nominare i presidenti delle
autorità di garanzia, il presidente del CNEL e compiere anche altre
scelte, oggi precluse a questa figura.
Si introduce il concetto ed il ruolo di
«Roma Capitale» e, in proposito, ringraziamo la Lega che ha
condiviso tale scelta, che ha un valore simbolico e che viene introdotta
nella Costituzione perché la riforma è di tutti - come ho
detto all'inizio - e non solo di alcuni (Applausi dei deputati dei gruppi
di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, dell'Unione dei democratici cristiani
e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana).
Abbiamo cambiato i criteri di nomina dei
giudici della Corte costituzionale, per dare spazio alle regioni e per
depoliticizzare - Dio sa quanto ce n'è bisogno! - i criteri di scelta
dei membri della Corte costituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi
di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
Cari colleghi, noi le riforme le facciamo.
Abbiamo approvato nel corso di questa legislatura molte riforme importanti:
pensioni, scuola, università, mercato del lavoro, diritto societario
e fallimentare, radiotelevisione, forze armate, legge obiettivo per i lavori
pubblici, codice della strada...
MAURA COSSUTTA. Conflitto di interessi
(Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
MAURIZIO GASPARRI. ... ordinamento giudiziario,
riforma del fisco, riforma della legge sull'immigrazione, voto per gli
italiani all'estero. Noi abbiamo rispettato il patto con gli italiani e
cambiato questo nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza
Nazionale, di Forza Italia, dell'Unione dei democratici cristiani e dei
democratici di centro, della Lega Nord Federazione Padana).
Ed allora, oggi, con questo terzo voto,
daremo più forza ad una grande riforma, quella della Costituzione.
Saremo uniti come coalizione, riformeremo la Costituzione, e con il consenso
degli italiani continueremo a governare l'Italia (Applausi dei deputati
dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, dell'Unione dei democratici
cristiani e dei democratici di centro, della Lega Nord Federazione Padana
- Congratulazioni)!
LUIGI OLIVIERI. Li avete impoveriti, gli
italiani!
ROBERTO MENIA. Stai zitto!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà
(Commenti).
Onorevoli colleghi...! Onorevole Fassino,
aspetti pure che le acque si siano placate. Facciamo trascorrere il tempo
con serenità...
PIERO FASSINO. Signor Presidente,
signor Presidente del Consiglio dei ministri, prima di affrontare il tema
al centro dei nostri lavori, vorrei richiamare l'attenzione di tutto il
Governo, del Presidente del Consiglio e della Camera...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia, vi prego, si tratta un dibattito estremamente delicato!
PIERO FASSINO. Grazie, signor Presidente.
Vorrei richiamare l'attenzione del Governo
e della Camera sul gravissimo episodio di violenza che ha funestato la
vita della Calabria e delle istituzioni democratiche in questi giorni.
Oggi pomeriggio se ne parlerà in quest'aula e naturalmente ascolteremo
con grande attenzione quanto dirà il ministro Pisanu. Tuttavia,
poiché vedo il Governo, al gran completo - e naturalmente mi auguro
che sarà al gran completo anche nel pomeriggio -, vorrei richiamare
l'attenzione del Presidente del Consiglio sulla drammaticità della
situazione determinatasi in alcune aree del paese, laddove l'illegalità
e la violenza organizzata mettono a repentaglio la convivenza civile.
Infatti, l'assassinio del dottor Fortugno
non è un episodio isolato, bensì l'ultimo atto di drammatica
violenza di una sequenza di attentati, di intimidazioni e di atti gravi
e drammatici contro uomini delle istituzioni - locali e regionali - di
quella regione che segna una vera e propria sfida lanciata dalla criminalità
organizzata contro lo Stato.
FRANCO CARDIELLO. Dillo a Bassolino!
PIERO FASSINO. Per questo vorrei richiamare
l'attenzione del Governo sulla necessità di un salto di qualità
nella risposta da dare alla sfida della criminalità organizzata
contro lo Stato e le sue istituzioni. Mi auguro, pertanto, che oggi il
ministro Pisanu voglia illustrarci il senso, il segno ed i contenuti di
questo salto di qualità nell'azione del Governo.
Venendo alle questioni di cui stiamo discutendo
oggi, non posso non rilevare - lo hanno già fatto altri rappresentanti
dell'opposizione e, da ultimo, l'onorevole Castagnetti - come voi stiate
oggi consumando un altro grave strappo istituzionale, dopo aver voluto
imporre a tutti costi, qualche giorno fa, una legge elettorale che accrescerà
l'ingovernabilità e l'instabilità del paese. Quest'ultima,
infatti, renderà le maggioranze parlamentari più fragili,
più deboli: vi siete inventati un premio di maggioranza che al Senato
renderà impossibile, di fatto, avere in quella Camera una maggioranza
stabile e sufficientemente forte, chiunque vinca le elezioni.
Dopo aver consumato questo strappo, oggi
ci presentate una riforma istituzionale che renderà ancor meno funzionante,
efficiente e capace di corrispondere alle esigenze del paese e alle domande
dei cittadini lo Stato e l'intelaiatura istituzionale. Voi ci presentate
una riforma nella quale è previsto un premier onnipotente, che di
fatto viene svincolato da qualsiasi capacità e possibilità
di bilanciamento, nei suoi poteri, dal potere del Parlamento.
Però, vi segnalo che avete fatto
qui approvare una legge elettorale che, invece, consegnerà il premier
della coalizione che governerà ai ricatti e alle rendite di posizione
di qualsiasi forza politica. Quindi, avete consumato, nello spazio di pochi
giorni, due strappi di segno radicalmente opposto: una riforma costituzionale
che, nelle vostre intenzioni, avrebbe l'obiettivo di dare più poteri
al Presidente del Consiglio ed eccede, non bilanciando questo eccesso di
potere con altrettanti poteri di altri organi dell'assetto istituzionale;
al tempo stesso, quei poteri il Presidente del Consiglio non sarà
in grado di esercitarli, perché prigioniero di una maggioranza politica
che, con quella legge elettorale, sarà capace di ricattarlo e di
condizionarlo su ogni decisione, su ogni passaggio politico.
Voi ci presentate un assetto camerale
che non è, come ha detto l'onorevole Gasparri poc'anzi, il superamento
del bicameralismo perfetto, ma è il passaggio dal bicameralismo
perfetto a due monocameralismi in conflitto; perché una Camera darà
la fiducia al Governo e l'altra non la darà. Perché alcune
prerogative le avrà la Camera e altre le avrà il Senato.
Perché sui criteri regolatori dell'applicazione di queste diverse
prerogative è affidata la funzione di moderazione e di arbitro ai
Presidenti delle Camere. E se si produce un conflitto tra i Presidenti
delle Camere nell'attribuzione della potestà della prerogativa legislativa
a una delle due, si produce un conflitto che paralizza l'attività
parlamentare e la procedura legislativa.
Voi avete tolto, così, la certezza
del funzionamento e delle procedure legislative di questo Parlamento. Voi
ci presentate un Senato che non darà la fiducia al Governo, ma che
ha, per come è congegnato e per i poteri che gli riconoscete, un
diritto di veto che renderà il Governo prigioniero di una Camera
che a quel Governo non ha neanche dato la fiducia.
Voi ci presentate una Corte costituzionale
violentata nella sua composizione. Vorrei segnalare all'onorevole Gasparri,
che non se ne è accorto, che non è vero che la Corte costituzionale
sarà così meno politicizzata. Semmai lo sarà di più,
essendo aumentati i componenti eletti da questo Parlamento rispetto ai
componenti nominati o dal Presidente della Repubblica o dalle magistrature.
Non è vero che avete reso più
snello il procedimento legislativo: al contrario, si determinerà
una sovrapposizione di competenze che aumenterà conflitto e competizione
tra le Camere, ed il procedimento legislativo diventerà ancor più
complesso e difficile.
Ci proponete una devolution che non è
il federalismo e che è molto lontana dal federalismo. Quest'ultimo
è la capacità di riconoscere autogoverno alle comunità
regionali e locali nell'ambito di un quadro di diritti e di opportunità
offerte paritariamente a tutti i cittadini. Questo non avverrà con
la devolution. Noi passeremo da un sistema sanitario nazionale unico, che
oggi è gestito direttamente dalle regioni, a venti sistemi sanitari
regionali.
Noi passeremo da un sistema scolastico
nazionale unico, che in buona misura vede titolarità di funzione
e di responsabilità nel sistema regionale, tanto più dopo
la riforma del Titolo V, a venti sistemi regionali. Anzi, venti oggi, perché
sulla base di questa vostra legge le regioni potranno diventare cinquantasei.
E ciò avviene, lo segnalo al signor Presidente del Consiglio dei
ministri, perché voi riconoscete un diritto di separazione con l'unico
criterio che si abbia una dimensione demografica minima di un milione di
cittadini e, stante che questo paese ha cinquantasei, e forse anche più,
milioni di abitanti, voi avete innestato un meccanismo separatista che
determinerà l'ulteriore frammentazione istituzionale dello Stato.
Ciò premesso, dico agli amici e
colleghi di Alleanza nazionale che si preparano a sventolare il tricolore,
che non basta sventolare il tricolore in quest'aula quando lo stesso viene
calpestato da una legge che mette in discussione l'unità del paese
e la coesione nazionale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici
di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista,
Misto-Comunisti italiani, Misto-SDI-Unità Socialista e Misto-Verdi-l'Unione
- Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale). Se veramente
questa legge fosse quello che dite voi, il tricolore lo dovrebbero sventolare
i signori che siedono sui banchi della Lega nord i quali, invece, non lo
faranno perché nel loro taschino, al posto del tricolore, hanno
la bandiera della Lega nord, la bandiera separatista della Lega nord (Applausi
dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita,
DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-SDI-Unità
Socialista e Misto-Verdi-l'Unione - Commenti dei deputati dei gruppi della
Lega Nord Federazione Padana e di Alleanza Nazionale). Questa è
la verità!
GUSTAVO SELVA. Voi avete sbandierato la
bandiera rossa!
PIERO FASSINO. Voi ci presentate, infine,
una Costituzione che svuota di qualsiasi potere il Presidente della Repubblica
e mette in discussione anche quella funzione di garante dell'unità
nazionale che da sempre questa più alta magistratura dello Stato
rappresenta. Insomma, ci presentate una revisione della Costituzione, una
devolution che allontanerà le istituzioni dal paese, che, ancora
di meno, sarà capace di corrispondere alle attese dei cittadini
e che ancora di meno sarà capace di governare la società
e di soddisfare le sue domande e le sue esigenze. E ciò voi lo fate
unicamente perché dovete pagare una moneta politica alla Lega nord
che, tra l'altro, ve lo ha anche detto. Ve lo ha detto quattro giorni fa
quando, in quest'aula, vi ha detto che forse la legge elettorale che gli
avete fatto approvare non è la migliore del mondo, ma che l'avrebbero
votata unicamente perché voi dopo li avreste ripagati votando la
devolution (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo
- Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale
e della Lega Nord Federazione Padana).
La verità è che voi avete
trasformato le istituzioni, la legge elettorale, lo Stato e i suoi poteri,
in una merce di scambio politico. Avete ridotto quella che è l'intelaiatura
costituzionale del paese a merce di scambio per tenere insieme una maggioranza
che non sta insieme.
MARIO VALDUCCI, Sottosegretario di Stato
per le attività produttive. Voi questo lo fate normalmente!
PIERO FASSINO. Le riserve che provengono
anche da esponenti che siedono sui vostri banchi confermano che quello
che vi sto dicendo non è infondato.
Voi, a nostro parere, continuate a commettere
un grave errore. Voi, di fronte ad una crisi profonda della vostra maggioranza
- che la vostra maggioranza conosce (non è passato neanche un mese
dalle dimissioni da ministro di Siniscalco, così come sono passati
pochi giorni dalle dimissioni da segretario dell'UDC di Follini) - e del
vostro modo di governare, anziché affrontare le ragioni di questa
crisi, pensate di superarla alterando le regole, cambiando la forma dello
Stato, mettendo in discussione la certezza del diritto, come vi preparate
a fare tra qualche giorno imponendo a questo Parlamento la vergogna della
ex Cirielli che nemmeno il suo primo firmatario ha più il coraggio
di chiamare così (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici
di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista
e Misto-Comunisti italiani)!
Per tutte queste ragioni, noi voteremo
«no» a questo provvedimento e continueremo a batterci contro
questa brutta revisione della Costituzione e contro questo strappo istituzionale,
e diremo al paese quali sono le vere intenzioni e le vere responsabilità
che ricadono sulle vostre spalle. In tal modo creeremo le condizioni affinché
siano gli italiani, quando arriveremo al referendum previsto dalla procedura
costituzionale, a difendere quella Costituzione che voi oggi calpestate
(Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo,
della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti
italiani, Misto-SDI-Unità Socialista, Misto-Verdi-l'Unione e Misto-Popolari-UDEUR
- Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Antonio Leone. Ne ha facoltà.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente,
debbo dire che l'intervento dell'onorevole Fassino ci ha fatti convincere
ulteriormente di una cosa: meglio una bandiera verde che una bandiera rossa;
almeno, c'è la speranza (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza
Italia, di Alleanza Nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e
dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana)!
MAURA COSSUTTA. Abbiamo scritto la Costituzione
(Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega Nord Federazione
Padana)!
ANTONIO LEONE. Con il voto di oggi completiamo
ulteriormente il programma del Governo Berlusconi (Commenti) ...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia!
Par condicio ...
ANTONIO LEONE. Grazie, signor Presidente
...
PRESIDENTE. ... almeno in questo caso!
ANTONIO LEONE. Come sempre, signor Presidente,
grazie.
Come dicevo, con il voto di oggi completiamo
ulteriormente il programma del Governo Berlusconi. Ed è per questo
che il gruppo di Forza Italia si sente fortemente impegnato ad approvare
la riforma in esame.
Caratteristica di fondo del disegno riformatore
è, infatti, quella di contemperare il rafforzamento delle competenze
e delle funzioni delle regioni, attuato soprattutto attraverso l'attribuzione
di nuove materie alla loro potestà legislativa esclusiva, con il
rafforzamento del potere esecutivo, cioè del Presidente del Consiglio
dei ministri, il quale assume la nuova denominazione di Primo ministro,
cui è demandato, tra l'altro, il potere di nominare e di revocare
i ministri. Così facendo, si segue quello che è l'assetto
costituzionale di tutti gli Stati federali, necessariamente caratterizzati
da un potere esecutivo forte, stabile ed autorevole, necessario per controbilanciare
il peso ed il ruolo delle regioni e per assicurare l'unità di indirizzo
politico del paese.
Tale assetto è particolarmente
adatto a gestire una società complessa come quella italiana e supera
i difetti funzionali della Costituzione vigente, che resta un documento
alto dal punto di vista democratico, ma che, purtroppo, risente del fatto
di essere stato elaborato quando il nostro era un paese ancora prevalentemente
agricolo, non ancora caratterizzato da una forte industrializzazione. Servono,
oggi, più efficienza, più rapidità di decisione e
maggiore flessibilità.
Altro pregio notevole della riforma è
quello di porre riparo ai guasti prodotti dalla frettolosa riforma del
Titolo V della Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo di Forza
Italia) varata dal centrosinistra con un'esigua maggioranza, alla fine
della passata legislatura, nel tentativo maldestro, peraltro fallito, di
accaparrarsi i consensi elettorali dei tanti cittadini favorevoli al federalismo.
Alla faccia di quanto si è detto a proposito dell'approvazione della
legge elettorale!
Quella riforma ha rischiato di spezzare
e, soprattutto, di paralizzare il paese: assegnando alla legislazione concorrente
tra Stato e regioni un numero infinito di materie, ha prodotto un'enorme
confusione normativa ed un pericoloso contenzioso tra Stato e regioni,
contenzioso a cui il secondo Governo Berlusconi ha dovuto porre riparo
con una paziente ed equilibrata azione legislativa e amministrativa di
cui gli diamo atto.
Questa maggioranza, quindi, intende rimediare,
con la riforma al nostro esame, ai guasti prodotti dal centrosinistra e
vuole introdurre nel paese un modello federativo avanzato ma, nel contempo,
equilibrato e funzionale. Vediamone alcuni caratteri fondamentali.
Viene previsto, innanzitutto, il superamento
del bicameralismo, come diceva il collega Gasparri, che rallenta inutilmente
il processo legislativo senza alcuna logica politica e giuridica, in quanto,
nell'attuale assetto, il Senato costituisce, in sostanza, un doppione della
Camera. Il testo al nostro esame differenzia nettamente le due Camere rispetto
alla composizione ed alle funzioni. Il legame tra il sistema delle regioni
e le istituzioni centrali è costituito dall'accentuato carattere
di rappresentanza territoriale dei senatori ed è sottolineato dalla
contemporanea elezione del Senato e dei consigli regionali. Il superamento
del bicameralismo perfetto ha riflessi importanti nella riforma del procedimento
legislativo, che diviene più snello e razionale.
Uno dei punti più qualificanti
del disegno di riforma è, come ho già accennato, il rafforzamento
del potere esecutivo attraverso la trasformazione del Presidente del Consiglio
dei ministri in Primo ministro, al quale vengono attribuiti, tra l'altro,
i fondamentali poteri di nominare e revocare i ministri e di determinare
l'indirizzo politico del Governo, che godrà di una forte legittimazione
elettorale.
Onorevole Fassino, si metta d'accordo
con se stesso! Lei afferma che la riforma rafforza il premier, che diventa
onnipotente, ma un attimo dopo dice che il premier sarà soggetto
e sottoposto al ricatto dei piccoli partiti. O l'uno o l'altro: decida
cosa vuole dire (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)! Del
resto, siamo abituati a questo e ad altro!
Al Primo ministro viene, inoltre, attribuito
il potere di scioglimento della Camera, mentre la Camera, a sua volta,
in caso di dimissioni del Primo ministro, potrà, con mozione sottoscritta
da un numero sufficiente di deputati della maggioranza espressa dalle elezioni,
indicare il nome di un nuovo Primo ministro. Questo, per impedire «ribaltoni»
e per evitare che non si rispetti fino in fondo la volontà degli
elettori (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza
Nazionale)! È questo che avete sempre voluto ed è questo
che vorreste ancora avere!
Vorrei ricordare ai critici malevoli di
questa riforma che l'attribuzione di materie alle competenze esclusive
delle regioni è contemperata dal limite oggettivo costituito dall'obbligo
di rispetto dell'interesse nazionale. Inoltre, molte ed importanti materie
sono riportate alla competenza esclusiva dello Stato. Tra queste, voglio
citare la politica monetaria e creditizia, le norme generali di tutela
della salute e della sicurezza alimentare, la sicurezza del lavoro, le
grandi reti strategiche di trasporto.
Qualcuno ha cercato di sostenere che questa
riforma penalizzerebbe, in qualche modo, le regioni meridionali. È
un'altra falsità messa in giro dal centrosinistra! Non è
vero affatto, in quanto è garantito, comunque, il sostegno finanziario
alle regioni più svantaggiate e sono assolutamente garantite l'unità
e la coerenza dell'indirizzo di politica economica e finanziaria del paese.
Il rafforzamento dell'autonomia regionale deve essere considerato non un
pericolo, ma una grande occasione di crescita e di sviluppo per le regioni
meridionali.
C'è da chiedersi, di fronte alla
veemente posizione assunta dal centrosinistra, quali siano le reali motivazioni
di tale atteggiamento (ma in realtà sono note e sono sotto gli occhi
di tutti). La verità è che siamo di fronte alla solita demonizzazione
che l'opposizione fa di qualsiasi riforma portata avanti dalla Casa delle
libertà e questo anche quando una valutazione oggettiva della normativa
in discussione ne dovrebbe evidenziare sia l'utilità per il paese,
sia la sua aderenza alla volontà della stragrande maggioranza dei
cittadini. Tutti gli italiani vogliono istituzioni più moderne,
più funzionali e, soprattutto, più vicine alle loro esigenze!
Tutto questo non si può attuare, se non con l'introduzione del federalismo
e con la più larga applicazione del principio di sussidiarietà.
I partiti che compongono la variegata
opposizione hanno nel loro DNA ideologico il centralismo e il dirigismo,
nonché dosi massicce di interventismo nell'economia che tanti danni
hanno causato all'economia del paese, ivi compreso l'IRI del professor
Prodi. Ed hanno ancora nell'anima una forte distinzione di comodo tra politica
reale e politica virtuale. La vostra è e sarà sempre una
politica virtuale, non reale e legata alle esigenze dei cittadini (Applausi
dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della
Lega Nord Federazione Padana)!
Per tutte queste ragioni e perché
siamo profondamente convinti dell'utilità di questo grande disegno
riformatore per gli interessi del paese, il gruppo di Forza Italia darà
nuovamente il proprio compatto voto favorevole al disegno di legge di riforma
della parte seconda della Costituzione, non disdegnando di mettere in rilievo
che il tanto sbandierato riformismo, di cui la sinistra si è sempre
riempita la bocca, non ha mai trovato reale albergo nelle azioni concrete
di queste sgangherate opposizioni. Noi abbiamo avuto la volontà
di inserirle nel nostro programma ed il coraggio - sì, il coraggio
- di attuarle (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza
Nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro
e della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, avverto
che agli ulteriori sei deputati che hanno chiesto di intervenire per dichiarazione
di voto finale, concederò due minuti a titolo personale.
Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Cossa.
Ne ha facoltà.
MICHELE COSSA. Signor Presidente,
molti miglioramenti sono stati apportati al testo originario e soprattutto
sono state introdotte importanti correzioni alla riforma del 2001 approvata
con una mai abbastanza biasimata forzatura da parte del centrosinistra.
Ritengo positivo che si sia introdotto
il principio di «interesse nazionale» e che sia stata affermata
la clausola di salvaguardia all'articolo 43-bis, che esclude l'applicabilità
del nuovo Titolo V alle regioni a statuto speciale. Tuttavia, le ombre
prevalgono sulle luci sia per il contenuto di questa riforma, sia per il
metodo che si è scelto.
Sul merito, non posso non sottolineare
le responsabilità del centrosinistra in ordine alla apertura della
strada verso un regionalismo tale da comportare l'attenuazione del ruolo
dello Stato come garante, non solo e non tanto dell'unità della
nazione, quanto di quelle situazioni di oggettiva debolezza, talora anche
determinata da fattori strutturali - come nel caso della Sardegna -, in
cui versano alcune aree del paese, che rischiano di venire schiacciate
e lasciate indietro da quelli economicamente più forti, se si affievoliscono
quei vincoli di solidarietà su cui si basa la nostra nazione.
Non solo: dal deprecabile centralismo
dello Stato si passa ad un non migliore centralismo delle regioni, le quali,
specie nel meridione d'Italia, non si sono certo distinte per efficienza
o per il perseguimento di un rapporto più stretto con i cittadini,
per tacere del preoccupante abbassamento della soglia di legalità
nell'azione politico-amministrativa, aggravato da una sostanziale assenza
di strumenti di garanzia di cui i cittadini e le opposizioni nelle assemblee
elettive possano utilmente valersi.
Quella che poteva diventare la Repubblica
delle autonomie, incentrata sul rafforzamento del ruolo degli enti locali,
diventa uno Stato « federale», che già in parte vediamo
e che, certo, non fa ben presagire.
PRESIDENTE. Onorevole Cossa, concluda!
MICHELE COSSA. Ora andiamo verso l'inevitabile
referendum e, se vi sarà una bocciatura, come è possibile
che accada, vi sarà l'occasione per intraprendere una nuova riflessione
sia sul metodo che nel merito.
In conclusione chiedo che la Presidenza
autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del
testo integrale della mia dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Onorevole
Cossa, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente
seguiti. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale,
l'onorevole Mazzuca Poggiolini. Ne ha facoltà.
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor
Presidente, a titolo personale ma a nome dei Repubblicani europei, esprimo
la nostra avversità a questa legge che, con cinquanta modifiche,
forza i poteri riconosciuti dall'articolo 138 della Costituzione e, nei
suoi contenuti, mina le fondamenta del sistema repubblicano nato dalla
lotta al fascismo.
Essa attua, infatti, la volontà
di rendere quasi onnipotente il premier, di mortificare il Parlamento,
di zittire il Presidente della Repubblica, di spezzettare l'Italia in tanti
piccoli Stati che nulla hanno a che vedere con la necessaria, migliore
autonomia regionale che, nella scorsa legislatura, forse anche sbagliando,
noi configurammo e che renderanno ineguali i diritti dei cittadini in tutta
Italia.
Quest'aula ha visto i nostri padri costituenti
per lungo tempo impegnati a dotare l'Italia di una Carta repubblicana ampiamente
condivisa, che rappresentasse i diritti dei cittadini, che ne delineasse
i doveri, che apprezzasse le varie culture presenti nel nostro paese, all'interno
di uno Stato rispettoso dei valori democratici, delle garanzie, degli equilibri
istituzionali. Sempre in quest'aula, oggi questa maggioranza, senza alcun
ritegno, ci impone di aderire alla spartizione avvenuta nel centrodestra
sul suo tavolo, in cui come merce di scambio si è trattato dei supremi
valori dello Stato quasi fossero cose private: a te la proporzionale; a
te la devoluzione; a te un premier onnipotente o, meglio, quasi, visto
che la legge elettorale sembra renderlo del tutto ricattabile.
Il nostro sentimento sarebbe oggi quello
di non votare, lasciando tutta a voi della maggioranza la triste responsabilità
di questo scempio, di questo atto che offende i democratici e che, in particolar
modo, colpisce noi, Repubblicani europei, quali eredi di Giuseppe Mazzini,
apostolo e costruttore della Repubblica, dell'unità nazionale, della
civiltà democratica e solidale dell'Italia. Con dolente responsabilità,
invece, abbiamo scelto di restare per dire «no» e per iscrivere
nella storia d'Italia il nostro «no», oggi minoranza, ma domani
alle elezioni politiche e al referendum, maggioranza...
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mazzuca.
Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Perrotta. Ne
ha facoltà. (Commenti dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
ALDO PERROTTA. Signor Presidente,
leggerò esattamente...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi...!
ALDO PERROTTA. .... ciò che disse
Mussi, allora capogruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, quando essi
approvarono la riforma del Titolo V della Costituzione : «È
evidente che si tratta di un grande passo, ma altri ne dovranno seguire;
ci si rimanda a sua volta al tema della riforma del Governo, del meccanismo
con cui le Camere danno la fiducia al Governo, della sfiducia costruttiva,
dell'istituzione per esempio del premierato; se si va avanti su un'ipotesi
di riforma elettorale, per esempio, un'indicazione del premier, che prefigura
un cambiamento, una riforma del Governo è un altro passo che si
può compiere». Vi chiedo, allora: perché oggi tornate
indietro (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza
Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)?
PRESIDENTE. Ha
chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole
Nicolosi. Ne ha facoltà.
NICOLÒ NICOLOSI. Onorevole
Presidente, svolgerò un intervento di sostegno al provvedimento
che stiamo per votare, se pur con le preoccupazioni di un parlamentare
eletto in Sicilia, dove si colgono aspetti, forse più psicologici
che reali, di uno spostamento di interessi e di forze ancora di più
verso il nord.
So che questo nel progetto di legge in
votazione non c'è; so che invece si tratta di un provvedimento corretto,
che contiene elementi positivi. So anche, tuttavia, che dobbiamo adoperarci
per fare in modo che non vi sia la sensazione di un prevalere del nord
nei confronti del sud e che concretamente si realizzino politiche di sostegno
al Mezzogiorno e alla Sicilia.
Il mio rapporto di lealtà verso
la maggioranza ed il Governo, che hanno assunto specifici impegni per l'approvazione
del provvedimento in esame - sul quale, pertanto, non potranno mancare
il mio voto ed il mio sostegno -, sarà completo. Sono leale verso
questa maggioranza: lo sono stato dall'inizio e continuerò ad esserlo
fino alla fine. Quindi, il mio voto sarà convintamente favorevole
(Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici, di Forza Italia,
di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Ha chiesto
di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Savo.
Ne ha facoltà.
BENITO SAVO. Signor Presidente,
voglio solo annunciare il mio voto favorevole su questa riforma per le
tante argomentazioni illustrate in questi anni da tanti politici e studiosi
dell'argomento in termini di ordinamento dello Stato. Però, sono
stato convinto a sostenere la tesi federale dall'opera di Luigi Angeloni
(Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo),
di Frosinone, il quale, ai primi dell'Ottocento, aveva scritto un'opera
politica dal titolo «Sull'ordinamento federale dello Stato».
Nell'opera, l'Angeloni preconizzava la grandezza degli Stati Uniti per
essersi, quella popolazione, data un ordinamento federale; ebbene, il risultato
è sotto i nostri occhi. La nostra riforma dunque salterà
le qualità delle singole comunità italiane, diverse ma in
confronto, le quali saranno spinte verso il progresso nella libertà,
rigettando quanto di negativo sia al loro interno. Il tutto, in una cornice
solidale di italianità, come ci è stata consegnata (Applausi
dei deputati del gruppo di Forza Italia)...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Savo.
Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Falanga. Ne
ha facoltà.
CIRO FALANGA. Signor Presidente,
in verità, durante la prima lettura del provvedimento in questa
Camera, espressi un voto favorevole su questo provvedimento ...
VALENTINA APREA, Sottosegretario di Stato
per l'istruzione, l'università e la ricerca. Traditore!
CIRO FALANGA. Potrei dirvi che ritenevo
che esso si inserisse in un quadro più ampio di strutture dell'organizzazione
dello Stato (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza
Nazionale) ...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per favore...
Prendete posto! Ricordo che dopo questo intervento si procederà
alla votazione.
CIRO FALANGA. Preferisco dire in modo
molto più semplice e umano che sbagliai. Sbagliai perché
mi ingannai; sbagliai perché mi ingannaste (Commenti dei deputati
dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione
Padana)! Oggi, ho l'umiltà di ammettere il mio errore...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, consentite
al collega di proseguire. Onorevoli colleghi! Onorevole Falanga, coraggio!
CIRO FALANGA. Oggi, ritengo di dover avere
l'umiltà di ammettere il mio errore e di dire: sbagliai...
Una voce: Vergogna!
GIACOMO STUCCHI. Venduto!
CIRO FALANGA. Chiedo comprensione perché,
come dicevano i latini, errare humanum est; e, come me, sbagliarono molti
italiani che voteranno, come me, contro di voi (Applausi dei deputati dei
gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, Misto-Comunisti
italiani e Misto-SDI-Unità Socialista - Commenti dei deputati dei
gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione
Padana)!
PRESIDENTE. Sono così esaurite
le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
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TESTO INTEGRALE DELLE DICHIARAZIONI
DI VOTO FINALE DEI DEPUTATI PIERLUIGI MANTINI E MICHELE COSSA SUL DISEGNO
DI LEGGE COSTITUZIONALE N. 4862-C
PIERLUIGI
MANTINI. Illustre Presidente, onorevoli Colleghi!
Il gruppo parlamentare della
Margherita, DL-L'Ulivo e così pure tutto il centrosinistra, ritiene
necessario il completamento della lunga fase di transizione istituzionale
che caratterizza il nostro paese con la convinzione che occorra perseguire
un duplice obiettivo: la realizzazione di un bipolarismo più democratico
e maturo, basato sull'equilibrio dei poteri, ed il completamento di un
federalismo solidale ed efficiente. Di ciò ho già detto in
precedenti interventi e nella relazione introduttiva alla proposta di legge
costituzionale che ho presentato alla Camera il 13 febbraio 2003 (A.C.
3864).
Il Senato federale e il
bicameralismo: il testo della riforma all'esame della Camera dei deputati,
come si afferma nella relazione, conferma la preferenza per un sistema
bicamerale, superando tuttavia il tradizionale «bicameralismo perfetto»,
attraverso l'introduzione di una differenziazione tra le due Assemblee
con riguardo sia alla loro composizione sia alle loro funzioni. In particolare,
la Camera dei deputati muta, soltanto nel numero, passando da seicentotrenta
a cinquecento componenti, oltre i dodici eletti nella circoscrizione Estero.
A riguardo si deve osservare
come il nuovo articolo 56 della Costituzione approvato dal Senato prevedesse,
in realtà, una riduzione dei deputati a quattrocento unità
che, tuttavia, ad una più approfondita valutazione effettuata anche
tenendo conto della composizione numerica delle Assemblee parlamentari
dei paesi dell'Unione europea aventi una dimensione demografica analoga
a quella italiana, si è ritenuta eccessiva, in quanto non in grado
di garantire il dispiegarsi di un'adeguata ed effettiva rappresentanza
degli elettori. Un'analoga correzione è stata apportata, per le
medesime ragioni, anche con riguardo al numero dei senatori, la cui consistenza
numerica, in un primo tempo ridotta dal Senato da trecentoquindici a duecento
unità, è stata successivamente riportata ad un numero pari
a duecentocinquantadue senatori.
Tale ramo del Parlamento,
peraltro, muta la sua denominazione in «Senato federale della Repubblica»,
nell'intento di costituire l'organo costituzionale che connota la scelta
federale del progetto di riforma e l'organo nel quale si intende realizzare
il raccordo tra le potestà normative delle autonomie e dello Stato.
Il nuovo testo dell'articolo
57 della Costituzione dispone che, quanto a modalità di elezione,
i senatori sono eletti su base regionale e che di tale consesso continuano
a fare parte i sei senatori eletti nella circoscrizione estero, unitamente
ai senatori a vita che sono stati Presidenti della Repubblica e a quelli
di nomina presidenziale. Il numero di questi ultimi, tuttavia, non può
essere superiore a tre, come dispone una novella apportata all'articolo
59 della Costituzione.
La connessione tra il sistema
politico delle regioni e quello nazionale, che il testo individua come
elemento che garantisce la «rappresentanza territoriale» dei
senatori, è individuata, in modo discutibile, negli stessi requisiti
richiesti per godere dell'elettorato passivo: in ciascuna regione, infatti,
sono eleggibili a senatore gli elettori che hanno ricoperto o ricoprono
cariche pubbliche elettive in enti territoriali o locali, all'interno della
regione, oppure sono stati eletti deputati o senatori nella regione ovvero
che risiedono nella regione alla data di indizione delle elezioni.
In tale contesto, si è
peraltro ritenuto opportuno procedere, modificando il testo approvato dal
Senato, anche all'allineamento del requisito anagrafico richiesto per l'eleggibilità
a senatore a quello già previsto per l'eleggibilità a deputato,
riducendolo da quaranta a venticinque anni di età. Il sistema elettorale
del Senato, rimesso alla legge dello Stato, deve comunque «garantire
la rappresentanza territoriale da parte dei senatori».
Si prevede inoltre, ed è
la scelta di certo più discutibile, che l'elezione del Senato sia
contestuale con l'elezione dei consigli regionali e che l'eventuale scioglimento
anticipato di uno o più consigli regionali dia vita ad una legislatura
regionale di durata ridotta per garantire che, comunque, il rinnovo del
Senato avvenga contestualmente al rinnovo di tutte le assemblee legislative
delle regioni e delle province autonome.
A completamento di tale
disposizione, la I Commissione ha altresì previsto, introducendo
un nuovo comma al testo dell'articolo 60 della Costituzione, che ove, in
caso di guerra, si proceda alla proroga del Senato, sono prorogati anche
i Consigli regionali in carica. Più in generale, i rapporti tra
Senato federale e dimensione regionale sono sottolineati da varie disposizioni
concernenti l'organizzazione interna e le attività dell'organo,
oltre che dalle norme sul procedimento legislativo e dalla valutazione
delle leggi regionali sotto il profilo dell'interesse nazionale, di cui
si dirà più avanti. Il testo dispone, tra l'altro, che i
Presidenti delle Giunte regionali sono sentiti ogni volta che ne facciano
richiesta e, reciprocamente, che anche i senatori espressi da una regione
hanno il diritto di essere sentiti dal rispettivo consiglio regionale.
Si prevede altresì che le proposte di legge presentate da più
regioni in coordinamento tra loro sono poste all'ordine del giorno della
Camera competente entro i termini stabiliti dal proprio regolamento e che
il Senato federale esprima il parere sullo scioglimento
del Consiglio regionale e sulla rimozione del Presidente della Giunta regionale,
ai sensi dell'articolo 126 della Costituzione. Viene soppresso conseguentemente,
il riferimento costituzionale alla Commissione parlamentare per le questioni
regionali.
Infine, rispetto all'articolato
licenziato dal Senato, dal nuovo testo dell'articolo 57 della Costituzione
è stato espunto il sesto comma, recante la disposizione riferita
al mantenimento di rapporti di reciproca informazione e collaborazione
tra i senatori e gli organi della corrispondente regione.
Va comunque rilevato come
rappresentanti delle regioni, pur non facendo parte della composizione
ordinaria del Senato federale, concorrono comunque ad eleggere i componenti
di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale di spettanza di
tale organo. Basti in proposito pensare all'elezione del Presidente della
Repubblica, che è rimessa all'apposita «Assemblea della Repubblica»,
composta dai componenti delle due Camere ed integrata dai Presidenti delle
Giunte regionali e da un numero variabile di delegati eletti dai Consigli
regionali anche in rappresentanza degli enti locali. I Presidenti delle
Giunte delle regioni e delle province autonome sono inoltre chiamati ad
integrare il Senato federale in occasione dell'elezione di quattro giudici
della Corte costituzionale e di un sesto dei membri del Consiglio superiore
della magistratura.
In relazione a tale adempimento
va, tuttavia, segnalata una rilevante modifica introdotta dalla I Commissione
rispetto al testo degli articoli 104 e 135 della Costituzione approvato
dall'altro ramo del Parlamento, atteso che è stata riportata anche
in capo alla Camera dei deputati la competenza in materia di elezione dei
membri di tali organi che, secondo la Costituzione vigente, spetta al Parlamento
in seduta comune. Quanto alle modalità di funzionamento delle Camere,
rispetto al nuovo testo dell'articolo 64 della Costituzione approvato dal
Senato, si è inteso uniformare il quorum per l'approvazione dei
regolamenti parlamentari, che è ora pari, per entrambe le Assemblee,
alla maggioranza assoluta dei componenti, con la conseguenza di ripristinare
quanto attualmente già previsto in proposito dalla vigente Carta
costituzionale. Più in generale, in sede referente si è voluta
espungere l'ulteriore differenziazione che il Senato aveva introdotto con
riferimento alla validità delle deliberazioni delle due Assemblee,
non essendo più prevista a tale fine la presenza dei due quinti
dei componenti del Senato. Resta quindi confermato l'ordinario requisito
della presenza della maggioranza dei componenti per la validità
delle deliberazioni, che viene tuttavia corretto dall'ulteriore vincolo
della necessaria presenza di senatori espressi da almeno un terzo delle
regioni.
In ordine alle disposizioni
riconducibili al cosiddetto «statuto dell'opposizione», in
linea generale si è ritenuto opportuno non irrigidire, tramite un'apposita
menzione nella Carta costituzionale, il rinvio ai regolamenti parlamentari
per la previsione delle modalità di iscrizione all'ordine del giorno
di proposte e iniziative indicate dalle opposizioni, con riserva di tempi
e previsione del voto finale, specificando altresì che la riserva
in favore dei gruppi di opposizione della presidenza delle Commissioni
cui sono attribuiti compiti ispettivi, di controllo o di garanzia non ricomprende
la Commissione mista paritetica e il Comitato paritetico, rispettivamente
disciplinati dai commi terzo e quarto del nuovo testo dell'articolo 70
della Costituzione.
Un ulteriore intervento
correttivo rispetto al testo approvato dall'altro ramo del Parlamento,
ha riguardato la soppressione della disposizione che rimetteva al regolamento
del Senato federale la garanzia dei diritti delle minoranze, in considerazione
del fatto che tale Assemblea non è configurata come una «Camera
politica».
Resta ferma comunque l'introduzione
della figura del «Capo dell'opposizione», le cui prerogative
e la cui modalità di elezione dovranno essere definiti dal regolamento
della Camera dei deputati. Con riferimento ad entrambe le Camere, resta
confermato il divieto di mandato imperativo, benché
anche l'articolo 67 della Costituzione sia oggetto di una novella che è
volta a precisare che «ogni deputato o senatore rappresenta la Nazione
e la Repubblica». Quanto al giudizio sui titoli di ammissione dei
deputati e dei senatori, il nuovo testo dell'articolo 66 della Costituzione
dispone che la Camera di appartenenza adotti le relative deliberazioni
a maggioranza dei propri componenti, in luogo del quorum dei tre quinti
dei componenti previsto dal testo approvato dal Senato, per la sola Camera
dei deputati.
Passando ad esaminare le
disposizioni concernenti il procedimento legislativo, deve premettersi
che anche le modifiche apportate all'articolo 70 della Costituzione sono
dirette alla già menzionata finalità consistente nel superamento
del cosiddetto bicameralismo perfetto, in virtù del quale ciascun
progetto di legge deve essere approvato, in eguale testo, da entrambi i
rami del Parlamento.
Il testo in esame introduce
infatti nell'ordinamento, accanto alle leggi approvate con procedimento
bicamerale (anch'esse abbreviate nella procedura), leggi statali a carattere
monocamerale, approvate cioè da uno solo dei due rami del Parlamento.
È prevista bensì la possibilità, per l'altro ramo
del Parlamento, di richiamare presso di sé il progetto di legge
e di proporvi modifiche; ma i termini per questa fase eventuale sono ristretti
(e dimezzati per le leggi di conversione di decreti-legge) e sulle modifiche
proposte, in ogni caso, decide in via definitiva la Camera competente.
Al fine di individuare la Camera competente, vige un criterio sostanzialmente
mutuato dalla ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e
le regioni dettata all'articolo 117 della Costituzione. In linea di massima,
infatti, la Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti
le materie di cui al secondo comma di tale articolo, quelle cioè
nelle quali lo Stato ha legislazione esclusiva. Il Senato federale, invece,
approva i disegni di legge concernenti la determinazione dei principi fondamentali
nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, nelle quali la potestà
legislativa dello Stato concorre con quella delle regioni.
Per determinate materie
di particolare rilievo resta, tuttavia, ferma la procedura bicamerale.
A tale proposito, va comunque precisato che per assicurare maggiore celerità
ai lavori parlamentari, evitando il tradizionale fenomeno della navette,
si prevede che, ove un progetto di legge non sia approvato, dopo una prima
lettura, da entrambe le Camere nel medesimo testo, i Presidenti delle due
Assemblee convocano una Commissione mista paritetica incaricata di redigere,
in ordine alle disposizioni controverse, un testo che non è emendabile
e che è sottoposto al voto delle due Assemblee.
Il procedimento bicamerale
si applica all'esame dei disegni di legge concernenti: la perequazione
delle risorse finanziarie, le materie di cui all'articolo 119 della Costituzione,
la tutela della concorrenza, le funzioni fondamentali di comuni, province
e città metropolitane, il sistema elettorale di Camera e Senato
e una serie di casi, partitamente elencati, in cui la Costituzione fa espresso
rinvio alla legge dello Stato o della Repubblica. Il medesimo procedimento
legislativo si applica anche ad altre materie previste in vari parti del
nuovo testo costituzionale (determinazione dei casi di ineleggibilità
ed incompatibilità con il mandato parlamentare; indennità
spettante ai membri delle Camere; principi in materia di esercizio del
potere sostitutivo di atti delle regioni). Quanto alle modifiche introdotte
dalla Commissione in materia di procedimento legislativo, è stato
in primo luogo disposto che l'esame dei disegni di legge concernenti il
coordinamento di cui all'articolo 118, terzo comma primo periodo, sia di
competenza della Camera dei deputati. La novità di maggiore rilievo
riguarda tuttavia il procedimento legislativo cosiddetto «a prevalenza
Senato», rispetto al quale è stato previsto che laddove il
Governo dichiari che le modifiche proposte dalla Camera dei deputati sono
essenziali per l'attuazione del suo programma e tali modifiche siano state
approvate ai sensi dell'articolo 94, secondo comma,
il disegno di legge è approvato dalla Camera dei deputati in via
definitiva con le modifiche proposte, salvo che entro trenta giorni dalla
data di trasmissione del disegno di legge, il Senato federale deliberi
di non accogliere le modifiche con la maggioranza dei tre quinti dei propri
componenti. Tenuto conto che l'unica Assemblea con la quale il Governo
intrattiene un rapporto fiduciario è la Camera dei deputati, la
disposizione da ultimo citata ha inteso riconoscere a tale Assemblea la
possibilità di divenire la sede decisionale di ultima istanza anche
con riferimento a materie ricomprese nell'ambito della competenza prevalente
del Senato ma che possono essere di particolare rilevanza ai fini dell'attuazione
del programma di Governo.
Tra le ulteriori modifiche
introdotte dalla Commissione in materia di procedimento legislativo è
da segnalare l'inclusione, nell'ambito delle materie su cui la funzione
legislativa è esercitata con procedimento bicamerale, anche dei
disegni di legge concernenti la determinazione dei principi fondamentali
sull'armonizzazione della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e
le norme generali sulla tutela della salute. Contestualmente, sono stati
invece esclusi dall'esame bicamerale i progetti di legge concernenti l'esercizio
dei diritti fondamentali di cui agli articoli da 13 a 21 della Costituzione.
Occorre rilevare che le
questioni che possono sorgere tra le due Camere in ordine alla competenza
per l'esame di progetti di legge sono decise, d'intesa fra di loro, dai
Presidenti delle due Assemblee, i quali possono anche deferire la decisione
ad un Comitato paritetico, composto da quattro deputati e da quattro senatori,
designati dai Presidenti stessi proporzionalmente alla composizione delle
due Camere.
La decisione adottata non
è sindacabile. In proposito, si fa presente che una ulteriore modificazione
apportata in sede referente all'articolo 13 riguarda la soppressione della
parola «legislativa», al fine di estendere l'area di insindacabilità
sulle questioni di competenza, anche alla luce del più generale
principio di insindacabilità degli interna corporis acta.
Senato federale e rappresentanza
territoriale: una questione controversa.
La riforma dei bicameralismo
e la questione del Senato federale sono considerate un punto chiave dell'intera
riforma; l'adeguamento del sistema bicamerale è infatti ritenuto
necessario per razionalizzare la forma di Governo e il sistema delle autonomie
territoriali
Dalla gran parte degli interventi,
tuttavia, emergono perplessità circa la denominazione e la natura
dell'istituendo Senato federale, ritenendosi che tale organo, come delineato
dal progetto di riforma, non realizzi una reale rappresentanza dei territori
pur avendo poteri molto più forti delle Camere territoriali previste
da altri ordinamenti A tal riguardo, si è osservato che per proseguire
nella strada del forte decentramento già preconizzato dalla nostra
Costituzione, l'esperienza del diritto comparato insegna che occorre prevedere
una maggiore partecipazione e integrazione del sistema delle autonomie
territoriali nei processi decisionali dello Stato.
I congegni di collegamento
approntati dal progetto di riforma (requisiti di eleggibilità dei
senatori, contestualità dell'elezione, rapporti di informazione
e collaborazione...) appaiono invece inadeguati a raggiungere lo scopo,
tanto che nei casi in cui si vuole coinvolgere effettivamente la dimensione
territoriale (esempio, elezione del Presidente della Repubblica, di membri
del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale)
viene prevista l'integrazione del Senato con rappresentanti regionali.
Per perseguire il fine della
reale rappresentanza dei territori occorrono rappresentanze territoriali
dirette, o elette direttamente dalle regioni, o costituite di persone che
siano in carica presso le regioni. Anche se il modello Bundesrat non trova
praticabilità nel nostro ordinamento, l'analisi comparata dimostra
che nei modelli di rappresentanza elettiva degli enti territoriali
(USA, Svizzera) è molto difficile ancorare il Senato a un ruolo
di interpretazione delle esigenze locali, poiché la rappresentanza
tende a divenire di tipo nazionale.
Una proposta avanzata è
quella di realizzare la compresenza nella stessa persona di due mandati
contestuali, regionale e nazionale: ciò al fine di assicurare che
ci sia davvero la rappresentazione degli orientamenti locali. Ovviamente,
il Senato così composto non potrebbe più essere il custode
dell'interesse nazionale (la funzione passerebbe alla Camera).
Può essere interessante
il modello proposto in Spagna: una rappresentanza di consigli e giunte
attraverso l'elezione di tre rappresentanti, di cui uno della minoranza.
In tal caso occorre però tentare di salvaguardare il voto unitario
della delegazione regionale.
Volendo mantenere il sistema
dell'elezione diretta, il Senato potrebbe comunque essere «più
federale» prevedendo, ad esempio, la presenza dei Presidenti delle
Giunte regionali come membri di diritto: si tratterebbe di un'integrazione
numericamente debole, ma politicamente molto forte. Una tale proposta tuttavia
lascia perplesso chi ne sostiene la scarsa praticabilità (per ragioni
di tempo: «nessuno ha il dono dell'ubiquità») e l'inopportunità,
poiché potrebbe dar vita a due specie di senatori: di serie «A»,
i governatori, e di serie «B», quelli elettivi.
Un'ulteriore proposta prevede
l'abbandono della soluzione della seconda Camera integralmente regionale
per perseguire il modello della composizione mista (con senatori elettivi
e veri e propri rappresentanti regionali) che ne faccia una Camera di conciliazione
tra Stato e regioni sul modello delle Conferenze o della «bicameralina».
In questo quadro, si potrà ipotizzare che i senatori di estrazione
politica siano anche associati istituzionalmente ai deputati nello svolgimento
di funzioni legate all'indirizzo politico.
Vi è inoltre chi
propone di mantenere il Senato «così com'è» e
di individuare alcuni processi decisionali importanti ai fini degli interessi
regionali in cui coinvolgere e integrare i presidenti delle regioni. Tali
momenti deliberativi importanti potrebbero riguardare, ad esempio, la distribuzione
delle risorse (articolo 119 della Costituzione) e le materie di cui al
terzo comma dell'articolo 117.
Ci si potrebbe anche orientare
verso un sistema nel quale facciano parte della seconda Camera anche i
rappresentanti delle altre autonomie locali, considerato che la singolarità
del nostro ordinamento è quella di avere forti autonomie locali.
Ciò tanto più che con la riforma del Titolo V (confronta
articoli 114, 116, 118) i diversi enti territoriali si collocano sullo
stesso piano. Di opinione contraria è chi sostiene l'impraticabilità
di rappresentare nel Senato articolazioni territoriali che non abbiano
competenza legislativa.
Certo è che se il
Senato non riuscirà a divenire sede di mediazione tra Stato e autonomie,
ancora maggiore sarà la funzione svolta in tal senso della Conferenza
Stato-regioni, con il rischio di costruire un sistema istituzionale barocco
e bizzarro. Infatti, poiché vi è necessità di un organo
che sia sede di raccordo e concertazione tra il legislatore nazionale e
i legislatori regionali (tanto più avendo disegnato un certo tipo
di ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni), un Senato
così congegnato produrrebbe l'effetto di far «emigrare»
tale esigenza altrove, ovvero verso le Conferenze, che hanno ottenuto dei
risultati certamente positivi. Occorre costituzionalizzare un meccanismo
di governance che si richiami al sistema delle conferenze.
Con riguardo a profili ulteriori
e collegati, se l'obiettivo è anche quello di fare del Senato federale
un organo di contrappeso (non di «garanzia», poiché
un organo politico quale quello delineato non può essere tale) rispetto
al centralismo nei confronti delle autonomie, da un lato, e al continuum
Camera-Governo, dall'altro, risaltano comunque alcune incongruenze. Ad
esempio, l'esclusione del Senato federale nella determinazione dei livelli
essenziali dei diritti rimessa, in quanto competenza legislativa esclusiva
statale, alla legge unicamerale della Camera dei deputati: si osserva,
infatti, a tal proposito che la determinazione di tali livelli è
trasversale rispetto alle competenze regionali e dovrebbe chiamare in causa
il Senato quale contrappeso rispetto ad indirizzi troppo centralistici.
La proposta al riguardo è di includere tale materia tra quelle disciplinate
dalle leggi bicamerali.
Rappresentanza territoriale
e vincolo di mandato: vi sono, in via generale, perplessità circa
la nuova formula dell'articolo 67 secondo la quale i deputati e i senatori
rappresentano «la Nazione e la Repubblica». Si richiede una
maggior chiarezza su questi concetti, che potranno far sorgere enormi problemi
interpretativi. Si propone, in alternativa, la formula per cui «ogni
parlamentare esercita le proprie funzioni senza vincolo di mandato».
Si critica inoltre l'aver
raccordato in qualche modo i senatori con i territori regionali per poi
averli resi, con l'assenza di vincolo di mandato, rappresentativi dell'intera
Nazione e Repubblica. L'incongruenza sta anche nell'aver previsto che i
senatori debbano sentire i rappresentanti delle regioni su tutte le materie
dell'articolo 70 loro rimesse, definendo essi stessi nel Regolamento le
modalità, e per di più chiarendo che essi siano sentiti dopo
aver udito i rappresentanti delle autonomie locali. Risulta difficile interpretare
questo complesso meccanismo alla luce dell'assenza di un vincolo di mandato.
Composizione e organizzazione
del Senato federale: Il progetto di riforma non assegna un numero paritario
(o comunque con bassa escursione tra i seggi) di rappresentanti a ciascun
ente indipendentemente dalla consistenza demografica, tecnica che invece
costituisce un classico dispositivo di federalizzazione. Pertanto, in base
a prime proiezioni compiute dagli studiosi, potranno verificarsi degli
eccessivi scarti di rappresentanza, con casi di regioni con un seggio (Valle
d'Aosta) e regioni con 22/23 seggi (Lombardia). Ai «fini del federalismo»,
sarebbe stata migliore una scelta più paritaria di rappresentanti
per regione.
La presenza dei senatori
della circoscrizione Estero è ritenuta difficilmente comprensibile,
come anche quella dei senatori a vita: sembrano indizi di uno scarso tasso
di federalismo del Senato.
Si rileva la necessità
di modificare il quorum strutturale di cui all'articolo 64, terzo comma,
in base al quale per la validità delle deliberazioni del Senato
federale occorre la presenza di due quinti dei componenti. La proposta
è di aumentarlo ad almeno la maggioranza.
Con riferimento alla formulazione
dell'articolo 66 è stato fatto osservare che mentre per la Camera
dei deputati l'insussistenza del titolo o la sussistenza di cause sopraggiunte
di ineleggibilità o di incompatibilità dei parlamentari sono
accettate con deliberazione adottata a maggioranza dei tre quinti dei componenti
l'Assemblea, per il Senato federale si richiede la maggioranza dei componenti.
Occorrerebbe, inoltre, sciogliere
le incomprensioni che derivano dalla «criptica formula» secondo
cui il Senato è organizzato in Commissioni anche con riferimento
a quanto previsto dall'articolo 117, ottavo comma, della Costituzione (comma
relativo alle intese tra regioni).
Il sistema di elezione e
la contestualità: Se si intende dare al Senato federale un volto
costituzionalmente preciso di contrappeso istituzionale, anche per evitare
duplicazioni rispetto alla Camera, è auspicabile indicare con maggiore
precisione quali principi di rango costituzionale debbano guidare la relativa
legge elettorale.
La contestualità
è ritenuta l'elemento più significativo ai fini del collegamento
del Senato con le regioni, perché significa legare insieme i momenti
elettorali; tuttavia non appare uno strumento sufficiente per fare in modo
che queste si sentano rappresentate, tanto più che non vi è
un vincolo di mandato, e considerato inoltre che la «contestualità
affievolita» è un paradosso.
È opinione molto
diffusa che la contestualità subordini le elezioni regionali a quelle
del Senato e determini un «paradossale» effetto di schiacciamento
del consiglio regionale in caso di suo scioglimento anticipato, per la
compressione della durata della nuova legislatura regionale necessaria
per garantire la contestualità con la successiva elezione del Senato.
Per altri, la contestualità
con le elezioni regionali potrebbe utilmente attrarre il Senato verso le
regioni, tuttavia il meccanismo della contestualità affievolita,
con la forzosa unificazione delle elezioni, è molto complicato da
applicare, e neanche le norme transitorie riescono ad operare efficacemente,
tanto che esiste il rinvio a una futura legge che dovrà chiarire
il funzionamento di tale istituto.
Volendo valorizzare effettivamente
la dimensione regionale, si suggerisce allora di far decadere i senatori
eletti nella singola regione nel momento in cui vi sia uno scioglimento
del Consiglio regionale, con successiva rielezione. In questo modo, se
decade il consiglio regionale si revoca la sua rappresentanza al Senato
e si produce l'effetto di avere una maggioranza sempre diversa rispetto
all'altra Camera, il che potrebbe garantire un buon equilibrio ai fini
dei rapporti tra regioni e Stato.
Il procedimento legislativo
tra leggi monocamerali e leggi bicamerali: la competenza della legge monocamerale
del Senato è ritenuta in via generale di eccessiva ampiezza. Essa,
infatti, riguarda la fissazione dei principi fondamentali della legislazione
regionale che implicano una piena valutazione politica nel rapporto centro/autonomie
in merito a quali debbano essere tali principi. Secondo alcuni, in tale
ambito deve essere maggiormente coinvolta la Camera dei deputati (non solo
col debole diritto di richiamo); secondo altri, sarebbe opportuno precisare
che il Senato è competente per le leggi che disciplinano non genericamente
l'esercizio, quanto piuttosto il contenuto essenziale dei diritti fondamentali.
Alcune competenze del Senato
vanno circoscritte e non si comprende l'attribuzione a tale organo della
materia della tutela della concorrenza, che può incidere profondamente
sulla politica economica nazionale.
È eccessivamente
intricato il sistema delle competenze di Camera e Senato per l'approvazione
dei testi di legge in materia finanziaria. Il Senato deve ricoprire un
ruolo nei confronti di leggi che trattano della finanza relativa agli enti
territoriali (come fa il Bundesrat).
È stato proposto
di includere tra gli argomenti oggetto delle leggi bicamerali che riguardano
la disciplina dei diritti fondamentali, civili e la libertà di concorrenza
anche i diritti sociali (lavoro, previdenza, salute e istruzione). Tale
assenza, infatti, sarebbe problematica in uno Stato con disposizioni sociali
come quelle della Parte prima della Costituzione.
Inoltre, si è segnalato
un problema di coordinamento tra la materia dei diritti civili fondamentali
(oggetto di leggi bicamerali) e la formula dell'articolo 117, secondo comma,
lettera m), per cui, quando si tratta dei livelli essenziali di tali diritti,
emerge una competenza unicamerale della Camera dei deputati. Si propone
pertanto di intervenire sulle sovrapposizioni tra articoli 70, terzo comma
e 117, secondo comma, lettera m).
Le questioni di competenza:
la costruzione della funzione legislativa su una base materiale competenziale
tra Camera e Senato è considerata foriera di «infiniti conflitti»
e di possibile «blocco istituzionale». Sulla qualificazione
delle leggi (se monocamerali a prevalenza della Camera o del Senato, necessariamente
bicamerali ed eventualmente bicamerali) potranno nascere conflitti non
più solo tra enti territoriali ma addirittura tra i due rami del
Parlamento. Infatti, ai sensi del progetto di riforma la decisione sulla
competenza adottata dai Presidenti delle Camere e, eventualmente, dal Comitato
paritetico di conciliazione, non è sindacabile in sede legislativa
ma lo sarebbe in sede giurisdizionale. Se l'intento era quello di spezzare
il bicameralismo perfetto, in tal modo si è dato vita a una diarchia
parlamentare estremamente conflittuale cui occorre porre rimedio poiché
si accompagnerà a contenziosi, diversità interpretative e,
quindi, a scarsa funzionalità.
Un'ulteriore questione deriva
dal fatto che il Senato ha una composizione politica diversa da quella
della Camera dei deputati, perché viene eletto in tempi diversi
e perché diverso potrebbe essere il sistema elettorale.
In presenza di maggioranze politiche diverse nei due rami del Parlamento
vi è un grave rischio di stallo decisionale, anche perché
le competenze attribuite al Senato sono molto ampie.
Le criticità che
scaturiscono dalla configurazione del riparto della funzione legislativa
tra le due Camere, sono state oggetto di diverse riflessioni propositive:
sulla gran parte delle leggi, la Camera dei deputati, che intrattiene il
rapporto fiduciario con il Governo, deve poter decidere in ultima istanza;
si potrebbe adottare un tipo di legislazione concorrente sul modello tedesco,
attribuendone le competenze alla Camera; occorre attribuire una preminenza
di decisione alla Camera dei deputati per le leggi necessarie all'attuazione
del programma di Governo: ad esempio, in caso di stallo o di orientamento
contrario a quelle leggi, la decisione spetterà alla Camera (magari
a maggioranza qualificata, o assoluta); oppure, nel caso in cui il Primo
ministro dichiari l'essenzialità per l'attuazione del programma
di governo di un certo provvedimento, questo diviene di competenza prevalente
della Camera; si potrebbe eliminare la legge a competenza prevalente del
Senato, che non esiste in altri sistemi federali, ove le due categorie
tipiche sono la legge a prevalenza della Camera politica e la legge paritaria;
occorre ridurre il numero delle leggi bicamerali.
In relazione alla possibile
presentazione di conflitti di competenza, vi è chi ipotizza un'intesa
tra i Presidenti di Assemblea che sia preliminare al momento di presentazione
del testo del disegno di legge, per evitare che sorgano conflitti alla
fine del procedimento. Secondo altri, occorrerebbe prevedere che una volta
risolta internamente alle Camere (dai Presidenti o attraverso il comitato
di conciliazione), la questione di competenza non sia più sollevabile
di fronte alla Corte costituzionale, onde evitare le numerose eccezioni
di incostituzionalità per vizio del procedimento che senz'altro
sarebbero sollevate nel corso dei processi.
Le competenze del Senato
federale e i riflessi sulla forma di governo: l'ampiezza dei poteri del
Senato federale costituisce, secondo più di un intervenuto, «l'anomalia
di fondo» del progetto di riforma e non è coerente con il
rafforzamento del Governo e del Primo ministro che pur si vuol perseguire;
infatti, il modello di un Senato con competenza prevalente - cioè
di ultima istanza - su tutte le materie dell'articolo 117, terzo comma,
sicuramente rilevanti per il programma di Governo, sembra fortemente scontrarsi
con le esigenze della governabilità.
Non essendovi né
rapporto di fiducia né potestà di scioglimento, il Governo
si troverebbe in una posizione di inferiorità, al Senato, su terreni
molto importanti e non potrebbe assicurare la stabilità e l'efficacia
dell'indirizzo politico nazionale.
Anche il potere del Governo
di porre una sorta di questione di fiducia alla Camera per rendere bicamerali
le leggi monocamerali del Senato è troppo limitato a casi specifici
e impegnerebbe eccessivamente la fiducia al Governo.
Non si comprende inoltre
perché il Governo dovrebbe essere costretto a presentare un disegno
di legge in attuazione del suo programma a una Camera non legata da rapporto
fiduciario o dove potrebbe esserci una maggioranza ostile. Il rischio è
che per governare si ricorra a circuiti decisionali esterni, il cui esito
potrà essere non una legge, ma regolamenti o atti non normativi;
o che ci sia una spinta verso una «consociazione tra istituzioni»,
in cui il Governo deve costantemente contrattare l'attuazione dei proprio
indirizzo politico con il Senato.
Inoltre, la distribuzione
delle competenze tra Camera dei deputati e Senato provoca un risultato
paradossale per cui la titolarità del rapporto fiduciario indebolisce
la Camera e rafforza il Senato.
Occorre pensare a correzioni
del testo per raggiungere l'equilibrio necessario per assicurare al circuito
rappresentativo dello Stato una sufficiente unità di intenti e di
azione, e a tal riguardo sono stati forniti alcuni suggerimenti di varia
natura: o si sceglie un'ipotesi che rafforzi la governabilità -
con riduzione delle competenze del Senato - oppure si ritorna all'idea,
che è ormai un'anomalia italiana, delle due
Camere entrambe con potere fiduciario e quindi scioglibili; se il Senato
è una camera politica, e non delle regioni, allora essa deve essere
inserita nel circuito politico e occorre ridurne le competenze; o si ritorna
alla Camera politica e si crea una differenziazione funzionale che renda
più spediti i lavori, o bisogna cercare di rafforzare il legame
con i territori (con la presenza dei Presidenti delle regioni) e fare in
modo che in certi casi si possa procedere allo scioglimento anticipato
dell'organo, salva comunque la prevalenza della decisione della Camera
nei casi di stallo; occorre reintrodurre, almeno su certe materie, un meccanismo
fiduciario e comunque porre strumenti di deterrenza in capo al Governo.
Vi è, infine, il
problema degli atti di indirizzo del Senato, che la riforma non circoscrive
né collega alle competenze legislative dell'organo: potrebbe pertanto
verificarsi che il Senato esamini mozioni o risoluzioni in tema di politica
estera contrastanti con atti dello stesso tipo approvati dalla Camera.
Emendamenti migliorativi
del centrosinistra: sulla composizione del Senato federale è stato
proposto, dai gruppi del centrosinistra, il seguente emendamento: «Il
Senato federale della Repubblica è eletto a suffragio universale
e diretto su base regionale. Nessuna Regione può avere un numero
di senatori inferiore a cinque; il Trentino-Alto Adige/Südtirol ne
ha tre per ciascuna Provincia autonoma; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta/Vallée
d'Aoste uno. Le regioni con più di un milione e fino a tre milioni
di abitanti hanno sei seggi; le regioni con più di tre e fino a
cinque milioni di abitanti hanno sette seggi; le regioni con più
di cinque e fino a sette milioni di abitanti hanno otto seggi; le regioni
con più di sette milioni di abitanti hanno nove seggi. Le elezioni
dei senatori si svolgono, in ogni Regione e nelle Province autonome di
Trento e Bolzano, contestualmente alle elezioni dei rispettivi Consigli,
in data comunque diversa dalle elezioni per la Camera dei deputati.
Il Senato federale della
Repubblica è integrato da rappresentanti delle regioni e delle autonomie
locali, che partecipano alla sua attività senza diritto di voto.
Ogni Consiglio regionale e ogni Consiglio delle autonomie locali eleggono
un proprio rappresentante all'inizio di ogni legislatura regionale. Per
la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol i Consigli delle Province
autonome ed i rispettivi Consigli delle autonomie locali eleggono ciascuno
un proprio rappresentante. Sono disciplinati con legge dello Stato i modi
di reciproca informazione e collaborazione tra i senatori eletti nella
regione, il Consiglio regionale e il Consiglio delle autonomie locali».
E ancora: «L'articolo
58 della Costituzione è sostituito dal seguente: Articolo 58. Sono
eleggibili a senatori tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni
hanno compiuto i venticinque anni di età e che risiedono da almeno
centottanta giorni nella Regione.
Dopo l'articolo 58 della
Costituzione è inserito il seguente: Articolo 58-bis. La legge disciplina
le forme del finanziamento delle campagne elettorali, ne assicura la trasparenza
e fissa i limiti delle spese elettorali, garantisce ai candidati, ai partiti,
alle coalizioni tra partiti e agli altri soggetti presentatori di liste
di candidati condizioni di parità nell'accesso al sistema, pubblico
e privato, delle comunicazioni di massa. La legge disciplina altresì
le modalità e i termini della presentazione e della pubblicazione
del programma elettorale e del nome del candidato proposto per la Presidenza
del Consiglio dei ministri unitamente a ciascuna lista di candidati alle
elezioni politiche. La legge stabilisce inoltre disposizioni idonee a prevenire
l'insorgere di conflitti tra gli interessi privati di chi accede ad uffici
pubblici e a cariche elettive e gli interessi generali che il pubblico
ufficiale deve tutelare. In ogni caso, non possono ricoprire uffici pubblici
né sono eleggibili a cariche elettive coloro che detengono la proprietà
o hanno il controllo, anche indiretto, di mezzi di comunicazione di massa
diffusi nell'area interessata».
Sul procedimento legislativo
il principale emendamento è il seguente: «La funzione legislativa
è esercitata collettivamente dalle due Camere per i disegni di legge
di revisione della costituzione, per gli altri disegni di legge costituzionale,
per i disegni di legge di cui al terzo comma dell'articolo 116 e per quelli
in materia di perequazione finanziaria di cui al terzo e quinto comma dell'articolo
119.
I disegni di legge nelle
materie assegnate alla competenza esclusiva dello Stato sono esaminati
ed approvati dalla Camera dei deputati. Dopo l'approvazione da parte della
Camera dei deputati, tali disegni di legge sono trasmessi ai Senato federale
della Repubblica, il quale, su richiesta di due quinti dei suoi componenti,
formulata entro dieci giorni dalla trasmissione, li esamina e delibera
entro i successivi 30 giorni. Qualora il Senato non approvi o introduca
emendamenti al disegno di legge, questo torna all'esame della Camera dei
deputati, che si pronuncia definitivamente.
Qualora il Senato non proponga
modifiche entro i termini previsti, la legge è promulgata ai sensi
degli articoli 73 e 74.
I disegni di legge nelle
materie di cui all'articolo 117, terzo comma, e di cui agli articoli 117,
secondo comma, lettere m) e p), 117, quinto e nono comma, 118, secondo
e terzo comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, nonché in materia
di sistema di elezione del Senato, sono esaminati dalla Camera dei deputati.
Essi vengono quindi trasmessi al Senato, il quale li esamina e delibera
entro 60 giorni dalla trasmissione. Qualora il Senato non li approvi o
introduca emendamenti, i disegni di legge tornano all'esame della Camera,
la quale li approva definitivamente, pronunciandosi a maggioranza assoluta
dei componenti. Qualora, a maggioranza dei tre quinti dei componenti, il
Senato non approvi o introduca emendamenti ai disegni di legge, si applicano
le disposizioni di cui al primo comma, relativamente alle parti di cui
il Senato abbia in tal modo rifiutato l'approvazione. Qualora il Senato
non proponga modifiche entro i termini previsti, la legge è promulgata
ai sensi degli articoli 73 e 74. I disegni di legge che contengano disposizioni
relative a materie per cui si dovrebbero applicare procedimenti diversi
sono approvati secondo quello più aggravato.
I termini per l'esame da
parte del Senato dei disegni di legge di conversione dei decreti legge
sono ridotti a quindici giorni.
Per le leggi di autorizzazione
alla ratifica dei trattati internazionali e per le relative norme di esecuzione
si applicano i procedimenti previsti per le materie cui i trattati si riferiscono».
Un modello, quello descritto,
diverso da quello approvato e che, per quanto suscettibile anche di soluzioni
diverse, corregge almeno i principali problemi aperti dal nuovo bicameralismo
«più che imperfetto».
Rilievi critici sul Senato
cosiddetto federale e il procedimento legislativo.
Alla luce delle considerazioni
svolte, appare evidente che il modello di Senato che emerge dal testo approvato
in nulla corrisponde ad un Senato «federale».
In primo luogo, non vi è
alcuna vicinanza ai modelli di ordinamenti federali conosciuti: quello
tedesco, basato sul criterio della designazione dei rappresentanti regionali,
e quello statunitense, basato invece sull'elezione paritaria da parte dei
singoli Stati.
In secondo luogo, è
evidente che il criterio della «contestualità elettorale con
rappresentanza proporzionale» (agli abitanti delle singole regioni)
dà luogo più ad una «nazionalizzazione delle elezioni
regionali» che ad una «regionalizzazione del Senato».
Occorre inoltre esprimere
un giudizio critico, e molto severo, sulla disciplina del procedimento
legislativo che è scritta in forma regolamentare, a dimostrazione
dell'assoluta farraginosità e impraticabilità tecnica.
È qui sufficiente
richiamare quella dottrina che ha affermato che «all'estromissione
del Senato dal circuito fiduciario con il Governo non corrisponde infatti
una sua più spiccata connotazione in senso territoriale, ma anzi
una più accentuata fisionomia politica, perchè
le competenze che gli sono attribuite sono talmente rilevanti, sia quantitativamente
che qualitativamente, da incidere praticamente su tutte le questioni che
investono l'indirizzo governativo, rendendo il ruolo del Senato come sede
di concertazione con le autonomie territoriali del tutto subalterno rispetto
a quello ben più assorbente di contrappeso politico nei confronti
del Primo ministro.
La stessa filosofia sembra
ispirare il primato accordato al Senato nella legislazione concorrente,
nonchè il potere ad esso affidato di proporre l'annullamento di
una legge regionale per contrasto con il riesumato interesse nazionale».
Come è agevole rilevare «si tratta di due competenze cui è
in vero sottesa un'imprescindibile esigenza di tutela dell'uniformità
del sistema, che in nessun ordinamento federale viene soddisfatta dalla
Camera che rappresenta la diversità, ma da quella che rappresenta
l'unità: non se ne spiega allora l'esclusiva attribuzione al Senato,
se non interpretandola come l'ennesimo indizio della sua solo apparente
riconversione territoriale»
Con specifico riferimento
al procedimento legislativo poi, accanto alle tradizionali leggi bicamerali
è introdotta, come noto, una duplice tipologia di leggi monocamerali:
leggi a preferenza Camera - nelle materie di competenza esclusiva statale
- in cui è la Camera politica ad avere l'ultima parola e leggi a
preferenza Senato - le leggi cornice - la cui definitiva approvazione è
invece rimessa alla Camera territoriale (oltre a quelle definite dalla
prevista commissione «arbitrale» nei casi controversi).
Una simile distribuzione
delle competenze legislative presta il fianco alla critica di riprodurre
pedissequamente il criterio di riparto previsto dall'articolo 117, senza
tenere per nulla in considerazione le indicazioni nel frattempo provenienti
dalla Corte costituzionale, la cui recente giurisprudenza ha per certi
versi «riscritto» il titolo V.
Una scelta impraticabile
e insostenibile sia per il profilo pratico che per quello teorico.
La forma di governo: il
primo ministro e il rapporto governo-parlamento.
Il rafforzamento dell'Esecutivo
nel testo all'esame della Camera dei deputati: riguardo al rapporto Governo-Parlamento,
tra gli aspetti qualificanti del disegno di legge di riforma vi è
il sostanziale rafforzamento del potere esecutivo o, per dire meglio, del
Presidente del Consiglio dei ministri: figura che muta significativamente
la sua denominazione in quella di Primo ministro. Ai sensi del nuovo articolo
95 della Costituzione, il Primo ministro «determina» (non più
«dirige», come nel testo vigente della Costituzione) la politica
generale del Governo e «garantisce» (non più «mantiene»)
l'unità di indirizzo politico e amministrativo: a tal fine l'attività
dei ministri è dal Primo ministro diretta, e non soltanto promossa
e coordinata.
Ancora più rilevante
in tal senso è il potere di nomina e di revoca dei ministri, che
lo stesso articolo attribuisce al solo Primo ministro. Viene meno, dunque,
il ruolo riconosciuto al Presidente della Repubblica nella determinazione
della compagine ministeriale e, prima ancora, nella scelta del capo dell'Esecutivo:
il meccanismo di nomina del Primo ministro, come delineato dal nuovo articolo
92 della Costituzione, si traduce infatti, nella sostanza, in una designazione
del premier da parte dell'elettorato. La candidatura alla carica ha luogo,
infatti, mediante collegamento con i candidati all'elezione della Camera
dei deputati.
La legge elettorale dovrà
comunque disciplinare l'elezione dei deputati «in modo da favorire
la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di
Primo ministro».
L'atto di nomina del Primo
ministro resta affidato al Presidente della Repubblica, ma la scelta presidenziale
non presenta margini di discrezionalità: essa ha luogo infatti «sulla
base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati».
Quanto ai rapporti con il
Parlamento, alla luce del peculiare ruolo attribuito al Senato federale,
il circuito fiduciario non viene meno, ma interessa, nel nuovo testo costituzionale,
la sola Camera dei deputati, nella forma della cosiddetta
«fiducia implicita». Il nuovo testo dell'articolo 94 della
Costituzione, infatti, non prevede più che il Governo, entro dieci
giorni dalla sua formazione, si presenti alle Camere per ottenerne la fiducia,
ma prevede che, entro dieci giorni dalla nomina, il Primo ministro illustri
il programma del Governo alle Camere e sia tenuto a presentare, ogni anno,
un rapporto sull'attuazione del programma e sullo stato del paese. Un'ulteriore,
sostanziale innovazione rispetto all'attuale forma di governo, consiste
nell'attribuzione al Primo ministro della facoltà di chiedere, assumendosene
la esclusiva responsabilità, al Presidente della Repubblica di procedere
allo scioglimento della Camera, ai sensi della lettera a) del primo comma
dell'articolo 88 della Costituzione.
Il Capo dello Stato decreta
lo scioglimento della Camera dei deputati ed indice le elezioni, da tenersi
non oltre i successivi sessanta giorni, anche nei casi di morte, impedimento
permanente o dimissioni del Primo ministro ovvero nel caso in cui la Camera
dei deputati approvi una mozione di sfiducia. La mozione, che non può
essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione,
deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti la Camera, deve
essere votata per appello nominale ed approvata dalla maggioranza assoluta
dei componenti.
Essa, in caso di approvazione,
obbliga il Primo ministro alle dimissioni e comporta lo scioglimento della
Camera dei deputati, non essendo contemplata, in questo caso, la possibilità
di sostituire il Primo ministro.
A tale proposito, è
stato invece previsto che, in ogni altro caso in cui il Presidente della
Repubblica sia tenuto a decretare lo scioglimento dell'Assemblea politica,
tale procedura non è attivabile ove, entro dieci giorni dal ricorrere
delle condizioni di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma dell'articolo
88 della Costituzione, venga presentata alla Camera dei deputati una mozione,
sottoscritta dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle
elezioni e di consistenza non inferiore alla maggioranza dei componenti
della Camera, nella quale si dichiari di voler continuare nell'attuazione
del programma e si indichi il nome di un nuovo Primo ministro. È
da notare, quindi, come in tutte le ipotesi esposte, la presentazione della
mozione permette alla Camera di provocare la sostituzione del Primo ministro,
non consentendo comunque il formarsi di una maggioranza diversa da quella
espressa dalle elezioni.
I poteri del Primo ministro
nel governo: la tendenza condivisa al rafforzamento.
Nel corso delle audizioni
il rafforzamento della posizione costituzionale del Primo ministro è
stato in via generale condiviso; esso è sembrato a taluni eccessivo
e, da un certo punto di vista, superfluo perché il sistema attuale,
attraverso la legge elettorale maggioritaria e l'evoluzione dei rapporti
interni dei partiti, starebbe raggiungendo - sia pur gradualmente - una
situazione che, di fatto, è quella che, in linea generale, si vorrebbe
garantire con la riforma proposta.
La forma di governo parlamentare
sarebbe sufficientemente elastica per recepire nel suo funzionamento l'influenza
delle situazioni sociali e politiche. Se essa venisse irrigidita con un
eccesso di regole formali, si rischierebbe, di fronte al continuo mutamento
delle situazioni, di avere una forma di governo, costretta dalle norme
costituzionali, non rispondente alla realtà.
La scelta operata di un
Primo ministro con poteri di determinazione dell'indirizzo politico e in
posizione di sovraordinazione rispetto ai ministri, ha trovato il consenso
di molti. Per evitare il rischio della personalizzazione del potere, il
rafforzamento dei poteri del Primo ministro dovrebbe essere bilanciato
da una «rete di salvataggio», restituendo protagonismo alla
sovranità popolare, che non si esaurisce nel voto, ma si esprime
anche in altre forme (ad esempio la sussidiarietà orizzontale, e
più in generale il federalismo).
Per quanto riguarda il potere
di nomina e di revoca dei ministri, rimesso totalmente al Primo ministro,
è stata sottolineata l'opportunità di mantenere la
«camera di compensazione» rappresentata dalla
nomina formale dei ministri da parte del Capo dello Stato e dalla deliberazione
del Consiglio dei ministri.
Pur condividendo la linea
che vede un premierato forte, alcuni hanno posto l'esigenza di prevedere
rigorose incompatibilità ed ineleggibilità per i candidati
a cariche di Governo, e in particolare a quella di Primo ministro.
Designazione popolare e
nomina del Primo ministro.
È stata valutata
favorevolmente la scelta operata dal disegno di legge di riforma di non
introdurre l'elezione diretta del Primo ministro, anche se sono stati avanzati
dubbi sulla necessità ed opportunità di prevedere in Costituzione
la formalizzazione della candidatura alla carica di Primo ministro.
È positivo il riconoscimento
di un collegamento tra la formazione di una maggioranza parlamentare e
il Primo ministro che mette gli elettori in condizione di decidere. Ciò
comporta anche una semplificazione del sistema parlamentare e la creazione
di un sistema che è stato definito «monocameralismo politico».
L'elezione della maggioranza
elettorale temporalmente contestuale e programmaticamente collegata alla
selezione del Primo ministro è un altro elemento accolto con favore.
Il candidato premier e la
coalizione che lo sostiene si presentano in qualche modo raccordati fra
di loro di fronte all'elettorato. È stato proposto di chiarire come
avviene la formalizzazione di questa maggioranza e in quale modo essa transita
poi in Parlamento, in quanto questo diventa un momento fondamentale per
il processo di formazione del Governo, nel quale il Presidente della Repubblica
deve rispettare l'indicazione dell'elettorato, ma solo quando questa indicazione
trovi nella Camera dei deputati la sua formalizzazione.
I rapporti con il Parlamento
e il principio simul stabunt, simul cadent.
In un contesto nel quale
il Primo ministro - e non l'Esecutivo nella sua collegialità - diventa
il «padrone dei tempi della procedura parlamentare», è
stato proposto di rafforzare, quale contrappeso sostanziale, il sistema
delle fonti, prevedendone una normazione costituzionale.
Il rafforzamento del Governo,
senza alcun dubbio necessario nella forma di Governo italiana, che ha sempre
registrato una debolezza estrema in termini istituzionali e convenzionali,
in particolare del Presidente del Consiglio, non dovrebbe comportare il
totale depotenziamento dell'Assemblea rappresentativa.
Nel progetto di riforma
- si afferma - non è chiaro il rapporto fra il leader, la maggioranza
e il programma di governo e le modalità secondo cui questi soggetti
si raccordano con gli elettori, che sono i detentori della legittimazione
dell'Esecutivo a governare.
Il sistema proposto, basato
sul principio secondo cui il Primo ministro e la Camera simul stabunt,
simul cadent, è stato giudicato da alcuni troppo rigido: esso non
permetterebbe, tra l'altro, la formazione di governi di minoranza.
Anche da parte di altri,
è stata considerata con favore la possibilità di consentire,
per periodi limitati o straordinari, l'esistenza di governi di minoranza,
senza che ciò comporti lo scioglimento automatico e il ricorso alle
urne, in quanto non vi è alcun sistema elettorale - a meno che non
si pensi ad una legge elettorale con premio di maggioranza sul modello
di quella vigente per gli enti locali - che può assicurare la formazione
di un Governo con una maggioranza stabile. E peraltro, anche in tal caso,
potrebbero verificarsi forme di dissolvimento della maggioranza.
È stato proposto,
in questo caso, di affidare al Capo dello Stato la possibilità di
valutare se la maggioranza firmataria di una mozione, non corrispondente
necessariamente alla maggioranza assoluta risultante dalle elezioni, sia
in coerenza con i risultati elettorali per la Camera dei deputati.
È stata evidenziata
una sostanziale marginalizzazione del Parlamento nella delicatissima procedura
riguardante lo scioglimento anticipato delle Camere e la sostituzione del
Primo ministro, che vengono affidate a procedimenti
extraparlamentari, quali l'apparentamento pre-elettorale del candidato
Primo ministro e dei candidati deputati e la sottoscrizione della mozione
fuori dalle aule parlamentari.
Con riferimento alla mozione
prevista dagli articoli 88, secondo comma, e 92, quarto comma, per l'incarico
al nuovo Primo ministro e per la sostituzione di quello in carica sono
state manifestate da più parti perplessità circa il fatto
che la mozione non sembra debba essere discussa e votata in Parlamento,
bensì semplicemente sottoscritta da una maggioranza che si forma
in un momento pre-parlamentare.
Il voto di fiducia.
Secondo alcuni tra gli intervenuti,
la mancata previsione di un voto parlamentare iniziale sul programma di
governo, per certi versi, eluderebbe la responsabilità politica.
Come rimedio è stato proposto di introdurre la facoltà di
richiedere il voto sul programma di governo (sia per approvarlo, sia per
respingerlo), fissando il quorum della maggioranza assoluta dei deputati.
Ciò attiverebbe la responsabilità del Governo e della maggioranza
in merito al programma e consentirebbe il funzionamento del sistema con
qualsiasi meccanismo elettorale (anche quello attuale).
È stata evidenziata
questa contraddizione: poiché la legge elettorale non deve assicurare
(ma soltanto «favorire») la formazione di una maggioranza e
poiché non è più previsto il voto di fiducia iniziale,
ne consegue implicitamente che il Presidente della Repubblica potrebbe
nominare un Primo ministro di minoranza. A questo punto si verificherebbe
una situazione paradossale, perché questo premier di minoranza sarebbe
protetto dalle stesse clausole di garanzia del Governo che proteggono un
premier avente dietro di sé una maggioranza. Anzi, costui risulterebbe
più protetto perché non vi sarebbe la possibilità
di sostituirlo utilizzando il potere di scioglimento previsto dall'articolo
88: per la sostituzione del Primo ministro, tale disposizione richiederebbe
infatti una mozione di sfiducia firmata dalla maggioranza dei deputati
che sostengono il Governo; maggioranza che non vi sarebbe, perché
le elezioni non l'avrebbero prodotta.
È stata reputata
importante la scelta di sottrarre alla seconda Camera la fiducia, eliminando
un'anomalia propria dell'ordinamento italiano, perché in nessun
altro sistema parlamentare si registrano due Camere che concedono entrambe
la fiducia al Governo.
Per quanto riguarda la questione
della fiducia presunta, ossia il fatto che non sia previsto un voto di
fiducia all'inizio della legislatura, è stato rilevato che esso
non è presente neanche in altri ordinamenti di impronta parlamentare
(Regno unito, Francia). In proposito, è stata avanzata l'ipotesi
di prevedere la fiducia come voto sul programma del Governo.
Lo scioglimento della Camera
su richiesta del Primo ministro: alcuni strumenti introdotti (la previsione
del collegamento diretto dell'indicazione del Primo ministro con i candidati
all'elezione a deputato; la responsabilità esclusiva del Primo ministro,
senza il concorso decisionale del Capo dello Stato, per lo scioglimento
della Camera e l'automatismo dello scioglimento nel caso di voto di sfiducia)
sono parsi ad alcuni eccessivi e tali da far uscire il sistema proposto
dalla forma di governo parlamentare, che trova nella decisione parlamentare
sulla nascita e sulla vita del governo e nel controllo del Capo dello Stato
sulle proposte dello stesso gli elementi di contrappeso rispetto al primato
dell'Esecutivo, ritenuti ineliminabili da ogni sistema di pluralismo dei
poteri.
Per ridurre l'eccessiva
influenza del Primo ministro sul Parlamento, è stato proposto di
eliminare il potere di richiesta di scioglimento, rimettendolo al solo
Presidente della Repubblica.
Il progetto di riforma,
mentre da un lato attribuisce al Presidente della Repubblica una serie
di decisioni politiche, per altri versi, lo esclude totalmente da altre,
nelle quali la sua partecipazione a fini di garanzia sarebbe essenziale,
come appunto per lo scioglimento anticipato. Desta preoccupazione il fatto
che senza tali garanzie - «lo scioglimento possa
brandirsi come un'arma in un sistema privo di bilanciamenti adeguati».
Secondo altre voci, all'interno
di un sistema politico come quello italiano, che si struttura intorno a
coalizioni non sempre coese al loro interno, realizzando una forma di «bicoalizionismo»,
il Primo ministro ha bisogno di strumenti di difesa e di deterrenza per
tenere sotto controllo la conflittualità interna della coalizione
che lo sostiene. Tenuto conto di ciò, è stata reputata necessaria
e inevitabile l'attribuzione al Primo ministro del potere di scioglimento.
È stato osservato
che, coerentemente con l'esigenza di un rafforzamento del sistema bipolare,
occorre che il premier abbia la possibilità di utilizzare come deterrente
il ricorso anticipato alle elezioni. Al riguardo è stato segnalato
il problema che insorgerebbe nel caso in cui il Presidente del Consiglio
sciogliesse le Camere contro la propria maggioranza. Non c'è dubbio
che, se ciò fosse usato come deterrente, il Presidente del Consiglio
dovrebbe poter sciogliere le Camere anche contro una parte della propria
maggioranza, ma non potrebbe farlo contro la propria maggioranza, in quanto
sarebbe certo di avere contro l'intera coalizione che potrebbe non ricandidarlo.
Sarebbe quindi più
opportuno mantenere soltanto il primo comma dell'articolo 88, che lascia
al premier la possibilità di chiedere o meno il ricorso anticipato
alle urne. Oppure, volendo mantenere la possibilità per una maggioranza
parlamentare sostanzialmente invariata di liberarsi di un premier disposto
ad andare da solo allo scioglimento, si adottino formule che consentano
al Presidente della Repubblica di negare lo scioglimento, non con totale
discrezionalità come oggi, ma valutando se le nuove maggioranze
che si prospettino siano coerenti con i risultati elettorali della Camera.
Per quanto riguarda la configurazione
del potere di scioglimento in capo al Primo ministro, l'interpretazione
che ne è stata data risulta inficiata da una sorta di «complesso
del tiranno», che intravede nel potere di scioglimento discrezionalmente
attribuito al Primo ministro una sorta di «fuoriuscita» dalla
forma democratica e dal sistema parlamentare. Al contrario, non vi è
assolutamente nulla di antidemocratico nell'attribuire un potere di questo
tipo al Primo ministro.
Alcuni hanno prospettato
l'opportunità di introdurre il potere di scioglimento anche nei
confronti del Senato riservandolo, in funzione di garanzia e per evitare
eventuali paralisi dei sistema, al Presidente della Repubblica.
La sostituzione del Primo
ministro: da più parti è stato rilevato l'eccesso di irrigidimenti
che sarebbero presenti in particolar modo nel meccanismo, introdotto dall'articolo
88, secondo comma, che permette alla Camera di determinare la sostituzione
del Primo ministro (cosiddetta norma «antiribaltone») e nell'automatismo
sfiducia - scioglimento. L'avvicendamento del premier in corso di legislatura
presuppone la sussistenza di una maggioranza (assoluta) di parlamentari
che sottoscriva, al riguardo, una mozione, per garantire la quale si dovrebbe
costituzionalizzare un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza,
l'unico che sia in grado di garantire a priori una maggioranza assoluta.
Questa soluzione però presenta vari svantaggi: in primo luogo, costituzionalizzare
un determinato sistema elettorale riduce i margini di flessibilità
del sistema; in secondo luogo, essa è in qualche modo in contraddizione
con la norma (articolo 92, secondo comma) che prevede genericamente (ed
opportunamente) un sistema elettorale per la Camera che favorisca la formazione
di maggioranze, non che la garantisca.
Per quanto riguarda la norma
prevista dall'articolo 88, secondo comma, è stata reputata improbabile
l'ipotesi, ad essa sottesa, di un premier che richieda lo scioglimento
della Camera pur sapendo che la propria maggioranza non sarebbe disposta
a ricandidarlo come Primo ministro.
Il meccanismo di sostituzione
del Primo ministro rappresenta, secondo più studiosi,
un buon temperamento rispetto al modello dello scioglimento puro, attribuito
al Primo ministro.
La restrizione ai soli deputati
che siano espressione della maggioranza vincitrice alle elezioni della
possibilità di sottoscrivere la mozione di sfiducia costruttiva
è stata da alcuni censurata per due motivi: da un lato questa ipotesi
potrebbe essere in contrasto con l'articolo 67 della Costituzione, dall'altro
essa fornirebbe un potere di veto a tutti i gruppi che avessero una dimensione
tale da impedire la formazione di una qualsiasi maggioranza all'interno
del perimetro della coalizione risultata vincente alle elezioni.
In alternativa, è
stata proposta l'adozione del modello spagnolo: il premier può sciogliere
la Camera discrezionalmente, in qualsiasi circostanza ritenga che la sua
maggioranza non sia leale, ad esclusione solo del caso in cui sia stata
già attivata una mozione di sfiducia costruttiva o quando sia stato
formalmente sfiduciato, nel senso che una mozione di sfiducia sia stata
già approvata. Oppure, è stato ritenuto condivisibile il
modello svedese: il premier avrebbe un potere di scioglimento, in qualsiasi
momento, discrezionale, anche in presenza di una mozione di sfiducia e
anche a seguito di una mozione di fiducia non approvata.
L'aspetto di rigidità
che sembra necessario eliminare è quello della connessione automatica
tra approvazione della mozione di sfiducia e scioglimento. Anche in questo
caso sarebbe prudente ed opportuno conferire qualche margine di flessibilità
al sistema consentendo un cambio di Primo Ministro con la stessa maggioranza.
Un'ulteriore proposta prevede
la soppressione della «mozione costruttiva interna alla maggioranza»
(articolo 92, quarto comma), che consente la sostituzione del Primo ministro
a seguito di morte o dimissioni ovvero per cause diverse da quelle dì
cui all'articolo 94 (reiezione della questione di Governo o approvazione
di una mozione di sfiducia). Viene in alternativa conferito al Capo dello
Stato il potere di nominare il nuovo Primo ministro «sulla base dei
risultati delle elezioni della Camera». Tale formula coprirebbe non
solo la nomina di inizio legislatura ma anche il vuoto determinato da ipotetici
e successivi casi di dimissione anticipata del premier in corso di legislatura.
Altri hanno suggerito di
prevedere la possibilità di nominare un nuovo Primo ministro, secondo
la procedura prevista dall'articolo 88, secondo comma, anche dopo l'approvazione
di una mozione di sfiducia ai sensi dell'articolo 94, terzo comma.
Per disincentivare le dimissioni
del Primo ministro non giustificate da ragioni politiche espresse e relative
al rapporto fiduciario (cioè per cause diverse dall'articolo 94),
è stato proposto di escludere la riproposizione alla carica di Primo
ministro del premier che sia dimesso di propria iniziativa per motivi diversi
da impedimento, morte, eccetera.
La «questione di Governo»
dinanzi alla Camera: l'istituto della «questione di Governo»,
introdotto dal secondo comma dell'articolo 94 della Costituzione, secondo
il quale il Primo ministro può chiedere che la Camera dei deputati
si esprima, con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme
alle proposte dei Governo, è stato oggetto di puntuali osservazioni
critiche e di proposte tendenti a limitarne il campo di applicazione.
Con la questione di Governo,
il Primo ministro diverrebbe il dominus della funzione legislativa e ogni
sua proposta dovrebbe essere approvata dall'Assemblea, ridotta ad un organo
di esecuzione.
Essa determinerebbe una
«torsione della questione di fiducia» del tutto anomala, con
esiti ben più gravi, in caso di reiezione, della questione di fiducia.
Quest'ultima produce come risultato, ove non sia approvata, le dimissioni
del Presidente del Consiglio, mentre il voto contrario sulla questione
di Governo comporterebbe come conseguenza principale lo scioglimento della
Camera.
La questione di Governo
avrebbe un campo di applicazione ben più ampio di quello attuale,
che esclude la possibilità di porre la questione di fiducia sull'intero
progetto di legge e su alcuni disegni di legge (come le leggi
costituzionali) che sono esplicitamente o implicitamente lasciati fuori
da questa previsione. Non essendoci oggetti esclusi, potrebbe riguardare
qualsiasi oggetto: anche istituti quali la verifica delle elezioni, l'autorizzazione
a procedere. Si avrebbe, infine, una questione di fiducia decisa esclusivamente
dal Primo ministro, poiché manca nel progetto di riforma qualsiasi
riferimento al Consiglio dei ministri.
Altri hanno considerato
una forzatura la posizione della questione di Governo e hanno proposto
di circoscriverne il campo d'azione alle sole materie essenziali per il
programma di governo. In alternativa è stato suggerito di adottare
le misure previste dall'articolo 102 del progetto di riforma della Commissione
D'Alema, in base alle quali viene riconosciuta al Governo la disponibilità
dell'ordine del giorno dell'Assemblea; il Governo può chiedere che
un disegno di legge sia votato entro una data determinata (cosiddetta ghigliottina)
e che, decorso il termine, la Camera deliberi su ciascun articolo, con
gli emendamenti proposti o accettati dal Governo medesimo.
Vi è chi ritiene
opportuno attenuare e rendere più flessibile il meccanismo della
questione di Governo, mantenendo l'ipotesi del voto bloccato, non necessariamente
collegato alle dimissioni del Primo ministro e allo scioglimento della
Camera.
Secondo altri, dovrebbero
essere previsti meccanismi per cui la maggioranza, nel momento stesso in
cui non approva la proposta del Primo ministro, possa continuare ad attuare
il suo programma di governo, individuando un diverso premier nel quale
riconoscersi.
Una soluzione più
radicale propone di sopprimere la questione di Governo e di reintrodurre,
per la Camera dei deputati, la questione di fiducia e la mozione di sfiducia
nei confronti del Primo ministro. Conseguenza della reiezione della fiducia
o dell'approvazione della mozione di sfiducia, che devono ottenere il voto
della maggioranza dei componenti della Camera, sarebbero le dimissioni
del Primo ministro ovvero la sua richiesta al Presidente della Repubblica
di scioglimento anticipato.
È stato segnalato
un problema tecnico di formulazione del testo presente nell'articolo 94,
secondo comma, che stabilisce, in caso di questione di Governo con esito
negativo, che il Primo ministro rassegna le dimissioni e «può
chiedere» lo scioglimento. Il progetto di riforma non disciplina
le conseguenze derivanti dal mancato esercizio da parte del Primo ministro
della facoltà di chiedere lo scioglimento della Camera. Per porre
rimedio a questa lacuna, é stata suggerita la soppressione, dal
comma quarto dell'articolo 92, dell'inciso «per cause diverse di
quelle di cui all'articolo 94».
La mozione di fiducia: il
meccanismo della mozione di sfiducia, prevista dall'articolo 94, terzo
comma, ha come conseguenze l'obbligo di dimissioni del Governo e lo scioglimento
automatico della Camera, non essendo contemplata la possibilità
di sostituire il Primo ministro ricorrendo alle procedure di cui agli articoli
88 o 92 della Costituzione.
Questo automatismo costituzionale,
probabilmente, porta il sistema delineato nel disegno di legge costituzionale
fuori dal calco del Governo parlamentare, poiché in questo caso
il Parlamento viene ad essere privato della possibilità di esprimere
un nuovo Esecutivo.
Nel rapporto tra Primo ministro
e maggioranza di Governo è stata rilevata una contraddizione tra
l'intento che sottende la riforma - ovvero garantire che il programma proposto
agli elettori sia portato a compimento - e la tutela prioritaria della
persona del Primo ministro. L'attivazione dello strumento della sfiducia
ha come «innaturali conseguenze» la fine anticipata della legislatura
e il venir meno della possibilità di portare a termine l'impegno
programmato. Da questa considerazione discende la proposta, volta a garantire
la maggioranza di governo e ad evitare lo scioglimento, di eliminare l'automatismo
dello scioglimento stesso in
caso di approvazione della
mozione di sfiducia, estendendo ad essa la possibilità di sostituire
il Primo ministro.
Altri hanno suggerito di
lasciare al Primo ministro, nei confronti del quale sia stata approvata
la mozione di sfiducia, la possibilità di decidere entro pochi giorni
se dimettersi oppure sciogliere la Camera.
Le questioni relative alla
configurazione e alle competenze del Senato e ai loro riflessi sulla forma
di governo (quali, ad esempio, la sottrazione del Senato dal circuito fiduciario
e dallo scioglimento anticipato, la competenza legislativa in materie essenziali
per l'attuazione dell'indirizzo politico della maggioranza) sono esaminate
nella scheda relativa al Senato federale e al bicameralismo.
Emendamenti migliorativi
del centrosinistra:
Un primo significativo emendamento
è il seguente: «Il Presidente della Repubblica, su richiesta
del Primo ministro, ovvero nel caso in cui non sia possibile formare un
Governo coerente con il risultato delle elezioni, decreta lo scioglimento
della Camera dei deputati ed indice le elezioni entro i successivi 60 giorni.
Qualora, entro dieci giorni dalla richiesta, venga presentata da almeno
un quarto dei componenti della Camera una mozione, nella quale si dichiari
di voler continuare nell'attuazione del programma di Governo e si indichi
il nome di un nuovo Primo ministro, essa è posta in votazione entro
i successivi cinque giorni. Nel caso in cui la mozione venga approvata,
il Presidente della Repubblica non emana il decreto di scioglimento qualora
verifichi che la nomina del Primo ministro indicato nella mozione e il
voto della Camera sono coerenti col risultato delle elezioni per la Camera
dei deputati e col programma di legislatura. In caso di scioglimento della
Camera successivo all'approvazione della mozione di cui al comma precedente
o di una mozione di sfiducia, il Presidente della Repubblica nomina un
governo di garanzia elettorale».
Il secondo emendamento significativo
riguarda «il governo in parlamento» ed è il seguente:
«Il Primo ministro, entro dieci giorni dalla nomina, illustra alle
Camere il programma di legislatura e la composizione del Governo. Il programma
specifica gli indirizzi sottoposti al corpo elettorale e contiene i principali
indirizzi politici e le misure da adottare nell'attività governativa.
La Camera dei deputati vota il programma che può essere respinto
solo a maggioranza assoluta dei componenti. Il rigetto del programma comporta
le dimissioni del Primo ministro.
Ogni anno il Primo ministro
presenta alle Camere il rapporto sull'attuazione del programma e sullo
stato della Repubblica, su cui si svolge un dibattito.
Il Primo ministro può
chiedere alla Camera dei deputati il voto di fiducia su un provvedimento,
compreso nel programma di legislatura o ad esso riconducibile. Il Regolamento
della Camera disciplina i casi nei quali il Governo ha la facoltà
di porre la fiducia sull'approvazione di singoli articoli o emendamenti,
ferma l'applicazione del primo comma dell'articolo 72. Non è comunque
ammessa la questione di fiducia sulle modifiche al Regolamento della Camera,
sulle leggi costituzionali e di revisione costituzionale, nonché
su disposizioni riguardanti materie di cui agli articoli 6, da 13 a 22,
da 24 a 27, 29, 30, 31, secondo comma, 32, secondo comma. Il rigetto della
fiducia comporta le dimissioni del Primo ministro.
La Camera dei deputati vota
la sfiducia al Primo ministro mediante mozione motivata sottoscritta da
almeno un quarto dei suoi componenti. La mozione non può essere
posta in votazione prima di tre giorni e oltre cinque giorni dalla presentazione.
L'approvazione della sfiducia comporta le dimissioni del Primo ministro.
Un modello anomalo: «il
premierato assoluto».
Noi siamo favorevoli a garantire
la stabilità e l'efficienza del Governo nel rispetto fondamentale
della democrazia competitiva: la scelta del Governo con il voto da parte
del cittadino-sovrano.
Ma è ben chiaro che
questi obiettivi solo in parte perseguibili tramite regole costituzionali
e che il disegno della maggioranza. come si evince dalla ricostruzione
fatta, va ben oltre, configurando una sorta di anomalo «premierato»
assoluto.
Il potenziamento estremo
della figura del primo ministro attraverso la sua sostanziale elezione
diretta e la sua esenzione dalla fiducia iniziale del Parlamento; il potere
che gli è dato di forzare la Camera dei deputati all'approvazione
delle misure legislative da lui ritenute essenziali; 1'automaticità
dello scioglimento della Camera conseguente alla sfiducia e il larghissimo
potere di determinarlo in altri casi da lui esclusivamente valutati facendo
così venir meno un essenziale contrappeso alla forza dell'Esecutivo:
tutte queste prerogative, assieme ad altre minori ma non certo inessenziali
(quale il potere di nomina e revoca dei ministri sottratto, anche per casi
gravi, ad ogni controllo del Presidente della Repubblica), ne irrigidiscono
la supremazia oltre la realtà attuale e oltre ogni ragionevolezza.
Dunque, non solo il Parlamento (o almeno la Camera) è messo nelle
sue mani, ma la collegialità stessa del Governo è sminuita
poiché quei poteri sono conferiti solo a lui; gli strumenti di contrappeso
in mano al Presidente della Repubblica sono per gran parte vanificati;
è impedito il rovesciamento in Parlamento della maggioranza elettorale
ma inoltre la stessa maggioranza trova difficoltà a svolgere il
suo ruolo di controllo del Primo ministro, quale si esplica nel sistema
inglese. Insomma, il potere personale del premier sembra sostituire ogni
articolazione della forma di governo, giustificando la definizione di chi
(Elia) parla di «premierato assoluto».
Queste modifiche, secondo
autorevole dottrina, costituiscono quindi una vera e propria alterazione
della forma di governo: darebbero origine, come viene rilevato, ad una
democrazia di mera investitura che, in realtà, corrisponde a un
allontanamento tout court dalla forma democratica.
È difficile non condividere
questa posizione che trova riscontro in larga parte della dottrina costituzionale.
Osserva puntualmente Onida che «il senso profondo che ne emerge è
piuttosto quello di una drastica «semplificazione» del circuito
democratico, riducendolo alla scelta, ogni cinque anni, di una sola persona,
direttamente investita della carica di Primo ministro, dotato dei massimi
poteri nei confronti non solo dell'Esecutivo, ma anche del Parlamento,
senza più nemmeno l'intralcio di un Capo dello Stato (i cui poteri
vengono ridotti) controllore e garante del buon funzionamento del sistema
parlamentare».
Secondo Onida «il
cuore» del progetto, da questo punto di vista, è il nuovo
articolo 92, nel quale si afferma che alle elezioni vi dovrà essere
una «candidatura» alla carica di Primo ministro, che avverrà
«mediante collegamento con i candidati ovvero con una o più
liste di candidati all'elezione della Camera dei deputati», e che
la legge elettorale dovrà »favorire la formazione di una maggioranza,
collegata al candidato alla carica di Primo ministro». Ne segue che
questi sarà senz'altro nominato alla carica, sulla base quindi di
un'investitura che discenderà non più dalla volontà
del Parlamento e per esso della maggioranza che esprime il Governo, ma
direttamente dal voto popolare. A questo premier viene attribuito il potere
non più solo di «dirigere», ma di «determinare»
la politica generale del Governo, nominando e revocando i ministri, dirigendo
l'attività di questi (articolo 95), e chiedendo al Parlamento di
votare con procedure privilegiate sui testi da lui proposti, anche ponendo
la questione di fiducia (articoli 72 e 94).
Il premierato «all'italiana»
del progetto di riforma esprime una precisa filosofia: quella dell'estrema
personalizzazione di un potere di governo affidato a un unico soggetto».
Un modello anomalo, che
altera gli equilibri democratici senza assicurare l'efficienza politica
del Governo.
Gli strumenti di garanzia
e il Presidente della Repubblica.
Il disegno di legge in esame
contiene alcune disposizioni che tendono complessivamente a rafforzare
gli strumenti di garanzia costituzionale sebbene in modo insufficiente
ed inadeguato.
Alcune di queste riguardano
la tutela delle opposizioni in Parlamento. Si tratta degli articoli 7 ed
8, che modificano rispettivamente gli articoli 63 e 64 della Costituzione
nel senso di: introdurre una maggioranza qualificata per l'elezione dei
Presidenti di Camera e Senato; introdurre un quorum specifico per le deliberazioni
dei Senato federale; prevedere uno «statuto dell'opposizione».
Relativamente a queste disposizioni
rilevano due ordini di questioni: una, per così dire, di logica
interna al disegno di legge in esame, l'altra di carattere più generale.
La prima questione riguarda
la necessità di bilanciare il notevole aumento dei poteri del Capo
del Governo con un parallelo rafforzamento del sistema di garanzie.
In secondo, il relativo
accrescimento degli strumenti di tutela dell'opposizione cerca di venire
incontro all'esigenza, sorta a seguito della riforma elettorale del 1993,
di contemperare gli effetti del sistema maggioritario che rendono possibile
la formazione di maggioranze parlamentari più ampie che nel passato.
Prenderemo quindi in esame
anche le modifiche relative alla Corte costituzionale e al Consiglio superiore
della magistratura.
L'elezione dei Presidenti
delle Camere: l'articolo 7, che novella l'articolo 63 della Costituzione,
costituzionalizza le modalità di elezione dei Presidenti delle Camere,
ora disciplinate dai regolamenti parlamentari, prevedendo un sistema basato
sul principio della maggioranza qualificata (due terzi dei componenti l'Assemblea
per i primi tre scrutini; maggioranza assoluta dopo il terzo turno).
Si osserva che, a proposito
della procedura relativa agli scrutini successivi al terzo, non viene specificato
se si tratta di maggioranza assoluta dei componenti o di maggioranza assoluta
dei voti.
I regolamenti di Camera
e Senato prevedono entrambi il principio della maggioranza qualificata
per l'elezione del Presidente con alcune differenze.
Alla Camera, per il primo
scrutinio, è necessaria la maggioranza dei due terzi dei componenti,
mentre per i successivi due turni è richiesta la maggioranza dei
due terzi dei voti, contando tra questi anche le schede bianche; dal quarto
scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti (regolamento
Camera, articolo 4, comma 2).
Il regolamento del Senato
richiede la maggioranza assoluta dei voti dei componenti l'Assemblea; al
terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti dei
presenti, computando anche le schede bianche. Se anche al terzo turno nessuno
raggiunge la maggioranza si procede al ballottaggio tra i due candidati
più votati al turno precedente (regolamento Senato, articolo 4).
Se si confronta il sistema
di elezione proposto dal provvedimento in esame con quelli vigenti si può
constatare l'innalzamento della maggioranza necessaria nei primi scrutini.
Infatti, la maggioranza dei due terzi, ora prescritta solamente per il
primo scrutinio della Camera, è estesa ai primi tre turni di votazioni;
dal quarto in poi è necessario la maggioranza assoluta che attualmente
costituisce la prima opzione per l'elezione del Presidente del Senato.
Lo «statuto dell'opposizione»:
l'articolo 8 modifica l'articolo 64 della Costituzione introducendo una
serie di misure volte a rafforzare i diritti delle opposizioni.
Si osserva preliminarmente
che le misure prospettate riguardano soltanto la Camera dei deputati, ossia
l'organo al quale la riforma assegna il ruolo di rappresentanza politica.
Solamente alla Camera, in quanto sede del rapporto fiduciario Governo-Parlamento,
sarà possibile individuare con chiarezza una o più opposizioni
che si contrappongono alla maggioranza che sostiene il Governo. Mentre
per quanto riguarda il Senato, in quanto organo di rappresentanza degli
interessi territoriali, sarà più sfumato il confine tra opposizione
e maggioranza (sempre che sia ancora possibile ricorrere a tali categorie).
Le misure proposte si possono
sintetizzare come segue: previsione di un regime differenziato tra Camera
e Senato per la validità delle votazioni; introduzione
di uno «statuto dell'opposizione» alla Camera.
Per quanto riguarda le modalità
di votazione delle Camere, l'articolo 64, terzo comma, della Costituzione
prevede un regime indifferenziato per i due rami del Parlamento: le deliberazioni
non sono valide se non è presente la maggioranza dei componenti
(principio del numero legale) e devono essere approvate a maggioranza dei
presenti. Inoltre, maggioranze diverse possono essere prescritte solo dalla
Costituzione stessa.
L'articolo in esame lascia
inalterata tale previsione. Viene, tuttavia, introdotta una ulteriore condizione:
per la validità delle votazioni del Senato federale è richiesta
la presenza dei senatori espressi da almeno un terzo delle regioni.
Il nuovo quarto comma dell'articolo
64 della Costituzione di cui si propone l'introduzione, costituisce l'innovazione
principale dell'articolo in esame. Si tratta di un insieme di norme che
complessivamente hanno l'obiettivo di creare una forma di «statuto
dell'opposizione» della sola Camera dei deputati, mediante la previsione
di alcune disposizioni da inserire nel regolamento.
Innanzitutto, viene fissato
il principio in base al quale, nel suo complesso, il regolamento della
Camera deve garantire sia le prerogative ed i poteri del Governo e della
maggioranza, sia i diritti dell'opposizione.
Fortemente innovativa rispetto
all'ordinamento vigente è la figura del «Capo dell'opposizione»
le cui prerogative e la cui modalità di elezione dovranno però
essere definite dal regolamento della Camera.
Si osserva, in proposito,
che il sistema parlamentare attuale, non compiutamente bipolare, rende
possibile la formazione di più di una opposizione.
Pertanto, il regolamento
della Camera sarà chiamato preliminarmente a decidere se il capo
dell'opposizione dovrà essere espressione della sola coalizione
uscita sconfitta dalle elezioni, cioè dell'opposizione «principale»,
oppure di tutti i gruppi di opposizione, anche di quelli che non si riconoscono
in quella coalizione. In alternativa a queste due soluzioni, il regolamento
potrebbe anche prevedere l'elezione di più di un capo dell'opposizione.
Tuttavia quest'ultima ipotesi appare la meno percorribile sia perché
la meno coerente con lo spirito della riforma volto a rafforzare le tutele
delle minoranze parlamentari, sia perché la dizione di «Capo
dell'opposizione» non sembra lasciare spazio a dubbi sulla unicità
dell'organo.
È utile ricordare
che il capo dell'opposizione è un istituto tipico dell'ordinamento
della Gran Bretagna, nonostante tale ruolo non sia formalizzato in termini
di procedure e regole scritte. Una delle poche fonti normative in materia
è il Ministers and others Salaries Act del 1975 con il quale viene
attribuito al capo dell'opposizione, così come ad altre cariche
istituzionali quali i ministri, una indennità a carico dell'erario,
comprensiva dell'indennità parlamentare. Il ruolo di opposizione
ufficiale è ricoperto dal principale partito di minoranza la cui
identificazione ufficiale, in caso di dubbio, spetta allo speaker dei Comuni.
Il capo dell'opposizione è il leader del gruppo di minoranza principale,
ad esso si affianca il «gabinetto ombra», eletto dal gruppo
(per i laburisti) o nominato dal leader (per i conservatori). Talvolta
a queste figure si affianca anche un portavoce dell'opposizione, esterno
al governo ombra.
Infine, l'articolo in esame
introduce in Costituzione, a favore dei deputati appartenenti ai gruppi
di opposizione, la riserva di presidenza delle Commissioni, Giunte e organismi
interni, ai quali sono attribuiti compiti ispettivi, di controllo e di
garanzia. Sono escluse esplicitamente le Commissioni di cui all'articolo
72, primo comma, della Costituzione, ossia le Commissioni permanenti che
esaminano i progetti di legge, quella di cui all'articolo 70, terzo comma
(la Commissione mista paritetica cui, nell'ambito del procedimento bicamerale,
è affidato il compito di predisporre un testo inemendabile da sottoporre
al voto delle due Assemblee), il Comitato misto paritetico
di cui all'articolo 70, quarto comma, chiamato a decidere sulle questioni
di competenza tra i due rami del Parlamento.
Per quanto riguarda le Commissioni
cui sono attribuiti i compiti di cui sopra e che rientrerebbero nell'ambito
di applicazione della disposizione in esame, sono attualmente tutte commissioni
bicamerali. Due di queste, cui sono attribuite funzioni di coordinamento
e di garanzia costituzionale, sono previste dalla Costituzione e da leggi
costituzionali (Commissione per le questioni regionali e Comitato per i
procedimenti di accusa) le altre sono state istituite con legge ordinaria
ed hanno compiti ispettivi, di indirizzo e di controllo.
Le modalità di nomina
dei componenti delle Commissioni bicamerali sono disciplinate dalle disposizioni
istitutive di ciascuna di esse. Generalmente spetta ai Presidenti di Camera
e Senato la nomina dei membri, i quali a loro volta scelgono al loro interno
il proprio Presidente. Per prassi prevalente vengono nominati alla presidenza
un deputato ed un senatore alternativamente ad ogni legislatura.
In epoca antecedente l'adozione
del sistema maggioritario era diffusa la prassi, seguita in parte anche
successivamente, di designare alla presidenza delle Commissioni di controllo
rappresentanti dei gruppi di opposizione.
Si osserva che l'obbligo
di riservare alle minoranze parlamentari la presidenza di tali Commissioni
bicamerali andrebbe ad incidere anche sulle prerogative del Senato per
il quale non è previsto un analogo obbligo costituzionale dal momento
che la disposizione in esame riguarda solamente la Camera dei deputati.
La riserva di presidenza
all'opposizione riguarda anche le Giunte con compiti di controllo, ispettivi
e di garanzia. Rientrano tra queste sicuramente la Giunta delle elezioni
(articolo 17, regolamento Camera) e la Giunta per le autorizzazioni (articolo
18, regolamento Camera), le quali per prassi già sono presiedute
da membri dell'opposizione. Mentre appare più problematica l'inclusione
tra di esse della terza giunta della Camera, la Giunta per il regolamento.
Infatti, essa, ai sensi dell'articolo 16, regolamento Camera, è
presieduta dal Presidente stesso della Camera, che viene ad assumere pertanto
un ruolo di garante del regolamento sia nei confronti della maggioranza,
che dell'opposizione.
Oltre alle Commissioni e
alle Giunte, la disposizione in esame estende l'obbligo di presidenza anche
agli «organismi interni» con compiti ispettivi, di controllo
e di garanzia, la cui individuazione appare più problematica. Da
questi sembra potersi escludere il Comitato per la legislazione (disciplinato
dall'articolo 16-bis, regolamento Camera) in quanto organo consultivo chiamato
ad esprimere un parere tecnico sulla qualità dei testi normativi
e pertanto privo di compiti di controllo. Parimenti risultano privi di
tali compiti altri organismi interni istituiti da fonti subregolamentari,
quali i comitati istituiti in seno all'Ufficio di presidenza (Comitato
di vigilanza sull'attività di documentazione, Comitato per la comunicazione
e l'informazione esterna, Comitato per gli affari dei personale, eccetera).
In definitiva, la disposizione in esame sembra configurarsi quale norma
di principio, nel senso che qualora dovessero essere istituiti altri organismi
con compiti di controllo, diversi dalle Commissioni e dalle Giunte, scatterebbe
per essi la riserva di presidenza in favore dell'opposizione.
Si tratta, in definitiva,
di norme di garanzia blande e insufficienti, come già osservato.
Il Presidente della Repubblica:
l'articolo 19 del testo di riforma costituzionale in esame reca una nuova
formulazione dell'articolo 83 della Costituzione.
Le modifiche proposte incidono
sostanzialmente su due aspetti: la composizione del collegio elettorale
del Presidente della Repubblica; il quorum richiesto per la sua elezione.
Il disegno di legge costituzionale
mantiene il sistema vigente, che prevede l'elezione indiretta del Capo
dello Stato da parte di un collegio ad hoc. In luogo del Parlamento in
seduta comune, integrato dai delegati regionali, viene
istituito un nuovo organo, denominato Assemblea della Repubblica.
L'Assemblea della Repubblica
è presieduta dal Presidente della Camera, come il Parlamento in
seduta comune, ed è composta dai componenti delle due Camere e da
delegati eletti dai Consigli regionali.
Come stabilito dalla Costituzione
attualmente vigente, ogni regione elegge tre delegati, ad eccezione della
Valle d'Aosta, che ne esprime soltanto uno; viene peraltro innovativamente
inclusa nell'assemblea elettiva un'ulteriore significativa rappresentanza
delle autonomie territoriali. Il nuovo testo prevede infatti che facciano
parte dell'Assemblea della Repubblica anche: i presidenti delle giunte
delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano; un numero
ulteriore (rispetto ai 58 attualmente previsti) di delegati eletti dalle
regioni, in ragione di un delegato per ogni milione di abitanti della regione.
I delegati sono scelti per
almeno la metà tra i sindaci e i presidenti di provincia o città
metropolitana. Nel corso dell'esame presso la I Commissione della Camera
è stata soppressa la disposizione che riservava esplicitamente tale
quota alla designazione dei Consigli delle autonomie locali.
Un'ulteriore modifica apportata
dalla Commissione sopprime la previsione, recata dal testo vigente, che
i delegati regionali siano eletti dai rispettivi Consigli in modo che sia
assicurata la rappresentanza delle minoranze, e la sostituisce con un vincolo
più stringente: l'elezione deve aver luogo in modo che sia assicurata
la rappresentanza proporzionale rispetto alla composizione di ciascun Consiglio.
Il numero dei componenti
dell'Assemblea federale verrebbe ad essere così determinato: 512
deputati, 258 senatori, 58 delegati regionali, 21 Presidenti delle Giunte
regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, 48 delegati
delle autonomie locali, per un totale di 897 membri.
Si rileva che, calcolando
il numero degli ulteriori delegati regionali sulla base della popolazione
della regione in ragione di uno ogni milione di abitanti, le cinque regioni
(Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Umbria, Molise e Basilicata) che non
raggiungono tale soglia demografica non avrebbero ulteriori rappresentanti
(espressione delle autonomie locali) nell'assemblea elettiva del Presidente
della Repubblica, oltre quelli già previsti dalla Costituzione attuale.
Nella nuova composizione
del collegio elettivo del Presidente della Repubblica, il rapporto tra
i parlamentari e i rappresentanti espressi dalle autonomie territoriali
sale dall'attuale 6 per cento (58 membri su un totale di 1.003) al 14 per
cento (127 su 897). Tale quota salirebbe al 43 per cento qualora si computassero
in essa i senatori, considerandoli in senso lato come espressione della
«periferia» per effetto del radicamento territoriale determinato
dall'elezione contestuale del Senato federale e dei Consigli regionali
e dalla scelta di introdurre, tra i presupposti dell'elettorato passivo,
la residenza nella regione.
Il disegno di legge costituzionale
modifica anche il quorum per l'elezione del Capo dello Stato, di cui al
terzo comma dell'articolo 83, prevedendo la maggioranza dei due terzi dei
componenti dell'assemblea della Repubblica nei primi quattro scrutini e,
dopo il quarto, la maggioranza assoluta.
Nella norma in esame non
si specifica, come d'altronde avviene anche nella Costituzione vigente,
se la maggioranza assoluta debba calcolarsi sulla base degli aventi diritto
al voto, oppure sul numero dei presenti. È comunque da ritenersi
che andrebbe applicata l'interpretazione corrente, conforme alla prima
ipotesi prospettata.
La convocazione dell'Assemblea
della Repubblica: l'articolo 20, non modificato dalla Commissione, non
apporta modifiche al primo comma dell'articolo 85 della Costituzione, lasciando
immutata la durata settennale del mandato presidenziale ma, al secondo
comma, innalza a 60 giorni dalla scadenza del mandato il termine per la
convocazione, da parte del Presidente della Camera
dei deputati, dell'Assemblea per l'elezione del nuovo Presidente della
Repubblica.
La scelta è stata
giustificata con l'esigenza di limitare il periodo di prorogatio del Presidente
uscente e di garantire al collegio elettorale un maggiore periodo di ponderazione
e riflessione per giungere ad una scelta largamente condivisa. Essendo
stato ampliato il collegio elettorale, si è inteso altresì
lasciare maggior tempo alle procedure di designazione dei delegati regionali.
Un'altra modifica riguarda
il terzo comma dell'articolo 85, dove le parole «le Camere»
sono sostituite con «la Camera dei deputati». In tal modo,
la proroga dei poteri del Presidente della Repubblica nell'ipotesi che
la scadenza del settennato coincida con la vacanza o con l'imminente scioglimento
è prevista soltanto se questi eventi interessano la Camera dei deputati.
Si ricorda che, nel nuovo sistema, la contestualità dell'elezione
della Camera e del Senato possono venire meno a seguito di uno scioglimento
anticipato della Camera dei deputati.
Non è stato invece
previsto il caso secondo cui a trovarsi nelle condizioni di scioglimento
siano il Senato federale o i consigli regionali.
La supplenza: l'articolo
21, non modificato dalla Commissione, introduce lievi modifiche all'articolo
86 della Costituzione, che disciplina la sostituzione momentanea della
carica di Presidente della Repubblica, il quale, nei casi in cui non possa,
per impedimento temporaneo, adempiere le sue funzioni, viene sostituito
dal Presidente del Senato. Ferme le disposizioni recate dalla Costituzione
vigente, il testo prevede solo che il supplente del Presidente della Repubblica
sia il Presidente «del Senato federale della Repubblica».
Qualora l'impedimento si
trasformi in permanente o intervengano la morte o le dimissioni del Presidente,
il secondo comma dell'articolo 86 stabilisce che venga indetta, entro quindici
giorni, l'elezione del nuovo Presidente, salvo che le Camere siano sciolte
o manchino meno di tre mesi alla loro cessazione: anche questo caso, come
per il precedente articolo 85, il disegno di legge costituzionale sostituisce
le parole «le Camere» con «la Camera dei deputati».
Le modifiche introdotte
hanno dunque mere finalità di coordinamento.
Le funzioni del Presidente
della Repubblica.
L'articolo 22, sostituendo
l'articolo 87 della Costituzione, definisce il ruolo del Presidente della
Repubblica nel sistema istituzionale e individua i poteri e le funzioni
del Capo dello Stato, consentendo di delineare complessivamente la sua
posizione nel nuovo sistema proposto. Il primo comma del nuovo articolo
87, riformulato nel corso dell'esame in sede referente, enuncia le seguenti
prerogative del Presidente: è il Capo dello Stato (così recita
anche il testo vigente dell'articolo 87); rappresenta l'unità federale
della Nazione (rispetto al testo vigente, è aggiunto l'aggettivo
«federale»); è garante della Costituzione (si tratta
di una formulazione non presente nell'attuale primo comma dell'articolo
87).
La riformulazione operata
dalla I Commissione ha espunto la dizione: «esercita le funzioni
che la Costituzione gli attribuisce espressamente», che il Senato
aveva introdotto nel testo.
L'articolo 22 del disegno
di legge costituzionale modifica in alcune parti l'elenco dei poteri attribuiti
al Presidente della Repubblica dall'articolo 87 della Costituzione, nei
commi successivi al primo. Alcuni nuovi poteri gli sono attribuiti, in
relazione al suo ruolo di garanzia, quale «contrappeso istituzionale»
al rafforzamento del vertice dell'Esecutivo - che riduce l'ambito di incidenza
del Capo dello Stato nel rapporto Parlamento-Governo ed ai maggiori poteri
assegnati alle autonomie territoriali.
In particolare, viene attribuito
al Presidente della Repubblica il potere di: nominare, nei casi indicati
dalla legge, i presidenti delle autorità amministrative indipendenti,
sentiti i Presidenti delle due Camere (quest'ultimo inciso è stato
aggiunto dalla I Commissione della Camera); designare
il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, nell'ambito
dei componenti di nomina parlamentare (anche questa precisazione è
stata introdotta durante l'esame in sede referente).
Attualmente, secondo quanto
prescrive l'articolo 104, quinto comma della Costituzione, il vicepresidente
del Consiglio superiore della magistratura viene eletto dal Consiglio stesso,
tra i membri di nomina parlamentare.
Tali atti presidenziali
sono espressamente sottratti alla proposta e alla controfirma del Primo
ministro o dei ministri in virtù del terzo comma dell'articolo 89
della Costituzione, come sostituito dall'articolo 24 del testo della riforma.
Tale norma sancisce e sottolinea l'autonomia con cui il Presidente deve
esercitare la funzione assegnatagli.
In base a un ulteriore emendamento
approvato dalla I Commissione della Camera, spetta al Capo dello Stato
indire non solo le elezioni delle Camere, ma anche quelle dei Consigli
regionali e dei Consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano,
nonché dei rispettivi Presidenti. La modifica appare correlata con
l'introduzione della cosiddetta «contestualità affievolita»
tra l'elezione del Senato federale e quelle dei consigli regionali.
Attualmente, e fino a quando
le singole regioni non disciplineranno diversamente la materia, nelle regioni
a statuto ordinario le elezioni sono indette dal rappresentante dello Stato
per i rapporti con il sistema delle autonomie, figura che, dopo la riforma
del Titolo V, ha preso il posto del commissario di Governo (articolo 10,
legge n. 131 del 2003); nelle regioni a statuto speciale, dal presidente
della regione.
Il richiamo all'elezione
dei presidenti delle regioni e delle province autonome, congruo nell'attuale
contesto normativo, potrebbe non risultare in futuro applicabile in quelle
regioni che, nel definire la propria forma di governo e il proprio sistema
elettorale in attuazione degli articoli 122 e 123 della Costituzione, non
prevedessero l'elezione diretta del Capo dell'Esecutivo.
A fronte dell'acquisto delle
nuove attribuzioni, viene soppresso l'istituto dell'autorizzazione del
Presidente della Repubblica per la presentazione dei disegni di legge di
iniziativa governativa (prevista dal vigente comma quarto dell'articolo
87 della Costituzione).
Per il resto, il disegno
di legge costituzionale mantiene le altre funzioni presidenziali previste
dal testo attualmente vigente dell'articolo 87.
Si tratta delle seguenti
funzioni, prevalentemente connesse al funzionamento dell'ordinamento costituzionale
o rientranti nell'ambito delle competenze amministrative del Presidente
della Repubblica: la possibilità di inviare messaggi alle Camere;
la promulgazione delle leggi e l'emanazione dei decreti aventi valore di
legge (decreti legislativi e decreti-legge) e dei regolamenti; l'indizione
dei referendum abrogativi, dei referendum di approvazione delle leggi di
revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali, dei referendum
per la modifica territoriale di regioni e di enti locali la nomina dei
funzionari dello Stato, nei casi previsti dalla legge; l'accreditamento
e il ricevimento dei rappresentanti diplomatici e la ratifica dei trattati
internazionali, previa, nei casi in cui sia richiesta, autorizzazione delle
Camere; il comando delle Forze armate; la presidenza del Consiglio supremo
di difesa; la dichiarazione dello stato di guerra deliberato dal Parlamento;
la presidenza del Consiglio superiore della magistratura; il potere di
concedere la grazia e di commutare le pene; il conferimento delle onorificenze
della Repubblica.
Con riferimento alle norme
concernenti le funzioni del Presidente della Repubblica contenute in altre
parti della proposta di riforma, si ricordano le disposizioni che seguono:
l'articolo 5, modificando l'articolo 59 della Costituzione, riduce a tre
il numero dei senatori a vita di nomina presidenziale, e chiarisce che
tale numero si riferisce al totale dei senatori a vita di nomina presidenziale
simultaneamente in carica; con la modifica dell'articolo 135 della Costituzione
prospettata dall'articolo 40, mantenendosi il numero complessivo
attuale dei giudici della Corte costituzionale, è
elevata a sette membri la componente di nomina parlamentare (tre eletti
dalla Camera, quattro dal Senato federale); di conseguenza è ridotto
il numero di membri nominati dal Presidente della Repubblica e dalle supreme
magistrature (quattro ciascuno); dal punto di vista dei poteri presidenziali
che incidono direttamente sul circuito dell'indirizzo politico, gli articoli
23, 26 e 28 introducono significative innovazioni, che contribuiscono a
mutare la collocazione del Capo dello Stato nel sistema istituzionale:
il potere di scioglimento anticipato della Camera viene ad essere prerogativa
esclusiva del Primo ministro, per cui lo scioglimento si configura come
un atto presidenziale formalmente misto, ma sostanzialmente ascrivibile
alla responsabilità piena del premier; anche negli altri casi di
scioglimento della Camera previsti dal testo in esame (impossibilità
di procedere alla nomina di un nuovo Primo ministro in caso di morte, impedimento
permanente o dimissioni di questi; approvazione di una mozione di sfiducia),
il ruolo del Capo dello Stato è essenzialmente formale; è
inoltre venuto meno il potere del Presidente della Repubblica di sciogliere
il Senato federale (tale possibilità, prevista in origine dal testo
della riforma nell'ipotesi di «prolungata impossibilità di
funzionamento», è stata soppressa nel corso dell'esame al
Senato).
Per quanto riguarda il potere
di nomina del Primo ministro, il terzo comma dell'articolo 92 della Costituzione,
come riformulato dall'articolo 26 del progetto, fissa un vincolo costituzionale
per lo svolgimento della funzione presidenziale di nomina, che dovrà
essere esercitata «sulla base dei risultati delle elezioni della
Camera dei deputati».
Tra i poteri che il testo
della riforma propone di attribuire al Presidente della Repubblica, si
segnala la possibilità, prevista dal secondo comma dell'articolo
127 della Costituzione (inserito dall'articolo 38 del disegno di legge),
di annullare le leggi regionali in contrasto con l'interesse nazionale.
Tale potere sarebbe peraltro esercitabile unicamente alla fine di un iter
articolato, avviato su iniziativa del Governo ed affidato primariamente
alla competenza del Senato federale.
La controfirma degli atti
presidenziali: l'articolo 24 propone, attraverso una modifica dell'articolo
89 della Costituzione, la soppressione della controfirma ministeriale per
i seguenti atti dei Presidente della Repubblica: rinvio delle leggi alle
Camere ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione; messaggio alle Camere;
concessione della grazia; nomina dei senatori a vita; nomina dei giudici
costituzionali di sua competenza; «scioglimento della Camera dei
deputati ai sensi dell'articolo 88 della Costituzione»; nomina del
vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura; nomina dei presidenti
delle autorità amministrative indipendenti; «altre nomine
che la legge attribuisce alla sua esclusiva competenza».
Dalla relazione illustrativa
del disegno di legge costituzionale e dal dibattito parlamentare si desume
che tale modifica è intesa a chiarire in maniera definitiva, in
Costituzione, che tutti gli atti menzionati sono da ritenersi «formalmente
e sostanzialmente» presidenziali (secondo le indicazioni della dottrina
prevalente).
Il vigente articolo 89 della
Costituzione, dopo aver stabilito che tutti gli atti del Capo dello Stato
sono controfirmati dai ministri proponenti (prima comma), prevede che «gli
atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono
controfirmati anche dal Presidente del Consiglio» (secondo comma).
La stessa Costituzione, quindi, rinvia alla legge per individuare quali
atti debbano essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio.
A tale proposito, l'articolo
5, comma 1, lettera d), della legge n. 400 del 1988 stabilisce che il Presidente
del Consiglio dei ministri controfirma: gli atti di promulgazione delle
leggi; ogni atto per il quale è intervenuta deliberazione del Consiglio
dei ministri; gli atti che hanno valore o forza di legge; «insieme
con il ministro proponente, gli altri atti indicati dalla legge».
Sono altresì controfirmati
dal Presidente del Consiglio dei ministri, in applicazione del primo comma
dell'articolo 89 della Costituzione, anche gli altri atti adottati su sua
proposta in quanto riferibili alle sue attribuzioni o all'ambito di competenza
della Presidenza del Consiglio, ovvero alcuni «atti propri»
del Capo dello Stato non riferibili, quanto all'oggetto, ad uno specifico
settore di competenza ministeriale (ad esempio: nomina del Presidente dei
Consiglio, nomina dei ministri, accettazione delle dimissioni del Governo,
scioglimento delle Camere e dei Consigli regionali, nomina dei senatori
a vita, nomina dei giudici costituzionali: quest'ultima ipotesi è
espressamente contemplata dall'articolo 4 della legge n. 87 del 1953).
Con riguardo all'inciso
«altre nomine che la legge eventualmente attribuisca alla sua esclusiva
responsabilità», il testo approvato dal Senato è stato
modificato in Commissione, sostituendosi il termine «responsabilità»
con quello di «competenza».
La nuova formulazione appare
testualmente meno confliggente con il disposto di cui all'articolo 90 della
Costituzione, ove si prevede che il Presidente della Repubblica non sia
responsabile per gli atti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni
(tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione).
Viene comunque meno, con
riguardo agli atti sostanzialmente presidenziali, la funzione che un'ampia
dottrina tradizionalmente attribuisce alla controfirma ministeriale alla
luce dell'articolo 90 della Costituzione: quella di scaricare sul Governo
la responsabilità (giuridica) degli atti risalenti alla volontà
del Presidente, che altrimenti risulterebbe priva di un titolare.
Un'altra modifica apportata
dalla Commissione concerne il potere di scioglimento della Camera. Nel
testo trasmesso dal Senato, la controfirma ministeriale era esclusa solo
nei casi previsti dagli articoli 92, comma quarto (morte o impedimento
permanente del Primo ministro, sue dimissioni per cause diverse da quelle
legate alla fiducia), e 94, comma terzo (mozione di sfiducia); tale soluzione
appariva giustificata dal fatto che lo scioglimento «su richiesta»,
di cui all'articolo 88, primo comma, avviene sotto la esclusiva responsabilità
del Primo ministro richiedente.
Un emendamento approvato
dalla Commissione ha tuttavia sostituito tali riferimenti con un generale
richiamo all'articolo 88 della Costituzione: ne consegue che anche lo scioglimento
della Camera richiesto dal Primo ministro è sottratto alla controfirma
ministeriale. La disposizione andrebbe dunque coordinata con il disposto
dell'articolo 88, primo comma, lettera a), della Costituzione, come riformulato
dall'articolo 23 del testo licenziato dalla Commissione.
Rimangono sostanzialmente
invariati i primi due commi del vigente articolo 89, eccetto una modifica
di carattere formale al secondo comma, che provvede a sostituire l'espressione
«Presidente del Consiglio dei ministri» con «Primo ministro».
L'articolo 25, non modificato
dalla Commissione, sostituisce, all'articolo 91 della Costituzione, le
parole: «Parlamento in seduta comune» con: «Assemblea
della Repubblica». La disposizione è di mero coordinamento,
e consegue alla necessità che il Presidente della Repubblica presti
giuramento dinanzi allo stesso organo che lo ha eletto.
Sulla figura del Presidente
della Repubblica i principali emendamenti del centrosinistra sono i seguenti:
«Il Presidente della
Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.
All'elezione partecipano i Presidenti di ciascun Consiglio regionale e
i Presidenti dei Consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano.
L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto
a maggioranza di due terzi dell'Assemblea. Dopo il terzo scrutinio è
sufficiente la maggioranza assoluta.
Il Presidente della Repubblica
è eletto dall'Assemblea della Repubblica, presieduta dal Presidente
della Camera e composta per metà dai deputati e per metà
dai senatori e da rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali.
I rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali sono eletti per
metà dai consigli regionali e per metà
dai consigli delle autonomie locali, secondo le disposizioni stabilite
dalla legge.
Fino all'entrata in vigore
della legge di cui all'articolo 83 della Costituzione, i rappresentanti
delle autonomie locali sono eletti dal Consiglio regionale. La suddivisione
dei rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali è effettuata
in proporzione alla popolazione delle regioni, come risulta dall'ultimo
censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti
resti.
Dopo il quarto scrutinio
è sufficiente la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, comunque
non inferiore alla maggioranza assoluta dei componenti».
Al primo comma dell'articolo
84 della Costituzione, le parole «cinquant'anni» sono sostituite
dalle seguenti: «quarant'anni».
La Corte costituzionale:
il completamento della transizione in senso federale dell'ordinamento comporta
anche un ripensamento della composizione della Corte costituzionale. Da
questo presupposto muove la modifica dell'articolo 135 della Costituzione
proposta dall'articolo 41.
Fermo restando il numero
complessivo dei giudici, fissato a quindici dall'articolo 135 della Costituzione,
il numero della componente di nomina parlamentare è portato a sette.
È in conseguenza ridotto il numero dei membri nominati dal Presidente
della Repubblica e dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative
(quattro ciascuno).
Si stabilisce inoltre che
spetta al Senato federale la designazione di quattro giudici ed alla Camera
quella di tre. Il testo licenziato dalla Commissione si differenzia sul
punto da quello approvato dal Senato, nel quale l'intera componente di
nomina parlamentare era nominata dal Senato federale.
Nei riguardi della Corte
costituzionale l'intervento del Senato è stato giustificato con
la necessità di far partecipare le autonomie territoriali alla elezione
dell'organo chiamato a giudicare delle controversie tra Stato centrale
e regioni. È per questa ragione che per l'elezione della Consulta
il Senato viene integrato dai presidenti delle giunte delle regioni e delle
province autonome.
L'articolo in esame propone
ulteriori modifiche all'articolo 135 della Costituzione Per rafforzare
l'indipendenza dei giudizi costituzionali, si prevede che, nei tre anni
successivi alla cessazione della carica, il giudice costituzionale non
possa ricoprire incarichi di governo, cariche pubbliche elettive o di nomina
governativa, o svolgere funzioni in organi o enti pubblici individuati
dalla legge. Il termine originario (cinque anni) è stato ridotto
durante l'esame in Commissione.
È inoltre modificata
la disciplina relativa alla scelta dei sedici cittadini chiamati ad integrare
il collegio nei giudizi di accusa contro il Presidente della Repubblica:
l'elenco da cui trarre a sorte i sedici membri è compilato dalla
Camera e non dal Senato, come previsto dal settimo comma dell'articolo
135 della Costituzione, ed è necessario che i cittadini iscritti
nell'elenco abbiano i requisiti per l'eleggibilità a deputato e
non a senatore.
L'articolo in esame reca
anche una modifica di tipo formale all'articolo 3 della legge costituzionale
n. 2 del 1967 che disciplina le modalità di elezione dei giudici
costituzionali di nomina parlamentare. Le modalità rimangono le
stesse, ma non si applicano più al Parlamento in seduta comune bensì,
distintamente, alla Camera dei deputati e al Senato federale.
Per raggiungere la composizione
della Corte costituzionale come delineata dalla riforma è prevista
(articolo 43, comma 5) una opportuna disciplina transitoria, anch'essa
modificata in esito alla riformulazione dell'articolo 135 della Costituzione
operata in sede referente. Il Senato nomina i giudici di propria competenza
alle prime due scadenze dei giudici eletti dal Parlamento in seduta comune
ed alle prime due scadenze rispettivamente di un giudice già eletto
dalla suprema magistratura ordinaria e di un giudice nominato dal Presidente
della Repubblica. La Camera dei deputati nomina i giudici di propria
competenza alle successive scadenze di giudici eletti dal Parlamento in
seduta comune.
Dei cinque giudici eletti
dal Parlamento attualmente in carica, due cesseranno dalla carica nel gennaio
2005, uno nel luglio 2006 e due nell'aprile 2011. Il primo giudice nominato
dal Presidente della Repubblica che completerà il mandato (nel settembre
2004) è l'attuale Presidente. Nel 2005 cesseranno dalla carica contemporaneamente
altri tre giudici di nomina presidenziale ed il quinto nel 2009. Dei giudici
espressi dalle supreme magistrature, il prossimo in scadenza (2008) è
stato eletto dalla Corte di cassazione.
Considerato che ai sensi
del comma 1 dell'articolo 43, il nuovo articolo 135 della Costituzione
troverà applicazione con l'inizio della XV legislatura (dunque,
prevedibilmente, a partire dalla primavera dei 2006), bisognerà
attendere la scadenza dei giudici che saranno eletti nel 2005 (cioè
il 2014) per il completamento della composizione della Corte costituzionale
con i nuovi criteri.
Infatti il primo giudice
ad essere eletto dal Senato federale sarà, presumibilmente, quello
di nomina parlamentare destinato a scadere nel 2006. Seguiranno quelli
da eleggere in sostituzione di un giudice eletto dalla Corte di cassazione
(2008), e di un giudice nominato dal Capo dello Stato (2009). Nel 2011
verranno sostituiti altri due giudici di nomina parlamentare (uno dal Senato
federale, l'altro dalla Camera); gli ultimi due saranno eletti (dalla Camera)
nel 2014.
Si osserva in proposito
che la disposizione transitoria relativa alla sostituzione dei giudici
in scadenza con quelli nominati dal Senato fa riferimento, per quanto riguarda
i giudici eletti dalla magistratura, esclusivamente a quelli eletti dalla
magistratura ordinaria e non anche da quella amministrativa. In questo
modo, se venisse a concludersi anzi tempo il mandato di uno dei giudici
espressione di quest'ultima presumibilmente non si potrà procedere
all'elezione del nuovo giudice da parte del Senato federale.
Quanto alle disposizioni
poste dal comma quarto dell'articolo 135 della Costituzione (come modificato),
si prevede che esse non trovino applicazione nei riguardi dei giudici costituzionali
in carica alla data di entrata in vigore della proposta di legge costituzionale
in commento (articolo 43, comma 6).
La proposta del centrosinistra:
il ricorso preventivo alla Corte costituzionale da parte di una minoranza
parlamentare è ritenuto dal centrosinistra uno strumento necessario
di riequilibrio dei poteri nei sistemi bipolari e maggioritari.
L'emendamento proposto è
il seguente:
«Un quarto dei componenti
di una Camera può promuovere la questione di legittimità
costituzionale per vizi del procedimento di una legge, entro cinque giorni
dalla sua approvazione definitiva. La Corte costituzionale si pronuncia
entro venti giorni, ridotti a dieci su richiesta del Governo per ragioni
di necessità ed urgenza».
La composizione del Consiglio
superiore della magistratura: l'articolo 31 del disegno di legge costituzionale
interviene sull'articolo 104 della Costituzione, modificando le modalità
di elezione del Consiglio superiore della magistratura.
In particolare, si propone
che la quota di membri di nomina parlamentare non sia eletta dal Parlamento
in seduta comune, bensì per un sesto dalla Camera dei deputati e
per un sesto dal Senato federale, integrato dai Presidenti delle giunte
delle regioni e delle province autonome.
Anche in questo caso, la
I Commissione della Camera ha modificato il testo approvato dal Senato,
nel quale l'intera componente di nomina parlamentare era nominata dal Senato
federale.
Il vicepresidente del Consiglio
superiore della magistratura inoltre, non è più eletto dal
Consiglio ma è nominato dal Presidente della Repubblica tra i componenti
di nomina parlamentare: quest'ultimo inciso, previsto dalla disciplina
vigente e soppresso nel testo approvato dal Senato, è stato reintrodotto
nel corso dell'esame in sede referente.
La disciplina relativa al
Consiglio superiore della magistratura è oggi contenuta nell'articolo
104 della Costituzione che provvede a: indicare i tre membri di diritto
(il Presidente della Repubblica, che presiede l'organo, il primo presidente
e il procuratore generale della Corte di cassazione); disporre che gli
altri componenti siano eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari
tra gli appartenenti alle varie categorie (sono questi i cosiddetti componenti
togati) e per un terzo (i cosiddetti componenti laici) dal Parlamento in
seduta comune tra i professori ordinari di università in materie
giuridiche e tra gli avvocati dopo quindici anni di esercizio professionale;
ai sensi dei quinto comma dell'articolo 104, il vicepresidente del Consiglio
superiore della magistratura deve essere eletto tra i membri di nomina
parlamentare; stabilire in quattro anni la durata in carica dei membri
elettivi e la loro non rieleggibilità immediata; disporre che gli
stessi membri elettivi non possano essere iscritti ad albi professionali,
né far parte del Parlamento o di un consiglio regionale.
La relativa normativa di
attuazione è recata dalla legge n. 195 del 1958, il cui articolo
1, prevedendo oltre ai tre membri di diritto, sedici componenti eletti
dai magistrati e otto di nomina parlamentare, fissa in 27 il numero complessivo
dei membri del Consiglio superiore della magistratura.
La disciplina in materia
di rinnovo elettorale del Consiglio superiore della magistratura è
contenuta nella medesima normativa del 1958, secondo la quale (articolo
21) le elezioni si svolgono nei giorni stabiliti dal Presidente del Consiglio
superiore e dal Presidente delle due Camere del Parlamento ed hanno luogo
entro tre mesi dallo scadere dei precedente. La stessa norma precisa che
almeno 40 giorni prima delle elezioni deve essere pubblicizzata nella Gazzetta
Ufficiale la convocazione dei rispettivi corpi elettorali.
La citata legge n. 195 (articolo
22) disciplina anche le modalità per l'elezione dei membri laici
disponendo, in particolare, che tale elezione avvenga con votazione a scrutinio
segreto e con la maggioranza dei tre quinti dell'Assemblea. Per gli scrutini
successivi al secondo, è invece sufficiente la maggioranza dei tre
quinti dei soli votanti.
La composizione del Consiglio
superiore della magistratura riflette l'esigenza, sorta in seno all'Assemblea
costituente, di garantire l'autonomia della magistratura senza isolare
l'ordine giudiziario dagli altri poteri dello Stato. Dopo un ampio dibattito,
l'Assemblea costituente scelse una composizione mista nella quale la prevalenza
numerica della componente togata fosse bilanciata dalla attribuzione della
vice presidenza attribuita ad uno dei componenti laici. La scelta di attribuire
la carica di Presidente al Capo dello Stato fu vista come espressione dell'unità
dello Stato.
Formulerò, ora, taluni
rilievi critici.
Le modifiche costituzionali
relative al Consiglio superiore della magistratura si inquadrano nella
linea di riduzione delle garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura
spesso brutalmente perseguite dall'attuale maggioranza di Governo.
La riforma prevede la modifica
dell'articolo 87 attribuendo al Presidente della Repubblica «la nomina
del vice Presidente nell'ambito dei componenti eletti dalle Camere»,
mentre attualmente viene eletto dai componenti del Consiglio superiore
della magistratura tra i membri designati dal Parlamento: la modifica riguarda
l'organo cui è demandata la direzione effettiva del Consiglio superiore
della magistratura (ivi compresa la presidenza della Sezione disciplinare),
nonché la gestione del personale, delle risorse economiche e dei
rapporti con le altre Istituzioni, tra cui il ministro della Giustizia.
Questa novità va
a incidere non solo sui poteri di un organo collegiale costituzionale,
ma anche sul rapporto di fiducia che lega il vice Presidente eletto ai
consiglieri elettori, così privati di ogni effettiva possibilità
di controllo sul suo operato: il nuovo vice Presidente, infatti, quale
vero e proprio delegato del Capo dello Stato, a lui solo sarà chiamato
a risponderne. È facile cogliere in questa
scelta l'ennesima manifestazione di sfiducia dell'attuale maggioranza politica
verso l'organo di autogoverno della magistratura, tanto più ove
si pensi al ruolo puramente decorativo che si vuole attribuire al Presidente
della Repubblica, eletto a maggioranza assoluta (e dunque, vincolato a
«sicura obbedienza»).
In questo modo, con una
modifica costituzionale apparentemente marginale, l'indipendenza della
magistratura subisce un vulnus e il Consiglio superiore della magistratura
viene «degradato a collegio tecnico etero-diretto».
Siamo dunque in presenza
di una modifica costituzionale sbagliata che va respinta con fermezza.
Le regioni e le autonomie
locali: sul piano politico, l'intera riforma costituzionale è caratterizzata
dalla cosiddetta devolution ossia da una particolare soluzione dei problemi
posti dal federalismo avviato con la riforma costituzionale del 2001.
Sul tema occorre dunque
soffermarsi in modo specifico.
Le innovazioni del disegno
all'esame della Camera: anche il Titolo V della parte seconda della Costituzione,
che reca la disciplina in materia di regioni e autonomie locali, è
fatto oggetto di sostanziali modifiche. In particolare, il primo comma
dell'articolo 117 della Costituzione è riformulato escludendo gli
«obblighi internazionali» dai limiti posti alla legislazione
statale e regionale.
Secondo il disegno di legge,
quindi, Stato e regioni legiferano nel rispetto della Costituzione e degli
obblighi comunitari. Alla potestà esclusiva dello Stato viene riservata,
con una modifica introdotta al secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione,
la definizione delle norme generali sulla salute, mentre al terzo comma
del medesimo articolo, che indica le materie rispetto alle quali è
individuata una competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni,
è stato aggiunto un ulteriore periodo, nel quale si stabilisce che
lo Stato e le regioni si conformano ai principi di leale collaborazione
e di sussidiarietà. Nel quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione
è quindi introdotto il riconoscimento in capo alle regioni della
potestà legislativa esclusiva nelle materie dell'assistenza e organizzazione
sanitaria, dell'organizzazione scolastica, della gestione degli istituti
scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche,
della definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse
specifico della regione e, infine, della polizia locale.
Resta comunque ferma la
competenza esclusiva delle regioni in ogni altra materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato. All'ottavo comma dell'articolo
117, si consente poi alle regioni di stipulare «intese» tra
loro per il migliore esercizio delle proprie funzioni, eventualmente individuando
organi comuni, dei quali è specificato il carattere «amministrativo».
L'articolo 118 della Costituzione è quindi riformulato ampliando
le materie e gli ambiti per i quali la legge statale disciplina forme di
intese e coordinamento tra Stato e regioni e prevedendo, nell'ambito del
principio di sussidiarietà, un esplicito riconoscimento per gli
«enti di autonomia funzionale». La disciplina dei rapporti
tra Stato e regioni è infine completata con la previsione, all'articolo
120 della Costituzione, che una legge statale disciplini, in conformità
ai criteri di sussidiarietà e di leale collaborazione, i principi
che assicurino da parte delle regioni, delle città metropolitane,
delle province e dei comuni, il rispetto di norme e trattati internazionali
o della normativa comunitaria, l'incolumità e la sicurezza pubblica
in caso di pericolo grave, la tutela dell'unità giuridica o dell'unità
economica e, in particolare, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali
dei governi locali. Va precisato che, in caso di mancato rispetto, da parte
degli organi degli enti territoriali, delle predette finalità, viene
confermata la titolarità del potere sostitutivo in capo al Governo,
esercitabile secondo le modalità stabilite dalla legge. La Commissione
ha inoltre introdotto una novella al vigente articolo 123 della Costituzione,
espungendo il riferimento, da considerarsi oramai
desueto a seguito della precedente riforma del Titolo V, all'opposizione
del visto da parte del commissario del Governo sulle leggi di approvazione
degli statuti regionali.
L'articolo 127 della Costituzione
contempla, invece, l'interesse nazionale quale limite di merito per le
leggi regionali, legittimando il Governo a sollevare, entro trenta giorni
dalla pubblicazione della legge regionale, la questione relativa al mancato
rispetto da parte della legge stessa, o di una sua parte, dell'interesse
nazionale. Su tale questione è chiamato a pronunciarsi, entro i
successivi trenta giorni, il Senato federale che, qualora condivida la
valutazione del Governo, può rinviare la legge alla regione, deliberando
a maggioranza assoluta dei componenti e indicando le disposizioni pregiudizievoli.
In tal caso, qualora entro
i successivi trenta giorni il Consiglio regionale non provveda a rimuovere
le disposizioni censurate, il Senato federale, entro ulteriori trenta giorni
e sempre a maggioranza assoluta dei componenti, può proporre al
Presidente della Repubblica di annullare l'intera legge o sue disposizioni.
Rispetto al testo approvato dal Senato, la Commissione ha introdotto un
termine, pari a quindici giorni, entro il quale il Capo dello Stato può
emanare il conseguente decreto di annullamento.
Sotto altro profilo, a Roma,
come capitale della Repubblica federale, sono attribuite forme e condizioni
particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza
regionale, nei limiti e con le modalità stabilite dallo statuto
della regione Lazio, mentre il suo ordinamento è disciplinato con
legge dello Stato. Si prevede poi che gli statuti delle regioni ad autonomia
speciale debbano essere adottati, con legge costituzionale, previa intesa
con la regione interessata; è soppressa la previsione, oggi recata
dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che possano estendersi
forme e condizioni particolari di autonomia ad altre regioni, diverse da
quelle a statuto speciale. Sono infine modificate le ipotesi di scioglimento
dei Consigli regionali, escludendosi lo scioglimento in caso di morte o
impedimento permanente del Presidente della Giunta.
La soppressione del riferimento
agli obblighi internazionali.
Il comma 1 dell'articolo
34, riformulando il primo comma dell'articolo 117 della Costituzione, esclude
gli «obblighi internazionali» dai limiti, comuni a Stato e
regioni, che tale comma impone all'esercizio della potestà legislativa.
Secondo la proposta, quindi, Stato e regioni legiferano nel rispetto della
Costituzione e degli obblighi comunitari.
Permane ovviamente il vincolo
costituzionale, dettato dall'articolo 10 della Costituzione, del rispetto
del diritto internazionale generalmente riconosciuto.
La motivazione della soppressione
è stata indicata nei dubbi interpretativi sulla locuzione «obblighi
internazionali«: se con essi ci si riferisca, o meno, ad ogni tipo
di trattato internazionale, e dunque anche a quegli accordi per cui non
è prevista alcuna forma di ratifica da parte del Parlamento.
Si ricorda a tale proposito
che l'articolo 1, comma 1, della citata legge n. 131 del 2003, ribadisce
i vincoli comuni al legislatore nazionale e regionale dettati dal primo
comma dell'articolo 117, cosi specificandoli: norme di diritto internazionale
generalmente riconosciute, di cui all'articolo 10 della Costituzione; accordi
di reciproca limitazione di sovranità, di cui all'articolo 11 della
Costituzione; ordinamento comunitario; trattati internazionali.
In dottrina tutti gli interventi
sul punto criticano la soppressione, all'articolo 117, primo comma, della
Costituzione, del riferimento agli obblighi internazionali, ritenuto contraddittorio
con il crescere delle esigenze e delle pratiche di collaborazione internazionale.
Condivisa invece la necessità
di limitare il vincolo ai trattati regolarmente ratificati dopo autorizzazione
parlamentare con legge, ovvero l'opportunità di fare esplicito riferimento
all'articolo 80 della Costituzione, che individua chiaramente quali sono
«gli obblighi internazionali aventi necessità di una fonte
legislativa per l'inserzione nell'ordinamento italiano».
Le modificazioni dell'assetto
delle competenze legislative esclusive alle regioni (cosiddetta devolution):
i commi 2 e 3 dell'articolo 34 sono frutto di due emendamenti approvati
dalla I Commissione della Camera nel corso dell'esame in sede referente.
Essi apportano due significative modificazioni al secondo e al terzo comma
dell'articolo 117 della Costituzione: la materia «tutela della salute»
è espunta dall'elenco delle materie di competenza concorrente Stato-regioni
(articolo 117, terzo comma) ed è inserita, con la più ristretta
denominazione di «norme generali sulla tutela della salute»,
tra quelle di competenza statale esclusiva (articolo 117, secondo comma,
lettera m-bis)): la novella va letta in correlazione con le competenze
esclusive attribuite in materia alle regioni dal successivo comma 4; l'esercizio
(da parte sia statale, sia regionale) della potestà legislativa
concorrente è condizionato al rispetto dei principi di leale collaborazione
e di sussidiarietà, espressamente introdotti nel terzo comma dell'articolo
117 della Costituzione.
Se è vero che il
principio di sussìdìarietà è già richiamato
nella Carta costituzionale con riferimento al riparto delle funzioni amministrative
(articolo 118) ed all'esercizio del potere sostitutivo del Governo (articolo
120), appare meritevole di approfondimento la portata normativa di una
disposizione che segnatamente preveda l'applicazione di tale principio
all'esercizio della funzione legislativa concorrente; non appare di immediata
evidenza, in particolare, se possa o meno derivarne una nuova interpretazione
dell'oggetto e dell'ampiezza della competenza legislativa statale sui «principi
fondamentali».
Tali modifiche si aggiungono
a quella recata dal comma 4 dell'articolo 34 in commento, già presente
nell'originario testo governativo del disegno di legge e non modificata
nel corso dell'esame parlamentare. Tale comma riscrive il quarto comma
dell'articolo 117 della Costituzione, introducendo un elenco di materie
specifiche nelle quali alle regioni spetta la potestà legislativa
esclusiva: assistenza e organizzazione sanitaria; organizzazione scolastica,
gestione degli istituti scolatici e di formazione, salva l'autonomia delle
istituzioni scolastiche; definizione della parte dei programmi scolastici
e formativi di interesse specifico della regione; polizia locale.
Il quinto elemento dell'elenco
è invece la norma residuale, già contenuta nel quarto comma
dell'articolo 117: «a ogni altra materia non espressamente riservata
alla legislazione dello Stato».
Il comma riproduce, con
alcune modifiche, il disegno, di legge costituzionale n. 3461, approvato
in prima lettura sia dal Senato (5 dicembre 2002) sia dalla Camera dei
deputati (14 aprile 2003). Identico è l'elenco delle materie; la
competenza legislativa esclusiva su di esse, invece, è esplicitamente
attribuita alle regioni nel disegno di legge in esame, mentre nell'n. 3461
doveva essere «attivata» dalle regioni stesse.
La ripartizione delle competenze
legislative nell'attuale assetto costituzionale.
Com'è noto, la legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 ha modificato, tra l'altro, il quadro
delle competenze legislative di Stato e regioni, che attualmente risulta
essere il seguente: un primo elenco di materie la cui disciplina è
demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (articolo 117,
secondo comma) che cessa così di essere soggetto a competenza generale
per divenire soggetto a competenza enumerata; un secondo elenco di materie
- che la stessa norma costituzionale definisce «di legislazione concorrente»
- in cui «spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo
che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione
dello Stato» (articolo 117, terzo comma); una norma di chiusura,
secondo cui la potestà legislativa su ogni materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato spetta alle regioni (competenza
generale residuale: articolo 117, quarto comma). La modifica proposta attribuisce
dunque una potestà legislativa esclusiva anche alle regioni: in
determinate materie e in tutte le altre non espressamente
riservate alla legislazione dello Stato.
Il testo vigente dell'articolo
117 della Costituzione ricorre al termine «esclusiva» solo
quando si riferisce alla potestà legislativa dello Stato nelle materie
di cui al secondo comma dell'articolo. Quanto alle regioni, ad esse spetta
la potestà legislativa» (senza ulteriori aggettivazioni) per
le materie non espressamente riservate alla legislazione statale (quarto
comma) e nelle materie di legislazione concorrente (terzo comma), fatta
salva la determinazione dei principi fondamentali.
Con riguardo a ciascuna
delle materie oggetto della proposta in esame, la ripartizione delle competenze
si può sintetizzare come segue.
In particolare: secondo
la Costituzione vigente, in ambito sanitario rileva: in primo luogo la
competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni in materia di «tutela
della salute», ove spetta allo Stato la determinazione dei principi
fondamentali ed alle regioni la restante disciplina legislativa; per altro
verso, rileva la competenza esclusiva dello Stato nella determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali,
fra i quali ha certamente un ruolo centrale il diritto alla salute (si
ricordi a tale proposito anche l'articolo 32 della Costituzione, che sancisce
il diritto alla salute quale diritto fondamentale dell'individuo e della
collettività e ne affida alla Repubblica la tutela - e dunque anche
a regioni ed enti locali ora pari ordinati nell'articolo 114 della Costituzione);
in virtù del principio, introdotto dalla riforma, dell'affidamento
alle regioni di competenze legislative residuali in tutte le materie non
espressamente affidate allo Stato o alla competenza Stato-regioni, spetterebbe
a queste ultime una competenza piena relativamente a quei profili in materia
di sanità non rientranti nella tutela della salute. Data la portata
generale di tale ultima definizione, non è peraltro agevole accertare
l'esistenza e i limiti di questo ulteriore livello di competenza; va infine
ricordata la possibilità di attribuire a regioni ad autonomia ordinaria
ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (anche) in materia
di tutela della salute, ricorrendo alla particolare procedura descritta
al terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione (comma peraltro soppresso
dal disegno di legge in esame).
Come si è detto,
il testo in esame sopprime il livello di competenza concorrente in materia
di «tutela della salute» ed introduce, quale materia di competenza
esclusiva statale, le «norme generali sulla tutela della salute».
La vigente competenza statale sui «principi fondamentali» si
trasforma pertanto in una competenza sulle «norme generali»
in materia.
Quanto alla competenza regionale,
quella in materia di «assistenza e organizzazione sanitaria»
è esplicitamente prevista dal testo in esame come «esclusiva».
Qualora si ritenga che la
«determinazione dei livelli essenziali», le «norme generali»
e l'«assistenza e organizzazione sanitaria» non esauriscano
l'intera estensione della materia «tutela della salute», i
restanti ambiti di intervento legislativo rientrerebbero comunque nella
potestà legislativa esclusiva (residuale) delle regioni.
Per quanto riguarda l'organizzazione
scolastica (gestione degli istituti; programmi scolastici di interesse
regionale), in base al quadro costituzionale spetta allo Stato: la determinazione
delle «norme generali sull'istruzione» (competenza esclusiva
ex secondo comma articolo 117 e articolo 33 della Costituzione), tra cui
dovrebbero rientrare, in base agli orientamenti interpretativi prevalenti,
la garanzia dell'autonomia delle istituzioni scolastiche - espressamente
sottratta alla competenza concorrente - e le regole essenziali di tali
autonomie, la disciplina del personale, il quadro degli ordinamenti degli
studi, la definizione dei relativi percorsi, la disciplina dell'obbligo
scolastico, la garanzia della libertà d'insegnamento; la determinazione
dei principi fondamentali della materia - concorrente «istruzione»;
la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale», tra cui potrebbero rientrare - tra gli
altri - il «diritto (dei capaci e dei meritevoli) di raggiungere
i gradi più alti degli studi» e il diritto all'istruzione
inferiore «obbligatoria e gratuita» (articolo 34 della Costituzione).
Le regioni risultano, invece,
titolari: della potestà legislativa concorrente in materia di istruzione,
entro i limiti rappresentati dai principi fondamentali posti dallo Stato;
della potestà legislativa esclusiva in materia di istruzione e formazione
professionale; di forme ulteriori e particolari di autonomia in materia,
che lo Stato potrebbe attribuire loro, sulla base del terzo comma dell'articolo
116 (soppresso dal disegno di legge in esame).
La «polizia locale,
urbana e rurale» costituiva, ai sensi della formulazione dell'articolo
117 della Costituzione antecedente alla riforma del Titolo V (legge costituzionale
n. 3 del 2001), materia di competenza legislativa regionale concorrente
per le regioni a statuto ordinario. Nel nuovo articolo 117, l'espressione
«polizia locale, urbana e rurale» non è più presente
e si fa invece riferimento alla «polizia amministrativa locale»
(secondo comma, lettera h)), per sottrarla alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza è
opinione condivisa che, per questo motivo, essa debba rientrare tra le
materie di (piena) competenza regionale, dato che l'articolo 117, quarto
comma, nel testo vigente, assegna «alle regioni la potestà
legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata
alla legislazione dello Stato». Da quanto detto può desumersi
che la riforma costituzionale ha determinato un netto restringimento dell'ambito
di intervento legislativo statale; non potendo esso più dettare
neppure norme di principio in materia di polizia amministrativa locale,
sembra residuare al legislatore statale la possibilità di intervenire
sulle funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza che sono
attribuite al personale appartenente alla polizia locale. Ciò in
forza della potestà legislativa esclusiva di cui lo Stato gode in
materia di giurisdizione, norme processuali e ordinamento penale (articolo
117, secondo comma, lettera l), della Costituzione) oltre che - come si
è detto - in materia di ordine pubblico e sicurezza.
Si ricorda inoltre che l'ordine
pubblico e la sicurezza rientrano tra le materie per le quali l'articolo
118, terzo comma, della Costituzione prevede una legge statale che disciplini
forme di coordinamento tra Stato e regioni.
Ai sensi del sesto comma
dell'articolo 117 della Costituzione, anche la potestà regolamentare
statale può dirsi esclusa dalla materia in esame: quella regionale
sembra anch'essa, peraltro, incontrare un limite nella «riserva di
regolamento» che l'ultimo periodo del citato sesto comma garantisce
a comuni, province e città metropolitane per la disciplina dell'organizzazione
e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Il coordinamento tra Stato
e regioni in materie di legislazione concorrente.
Nel corso dell'esame in
Aula è stato approvato un emendamento (divenuto l'articolo 35 del
testo approvato dal Senato e modificato dalla I Commissione della Camera)
che novella l'articolo 118 della Costituzione sotto due profili: sono state
ampliate le materie e gli ambiti per i quali la legge statale disciplina
forme di intese e coordinamento tra Stato e regioni (articolo 118, comma
terzo); nell'ambito del principio di sussidiarietà sono stati inseriti
in Costituzione gli «enti di autonomia funzionale» (articolo
118, comma quarto).
Il vigente comma terzo dell'articolo
118 dispone che la legge statale disciplina forme di coordinamento tra
Stato e regioni nelle materie «immigrazione» e «ordine
pubblico e sicurezza ad esclusione della polizia amministrativa».
La legge statale provvede inoltre a disciplinare «forme di intesa
e coordinamento» nella materia dei beni culturali.
La proposta in esame - senza
modificare il primo inciso - aggiunge alla tutela dei beni culturali le
seguenti altre materie: grandi reti di trasporto e navigazione;
produzione, trasporto, distribuzione nazionale dell'energia;
ordinamento delle professioni.
Mentre la «tutela
dei beni culturali» (al pari di «immigrazione» e «ordine
pubblico e sicurezza») è materia di competenza legislativa
esclusiva dello Stato, le materie che la proposta intende aggiungere rientrano
nell'ambito della potestà concorrente (sono anzi quelle la cui attribuzione
a tale ambito è stata criticata da più parti). Ne consegue
un ampliamento, in queste materie, della potestà legislativa statale,
dalla sola fissazione dei «principi fondamentali» alla determinazione
delle forme di intesa e coordinamento.
In questo modo il disegno
originario della riforma del 2001 sembra essere invertito: la necessità
del coordinamento era nata per garantire alle regioni spazi di attività
amministrativa in materie di competenza statale; mentre l'intento dell'attuale
proposta sembra essere quello di far recuperare allo Stato competenze legislative
affidate alle regioni.
Un emendamento approvato
dalla I Commissione della Camera divide in due periodi il novellato terzo
comma dell'articolo 118 della Costituzione, accorpando nel secondo periodo
le materie di competenza concorrente. La modifica, in apparenza solo formale,
va letta in relazione alle modifiche apportate dalla stessa Commissione
alla disciplina del procedimento legislativo (articolo 13 del disegno di
legge: in base ad esse, le leggi che dispongono il coordinamento nelle
materie di competenza esclusiva dello Stato (primo periodo dei terzo comma
dell'articolo 118) sono approvate dalla Camera dei deputati con procedimento
monocamerale, mentre quelle che intervengono nelle materie concorrenti
(di cui al secondo periodo dello stesso comma) sono approvate con procedimento
bicamerale.
Le forme di intesa e coordinamento
sono disciplinate sulla base dei principi di leale collaborazione e di
sussidiarietà, espressamente richiamati anche in questa occasione.
Va peraltro segnalato che,
in esito all'emendamento approvato dalla I Commissione, il richiamo a tali
principi resta collocato nel secondo periodo del terzo comma dell'articolo
118, riferendosi in tal modo alle leggi che disciplinano l'intesa e il
coordinamento nelle sole materie di competenza concorrente.
Gli interventi sul punto,
nel corso delle audizioni, si sono concentrati principalmente sul significato
dell'aggettivazione «esclusiva» per le competenze regionali
introdotte dal nuovo quarto comma dell'articolo 117, e quindi sulle relazioni
e i rapporti tra i diversi tipi di competenze.
Quanto alla prima questione,
taluno ha evidenziato perplessità e segnalato la possibilità
di diverse interpretazioni, che cambierebbero sostanzialmente la portata
della modifica.
Da una parte si sostiene
che la competenza esclusiva delle regioni sarebbe comunque subordinata
alla determinazione da parte dello Stato dei livelli minimi essenziali.
Dunque, non comporterebbe
alcuno stravolgimento dell'ordinamento. Con riguardo, in specie, alle materie
«organizzazione e assistenza sanitaria» e «organizzazione
scolastica», per alcuni si tratta di competenze già presenti
nell'ordinamento.
La recente giurisprudenza
della Corte costituzionale sul riparto di competenze viene letta come possibilità
di intervento da parte dello Stato praticamente su tutte le materie; in
relazione a ciò è stata ipotizzata, anche se con qualche
riserva, un'utilità della nomina di alcune competenze come esclusive
per «sottrarle» ad ulteriori limitazioni.
Da un'altra parte invece
si sostiene l'impossibilità di una lettura chiara del quadro delle
competenze di Stato e regioni, come delineato dall'articolo 117 riformulato:
ciò, soprattutto, in relazione al rapporto tra le competenze esclusive
delle regioni e le competenze statali nelle materie appartenenti allo stesso
ambito, e all'interazione con le altre autonomie costituzionalmente garantite
(ad esempio le istituzioni scolastiche). Viene al riguardo proposta l'eliminazione
della parola «esclusiva»: il termine infatti esclude che
un legislatore diverso possa intervenire nel campo materiale
oggetto di quell'attributo.
Pur condividendo la necessità
di apportare alcune modifiche all'attuale articolo 117, alcuni degli intervenuti
ritengono che quelle proposte dal disegno di legge non semplificherebbero,
ma causerebbero maggiore conflittualità. Alcuni degli auditi di
questa opinione evidenziano, più in generale, una contraddizione
tra l'attribuzione di competenze esclusive alle regioni e la re-introduzione
dell'interesse nazionale così come configurato nel disegno di legge
in esame.
Le proposte relative alla
ripartizione delle materie di cui all'articolo 117 della Costituzione (non
modificata, a parte il quarto comma, dal testo in esame) riguardano in
un caso singole materie - si segnala che energia e grandi reti di telecomunicazione
dovrebbero rientrare tra le competenze esclusive dello Stato - in altri
si traducono nell'auspicio sia corretto l'elenco delle materie concorrenti.
Altri ancora criticano l'impianto stesso della ripartizione di competenze
fatto per materia e propongono un altro modello: principalmente quello
tedesco. Pochissimi gli interventi - e si tratta di brevi cenni - sul merito
delle materie che verrebbero attribuite alla potestà esclusiva regionale.
In alcuni casi, tra l'altro, gli stessi auditi hanno rinviato alle audizioni
svolte circa un anno fa presso la stessa Commissione in occasione dell'esame
del disegno di legge costituzionale n. 3461, !Modifiche dell'articolo 117
della Costituzione».
Una segnalazione riguarda
la sanità: viene avanzata la proposta di eliminare la parola «assistenza»,
lasciando quindi come competenza regionale l'»organizzazione sanitaria».
Questo perché non potrebbe conciliarsi la competenza esclusiva regionale
in materia di assistenza sanitaria con la competenza concorrente sulla
tutela della salute (come distinguere tutela della salute e assistenza?)
e la competenza esclusiva statale della determinazione dei livelli essenziali
di assistenza.
La questione della ripartizione
delle competenze tra Stato e regioni viene affrontata anche in relazione
al procedimento e alle competenze legislative delle due Camere. Gli interventi
sostengono la difficoltà della attribuzione della funzione legislativa
alla Camera dei deputati o al Senato federale, in relazione alla impossibilità
di una distinzione netta tra materie di competenza legislativa esclusiva
dello Stato e quelle di competenza concorrente, come dimostra la legislazione
successiva alla riforma del Titolo V e la conseguente giurisprudenza costituzionale.
Per alcuni va precisato
il rapporto tra la ripartizione di competenze dettata dall'articolo 117
e il nuovo articolo 70 della Costituzione. Altri sono critici sul l'attribuzione
al Senato della competenza su tutte le materie concorrenti, perché
tra queste ve ne sono alcune considerate determinanti per l'indirizzo politico
del Governo.
Il riconoscimento delle
autonomie funzionali. L'altra modifica proposta all'articolo 118 della
Costituzione riguarda la cosiddetta sussidiarietà orizzontale.
L'attuale quarto comma dell'articolo
118, com'è noto, dispone che Stato, regioni, enti locali «favoriscono
l'autonoma iniziativa dei cittadini singoli od associati, per lo svolgimento
di attività di interesse generale».
La proposta in esame inserisce
in Costituzione gli enti di autonomia funzionale, nonché il «riconoscimento»
dovuto quindi sia alle autonome iniziative dei privati che agli enti di
autonomie funzionale da parte di Stato, regioni ed enti locali.
Tali enti hanno già
ricevuto un riconoscimento nell'ambito dell'attuazione del decentramento
amministrativo (già a partire dalla legge n. 59 del 1997) e, in
seguito, con la citata legge n. 131 del 2003 che all'articolo 7, comma
1, nel dettare i criteri e i principi del conferimento di funzioni amministrative,
espressamente ne garantisce le attribuzioni.
Unanime, tra gli intervenuti
sul punto, il giudizio positivo e l'apprezzamento sull'esplicito riconoscimento
costituzionale delle autonomie funzionali introdotto nell'articolo 118
della Costituzione. Ciò comporta da una parte l'obbligo per lo Stato
e per gli enti locali di favorire l'azione di tali
enti; dall'altro il divieto di interventi autoritativi dei pubblici poteri
sull'organizzazione e l'attività dei medesimi.
Da un audito viene però
evidenziato un possibile problema di interpretazione, in relazione alla
doppia qualificazione di autonomia, una esplicitata nel testo, l'altra
implicita in quanto si tratta di enti dotati di autonomia normativa.
La disciplina dei principi
che regolano il sistema dei poteri sostitutivi dello Stato.
La riforma del 2001 ha introdotto
in Costituzione, con il nuovo articolo 120, la previsione di un generale
potere sostitutivo del Governo nei confronti degli organi delle regioni
e degli enti locali. Le ipotesi che possono legittimare la sostituzione
sono le seguenti: mancato rispetto di norme e trattati internazionali o
della normativa comunitaria; pericolo grave per l'incolumità e la
sicurezza pubblica; tutela dell'unità giuridica o dell'unità
economica e in particolare tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali.
La norma costituzionale
rinvia alla legge per assicurare che il potere sostitutivo sia esercitato
nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
In attuazione della disposizione
costituzionale vigente, l'articolo 8 della citata legge n. 131 del 2003
(La Loggia») disciplina le modalità di esercizio potere sostitutivo.
Schematicamente: la sostituzione, che può essere richiesta dalla
stesse regioni o dagli enti locali, deve riguardare solo «provvedimenti
dovuti o necessari»; è prevista una procedura collaborativa:
diffida dell'ente ad adempiere entro un tempo congruo, scaduto il quale
il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, adotta il provvedimento;
i provvedimenti che il Governo adotta nell'esercizio del potere sostitutivo
possono avere natura «anche normativa»; se la sostituzione
è disposta nei confronti degli enti locali deve ispirarsi al principio
di sussidiarietà e leale collaborazione.
L'Aula del Senato aveva
novellato il testo dell'articolo 120 della Costituzione con un emendamento
del relatore (attuale articolo 36 del disegno di legge) che inseriva un
comma prima della vigente disposizione, ove si disponeva che «con
legge approvata dalla Camera dei deputati e dal Senato federale a maggioranza
dei propri componenti, sono disciplinati i principi che assicurino il conseguimento
delle finalità di cui al comma successivo». Nel corso dell'esame
alla Camera in sede referente è stato approvato un emendamento,
interamente sostitutivo dell'articolo 36, che ha riformulato il secondo
comma dell'articolo 120 della Costituzione sostituendolo con due commi,
nei quali innanzitutto si attribuisce alla legge statale - approvata da
entrambe le Camere a maggioranza dei componenti - il compito di fissare
i principi che assicurino, da parte delle regioni e degli enti locali:
il rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria;
l'incolumità e la sicurezza pubblica in caso di pericolo grave;
la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e,
in particolare, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi
locali; in secondo lugoo, si conferma il potere sostitutivo del Governo
già previsto dal testo vigente«nel caso di mancato rispetto»
delle su elencate finalità.
Il bilanciamento del conferimento
di potestà legislative esclusive alle regioni è stato dunque
individuato, oltre che nella previsione di un meccanismo di controllo delle
leggi regionali secondo il parametro dell'interesse nazionale, nella possibilità
per lo Stato (con legge «qualificata» e nel rispetto - ribadito
una volta di più - dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà)
di dettare principi legislativi volti alla tutela di quelle istanze unitarie
che il vigente articolo 120 pone a fondamento dell'esercizio del potere
sostitutivo.
Le leggi regionali e l'interesse
nazionale.
L'articolo 39 aggiunge un
nuovo comma all'articolo 127 della Costituzione, reintroducendo per le
leggi regionali, il limite di merito dell'interesse nazionale della Repubblica.
Tale previsione era già
contenuta, anteriormente alla riforma del titolo V della Costituzione,
agli articoli 117 e 127 e di essa si trova ancora traccia sia nel Regolamento
della Camera (articolo 102), che in quello del Senato (articolo 137).
Parte della dottrina, tuttavia,
ritiene che, anche nell'ambito delle vigenti disposizioni costituzionali,
non manchino i riferimenti all'interesse nazionale, di cui sarebbero espressione
l'articolo 117, comma 2, lettera m), in cui si fa riferimento ai livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», nonché
l'articolo 120, comma secondo, in cui si disciplinano i poteri sostitutivi
del Governo da esercitarsi quando lo richiedano la tutela dell'unità
giuridica o dell'unità economica ed in particolare la tutela dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali».
È appena il caso
di ricordare che, anteriormente al 2001, non sono mai state impugnate leggi
regionali per violazione dell'interesse nazionale e che, nella giurisprudenza
della Corte Costituzionale, il limite di merito ha assunto la connotazione
di limite di competenza (e quindi di legittimità) delle leggi regionali.
In base alla novella recata
dall'articolo in esame, è il Governo a sollevare, entro trenta giorni
dalla pubblicazione della legge regionale, la questione relativa al mancato
rispetto da parte della legge stessa o di una sua parte (inciso aggiunto
dalla I Commissione della Camera) dell'interesse nazionale. Su di essa
decide, entro i successivi trenta giorni, il Senato federale che, qualora
condivida la valutazione del Governo, può rinviare la legge alla
Regione, deliberando a maggioranza assoluta dei componenti ed indicando
le disposizioni pregiudizievoli. Qualora entro i successivi trenta giorni
il Consiglio regionale non provveda a rimuovere tali disposizioni, il Senato,
entro ulteriori trenta giorni e sempre a maggioranza assoluta dei componenti,
può proporre al Capo dello Stato di annullare l'intera legge o,
se possibile, soltanto quelle disposizioni che contrastano con l'interesse
nazionale. Il Presidente della Repubblica può emanare, entro quindici
giorni (il termine è stato introdotto dalla I Commissione) il conseguente
decreto di annullamento.
Dalla lettura della norma
si evince che, mentre al Senato federale spetta il potere di rinvio al
Consiglio regionale della legge confliggente con l'interesse nazionale,
al Capo dello Stato (melius al Governo ed al Capo dello Stato) è
attribuito quello di annullamento della legge medesima. Se è vero
infatti che la seconda deliberazione del Senato è la condicio sine
qua non per l'esercizio del potere di annullamento, sembra anche vero che
il relativo decreto possa non essere emanato (l'articolo usa la formula:
«Il Presidente della Repubblica può [..] emanare»).
Se tale lettura è
corretta, essa andrebbe esaminata alla luce del ruolo di garanzia attribuito
al Capo dello Stato, dei suoi rapporti con il Senato federale (il procedimento
in esame prevederebbe due deliberazioni del Senato federale a maggioranza
assoluta dei componenti, per poi rimettere al Capo dello Stato la valutazione
circa l'opportunità di emanare il decreto di annullamento) e dei
suoi rapporti con il Governo.
Il decreto di annullamento,
infatti, non figura tra gli atti del Capo dello Stato per i quali non è
richiesta la controfirma ministeriale (ex articolo 89, terzo comma) e che
quindi possono ritenersi «formalmente e sostanzialmente presidenziali»:
esso potrebbe dunque essere qualificato come atto solo formalmente presidenziale
o come atto misto, all'adozione del quale concorre anche il Governo, ovvero
il medesimo soggetto che, ai sensi dell'articolo 127, è chiamato
a sollevare la questione del contrasto con l'interesse nazionale.
Da ultimo occorre far riferimento
alla natura del decreto presidenziale di annullamento, al quale può
forse riconoscersi la forza di legge in quanto, pur non avendo l'effetto
di introdurre nuove norme nell'ordinamento giuridico, è in grado
di porre nel nulla fonti (ovvero singole disposizioni) di rango primario
già pubblicate e probabilmente anche in vigore. In quanto atto avente
forza di legge, il decreto dovrebbe essere controfirmato dal Primo
ministro, in virtù del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'articolo
89; potrebbe essere impugnato di fronte alla Corte Costituzionale (ex articolo
134 della Costituzione): il giudizio di legittimità costituzionale
dovrebbe, tuttavia, limitarsi alla valutazione circa il rispetto, da parte
dei soggetti interessati, delle norme che la Costituzione detta in relazione
alla procedura di emanazione del decreto; ogni altra considerazione rischierebbe
di trasformare un limite di merito (il cui rispetto è sindacabile
dal solo Senato federale) in limite di legittimità.
Infine, poiché l'articolo
86, comma primo, attribuisce al Presidente del Senato il potere di esercitare
le funzioni del Presidente della Repubblica «in ogni caso in cui
egli non possa adempierle», si potrebbe in teoria verificare la circostanza
in cui l'annullamento della legge regionale sia disposto dal Presidente
del Senato (nelle funzioni vicarie del Capo dello Stato), su proposta della
Camera federale da lui stesso presieduta.
La questione della clausola
di salvaguardia, o norma di chiusura del sistema a tutela dell'interesse
nazionale, è stata la più dibattuta tra gli interventi riguardanti
le modifiche al Titolo V.
Sulla questione dell'interesse
nazionale le opinioni si sono diversificate: da compromesso accettabile,
alle critiche riguardo il procedimento di valutazione del pregiudizio e
il ruolo dei soggetti coinvolti, alle critiche complessive e quindi alla
proposta di soluzioni diverse.
Molti rilievi sono stati
rivolti al procedimento delineato dall'articolo 38 del disegno di legge
(nuovo articolo 127, secondo comma, della Costituzione).
La prima questione attiene
all'opportunità che sia il Senato a valutare il pregiudizio dell'interesse
nazionale, ossia al ruolo del Senato federale: è il luogo dove si
compongono le diverse istanze o diventa un organo di controllo delle regioni?
La valutazione dell'interesse nazionale dovrebbe, se dei caso, essere affidata
alla Camera dei deputati, in quanto organo preposto alla legislazione avente
rilievo nazionale.
La seconda questione è
il ruolo del Presidente della Repubblica in relazione al potere di annullamento
della legge regionale. Qui la critica è praticamente unanime: in
tal modo il Presidente della Repubblica sarebbe investito di una funzione
assolutamente politica, non coerente con la funzione di garanzia istituzionale
dello stesso. A riguardo è stata proposta una correzione tesa a
far sì che sia il Governo ad assumersi la piena responsabilità
dell'annullamento della legge regionale, mediante decreto del Presidente
della Repubblica e previo parere conforme delle due Camere.
È stato inoltre rilevato
un problema di coordinamento tra annullamento da parte del Capo dello Stato
e giudizio di costituzionalità (potrebbe il Governo sottoporre la
questione del pregiudizio dell'interesse nazionale al Senato ed altresì
impugnare la legge regionale per questione di legittimità costituzionale?).
C'è chi infine suggerisce di specificare meglio a chi spetta la
titolarità effettiva del potere.
La re-introduzione dell'interesse
nazionale - e dunque di un controllo di merito - è ritenuta da una
parte degli auditi assolutamente inopportuna e in contraddizione - per
il suo carattere fortemente «centralista» discrezionale ed
unilaterale - con la «devoluzione» di ulteriori competenze
alle regioni. Perplessità vertono anche sul significato dell'espressione
«interesse nazionale», soprattutto in relazione alla trascorsa
storia costituzionale.
Si lamenta inoltre la mancanza
di strumenti preventivi di composizione delle diverse istanze. In questa
direzione l'ipotesi di poter considerare la stessa norma come procedura
conciliativa anziché sanzionatoria, come strumento di dialogo tra
Senato federale e Consiglio regionale (senza l'intervento, ovviamente,
del Presidente della Repubblica).
Le proposte alternative
seguono sostanzialmente due filoni: adottare un sistema basato sulla legislazione
concorrente del tipo di quella tedesca; puntare su strumenti di cooperazione
e concertazione preventiva.
La competenza concorrente
«alla tedesca»: l'introduzione della «competenza concorrente
alla tedesca» comporta che lo Stato può, su questioni determinate,
adottare i provvedimenti legislativi, regolamentari ed organizzativi dichiarati
di interesse nazionale in quanto necessari per l'unità giuridica
o economica del paese.
In sostanza verrebbe meno
la rigida divisione delle competenze per materia: tutte le competenze sono
regionali, ma la legge «federale» adottata con l'accordo delle
regioni prevale sempre, senza necessità di annullare la legge regionale.
Per l'adozione di questi
provvedimenti legislativi da una parte si propone una modalità di
approvazione delle leggi bicamerali che preveda possibilità di blocco
di provvedimenti potenzialmente compressivi dall'autonomia regionale attraverso
l'introduzione dei «quorum paralleli». Più è
alto il quorum con cui viene bocciata una legge al Senato, più deve
essere alto il quorum con cui la Camera può approvarlo in via definitiva
(quindi contro la volontà più o meno ampia del Senato). Dall'altra
invece non si ritiene utile l'introduzione di meccanismi che potrebbero
rivelarsi paralizzanti, mentre è preferibile agire sulla effettiva
rappresentanza territoriale della Camera federale.
Le osservazioni e i rilievi
sin qui svolti, sia quelli di natura critica che ricostruttiva, dimostrano
a sufficienza tre aspetti.
In primo luogo, che il processo
di riforma si sta svolgendo in totale assenza dello «spirito costituzionale»
che dovrebbe ispirarlo.
In secondo luogo, che il
disegno proposto dalla maggioranza è gravemente pasticciato e confuso
e insostenibile sul piano tecnico-istituzionale.
In terzo luogo, che esso
persegue finalità opposte al di là di singole questioni,
rispetto a quello proposto dal centrosinistra: si va cioè in direzione
di un ulteriore squilibrio dei poteri e verso un federalismo che, basato
sulla visione leghista della devolution, divide il paese e le sue istituzioni,
genera costi incalcolati, risulta impraticabile in concreto.
Diceva Voltaire che l'illusione
è il primo dei piaceri.
Abbiamo il dovere di illuderci
che tutto ciò possa cambiare.
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MICHELE
COSSA. Signor Presidente, molti miglioramenti sono stati apportati
al testo originario della riforma costituzionale, alla quale va anche ascritto
il merito di introdurre alcuni correttivi importanti alla riforma del 2001,
approvata con una mai abbastanza biasimata forzatura dall'allora maggioranza
di centrosinistra.
Ritengo positivo che si
sia reintrodotto il principio di «interesse nazionale»; e affermata
la clausola di salvaguardia di cui all'articolo 43-bis, che esclude l'applicabilità
del nuovo Titolo V alle regioni a statuto speciale per le parti che comportino
una diminuzione del loro grado di autonomia. E il carattere pattizio delle
stesse regioni nell'ambito della Repubblica, che rappresenta per queste
il presupposto per approfondire, se ancora sussistono, le ragioni della
loro specialità, novità, queste, fortemente volute dalle
regioni speciali e sostenute con determinazione dai parlamentari da esse
espressi.
Tuttavia le ombre prevalgono
sulle luci, sia per il contenuto di questa riforma, sia per il metodo che
si è scelto.
Sul merito: non posso non
sottolineare le responsabilità del centrosinistra in ordine all'apertura
della strada verso un regionalismo tale da comportare l'attenuazione del
ruolo dello Stato come garante non solo e non tanto dell'unità della
nazione, quanto di quelle situazioni di oggettiva debolezza, talora anche
determinata da fattori strutturali - come la Sardegna - in cui versano
alcune aree del paese, che rischiano di venire schiacciate e lasciate indietro
da quelle economicamente più forti, se si affievoliscono quei vincoli
di solidarietà su cui si basa la nostra nazione. Non solo: dal deprecabile
centralismo dello Stato si passa a un non migliore centralismo delle regioni
le quali - specie nel meridione d'Italia - non si sono certo distinte per
efficienza o per il perseguimento di un rapporto più stretto con
i cittadini. Per tacere del preoccupante abbassamento della soglia di legalità
nell'azione politico-amministrativa, aggravata dalla sostanziale assenza
di strumenti di garanzia di cui i cittadini e le opposizioni nelle assemblee
elettive possano utilmente valersi.
Quella che poteva diventare
la Repubblica delle autonomie, incentrata sul rafforzamento del ruolo degli
enti locali, diventa uno Stato «federale», che già in
parte vediamo e che non fa ben presagire.
Alle perplessità
maturate durante l'iter parlamentare si aggiunge che - come ha autorevolmente
evidenziato già un anno fa il collega onorevole Tabacci - stiamo
andando verso una legge elettorale proporzionale che risponde a logiche
diametralmente opposte a quelle di questa riforma costituzionale, che richiederebbe
non la scomparsa ma un rafforzamento del sistema maggioritario.
Per questo motivo il mio
voto sarà contrario. Ora andiamo verso l'inevitabile referendum,
e verso una possibile bocciatura di questo testo. Se questo accadrà,
ci sarà una nuova occasione per riprendere la riflessione, anche
sul metodo.
Sarà infatti necessario
intraprendere un percorso diverso nella modifica di una parte così
rilevante della Costituzione; un percorso che garantisca il massimo coinvolgimento
non solo delle Camere, ma del paese. Una Assemblea costituente che porti
finalmente ad una riforma condivisa, percepita come propria da tutti i
cittadini italiani.