LA POLITICA E' SCONFITTA
CHE DIO ce la mandi buona. Ma, per favore, che nessuno interpreti questa mia invocazione come un'eco lontana
di quel "Veni, creator spiritus" evocato da Benedetto Croce nel 1947, quando l'Assemblea costituente si accingeva
a discutere il progetto di Costituzione. Oggi, dopo quel che è accaduto nella commissione Bicamerale,
l'unica speranza è che, per una di quelle imperscrutabili astuzie
della storia, il fato, il caso o una mano divina ci diano un
qualche equilibrio istituzionale non troppo lontano dalle logiche
della democrazia. La politica no, perché essa è stata la grande
assente dai lavori della Bicamerale, a meno che non la si voglia
confondere con gli ammiccamenti, gli abboccamenti, le telefonate,
le bozze multiuso, le preoccupazioni di sopravvivenza personale o
di partito.
E' mancato un vero progetto politico, e così il campo è stato
lasciato libero per le scorrerie di chi voleva ridicolizzare il
lavoro di riforma della Costituzione, di chi voleva soltanto
scompaginare le mosse della partita in corso tra Polo e Ulivo. La
sinistra non esce sconfitta perché ha prevalso un progetto
diverso da quello per il quale ha votato. Esce sconfitta perché
in nessun momento ha espresso una identità o una cultura
costituzionale. Quando la discussione sulla forma di governo
nasce all'insegna del "questa o quella per me pari sono", si può
pretendere tensione politica o morale nel momento delle scelte?
La contrapposizione frontale tra destra e sinistra in occasione
dell'ultimo voto ha vanificato l'obiettivo che stava alla base di
quell'atteggiamento di rinuncia alla ricerca di una
caratterizzazione netta della posizione della sinistra: la
necessità di un'ampia maggioranza per le riforme istituzionali.
Si dirà che questa convergenza vi è stata sugli altri tre
documenti approvati dalla Bicamerale. Ma questa considerazione
non può certo cancellare il fatto che una rottura si sia
determinata proprio sul punto più significativo, quello destinato
a dare il tono all'intera riforma. Anzi, i pericolosi pasticci
visibili negli altri tre testi, e soprattutto in quello sulla
giustizia, rappresentano una controprova dell'improvvisazione e
della strumentalità con le quali è stata condotta l'intera
operazione di riforma costituzionale.
Ora si cercherà di recuperare qualcosa, in un clima che esalterà
proprio i difetti che hanno caratterizzato tutto il lavoro della
Bicamerale: la propensione alla negoziazione infinita, al "tu mi
dai una cosa a me, io ti do una cosa a te". E' vero che popolari
e Rifondazione annunciano battaglia. Ma questa è una tardiva, e
forse inutile, dichiarazione di guerra, che arriva fuori tempo
come una sorta di ritorsione, dopo che s'era rinunciato a porre
con chiarezza le condizioni politiche e programmatiche per un
comune progetto di riforma.
Dire che ha vinto la destra è vero, ma non basta. Hanno vinto la
confusione, il puro spirito di manovra, l'approssimazione. Mai,
in nessun momento, la Bicamerale ha dato la sensazione di saper
andare oltre la schermaglia quotidiana, di cercare una
interpretazione attenta ad un qualche spirito del tempo. Che Dio
ce la mandi buona.
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