Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
www.riforme.net


Onida e Pasquino, direttamente e indirettamente, sui 4 punti di Fassino


Corriere.it 08-05-2006
 
Parla l'ex presidente della Corte Costituzionale,
«No ad accordi che stravolgano la Costituzione»
Valerio Onida, ha saputo da poco che l'Unione ha candidato Giorgio Napolitano e può tirare un sospiro di sollievo.

Enzo d'Errico
 
«Un'intesa strategica, quella proposta da Piero Fassino su Il Foglio? No, sarebbe stata una riforma istituzionale in piena regola. E, a differenza di quella varata dal centrodestra, nemmeno approvata dal Parlamento. Per fortuna sembra che non avrà seguito, adesso che Massimo D'Alema pare non essere più in corsa per il Quirinale».
Valerio Onida, ex presidente della Corte Costituzionale, ha saputo da poco che l'Unione ha candidato Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica e finalmente può tirare un sospiro di sollievo. Il patto proposto nei giorni scorsi da Fassino a Silvio Berlusconi per spianare la strada a D'Alema nella gara per il Colle, l'aveva colto di sorpresa: la stesura di un programma concordato in quattro punti, la sua lettura dinanzi alle Camere riunite in seduta plenaria... L'idea che, pur di raggiungere un obiettivo di parte, nemmeno il centrosinistra stava esitando a usare strumentalmente le istituzioni, lo aveva davvero disorientato. «Avremmo rischiato di alterare profondamente gli equilibri istituzionali — afferma —. Sarebbero cambiati nei fatti il profilo e i poteri del Capo dello Stato, dando vita a una sorta di diarchia che avrebbe generato soltanto caos».

Ma cos'è che non la convinceva?
«Il presidente della Repubblica non può essere il fulcro di un patto politico e tantomeno l'estensore di un programma. La Costituzione gli assegna il ruolo di garante, non quello di protagonista. Non a caso, la sua elezione avviene a scrutinio segreto: si vota la persona, non un progetto di governo. L'esecutivo, al contrario, deve guadagnarsi la fiducia in modo palese».

Invece cosa sarebbe cambiato?
«Apparentemente nulla, nella sostanza moltissimo. Avremmo messo in piedi un sistema bicefalo, riedizione del modello francese, nel quale le competenze del primo ministro si sarebbero sovrapposte a quelle del Capo dello Stato. Aveva ragione Sergio Romano quando, sul Corriere, parlava di tentazione presidenzialista: ci saremmo ritrovati a fare i conti con una confusione di poteri senza precedenti».

Non le sembra d'essere troppo pessimista?
«No, illustro soltanto le naturali conseguenze della proposta avanzata da Fassino. Ad esempio, prendiamo in esame il primo punto, dove si dice che il presidente, in caso di crisi di governo, dovrebbe garantire il ritorno alle urne».

Qual è il problema?
«Semplice: si prefigura il modo in cui verrà esercitato il potere di scioglimento delle Camere che, al contrario, non può essere vincolato. Quella facoltà è stata assegnata al Capo dello Stato proprio perché deve essere esercitata con la massima discrezionalità, valutando la situazione politica del momento e gli interessi generali del Paese».

Punti. Almeno quelli sono accettabili?
«Che dal Quirinale giunga una spinta diretta a ristabilire un clima di serenità nei rapporti fra giustizia e politica, mi pare ovviamente auspicabile, considerate le difficoltà degli ultimi anni. Da questo punto di vista il Capo dello Stato, anche nelle vesti di presidente del Csm, può fare molto».

L'ultimo passaggio riguarda la riforma costituzionale: dopo il referendum confermativo, il presidente s'impegnerebbe a favorire un'ampia intesa destinata a concludere la lunga fase di transizione istituzionale.
«Anche in questo caso, ci troviamo di fronte a una sostanziale confusione di ruoli. Il Capo dello Stato non è chiamato a favorire, e tantomeno a guidare, un processo di riforma. A lui tocca garantire l'assetto istituzionale così come è disegnato nella Carta. Un assetto istituzionale, lo ripeto. E non un programma».

Tantomeno un «partito personale», che nascerebbe fatalmente dall'accordo tra i gruppi che hanno aderito al patto.
«Certo. E ciò sarebbe ancora più inquietante. Comunque non dovrebbe mai esistere un "partito del Presidente", cioè una forza politica che rappresenti la base del suo potere e che possa tendere a trasferirne o a imporne la volontà nei circuiti decisionali dell'attività parlamentare e di governo».

Un leader con la stazza «partitica» di D'Alema cambierebbe questa prassi storica. O no?
«Probabilmente sì. Non è un caso se, dal '48 ad oggi, non è mai stato eletto un grande leader di partito. Ci provarono Forlani e Fanfani, all'epoca della Dc, e andò male a entrambi. L'incarico è stato affidato quasi sempre a persone provviste senza dubbio di una storia politica importante, ma che quando sono state elette non rappresentavano un "pezzo" determinante del potere partitico del momento. Erano esponenti di gruppi minori o anche della Democrazia cristiana, che era la forza di maggioranza relativa, ma non s'identificavano quasi mai con la leadership di quel partito».

Un po' come potrebbe essere Giorgio Napolitano se venisse eletto: un profilo politico di grande rilievo, ma certamente non il numero uno della gerarchia ds.
«Sì, in questo senso la designazione di Napolitano segue la tradizione e cancella il surplus d'innovazione, chiamiamolo così, che emergeva dalla proposta di Piero Fassino. Bisognerà vedere adesso come evolverà la situazione».

Sembra tramontata tuttavia, almeno per il momento, la stagione dei «tecnici». E questo nonostante il grande settennato di Ciampi. Strano, vero?
«Qui non si tratta di pensare che in cima al Colle ci debba essere necessariamente un "tecnico", altrimenti si viene meno alle caratteristiche di cui parlavo prima. Credo, però, importante che non venga indicato un capo di partito. La Costituente ha definito il Capo dello Stato un "magistrato di persuasione e di influenza". Il suo ruolo non va esercitato in virtù di un "peso politico", ma di un'autorevolezza personale e della capacità di rappresentare l'unità nazionale».



 
L'Unità 08-05-2006
 
Quirinale
Il programma del presidente
 
Gianfranco Pasquino
 
L´ex presidente del Consiglio e i suoi sostenitori sono davvero interessati alle modalità con le quali verrà scelto ed eletto il prossimo Presidente della Repubblica. Vogliono essere pienamente coinvolti e propongono uno scambio che, per loro sicuramente doloroso, sarebbe, in una certa misura, anche allettante e che interpreto come segue. Se venisse eletto D´Alema, Berlusconi chiama i sui seguaci allo sciopero fiscale, un esercizio, molto consono alla stagione, per il quale gran parte di loro sono già addestrati.

Il programma del presidente

Un esercizio comunque previamente condonato, anche moralmente, almeno stando alle dichiarazioni e alle giustificazioni dello stesso Berlusconi quando ancora era Presidente del Consiglio. Ne deduco che se venisse eletto un candidato diverso da D´Alema, unanimemente i berlusconiani darebbero mandato ai loro commercialisti di pagare tutto, pagare subito. Purtroppo, lo scambio berlusconiano: «eliminate la candidatura D´Alema per farci pagare le tasse» non appare credibile. Piuttosto la sua minaccia di sciopero fiscale è davvero sovversiva, anti-costituzionale e chiama in causa proprio il compito del Presidente della Repubblica come custode della Costituzione che c'è.
In Italia i candidati alla presidenza della Repubblica non possono avere un programma politico e non debbono avere un programma costituzionale. Il loro programma politico è dettato dalla Costituzione: rappresentare non una parte politica, ma l´unità nazionale. Il loro programma istituzionale sta scritto nella Costituzione vigente, per l´appunto, quella che c´è e, se il pacchetto di riforme costituzionali approvato dalla maggioranza parlamentare della Casa delle Libertà non verrà rovesciato dal referendum del 25 giugno, nella Costituzione che ne deriverà.
Dunque, al momento sarebbe davvero sbagliato e oserei dire anticostituzionale se, al di là del merito che assolutamente non condivido, qualsiasi candidato alla Presidenza, si esprimesse, ad esempio, contro eventuali ribaltoni e a favore di immediati scioglimenti del Parlamento in caso di crisi della maggioranza di governo. L'attuale Costituzione che il centro-sinistra sostiene di volere «salvare» stabilisce esattamente il contrario. È sufficiente che il governo goda la fiducia delle due Camere (art. 94) perché nasca, viva e svolga il suo compito. È il Presidente della Repubblica che scioglie le Camere, «o anche una sola di esse», «sentiti i loro Presidenti» (art. 88) che gli comunicano l´esistenza, o meno, di una maggioranza parlamentare operativa.
Nelle democrazie parlamentari, questi sono due punti cardine che garantiscono flessibilità, operatività, rappresentatività. Comunque, nessun candidato alla Presidenza della Repubblica deve impegnare i suoi futuri comportamenti costituzionali a favore di qualsivoglia parte politica, al governo o all'opposizione. Al contrario, è legittimo che venga giudicato, accettato ed eletto per quello che ha dichiarato e fatto in materia costituzionale sapendo che il ruolo di Presidente lo costringerà nei binari limpidi della Costituzione esistente.
Posso anche non approvare alcune delle idee espresse da D´Alema in sede di Commissione Bicamerale, ma questo non significa che D´Alema debba necessariamente sentirvisi vincolato per sempre e, se eletto Presidente, attenervisi completamente. Soprattutto, non implica affatto che D'Alema intenda imporre le sue idee a costo di violare la Costituzione. Anzi, ho molta fiducia nel suo autocontrollo istituzionale che, in Bicamerale, fu persino eccessivo. Cosicché, non mi pare affatto una buona idea quella di proporre uno scambio fra voti parlamentari e proposte costituzionali a futura memoria, per di più con uno schieramento che parte cospicua del centro-sinistra ha giustamente accusato di volere stravolgere la Costituzione, o quantomeno di averne fatto un documento confuso, mediocre, con obiettivi particolaristici e compromissori.
A proposito di dittature della maggioranza, il centro-destra, quando era maggioranza, non ha mai cercato nessun accordo costituzionale con il centro-sinistra. Non lo cerca neppure adesso. Tenta soltanto di insinuarsi nelle eventuali differenze di opinione del centro-sinistra per sfruttarle. Il tentativo più insidioso lo ha fatto non del tutto inaspettatamente Fedele Confalonieri, il più stretto collaboratore di Berlusconi, rompendo il fronte del no a D´Alema e dichiarando, in maniera un po´ strumentale e sibillina, la sua fiducia nella volontà del presidente dei Democratici di Sinistra di rispettare quanto disse dodici anni fa su Mediaset «patrimonio del Paese». Peraltro, Confalonieri dovrebbe sapere che, fermo restando che le evasioni fiscali ed eventuali altri reati dovranno comunque essere sanzionati, toccherà al governo Prodi e al Parlamento, ma non al Presidente della Repubblica, D´Alema o altri, il compito di regolamentare in maniera equa il settore dell´informazione televisiva e del relativo mercato pubblicitario. Dovrà essere fatto, senza sconti, applicando la norma della Costituzione (art. 21) e secondo le leggi approvate dal Parlamento che il Presidente della Repubblica si limita a promulgare quando sono conformi alla Costituzione stessa. Ecco, che cosa sarà un Presidente di garanzia e super partes, come lo desiderano non soltanto gli esponenti della Casa delle Libertà, ma un po´ tutti coloro che auspicano un sistema politico decente. Sarà l´autorità istituzionale più elevata che rispetta il suo impegno prioritario: la Costituzione.


Sui 4 punti di Fassino, si veda anche:
 
08-05-2006 Referendum e le mani libere di Fassino - Opinioni in Area Referendum 2006
07-05-2006 La Quercia e i rischi di una diarchia di governo - La tentazione presidenzialista - Sergio Romano - Corriere.it
06-05-2006 L'on. Fassino tra i sostenitori del Sì al referendum costituzionale? - Riforme.net

 


Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2006
 
Speciale "Referendum costituzionale" 2006
 
Mailing List di Riforme istituzionali