Prima di affrontare nel merito la sentenza con la quale la Consulta
ha di fatto rimandato al mittente il condono edilizio, sono d'obbligo alcune
premesse.
In primo luogo, siamo di fronte ad una conclusione sin troppo prevedibile.
E in tal senso, le Regioni che non hanno presentato ricorso dovrebbero
spiegare il perché di tanta "disponibilità" nei confronti
di una legge statale chiaramente lesiva di competenze regionali.
In secondo luogo, la sentenza della Consulta ha definitivamente sancito
l'esistenza di un regime di diritti diverso da Regione a Regione e, quindi,
la possibilità che tutto ciò possa tramutarsi in un controproducente,
quanto facilmente prevedibile, federalismo competitivo.
Come già detto negli altri approfondimenti, è sufficiente
"dare un'occhiata ai pronunciamenti della Consulta per comprendere la
scarsa portata del progetto di devoluzione bossiana e per prendere atto
del processo disgregativo, sotto il profilo dell'uniformità dei
diritti di cittadinanza, per l'appunto già avviato con il
nuovo Titolo V".
Certamente, nel caso in esame, non c'è che da rallegrarsi per
lo stop subito dal Governo sulla questione del condono. I modi di questo
momentaneo stop, però, costituiscono anche la pericolosa premessa
per comportamenti locali che potrebbero rivelarsi ben peggiori, nelle conseguenze,
del provvedimento oggi bocciato.
Infine, il rilievo assunto, in alcuni passi della sentenza, dal principio
di sussidiarietà . Anche in questo caso, tutto bene sinché
si rimane nell'ambito della sfera amministrativa pubblica; meno bene nella
prospettiva di un'ulteriore accentuazione del principio di sussidiarietà
esteso ai privati.
Iniziando quindi l'esame della sentenza, il primo dato che risalta agli
occhi è l'alto numero di pagine.
Ciò potrebbe indurre nell'errore di trovarsi di fronte ad un
testo di difficile interpretazione e premonitore di ulteriori sorprese.
Non è questo il caso, e prima di entrare nel merito delle questioni
vale soltanto la pena ricordare quanto previsto dal nuovo art. 117 Cost.
in merito alle competenze legislative di Stato e Regioni:
"spetta alle Regioni la potestà legislativa in
riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione
dello Stato";
e "spetta alle Regioni la potestà legislativa,
nelle materie di legislazione concorrente, salvo che per la determinazione
dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato".
Muovendosi, quindi, entro questo quadro costituzionale, ed individuate
le materie coinvolte dalla normativa sul condono edilizio, è stato
sin troppo agevole per la Consulta procedere alla corretta ripartizione
di competenze.
Fatta preliminarmente salva la competenza esclusiva della legislazione
statale in ordine alla "sanzionabilità penale", che potrebbe esercitarsi
anche in assenza di concessione della sanatoria amministrativa, sul
piano della sanatoria amministrativa i vincoli che legittimamente possono
imporsi all’autonomia legislativa delle Regioni, ordinarie e speciali,
non possono che essere quelli ammissibili sulla base rispettivamente delle
disposizioni contenute nel nuovo art. 117 Cost. e degli statuti speciali.
In riferimento, quindi, alla legge impugnata, la normativa sul condono
edilizio certamente tocca profili tradizionalmente appartenenti all’urbanistica
e all’edilizia ... coinvolge l’intera e ben più ampia disciplina
del "governo del territorio" ... ossia l’insieme delle norme che consentono
di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere
regolati gli usi ammissibili del territorio. Se poi si considera anche
l’indubbio collegamento della disciplina con la materia della "valorizzazione
dei beni culturali ed ambientali", appare evidente che alle Regioni è
oggi riconosciuta al riguardo una competenza legislativa più ampia,
per oggetto, di quella contemplata nell’originario testo dell’art. 117
Cost.; ciò – è bene ricordarlo – mentre le potestà
legislative dello Stato di tipo esclusivo, di cui al secondo comma dell’art.
117 Cost., sono state consapevolmente inserite entro un elenco conchiuso.
Ma non solo: nel nuovo art. 118 Cost. per la prima volta si è
stabilito che, in virtù del principio di sussidiarietà garantito
in una disposizione costituzionale, i Comuni sono normalmente titolari
delle funzioni di gestione amministrativa, riconoscendosi inoltre che “i
Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni
amministrative proprie”. A sua volta, il quarto comma del nuovo art. 119
Cost. per la prima volta afferma che le normali entrate dei Comuni devono
consentire “di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”.
Tutto ciò implica necessariamente che, in riferimento alla
disciplina del condono edilizio (per la parte non inerente ai profili penalistici
...), solo alcuni limitati contenuti di principio di questa legislazione
possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori regionali,
cui spetta il potere concorrente di cui al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio
certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di
cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo di realizzazione
delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili).
Per tutti i restanti profili è invece necessario riconoscere al
legislatore regionale un ruolo rilevante – più ampio che nel periodo
precedente – di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate
dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo.
Alla luce di tutto ciò, quindi, facendo appunto salve le competenze
statali in ordine alla "sanzionabilità penale" e alla "determinazione
dei principi generali", la Corte Costituzionale ha indicato al legislatore
statale i ristretti margini di manovra entro i quali potrà riformulare
la normativa sul condono edilizio.
Riassumendo brevemente i dettami della Consulta (in nota
alla fine un ampio stralcio della sentenza), sulle materie oggetto
della sentenza la legislazione statale deve prevedere che le legislazioni
regionali possano:
- determinare la possibilità, le condizioni e le
modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie
di abuso edilizio di cui all’Allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003;
- determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati
nella medesima disposizione;
- riguardare anche quelle opere situate nel territorio
regionale cui i commi 14 e seguenti dell’art. 32 rendono applicabile il
condono, malgrado si tratti di beni che insistono su aree di proprietà
dello Stato o facenti parte del demanio statale;
- disciplinare diversamente gli effetti del silenzio,
protratto oltre il termine ivi previsto, del Comune cui gli interessati
abbiano presentato la documentazione richiesta;
- determinare la misura dell’anticipazione degli oneri
concessori, nonché le relative modalità di versamento.
Inoltre, per l'art. 118, i soggetti titolari della funzione amministrativa vanno individuati tenendo conto del principio di sussidiarietà.
Se da un lato, quindi, le Regioni non possono che rallegrarsi per le
riconosciute competenze; dall'altro lato, ciò che emerge con forza
è il consolidamento di un impianto federale di tipo frammentato
e, per ciò stesso, competitivo.
Dove competitivo può non significare maggiori opportunità
per le amministrazioni più virtuose, ma sostanziale perdita di potere
reale.
Ciò che infatti si conferma, è la disponibilità
di un potere legislativo regionale, Regione per Regione, senza che però
vi sia un meccanismo d'interdizione in grado di contrastare all'origine
provvedimenti che producono effetti di un certo tipo nell'ambito delle
situazioni locali, ed effetti di altro tipo per l'ambito nazionale che
li ha decisi.
E il condono edilizio deciso dall'alto ben si presta ad essere preso
come esempio di questa assurda situazione: lo Stato legifera per fare cassa,
ma scarica sulle spalle delle Regioni e dei Comuni le conseguenze dei guasti
prodotti sul territorio.
Certamente, nei limiti oggi fissati dalla sentenza della Consulta.
Sempre che, però, le Regioni abbiano la forza, a livello individuale,
di far valere le proprie competenze senza essere costrette a subire l'influenza
del contesto che le circonda.
Affermare "condono sì - condono no" ha infatti ben poco senso
in un ambito nel quale le azioni degli uni possono ripercuotersi, in senso
negativo, sugli altri.
Un conto è infatti decidere della difesa del territorio sapendo
di non subire conseguenze economiche negative future; un altro è
decidere la difesa del territorio mentre tutto intorno la speculazione
edilizia, in ipotesi largamente sanata dalle Regioni confinanti, potrebbe
un domani sottrarre importanti risorse economiche.
Si pensi, ad esempio, alle aree di confine e prossime ai luoghi d'interesse
turistico.
Anche il turismo di massa, certamente, preferisce i luoghi incontaminati;
ma quando si tratta di fare i conti con le proprie tasche, è facile
che ci si orienti verso strutture di accoglienza dove l'offerta è
più ampia e più economica, a tutto danno di chi ha avuto
il solo torto di rispettare quanto più possibile il principio di
legalità non consentendo che si abusasse del territorio. E sapere
che il beneficio economico di un territorio ben conservato potrebbe essere
maggiormente goduto dalle aree vicine, non può che indurre a comportamenti
analoghi.
Un meccanismo decisionale, questo, al quale potrebbero sottrarsi, evidentemente,
soltanto le Regioni più ricche; quelle Regioni, cioè, che
grazie a maggiori risorse a disposizione possono permettersi il lusso di
porre al primo punto la qualità della vita dei propri residenti.
Paradossalmente, quindi, l'aumentata e riconosciuta competenza legislativa,
da godere, però, in maniera frammentata, potrebbe rivelarsi un serpente
che si morde la coda, con Regioni, sulla carta, con gli stessi poteri delle
Regioni maggiori, ma nella realtà costrette a fare i conti con delle
scelte obbligate; e le Regioni più ricche a sancire un'intollerabile
differenza tra cittadini di serie A e cittadini di serie B a seconda della
Regione di appartenenza.
Se un simile approccio appare naturale per impedire che le Regioni possano
assumere atteggiamenti ostruzionistici, non risulta sufficientemente chiaro,
però, come le Regioni potrebbero essere tutelate al fine di non
ritrovarsi a dover approvare provvedimenti di particolare contenuto e in
particolari momenti della legislatura.
Su tutto, si pensi soltanto alla diversa coincidenza tra provvedimenti
legislativi di un certo tipo, dettati dall'agenda del Governo centrale,
ed i rinnovi dei Consigli regionali.
Costringere a fine legislatura un numero significativo di Consigli
regionali a legiferare su questioni complesse, sulla base di necessità
esterne alle Regioni, potrebbe tranquillamente essere l'occasione (cercata)
per raggiungere obiettivi altrimenti impensabili ad inizio legislatura.
Corte Costituzionale, sentenza 196/2004 (stralcio)
... L’individuazione di profili di sicura competenza statale nella disciplina
in esame, sia per la parte relativa agli aspetti penalistici sia per la
parte relativa alla determinazione dei principi fondamentali sul governo
del territorio, inducono questa Corte ad una dichiarazione di illegittimità
costituzionale solo parziale, limitandola a quelle disposizioni del
testo legislativo che, in contraddizione con gli stessi enunciati dell’art.
32 (il comma 3 afferma che “le condizioni, i limiti e le modalità
del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite dal presente
articolo e dalle normative regionali”, mentre il comma 4 stabilisce che
“sono in ogni caso fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale
e delle Province autonome di Trento e di Bolzano”), escludono il legislatore
regionale da ambiti materiali che invece ad esso spettano, sulla base delle
disposizioni costituzionali e statutarie.
Alla stregua di quanto sopra detto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo anzitutto il comma 26 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’Allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003. Analoga dichiarazione di illegittimità costituzionale va pronunziata per il comma 25 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella medesima disposizione. In terzo luogo, i possibili diversi limiti opponibili dalla legge regionale
non possono non riguardare anche quelle opere situate nel territorio regionale
cui i commi 14 e seguenti dell’art. 32 rendono applicabile il condono,
malgrado si tratti di beni che insistono su aree di proprietà dello
Stato o facenti parte del demanio statale: da ciò la dichiarazione
di illegittimità costituzionale del comma 14, nella parte in cui
non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 si applichi anche
a questa categoria particolare di opere.
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