Gli interventi di "Riforme istituzionali"
http://www.mclink.it/assoc/malcolm/riforme/interventi/indice.htm

N° 139 - 31/12/97
Corriere della sera: Fernando Proietti

DAL PRIMO GENNAIO ENTRA IN FUNZIONE UN REGOLAMENTO DELLA CAMERA CHE RENDE PIÙ RAPIDI I TEMPI DI APPROVAZIONE DELLE LEGGI

Ostruzionismo addio: le nuove norme archiviano ventidue anni di «trucchi» parlamentari

L'azzurro Calderisi: «La novità? Per la prima volta l'opposizione ha contribuito»
Per lo studioso Ceccanti si è rotto «il bozzolo unanimistico consociativo»

ROMA - Un quarto di secolo è il tempo (mostruoso) impiegato dal Palazzo per eccellenza, Montecitorio, per rimettere mano in profondità al proprio regolamento interno, che entrerà in funzione il 1º gennaio '98. Una battaglia andata avanti per venticinque anni con l'opposizione di sinistra (e di destra) quasi sempre indisponibile a farsi disarmare dalla maggioranza delle uniche armi parlamentari di cui potevano disporre le sue truppe: filibustering e cecchinaggio. Le stesse armi con le quali nella primavera del '53 Togliatti (e anche Nenni) avevano tenuto testa ad Alcide De Gasperie all'ormai famigerata legge-truffa. Così, l'ultima riforma regolamentare, davvero innovativa e radicale risale all'inizio del maggio 1971. Tant'è: dal primo gennaio '98, con l'Ulivo arrivato al governo, anche la Camera dei Deputati adeguerà le proprie norme a quella logica bipolare introdotta con la legge elettorale del '93. Una serie di norme-chiave destinate a rompere quel che resta del «bozzolo unanimistico-consociativo» dominante nell'età del proporzionale. Per l'azzurro Peppino Calderisi la novità è il ruolo decisivo avuto stavolta dalla minoranza nel riscrivere le regole del gioco di Montecitorio: «È la prima volta nella storia della Repubblica che l'opposizione ha contribuito in maniera determinante alla costruzione di un sistema di regole procedurali che consente di programmare, secondo tempi ragionevolmente certi e sostanzialmente dimezzati, l'esame dei provvedimenti di legge».

Già in passato il vecchio Pci (oggi Pds) spesso veniva accusato, a torto o a ragione, di innalzare le barricate ogni qualvolta la maggioranza (o parte di essa se si pensa all'ex Dc e al peso delle sue correnti) tentava di alleggerire l'iter dei lavori dell'assemblea parlamentare. O di stroncare il fenomeno, praticato soltanto nelle aule legislative italiane, del voto a scrutinio segreto. «Abolire il voto segreto trasformerebbe il Parlamento italiano in una sorta di Soviet Supremo, dove ubbidienti burocrati ratificano per alzata di mano le decisioni prese in segreti vertici di partito», tuonava l'allora professorino della Sinistra indipendente, Franco Bassanini. Siamo nell'estate del 1986. Per arrivare alla limitazione del voto segreto, sollecitata a più riprese da Bettino Craxi, occorrerà attendere il 1998.

«Non si tratta solo della limitazione del voto segreto con il connesso fenomeno dei franchi tiratori, che pur scatena sul momento vivaci polemiche in quanto l'opposizione la vive come un attentato alla "conventio ad consociandum" (in realtà essa finiva con tale strumento per essere utilizzata in via subalterna alle lotte di fazione interne alla maggioranza), ma anche di una riforma regolamentare del Senato che anticipa di due anni quella varata poi dalla Camera», può annotare oggi lo studioso Stefano Ceccanti sul prossimo numero di «Quaderni costituzionali». Eppure a lanciare l'allarme per adeguare i meccamismi parlamentari alla nuova realtà europea erano stati in tanti (e autorevoli).

«Il così detto potere legislativo provoca malumore, o almeno viene osservato con blando stupore. Colpa dell'antiparlamentarismo sempre latente in Italia per lunga tradizione come ricorda Giovanni Spadolini? O del parlamentarismo, degenerazione dell'istituto parlamentare?», si interrogava, sulle colonne del «Corriere della Sera», Alberto Ronchey, assistendo alla mattanza in corso alla Camera sulla legge finanziaria presentata dal secondo governo Craxi. Così, ancora una volta, e per «motivi occulti», il bilancio statale veniva modificato sotto i colpi dei franchi tiratori. E non era la prima (né l'ultima) volta che ciò accadeva. Anzi è ancora storia di oggi.

«Il balletto degli emendamenti sull'ultima legge finanziaria ha gravemente danneggiato l'immagine del governo Prodi e dell'Ulivo», è il grido di dolore lanciato dall'economista vicino al Pds, Nicola Rossi. «I franchi tiratori? Una mala pianta di cui ci si rallegra quando si manifesta in ausilio alle proprie tesi, e che si demonizza negli altri casi» amava ripetere, pungente, Giulio Andreotti.

Nella primavera del 1984 Luigi Pintor pubblicava sull'«Espresso» le «Memorie di un ostruzionista» in cui ricordava l'impegno della sinistra contro la legge truffa del '53. «Ma è certo che quella del '53 non fu un'arida contesa ma una battaglia campale, una Roncisvalle dove echeggiava perenne il corno di Orlando, il cozzo di due eserciti alle soglie di elezioni generali che avrebbero deciso del regime politico per vent'anni», si lasciava andare il co-fondatore del «Manifesto». E mentre infuriavano le polemiche per ridurre o bloccare l'ostruzionismo messo in atto (ancora una volta) contro il governo Craxi (il primo), insorgeva pure Giorgio Napolitano.

«La riforma del regolamento può essere attuata. Ma con gradualità e nel pieno accordo tra le principali forze politiche. Altrimenti è una sorta di colpo di Stato», dichiarava l'allora capo dei deputati comunisti. Anche gli ex missini e la pattuglia radicale di Marco Pannella mostravano i denti di fronte alla prospettiva di disarmare i cecchini e mettere un freno all'ostruzionismo. Ma questa è storia vecchia. Per Stefano Ceccanti con il nuovo regolamento si è «chiaramente rotto il bozzolo unanimistico-consociativo; non è fatta propria fino in fondo la logica delle grandi democrazie europee delle due programmazioni alternative, l'una affidata pienamente al governo e l'altra alle opposizioni». Quanto alla personalità destinata in futuro a guidare l'assemblea, le regole appena riscritte, sostiene ancora Ceccanti, «porterà quasi necessariamente a confermare la scelta della presidenza della Camera all'interno della maggioranza». Insomma, una «riforma strisciante» in attesa della Grande Riforma annunciata dalla Bicamerale.


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