Gli interventi di "Riforme istituzionali"

N° 117 - 06/07/97
Da il manifesto: Pietro Ingrao

Il sindacato e i poteri.

La Bicamerale ha concluso i suoi lavori e si appresta a portare le sue proposte all'esame delle camere. E' un fatto importante: riguarda le regole e la sostanza della vita di questo paese. Attenti a non lasciarsi frastornare dal coro dei pettegolezzi, dalle manovre e manovrine che hanno accompagnato e costellato l'evento. Attenti a non lasciarsi distrarre dalle lotte di gruppo e di ceto che hanno accompagnato quotidianamente le tappe, le manovre spesso oscure, i compromessi alti e bassi della trattativa, gli esiti confusi e quelli chiari.

Metà, e oltre, della Carta costituzionale viene rifatta dalle radici. Buono o cattivo che sia, il rivolgimento - se andrà in porto -entrerà nella nostra vita, modificherà la mappa dei poteri che ci governano, toccherà la forma e la sostanza di diritti fondamentali che segnano noi e l'universo intorno a noi. Nulla è più stupido che dire: affari loro. Nulla è più rozzo che dire: tanto non cambia niente. Cambia, e come cambia.

Perciò trovo innanzitutto salutare il documento sui lavori della Bicamerale sottoscritto da un gruppo autorevole di dirigenti sindacali, che il manifesto e altri giornali hanno pubblicato tre giorni fa. Avevo espresso più volte a mia sorpresa di fronte al silenzio del sindacato sul progetto di riforma costituzionale e sui temi grandi ed essenziali che essa evoca. Questo silenzio oggi è rotto.

Il documento è critico, esprime la grave preoccupazione che la riforma in corso obbedisca all'ondata neoliberista, affermi una primazia del Privato sul Pubblico che è incostituzionale, e quindi metta in forse quella centralità del lavoro che è l'asse portante della nostra Costituzione e quel sistema di diritti universali, che sono alla base della Repubblica e furono a fondamento della Resistenza.

Il documento dei sindacalisti non è solo una difesa del passato per alto che esso sia. Anzi. Il gruppo che ha steso il documento si interroga sul significato che avrebbe oggi un arretramento dagli obiettivi scritti in Costituzione nel momento in cui il tema di una democrazia sociale sta diventando esplosivo nel nostro continente e drammatiche lotte di massa stanno ponendo il tema di una Europa sociale, che non si lasci soffocare dal dominio della moneta e dal neoliberismo di Maastricht. Il nesso è stretto: non si può avanzare verso una Europa sociale se su questi nodi si arretra gravemente - e illecitamente - nella nostra Costituzione.

Questo documento ha un altro merito. Chiama scandalosamente alla difesa del parlamento. Esce dal coro che in tutte (o quasi) le gazzette della Repubblica canta l'elogio del "lider" massimo, la delega all'uomo forte, il disprezzo verso i partiti (che tuttavia misteriosamente si moltiplicano in questo paese fino a una orgia di sigle e a una moltiplicazione di capi e capetti, mentre le camere invece di essere ridotte utilmente e ragionevolmente ad una sola composta di trecento membri vengono addirittura misteriosamente portate a tre).

Che sorte avrà questa scesa in campo di forze sindacali? Diciamo brutalmente che tale sorte è del tutto insicura. Può anche rimanere un grido, e basta. Il suo esito dipende da una cosa molto difficile che è una discussione in mezzo al popolo sulla riforma delle istituzioni. Cosa ardua per più ragioni: perché il dibattito ha una sua "tecnicità" e chiede una formazione e una partecipazione politica costruite nel tempo, una esperienza politica organizzata di carattere durevole. Il sindacato è tuttora un soggetto politico forte in questo paese: e si è battuto appunto per essere soggetto politico a tutto campo, e non solo "cinghia di trasmissione" o struttura corporativa. Ma la crisi dell'agire politico, più esattamente dell'agire politico di massa, è profonda e grave: e - per il sindacato e non solo per il sindacato - ha radici nel mutamento del paradigma produttivo che ha sconvolto le relazioni e i soggetti sociali persino nel cuore dell'Europa, nel continente del Welfare e della democrazia sociale a più lunga storia.

Come, nel cuore di questo dramma sociale che sconvolge oggi l'Europa, ricostruire una soggettività diffusa e durevole, capace di una strategia nazionale e sovranazionale, è impresa oggi tutta da affrontare. Questa è la dimensione ineludibile con cui si trova a misurarsi il gruppo di sindacalisti che interviene ora nello scontro istituzionale italiano ed europeo. In fondo, a veder bene, il documento dei sindacalisti esprime la nitida coscienza che dentro la vicenda di crisi della democrazia sociale, che si legge nelle decisioni della Bicamerale, la stessa strategia della "concertazione" finisce per franare: forse lentamente e ambiguamente, ma frana. E una "neutralità" del sindacato nel conflitto in atto sul potere e sulle istituzioni, alla fine, non regge e non paga.

Attenti a illudersi che tutto possa essere affrontato e risolto nelle manovre e nelle combinazioni di vertice. Dopo le decisioni del parlamento si andrà obbigatoriamente al responso popolare del referendum. E c'è già chi aspetta e prepara quel momento per lanciare il Salvatore della patria, il Di Pietro di turno. E' sciocca e imprevidente l'illusione di tenere tutto chiuso dentro le mura del Palazzo. Anche per questo sarebbe un errore fatale per il sindacato illudersi di poter restare alla finestra.


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