Gli interventi di "Riforme istituzionali"

N° 113 - 25/06/97
Franco Ragusa

Bicamerale? No! grazie.

Come nelle previsioni, la Commissione Bicamerale per le riforme è riuscita nell'intento di produrre un progetto di revisione costituzionale che, di fatto, prelude ad una nuova Costituzione.
Cosa rimarrà, infatti, della Costituzione del '48 dopo questa "revisione"?
Ben poco; e quel poco che rimarrà andrà nella direzione opposta di quanto era invece auspicabile: pur nell'assenza di un intervento formale sulla Prima Parte della Costituzione, infatti, attraverso i meccanismi istituzionali escogitati si avrà una ben più pesante divaricazione tra le enunciazioni dei diritti e dei principi ivi sanciti e la loro concreta attuazione. Per alcuni di questi, inoltre, si annunciano dei clamorosi stravolgimenti. Su tutti, la previsione contenuta nel primo comma dell'articolo 56:

"Le funzioni che non possono essere più adeguatamente svolte dalla autonomia dei privati sono ripartite tra le Comunità locali, organizzate in Comuni e Province, le Regioni e lo Stato, in base al principio di sussidiarietà e di differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali, riconosciute dalla legge."

Con un colpo solo, allo Stato si sostituisce l'autonomia dei privati. Il tutto, tra l'altro, senza minimamente chiarire un minimo di criteri. Chi sarà, infatti, a stabilire come e quando i privati risulteranno inadeguati a svolgere determinate funzioni? Quale sarà il punto di discrimine rispetto al quale far valere le "scelte politiche" rispetto agli "equilibri di bilancio" dei privati?

Altro aspetto che non può venire sottaciuto, è il metodo d'indagine con il quale si è arrivati a produrre le varie proposte di revisione.
Anziché partire da un esame sul campo del perché dei malfunzionamenti istituzionali e politici verificatisi durante gli ultimi 50 anni, si è direttamente passati all'elaborazione del sistema istituzionale facendo riferimento ad una "non si sa bene quale" dottrina costituzionalistica. Di fatto, una sorta di discussione blindata, nella quale non è stato possibile approfondire tutto quanto non andava a soddisfare le aspirazioni politiche di quei partiti che hanno imposto l'urgenza della riforma.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti:
- un presidenzialismo a tutti i costi, a torto ritenuto depotenziato, in grado di mortificare il Parlamento attraverso il potere di scioglimento;
- un'indicazione di legge elettorale che accentua i difetti tipici del maggioritario, e cioè la sovrarappresentazione istituzionale e quindi il potere di ricatto del pulviscolo del "centro politico", ma ugualmente in grado di marginalizzare la rappresentanza politica delle istanze e degli interessi sociali incompatibili con politiche di governo asservite alle "esigenze tecniche dei mercati";
- un progetto di federalismo per certi aspetti estremizzato, tutto teso a realizzare per altre vie la disgregazione dello "Stato sociale", ma che dall'altro non risolve nulla riguardo ad eventuali immobilismi dello Stato centrale, non essendo stata prevista una forma di legislazione concorrente; per non parlare dell'assenza di una "Camera delle Regioni";
- un nuovo articolato costituzionale sulla giustizia che si spiega soltanto nell'ottica di uno stravolgimento dell'attuale equilibrio fra i poteri, da effettuarsi nel prossimo futuro in sede di esame parlamentare del progetto di revisione costituzionale (in sede di Bicamerale si e' infatti preferito evitare l'esame degli emendamenti, probabilmente per meglio "preparare" l'opinione pubblica!), e con ciò rinviando inutilmente (dolosamente!) quegli interventi legislativi di tipo ordinario che oggi potrebbero permettere di risolvere gran parte delle disfunzioni della macchina giudiziaria;
- infine, una sorta di tricameralismo che... chi lo capisce è bravo!

Una conclusione dei lavori che non ha fatto altro che confermare la fondatezza delle ragioni di chi non ha mai approvato l'istituzione della Commissione. E chi a suo tempo contrappose l'inevitabilità della Bicamerale come risposta al tentativo plebiscitario dell'Assemblea Costituente di Segni (Rifondazione su tutti), dovrebbe trarne qualche insegnamento: i principi si difendono rispettandoli, e non accettando o subendo soluzioni tattiche.
Si ritorni quindi allo spirito della Carta del '48, ad un procedimento di revisione rigorosamente rispettoso delle garanzie allora fissate attraverso l'art. 138, concepito per un Parlamento di tipo proporzionale e non di tipo maggioritario come è quello attuale. Oggi appare come un paradosso, ma se c'era una revisione urgente da fare questa doveva riguardare l'art. 138; e invece, di fronte alla necessità di garantire il sistema istituzionale di fronte alle alle tentazioni plebiscitarie di Parlamenti maggioritari scarsamente rappresentativi, il 138 è uno dei pochi articoli che la Bicamerale ha pensato bene di lasciare immutato.

"NO! Alla farsa plebiscitaria del referendum unico":
http://www.mclink.it/assoc/malcolm/riforme/astens.htm


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