RIFORME: Come limitare i danni. I limiti della bicamerale in un convegno del Crs
IL DILEMMA, a questo punto, per Pietro Ingrao si pone ed è "amaro": vista la deriva della bicamerale e gli esiti
all'orizzonte, forse sarebbe stato davvero "più utile" dar vita
all'assemblea costituente. Il dilemma per la verità non è di
oggi: già un paio d'anni fa, quando la riforma della Costituzione
cominciò a configurarsi come la posta in gioco più alta della
transizione, Ingrao disse senza mezzi termini di preferire il
processo rischioso ma aperto al paese dell'assemblea costituente
a quello a porte chiuse della commissione. Una opzione
controversa, sulla quale lo stesso Centro per la riforma dello
Stato, da Ingrao presieduto fino a pochi anni prima, discusse
tutt'altro che univocamente.
Adesso - nel corso di un convegno sulle riforme organizzato dallo
stesso Crs - Ingrao rilancia, sulla base di quella che lui stesso
definisce "una critica radicale" del processo che si sta
consumando in bicamerale. All'orizzonte c'è "il grave pericolo di
una sconfitta storica": l'ossessione per il leader che domina il
dibattito sulle riforme sancisce la crisi di quella politica
diffusa e partecipata che in questo secolo si è espressa con i
partiti e i sindacati, divenuti ormai, nel senso comune, "un
passato di cui liberarsi". Ma se questo è vero, continua Ingrao,
serve a poco attestarsi, rispetto alle soluzioni che si vanno
delineando, su una linea di "riduzione del danno": occorre
"riaprire il discorso sui fondamenti della democrazia", trovare
"una proiezione politica" nelle forme e nei luoghi nuovi in cui
la soggettività può tornare a esprimersi. Né risparmia, Ingrao,
rimproveri diretti. Al sindacato: "il suo silenzio è
stupefacente". Alla sinistra del Pds e a Rifondazione, presenti
al convegno con diversi esponenti: l'analisi che fate qui, dice
Ingrao, nella Sala della Regina è fuori campo, dunque bisogna
trarne le conseguenze e spingere più a fondo l'acceleratore della
critica.
Di critiche, in realtà, il convegno è tutt'altro che avaro.
All'origine dell'impasse della bicamerale non ci sono solo errori
tattici, dice il direttore del Crs Cantaro, ma una cultura
politica e istituzionale per cui "tutte le vacche sono nere" e
tutte le formule - semipresidenzialismo o premierato, federalismo
competitivo o cooperativo - interscambiabili. Più ruvidamente,
sostiene Aldo Tortorella che la sinistra è arrivata alla riforma
"in modo impreciso, confuso e sostanzialmente sbagliato", senza
un'idea-forza e con una pratica troppo compromissoria della
mediazione e delle alleanze. Ma a questi errori di partenza,
sottolinea Ersilia Salvato, se ne sono aggiunti altri di regìa
della bicamerale, e "nelle prossime due settimane può succedere
di tutto, sotto una conduzione nervosa che ci farà portare in
aula soluzioni impresentabili sotto il profilo tecnico e
politico".
La linea del "danno minore" si impone dunque per forza, se sulle
soluzioni si vuole intervenire in qualche modo. E ridurre il
danno comporta in primo luogo tre scelte. Sulla forma di stato
(di Claudio De Fiores un'analisi accurata della bozza D'Onofrio),
occorre riaffermare il vincolo dell'uguaglianza dei diritti in
tutto il territorio nazionale: l'unità di uno stato federale,
sottolinea Luigi Ferrajoli in polemica con Pietro Barcellona, si
realizza così, non incarnandola nella persona di un presidente
eletto dal popolo. Quanto alla forma di governo, si tratta di
ancorare la legittimazione diretta dell'esecutivo sancita col
voto sul semipresidenzialismo alla tradizione del parlamentarismo
italiano. Non basta dunque correggere il semipresidenzialismo con
la legge elettorale: occorre limitare i poteri del presidente,
affiancandogli un premier legato alla maggioranza parlamentare,
con controllo reciproco fra presidente e premier sullo
scioglimento delle camere e con una legge elettorale a doppio
turno di coalizione. La direzione indicata da Cantaro,
Tortorella, Ferrajoli è dunque quella del "bimotore" di cui in
questi giorni si discute: purché "ogni motore abbia la sua
specifica funzione, altrimenti è la paralisi istituzionale e il
trasformismo politico" (Cantaro).
Restano i danni già fatti, tra i quali (Ugo Spagnoli) la
"dimenticanza" della centralità dei diritti sociali nell'impianto
costituzionale del '48, e altri danni da sventare, come la
costituzionalizzazione dei trattati internazionali e dei
parametri dell'unificazione europea (Allegretti, Crucianelli). E
resta aperta una domanda di fondo: se il limite di partenza della
riforma sia stato, come sostiene Ferrajoli, l'errata convinzione
di poter risolvere la crisi della politica con la riscrittura
delle regole, o viceversa, come sostiene Cotturri, la ritrosia
della sinistra a infilare con determinazione la strada
dell'innovazione costituzionale. Davanti, adesso, c'è un anno e
mezzo di discussione parlamentare, quanto basta per portare
finalmente il processo costituente a portata dell'opinione
pubblica e del paese reale.
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