LA RELAZIONE - Paciotti: "Sono altre le riforme che ci servono".
- ROMA
ANCHE NEI PARTICOLARI" dice Scalfaro di condividere la relazione
con cui Elena Paciotti apre uno dei congressi più difficili
dell'Anm. E di particolari, Paciotti è stata tutt'altro che
avara, in 15 asciutte cartelle recitate nel suo stile
inconfondibile: autorevole, pacato e all'occorrenza tagliente ma
in understatement, la miscela anti-esplosiva che già
nell'audizione in bicamerale, poco meno di un anno fa, aveva
smontato i teoremi revanchisti, spuntato le velleità dei
riformatori ultras, disarmato il "duello"
politici-giudici. E oggi come allora, il ragionamento non serve
solo a contrastare i capitoli punitivi del testo della
bicamerale, ma anche e soprattutto a spostare dal terreno
costituzionale al terreno ordinario l'asse di una riforma
"radicale" della giustizia, "di cui vi è urgente bisogno, anche
quando risulti un po' scomoda per non pochi dei nostri
associati". Ai quali del resto la presidente non risparmia
giudizi gravi: perché "abbiamo subìto l'onta di vedere il cancro
della corruzione corrodere anche settori della giurisdizione, e
ci interroghiamo anche sulle nostre colpe"; e perché del bilancio
fra il positivo e il negativo del cinquantennio costituzionale,
"siamo in molti, e non ultimi i magistrati, a portare le
responsabilità".
Di "disfunzioni e pecche" la giustizia dunque patisce, ma la bicamerale ha individuato i rimedi sbagliati. Paciotti snocciola le ragioni dei tre no dei magistrati alla riforma del Csm, a una troppo rigida distinzione delle funzioni che già delinea nei fatti una separazione delle carriere, all'istituzione del pg disciplinare di nomina politica. Ricorda che fu proprio Oscar Luigi Scalfaro, allora giovane costituente, a proporre in Costituzione quel rapporto 2/3 di togati, 1/3 di laici che oggi si vorrebbe alterare aumentando i membri di nomina parlamentare: "un inequivoco messaggio verso una riduzione dell'autonomia della magistratura". Dice che lo smembramento del Csm in due sezioni, unito ai filtri fra le funzioni di giudice e pm, allontana il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione, col rischio di "una sorta di deformazione professionale che lo abitua a guardare da una parte sola". Sottolinea che l'istituzione del pg nominato dal parlamento ma che al parlamento non risponde "desta preoccupazione".
Rimedi sbagliati dunque, a problemi che pure esistono. Se il punto è quello della terzietà del giudice e dell'equilibrio fra i poteri di accusa e difesa, "solo disposizioni di natura processuale possono assicurare maggiori garanzie": a riprova, Paciotti porta l'alterazione di quell'equilibrio prodotto dall'introduzione nel codice di procedura penale, nel '92, delle disposizioni emergenziali antimafia (e indirettamente approva la recente riforma del 513). Se il punto è un potere eccessivo del pm, la soluzione sta nella temporaneità delle sue funzioni. Se il punto è la discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale, la soluzione sta nel diritto penale minimo.
Più in generale, Paciotti richiama alla necessità di spostare dalla giustizia togata ad altre sedi la composizione dei conflitti e la tutela dei diritti, nell'ambito di una riforma complessiva del sistema che chiama in causa il governo e il parlamento: se la magistratura italiana ha avuto successo contro mafia, terrorismo e corruzione, "non siamo però riusciti nel compito di rendere complessivamente ai cittadini un servizio adeguato alla nostra attività quotidiana, perché per questo non bastano momenti di straordinario impegno ma occorrono leggi e strutture adeguate e la volontà di molti". Il governo, col suo "pacchetto" di riforme, è sulla buona strada, ma "occorre fare di più, da parte di tutti, e rimediare quanto prima a troppo prolungate inerzie".
E' una prospettiva molto prossima - Folena non mancherà di sottolinearlo - a quanti in bicamerale, a sinistra, hanno sostenuto la necessità di uscire dall'ossessione della resa dei conti fra politica e giustizia per spostare l'azione sul rapporto fra società e giustizia. E sollecitano in questi giorni un rinnovato impegno della maggioranza di governo in questa direzione. Flick, in prima fila, ascolta. Quanto alla bicamerale, resta il messaggio politico di Elena Paciotti: "La buona sorte" di non aver dovuto combattere il fascismo "ci ripaga a sufficienza del fatto che le odierne discussioni sulle riforme costituzionali non hanno il respiro e l'elevatezza di quelle dei nostri padri costituenti. Sono inutili polemici paragoni. La sovranità popolare si esprime con il libero voto nelle concrete situazioni storiche: oggi appartiene pienamente al nostro attuale parlamento". Questa è l'epoca, e questa è democrazia.
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