Gli interventi di "Riforme istituzionali"

N° 144 - 23/02/98
Rassegna stampa sulle dichiarazioni del P.M. Gherardo Colombo.


Dal Corriere della Sera del 22/2/98

Intervista al sostituto procuratore di Mani pulite: ecco perché hanno bisogno di ridimensionare l'indipendenza della magistratura

Colombo: Bicamerale figlia del ricatto

Per il pm del Pool chi partecipò al consociativismo ora è costretto all'intesa sulle riforme

MILANO - Sulla Bicamerale e sulle riforme istituzionali intervista a Gherardo Colombo, pubblico ministero del Pool Mani pulite, che parla di una «società del ricatto» frutto dei compromessi degli ultimi venti anni della Repubblica e del consociativismo. Una «società» ancora ben viva. Secondo il magistrato, la Bicamerale è figlia di quella «società del ricatto». Il tentativo di riscrivere la seconda parte della Costituzione è la sola strada a disposizione di quella «società» per occultare il passato. Conclusione: «La nuova Costituzione può avere come fondamento quel ricatto».

«Le mie considerazioni - continua Colombo - non vogliono (come è ovvio) e non potrebbero (come è giusto) condizionare il lavoro del Parlamento nella riscrittura della seconda parte della Costituzione. Le mie sono soltanto osservazioni di carattere generale sul tema della giustizia e dei modi di amministrarla... Oggi la magistratura è meno inserita in quella società. Magari fa degli errori. Magari scivola in qualche sconfinamento. Magari c'è chi è ancora omologo a quel sistema. Per questo, credo, quella "società" minaccia la sua indipendenza. La magistratura è una variabile non coerente con il sistema consociativo. Per questo infastidisce, preoccupa, inquieta. Potere diffuso per antonomasia, può rompere in qualsiasi punto e imprevedibilmente il patto del silenzio, della complicità consociativa che il ricatto consiglia. Ecco la necessità di ridimensionare l'indipendenza del magistrato. Una magistratura meno indipendente, o addirittura dipendente, non riuscirebbe più a svolgere il controllo di legalità che le è proprio».


Agenzia stampa ADNKronos

Colombo: ecco l'accusa di Flick al PM di Milano

''TENORE AFFERMAZIONI SCREDITA SCELTE BICAMERALE E GOVERNO''

Roma, 23 feb. (Adnkronos) - ''Uso strumentale della qualita' di magistrato idoneo a turbare l'esercizio di funzioni costituzionalmente previste''. E' questa una delle accuse che il ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Maria Flick rivolge al pm milanese Gherardo Colombo nell'atto con il quale ha promosso l'azione disciplinare nei suoi confronti per l'intervista rilasciata al 'Corriere della Sera'.

Colombo: D'Alema, intervento pericoloso e sbagliato.

Roma, 23 feb. (Adnkronos) - Le tesi di Gherardo Colombo sono pericolose e profondamente sbagliate, tipiche dell'estremismo di sinistra. Lo afferma il segretario del Pds Massimo D'Alema, in una anticipazione del Tg3 dell'intervista al leader di Botteghe Oscure che verra' pubblicata sull''Unita'' di domani. Secondo D'Alema, ha ragione Colombo, quando richiama il comportamento delle nostre ambasciate all'estero sulle rogatorie. Ma questo, aggiunge tra l'altro il segretario del Pds, non giustifica esternazioni di carattere politico. Non e' un caso, dice ancora D'Alema, che la Bicamerale sia attaccata da Cossiga e da Colombo.


Agenzia stampa ASCA

COLOMBO: PISAPIA, PAROLE DI INAUDITA GRAVITA'

(ASCA) - Milano, 23 feb - ''Sono sconcertato''. Cosi' Giuliano Pisapia presidente della commissione Giustizia della Camera ha commentato il caso del pm Colombo. Pisapia ha detto ancora ''confido nel fatto che le parole di Gherardo Colombo siano state equivocate; se le confermera' saranno di una gravita' inaudita''. A proposito della Bicamerale Pisapia ha detto che va avanti ''quello che mi sconvolge con il dottor Colombo e' che ha trattato posizioni assolutamente diverse come se fossero le stesse. Cosi' si rischia di finire nel qualunquismo e nella diffamazione''.
Secondo il presidente della commissione giustizia in realta' il magistrato milanese vuole opporsi al rapporto tra tutti i magistrati e il Parlamento''.


Dal Corriere della Sera del 23/2/98

Salvi: fanatismo farneticante «Pronto a quererarlo, non può infangare così le istituzioni»
«La Paciotti sbaglia: era doveroso pubblicare l'intervista a un magistrato di tale rilievo»

Di Felice Saulino

ROMA - «Farneticazioni: quelle di Gherardo Colombo sono pure e semplici farneticazioni». Vorrebbe chiuderla qui, Cesare Salvi, la polemica con il pubblico ministero milanese. E passare subito alle cosidette «vie legali». La sensazione è che avrebbe voglia solo di chiamare l'avvocato. Ma, per farlo, dovrebbe prima liberarsi dai cronisti che gli hanno distrutto il pomeriggio domenicale martellando di telefonate al mare.

È vero che ha minacciato una querela?

«Beh, sono il presidente dei senatori della Sinistra democratica che - non dimentichiamolo - è il più grande partito del Paese, il maggiore della coalizione di governo e anche quello che esprime il presidente della Bicamerale (Massimo D'Alema, n.d.r.). Per finire la parte che mi riguarda, sono anche uno dei quattro relatori della Commissione».

E allora?

«Scusi, come faccio a non sentirmi diffamato? Lo sono tre volte: sul piano personale, sul piano politico e su quello istituzionale. Secondo il delirio del dottor Colombo, non esistono alternative: il sottoscritto o è un ricattato o un ricattatore».

Anche le riforme istituzionali sarebbero inquinate dal «ricatto».

«Guardi che la Bicamerale va avanti. Serve, tra l'altro, a ricostruire un quadro di legittimazione dei poteri. E di rispetto reciproco. Quanto alla tesi, tanto cara al Pool, che stiamo lì per minare l'autonomia della magistratura, si tranquillizzino... Vorrei ricordare, che il mio partito si è impegnato in battaglie durissime per difendere quell'autonomia. Vedo che i presidenti di Camera e Senato, Violante e Mancino, hanno deciso di intervenire con una dichiarazione congiunta. È intervenuto anche, questa volta tempestivamente, il ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick. Non è ammissibile travolgere il lavoro della Bicamerale gettando fango sull'intero Parlamento. Cioè sull'istituzione che è l'espressione più alta del suffragio popolare».

Ma, secondo lei, da che cosa nasce il «gesto» di Colombo?

«Temo che nasca dal fatto che lui la pensi proprio così. L'intervista al Corriere fotografa un'ideologia del fanatismo tipica, del resto, di una piccola borghesia eversiva. Un ceto che con il suo atteggiamento antiparlamentare e antipolitico produce da un secolo, a intermittenza, guai a questo Paese. Ora, sul modo di condurre le inchieste da parte di un magistrato che la pensa così, non possono non sorgere interrogativi inquietanti».

Dove vuole arrivare?

«Sto ragionando ad alta voce. Dopo aver conosciuto il "pensiero forte" del pubblico ministero Gherardo Colombo, dico: meno male che adesso la cosa è di dominio pubblico...».

Beh, Elena Paciotti, presidente dell'associazione nazionale magistrati, parla dell'intervista al Corriere come di una «singolare operazione giornalistica».

«Se c'è un magistrato della notorietà di Gherardo Colombo che ha quelle opinioni, mi sembra doveroso che un giornale le renda note. Non vorrei che, prendendosela con i giornali, alla dottoressa Paciotti sfuggisse la sostanza del problema. Se lei, come la stragrande maggioranza dei magistrati italiani, non tollera le continue esternazioni di alcuni pubblici ministeri, perché non lo dice con chiarezza?».

E al Consiglio superiore della magistratura che rimprovera?

«Credo che non possa lavarsene le mani. Mi sembra che - in questa esternazione di Colombo - ci siano tutti gli estremi per un intervento. Mi piacerebbe che il Csm impiegasse la stessa determinazione e la stessa tempestività che furono impiegate nei confronti del povero dottor Michele Coiro. Qui nessuno mette in discussione il diritto d'opinione. Ma non è ammissibile che un magistrato che si occupa di inchieste delicatissime rappresenti la storia della Repubblica italiana come storia di ricatti e patti inconfessabili tra malfattori e politici. È scandaloso. Tra i politici della Repubblica ci sono stati martiri come Pio La Torre e Piersanti Mattarella, uccisi dalla mafia. Giovanni Spadolini fece la guerra alla P2 da presidente del Consiglio. Potrei proseguire. Ma non mi va di continuare a rispondere ad affermazioni, come quelle del dottor Colombo, che rivelano ignoranza della storia e risultano prive di ogni spessore culturale».

Cosa pensa delle accuse al governo e al ministro Flick?

«Che il procuratore svizzero Carla Del Ponte, magistrato che nessuno può accusare di essere contro Mani pulite, oggi in un'intervista a «Repubblica», pone due questioni che investono il Pool. I processi che non si concludono mai. E le notizie che appena passano dalle autorità svizzere al Pool finiscono sui giornali...».


Da La Stampa del 23/2/98

Bertinotti: la Bicamerale ha sbagliato da sola

Di Guido Tiberga

LA macchina di Fausto Bertinotti viaggia tra il carnevale allegro di Viareggio e gli scontri feroci di Roma. La linea del telefonino cade spesso, ma non abbastanza per nascondere la sua idea: Gherardo Colombo è un gran magistrato, ma la sua uscita sul Parlamento "ricattato" è inopportuna. "Basta vedere le polemiche che ne sono venute fuori per capire quanto sia stata inopportuna...".
Onorevole Bertinotti, molti suoi colleghi l'hanno definita un'ingerenza gravissima, fanatica e devastante. Lei che fa, si tira fuori dal coro?
"Io, se permette, eviterei gli aggettivi troppo violenti. Ha sentito quello che ha detto la Paciotti? Le idee di un cittadino vanno comunque rispettate, anche se ci trovano in disaccordo. Quella che si può fare è una valutazione politica, ma senza strapparsi le vesti".
Allude ai suoi colleghi parlamentari che sparano a zero su Colombo?
"Vede, l'analisi del giudice Colombo mette insieme due cose distinte: la corruzione e le conclusioni della Bicamerale. Dimostrando che era giusto quello che noi comunisti abbiamo ripetuto alla nausea: i problemi della giustizia dovevano essere affrontati con una legge ordinaria, non essere inseriti nella nuova Costituzione".
Perché, scusi?
"Come perché? Ha visto anche lei come è andata a finire: in questo modo le decisioni sulla giustizia possono essere interpretate come materia di scambio".
"Possono essere interpretate" o "sono state" materia di scambio?
"C'è un corto circuito nel ragionamento di Colombo. Le classi dirigenti di questo Paese hanno responsabilità enormi: sono state complici della mafia, conniventi nell'evoluzione dei rapporti indebiti tra affari e politica. Ricorda che cosa diceva Gramsci, quando parlava di ''sovversivismo della classe dirigente''? Ricorda Pasolini quando sosteneva l'esigenza di processare la classe dirigente?".
Non vedo il nesso con le dichiarazioni di Colombo. Mi aiuti a capire...
"Non lo vede perché non c'è. E' proprio qui il corto circuito di cui le parlavo. La Bicamerale ha sbagliato, ma il suo non è stato il cedimento a un ricatto, ma un doppio errore politico. Il primo sbaglio? Aver voluto a tutti i costi inserire i temi della giustizia nel processo di riforma costituzionale, senza che ce ne fosse affatto il bisogno. Il secondo? Aver considerato la necessità di concludere più importante rispetto ai contenuti, con il risultato di dividere il centro-sinistra. E di far prevalere le posizioni di chi, dentro il centro-sinistra, era più vicino al centro-destra...".
Quindi anche lei è d'accordo con chi dice che le affermazioni di Colombo sono sbagliate?
"In parte sì, ma le opinioni di un cittadino non possono scatenare una polemica così forte da far dimenticare il vero problema. Questa molteplicità di accuse rischia di seppellire la questione fondamentale, che è quella di superare le scelte sbagliate della Bicamerale. Noi di Rifondazione lo abbiamo detto più volte: siamo d'accordo con la posizione emersa dal congresso dell'Associazione Magistrati: l'autonomia dei giudici va garantita".
Onorevole Bertinotti, anche dentro Rifondazione c'è chi non ha risparmiato i colpi. Ha sentito Pisapia? "Colombo deve fare i nomi". "La magistratura vuole scaricare sul Parlamento la responsabilità di non essere riuscita a condannare quasi nessuno". E allora?
"E allora niente. Su queste questioni non possono esserci linee di partito. Ognuno reagisce secondo la propria sensibilità. Ma quelli che non si possono dimenticare sono i problemi veri: oggi abbiamo una giustizia che esaspera le tensioni sociali, non voglio dire una ''giustizia di classe'', ma quasi. Una giustizia che fa emergere il dubbio che esista uno ''stato sociale'' per i potenti, a partire da Previti. Tutto questo viene oscurato dalla polemica, sepolto dall'idea fuorviante dello scontro tra politica e magistrati".
C'è stata anche una reazione ufficiale, però. Mancino e Violante parlano di "delegittimazione del Parlamento". Fuorvianti anche loro?
"Io posso capire la necessità di difendere l'onore delle Camere, specie di fronte a una posizione sbagliata come quella del ricatto. Ma c'è una cosa che non mi convince nella dichiarazione dei presidenti delle Camere. Si dice che tutto questo ''non aiuta la ricerca degli strumenti più idonei ad assicurare la necessaria indipendenza del pubblico ministero''. No, mi spiace: l'indipendenza del PM va garantita a dispetto delle polemiche e degli attacchi".


Da La Repubblica del 23/2/98

Perchè sbaglia il Pool di Milano.

Di Ezio Mauro

PER DUE volte in poche settimane, il pool milanese che ha condotto l'inchiesta di Mani pulite scoperchiando la Tangentopoli italiana, è sceso in campo fuori dal Palazzo di Giustizia, attaccando frontalmente il progetto di riforma che sta nascendo in Parlamento sulla base del lavoro della commissione bicamerale guidata da Massimo D'Alema. Prima il capo della Procura milanese, Saverio Borrelli, davanti al congresso dell'Associazione nazionale dei magistrati. Ieri Gherardo Colombo, uno dei suoi collaboratori storici, con un'intervista al "Corriere della Sera". La tesi è drammatica: c'è un ricatto perenne con cui il vecchio malaffare italiano tiene prigioniero il "nuovo" che fatica a emergere nel nostro paese. Per vent'anni questa società del ricatto ha prodotto compromessi e consociativismo, adesso tutte queste tossine - consociativismo, compromesso, ricatti - si concentrano nella riforma della Costituzione che rischia perciò di nascere condizionata, guasta e malata. Una sorta di "cupola" di protezione e di garanzia, sembra di capire dalle parole del dottor Colombo: che vuole espellere da sé e imbrigliare l'unica forza da qualche anno ribelle, e cioè la magistratura con la sua indipendenza.
Un atto di accusa così capitale o nasconde qualcosa che noi non conosciamo, oppure non ha spiegazione. Colombo non critica infatti alcuni aspetti discutibili, ambigui, o anche pericolosi della riforma, ma lancia un sospetto preliminare e totale di malafede politica e istituzionale sull'intero progetto riformatore. È per questo che già ieri pomeriggio, dopo una reazione di condanna generale da parte di tutte le forze politiche - da An a Rifondazione comunista, al Pds - e della stessa Magistratura democratica, sono dovuti intervenire i presidenti delle due Camere, con un comunicato congiunto, come accade nelle occasioni di particolare gravità, per condannare una "delegittimazione in blocco e devastante del Parlamento", che rischia di travolgere l'intero lavoro della Bicamerale, senza appello.
Non è la prima volta che la politica si trova contrapposta alla magistratura, nella rappresentanza particolare e simbolica del pool di Milano: in passato interi partiti come Forza Italia e i suoi satelliti sono scesi in campo a difesa di Berlusconi o di Previti, denunciando il "golpismo" della Procura di Milano.

MA OGGI c'è qualcosa di diverso, c'è qualcosa di più. È come se la Procura, attraverso uno dei suoi uomini di punta, denunciasse il "golpismo" strisciante del Parlamento, senza distinzioni. Questo non è accettabile: la politica in quanto tale, in una democrazia, non può essere messa sotto accusa da un magistrato, tenuta sotto sospetto nella sua azione legislativa, additata in blocco ai cittadini come un'organizzazione compatta preoccupata soltanto di garantire se stessa (e in particolare la parte più compromessa) attraverso un falso processo riformatore. Siamo ai limiti dell'accusa di criminalità politica. O il procuratore Colombo è a conoscenza di qualcosa che l'opinione pubblica non sa, oppure ha compiuto un gesto politicamente inopportuno e istituzionalmente molto grave.
Diciamo queste cose nella convinzione che deve pur esistere - ed esiste - un corridoio parlamentare in cui è possibile progettare una riforma della Costituzione nella piena legalità formale e sostanziale, e nella piena legittimità di uno scontro aperto ma anche di un confronto continuo tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione. Se così non fosse, se questo corridoio di garanzia e di piena agibilità politico-istituzionale fosse precluso, allora il paese sarebbe perduto. Vorrebbe dire che viviamo sotto regole provvisorie e insieme immodificabili con la politica ridotta a una maschera, perché incapace di riscrivere la base della sua azione istituzionale, fornendo tutte le garanzie necessarie ai cittadini.
Non è così. Lo diciamo pur sapendo (e avendo denunciato su questo giornale) i rischi che si nascondevano e ancora si nascondono nell'azione della Bicamerale, dove il Polo per stato di necessità si è trovato spesso e tuttora si trova nelle condizioni di cercare uno scambio non tra posizioni politiche diverse - come è naturale e fisiologico - ma tra politica e interessi. Repubblica ha denunciato più volte il rischio di questo scambio perverso, che Berlusconi voleva a ogni costo realizzare attorno ai temi della giustizia, per ottenere dalla Bicamerale uno strumento di interdizione, di opposizione o almeno di ostruzione all'azione delle Procure che indagano su di lui e sul suo gruppo. Questo scambio nascosto è venuto in alcune occasioni in piena luce. Siamo giunti al punto in cui il Polo voleva disarticolare il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, portando quest' obbligo sotto la discrezionalità del governo, con il Guardasigilli in carica che ogni anno avrebbe indicato alle Procure la lista e la gerarchia dei reati da perseguire prima e più di altri.
La follia metodica, ossessiva e interessata di questi progetti è stata battuta - oggi nessuno lo ricorda - per l'opposizione di pochi soggetti, tra i quali alcuni settori particolarmente esposti della magistratura. Il rischio non è cancellato del tutto, perché gli interessi in campo restano pesanti, e stringenti. Ma proprio perché abbiamo denunciato questi pericoli, sui quali occorre continuare a vigilare seguendo l'iter della riforma, rifiutiamo la condanna preventiva e definitiva dell'azione riformatrice del Parlamento. Le nostre Camere, nel 1998, non sono e non devono essere in libertà vigilata e dunque non possono reggere il sospetto perenne di immaturità politica e democratica da parte di un magistrato che ha un peso così rilevante nell' opinione pubblica.
Una parte notevole di questa pubblica opinione - e con essa Repubblica - ha sostenuto l'azione della magistratura e del pool di Milano perché ha scoperchiato la cupola italiana del malaffare. Molti degli attacchi "garantisti" rivolti alle Procure erano in realtà degli atti interessati di intimidazione e di delegittimazione, a sostegno di indagati eccellenti che non puntano a difendersi (come logico e legittimo), ma a contestare l'impianto intero della giust izia, con una logica pericolosa ed eversiva. A un certo punto, nel passaggio travagliato dalla Prima alla Seconda Repubblica, c'è stata la tentazione di saldare l'ansia di normalità dei vincitori di centrosinistra con l'ansia di impunità degli sconfitti della destra, cercando una scorciatoia per "uscire dall' emergenza". Va ricordato che in alcuni momenti, dietro l'approccio ai temi della giustizia da riformare si è intravista una voglia di resa dei conti della classe politica, un abbozzo di vendetta. Infine, tanto per non dimenticare, abbiamo assistito ancora al ricatto esplicito della destra sul caso Previti, cercando di legare il destino dell'avvocato Fininvest al destino delle riforme. Fino alla spregiudicatezza finale, il ballon d'essai sull'amnistia, che avrebbe riconciliato politica e magistratura, uccidendo però la giustizia.
Tutto ciò può forse spiegare il senso di isolamento che traspare dalle parole di Gherardo Colombo, quel sentimento di solitudine politica e culturale, di "minoranza della legalità", arroccata perché assediata. Chi condanna oggi, giustamente, la denuncia di Colombo come un'interdizione nei confronti della politica, che cosa ha detto in tutti questi mesi davanti alle accuse vergognose, eversive, illiberali, lanciate da molti indagati e dai loro rappresentanti politici nei confronti del pool? Quanti hanno taciuto mentre si è cercato in tutti i modi di fermare la giustizia, quando stava indagando in una certa direzione? Non tutti, dunque, hanno le carte in regola per lagnarsi del sostituto procuratore di Milano e dei suoi errori.
Detto questo, Borrelli e i suoi uomini dovrebbero riflettere sull'intera partita che li coinvolge e che è giunta a un punto molto delicato. Proprio il senso di isolamento, l'assedio sgangherato ed eversivo, l'arroccamento del pool possono tradursi in una visione politica pericolosa e sbagliata, come sembrano rivelare le parole di Colombo e la sua difesa da parte del procuratore. È la visione della Procura come unica isola di legalità in un paese democraticamente malfermo e politicamente infetto. Dunque una Procura vendicatrice isolata e simbolica degli interi cinquant'anni del ricatto. Noi che difendiamo il pool per ciò che ha fatto, ma anche per ciò che sta facendo, e deve fare, diciamo che non è così. Con tutte le sue contraddizioni e i suoi ritardi, la democrazia italiana è qualcosa di più complesso e di più ricco di una Procura, sia pure la più meritevole del Paese.


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