Gli interventi di "Riforme istituzionali"

N° 114 - 04/07/97
Da il manifesto: A firma di 9 sindacalisti

Non entriamo in Bicamerale.

Dopo l'approvazione dei testi della commissione bicamerale si apre una fase di eccezionale importanza, se si vuole dare visibilità alla questione sociale nella ridefinizione di parti rilevanti del patto costituzionale. E' per questo che noi, dirigenti sindacali, che in tutta la fase di lavoro interno della Commissione abbiano mantenuto solo un'attenzione ininfluente, abbiamo deciso ora di scendere in campo per correggere alcuni arretramenti e favorire altresì spazi di avanzamento e riforma che sono sembrati preclusi.
Nel passaggio alla discussione parlamentare, un accordo "blindato", ma sostanzialmente vulnerabile rispetto ad ulteriori pressioni conservatrici che si sono subito manifestate nelle prime reazioni, e che ribadisca una separatezza tra società e stato, proprio quando in Europa si riaprono le speranze di respingere l'attacco al diritto al lavoro che ha caratterizzato le politiche economiche e sociali degli ultimi 20 anni, potrebbe nuocere alla sinistra ed al sindacato confederale.
Sotto la pressione della globalizzazione dell'economia e dell'unificazione monetaria la destra ha spinto per cambiamenti istituzionali che indebolissero il riconoscimento formale del valore sociale del lavoro e delle sue tutele, a vantaggio dell'impresa e del mercato. A nessuno sfugge come il liberismo sociale e politico respinga il concetto stesso di questione sociale o di diritto al lavoro e punti alla separatezza tra stato-apparato e società, restringendo così alla radice la democrazia politica, economica, sociale.

Nuovo patto sociale

La discussione in Bicamerale non è stata immune da questo attacco, anzi, lo ha registrato quasi in sordina, non contrastandone a fondo il messaggio negativo.
In tutti i paesi europei è in fase di ridefinizione il patto sociale, ma dopo una lunga tendenza al dilagare del liberismo, oggi i popoli cominciano a proporre scelte di segno opposto, particolarmente visibili in Inghilterra e Francia e da sempre evidenti in Germania ed in Italia dove sono organizzati i più forti movimenti sindacali.
La partita si fa più che mai aperta: anzi, l'affermazione di un'Europa sociale ed il rinnovamento e rafforzamento del suo modello di welfare, cominciano a diventare il discrimine del confronto politico sull'identità europea nella competizione globale.
Risulta così fuori luogo che le proposte di modifica istituzionale che scaturiscono dalla bicamerale siano esposte senza adeguate reazioni al rischio di una riduzione della democrazia sociale, mentre il dibattito prevalente restringe i nodi della democrazia politica alla sola questione della governabilità.

Una grande discussione

Dobbiamo preoccuparci che non venga indebolita la tutela degli interessi del lavoro mentre non ci deve sfuggire che la stessa battaglia per la piena occupazione e per l'università dello stato sociale risentirà delle modalità con cui si attuerà nel nuovo contesto istituzionale il controllo politico e sociale sull'accumulazione e sulla distribuzione della ricchezza, sia tra i ceti sociali che tra le zone ricche e quelle povere del paese.
Le soluzioni che si sono profilate sono cariche di ambiguità e solo una discussione a tutto campo, con una forte dislocazione di tutto il sindacato, può ancora correggere un'impostazione che sta invadendo nei fatti quella prima parte della Costituzione, che invece il lavoro di riforma della bicamerale non avrebbe dovuto toccare.
Riteniamo che la discussione in parlamento debba riconsegnare al paese una questione sinora discussa in ambiti troppo ristretti, con il rischio che l'unico movimento in grado di incidere e di portare modifiche all'accordo raggiunto potrebbe paradossalmente essere quello secessionista e che le uniche istanze sociali di cui alla fine tenere conto siano quelle che legittimano e giustificano l'evasione fiscale o, quelle che, sinteticamente, reclamano la centralità costituzionale dell'interesse del privato e dell'impresa.

I rischi per il lavoro

Non si può sottacere che una riduzione del ruolo del parlamento, a cui sia per composizione che per attribuzioni venga lasciata sempre di più una funzione di controllo e sempre meno di direzione, emargini ulteriormente la rappresentanza delle soggettività sociali più deboli, già coinvolte in inediti e aspri vincoli dalla ristrutturazione tecnologica e produttiva.
Così il pluralismo di interessi, compresi quelli di cui si fa carico il sindacato continuerebbe a manifestarsi nelle forme del conflitto sociale, senza però trovare efficaci sbocchi di composizione istituzionale, per ridursi alla sola pratica della concertazione con un esecutivo sempre più forte.

L'autonomia del privato

Dalla lettura di alcuni testi emerge una pericolosa autonomia del privato che fa recedere le funzioni del pubblico. Si può così profilare una prevalenza dell'impresa sul lavoro, del tutto estranea alla nostra Costituzione, quasi che quest'ultimo possa inevitabilmente essere inglobato e sussunto dall'impresa. Preoccupano al riguardo sia i tentativi confusi di "costituzionalizzazione di Maastricht", sia i contenuti della "bozza D'Onofrio", in cui emerge chiaramente la tendenza, sotto la copertura formale del federalismo, di affermare il principio della superiorità degli interessi privati rispetto a quei vincoli sociali e a quei diritti, che invece per il testo del '48 costituiscono il limite formale e sostanziale posto al mercato ed al profitto.
Ambiguo risulta anche il ruolo assegnato alle regioni, che sembrano assorbire per delega un potere verticistico puramente "deconcentrato" e soggetto a rischi di frantumazione con implicazioni deteriori per lo sviluppo e l'integrazione del Mezzogiorno, senza essere né soggetti della programmazione nazionale né promotrici di quelle autonomie locali che hanno consentito anche alle forze del lavoro di agire sul territorio per promuovere diritti partecipazione ed uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini, al nord come al centro o al sud.

La rappresentanza

Alcune questioni urgenti per il sindacato, poi, non sono state sinora neppure affrontate o indicate tra le priorità, anche se il lavoro della bicamerale ha spesso invaso i temi della legislazione ordinaria dalla giustizia al sistema elettorale.
La rappresentanza sul territorio e la democrazia di base, compreso il riconoscimento per legge della rappresentanza dei lavoratori e della validazione dei contratti, attendono un effettivo riconoscimento. Manca un confronto sui limiti del potere finanziario e dell'autorità monetaria, nonché sulle forme ed i contenuti della democrazia industriale ed economica nella fase della mondializzazione dell'economia. Mentre è evidente il rischio di dare il via alla frantumazione del sistema contrattuale e dei diritti, sia rispetto alla contrattazione decentrata, sia, a maggior ragione, rispetto allo stesso contratto nazionale mettendo così in discussione l'unità sociale ed economica della repubblica, indispensabile a quella politica.

Un appello

Per tutte queste ragioni riteniamo che il confronto sulle linee portanti della ridefinizione del patto costituzionale debba uscire dagli ambiti angusti e specialistici nei quali sinora è stato racchiuso. Proprio perché vogliamo che non si realizzi un surrettizio ribaltamento delle priorità sociali della Costituzione ancorata al diritto, al lavoro ed ai diritti provenienti dal lavoro, riteniamo indispensabile che il confronto sulla riforma della Costituzione divenga un grande dibattito politico e sociale e sollecitiamo quindi l'intero movimento sindacale, le organizzazioni della società, il mondo diffuso dell'impegno politico e culturale, il mondo del volontariato, le soggettività organizzate, le persone, a prendere la parola.

Mario Agostinelli, Adriana Buffardi, Giorgio Cremaschi, Michele Gravano, Mario Loizzo, Paolo Nerozzi, Fulvio Perini, Gianni Rinaldini, Claudio Sabattini


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