Gli interventi di "Riforme istituzionali"

N° 118 - 11/07/97
Da il manifesto: Salvatore D'Albergo *

Fondata sull'impresa.

La risposta più immediata alla domanda della gente comune sulla portata della revisione della seconda parte della Costituzione derivante dalle intese della Commissione D'Alema, si riassume nel fatto che il ruolo del Parlamento viene retrocesso dal primo al quarto posto, degradando nella sequenza Federalismo-Presidente della repubblica-Governo. Così, in nome di un "semipresidenzialismo all'italiana", si ritorna pur in regime repubblicano a quella forma di "governo monarchico-rappresentativo" in cui - con la variante del capo dello stato "elettivo" - il potere esecutivo del "primo ministro" esprime la sovranità di uno stato inteso come "apparato", anziché come "comunità".

E il tutto in virtù di un "federalismo" che, in realtà, riqualifica un forte centralismo per fornire con la "governabilità" garanzie di principio all'autonomia dei privati, delegittimando gli istituti di democrazia politica, economica e sociale introdotti nel 1948 per coniugare la Repubblica delle autonomie e il nuovo modello di Repubblica parlamentare, in vista degli obiettivi di trasformazione sociale e istituzionale che hanno animato, anche drammaticamente, la storia sociale e politica della Repubblica democratica "fondata sul lavoro".

Contro il tentativo di scindere artificiosamente con la "bicamerale" prima e seconda parte della Costituzione - operazione divenuta più evidente dopo la pubblicazione del progetto di revisione trasmesso alle camere - sono entrati in campo almeno quei sindacalisti che, con l'appello del 4 luglio, hanno superato le incredulità e passività degli ultimi anni sui rischi per la sinistra di uno scollamento tra questione sociale e questione istituzionale.

Benché il ritardo sia grave - e il recupero accidentato anche dal fatto che chi ha operato nella "bicamerale" punta più a evitarne il fallimento e a difendere il progetto dagli attacchi delle forze antidemocratiche più oltranziste che a invertire una rotta che si profila comunque esiziale per la democrazia - occorre far leva su questa presa di coscienza per un approfondimento collegato con i processi reali in corso, tale da sollecitare la cultura a far valere la pregiudizialità che si frappone all'ammissibilità costituzionale di una seconda parte che contraddica i principi fondamentali nonché la prima parte della Costituzione. E ciò perché l'unità e indivisibilità della Repubblica è stata concepita non già come referente di un centralismo che la "bicamerale" a sua volta ha razionalizzato, ma, al contrario, come strumento istituzionale di una teoria sociale e politica volta a fare del diritto al lavoro l'asse strategico dell'emancipazione di cittadini e lavoratori dal dominio dei poteri "privati" contrastanti con l'"utilità sociale".

Sviluppando i rilievi di Ingrao, va fatta chiarezza sugli equivoci alimentati abilmente in nome del federalismo intorno al criterio di valutazione della "forma di stato" che - come precisato da una dottrina costituzionalistica accreditata nei circoli politici - non ha a che vedere con la vecchia distinzione tra stati unitari e stati federali.

Essa infatti fa oramai riferimento ai modi e agli aspetti con cui si manifestano "le funzioni del diritto" nel contesto storico-sociale dei sistemi istituzionali contemporanei (Amato-Barbera): sicché la forma di stato introdotta nel testo costituzionale del 1948 non è di tipo accentratore in alternativa al federalismo, ma di tipo "democratico-sociale" in alternativa a quello di tipo "liberal-liberista" e "corporativo", in una prospettiva di unità e indivisibilità necessaria a coinvolgere il sistema delle autonomie sociali e politico-istituzionali in un processo di socializzazione dell'economia per l'emancipazione dei ceti subalterni. Facendo per di più dello "stato sociale" una componente della programmazione democratica dell'economia e non già - come si legge nella proposta della "bicamerale" - una questione residuale.

E, soprattutto, va posta attenzione al fatto che - introducendo nella seconda parte principi che, in materia di Unione europea, vanno coordinati a quelli che in materia di sovranità sono sanciti nella prima parte - le destre sociale e politica piegano a loro uso e consumo la tesi del "superamento" dello stato-nazione, procedendo ad ogni buon conto, e proprio perché i processi di ristrutturazione capitalistica si susseguono da un secolo e ancora procederanno, a puntellare quei vertici dello stato-nazione che, sempre meno sottoposti al Parlamento, sono base di riferimento ineludibile del potenziamento dei centri economico-istituzionali operanti, in senso antisociale, in nome della cosiddetta "globalizzazione".

* Università di Pisa - Centro "Il Lavoratore", Milano


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