N° 53 - 23/11/96
Da il manifesto
Lo stato-mondo
Come costruire una cittadinanza non più borghese né laburista, se la razionalità economica resta l'unico riferimento?
Di Antonio Cantaro
Una sovranità erosa
Per ciò che concerne la prima questione io concordo con il fatto
che oggi lo stato-nazione non costituisca il luogo esclusivo del
conflitto sociale e politico, né tanto meno che la sinistra possa
ancora considerarlo il luogo privilegiato della trasformazione.
Così, la sovranità dello stato-nazione risulta oggi erosa di
fatto e di diritto.
Di fatto, da quell'universo di regole e strutture sovranazionali
(il gruppo dei sette paesi più industrializzati, la Banca
mondiale, il Fondo monetario, le grandi istituzioni finanziarie,
ecc.), i cui orientamenti condizionano non solo la finanza, il
commercio e la produzione, ma altresì quelle scelte di politica
economica e sociale che sono ancora nelle disponibilità di
parlamenti e governi (essenzialmente la manovra sui bilanci
pubblici).
E di diritto, poiché la costituzione economica reale è sempre più
quella contenuta nei trattati europei, quello di Roma e quello di
Maastricht, negli atti degli organi comunitari, nei vincoli che
la politica monetaria della Bundesbank e della Banca d'Italia
pone alla politica di bilancio e alla gestione del debito
pubblico.
L'enfasi che Revelli pone sul declino dell'ordine degli
stati-nazione che ha largamente governato l'Europa è dunque
fondata. Sia la costituzione economica sia la costituzione
politica degli stati sono oggi scosse alle fondamenta. Ma ciò -
ecco un punto di distinzione con Revelli - non significa che gli
stati-nazione abbiano esaurito ogni funzione.
Il declino della fase "borghese" e "liberale", come di quella
"laburista" e "socialdemocratica" dello stato, non significa che
questo sia diventato un "luogo" secondario, attraversato da
conflitti politicamente e socialmente irrilevanti.
La mia opinione è che l'integrazione transnazionale di
produzione, finanza e tecnologie fa sì declinare il legame fra
economia e territorio, ma che ciò non comporta una
marginalizzazione tout-court della tradizionale sfera pubblica.
Noi assistiamo, piuttosto, a una trasformazione dell'agire
politico e a un mutamento delle aspettative del territorio nei
confronti delle istituzioni, trasformazione conseguente a una
sorta di sdoppiamento della cittadinanza che nell'epoca della
globalizzazione attraversa lavoratori, imprese,
consumatori.
Cosmopoliti e cittadini
Tutti questi soggetti diventano, in realtà, "cosmopoliti" per ciò
che attiene il versante della dimensione economica, per la quale
sentono di non avere più stringenti vincoli di appartenenza
comunitaria e territoriale. Ma continuano a essere "cittadini"
dello stato-nazione per ciò che attiene a pretese esercitabili
solo rispetto a un territorio e a una collettività concreta:
quali, per esempio, sicurezza personale, infrastrutture primarie,
servizi pubblici essenziali, politiche sociali e redistribuzione
del reddito.
E' per queste ragioni che i conflitti sul futuro, il destino e la
qualità dello stato-nazione sono state e continuano a essere
negli anni novanta così aspri in Europa e in Italia. Ed è per
queste ragioni che il welfare è diventato un terreno cruciale di
conflitti e di mobilitazione per la destra e per la sinistra, per
i ceti abbienti e per i ceti popolari.
Ciò che è in gioco per coloro che scendono sempre più numerosi in
piazza a Roma, Milano, Parigi, Napoli non è semplicemente una
certa quantità e destinazione di spesa pubblica.
Ma, più nel profondo, la scommessa dello stato moderno, di
limitare le ragioni dell'economia a vantaggio delle ragioni della
società, di condizionare gli imperativi del mercato con altri
imperativi: quelli dell'eguaglianza, della solidarietà,
dell'umanesimo dei bisogni.
Il XXI secolo non sarà certamente - come lo è stato il secolo che
volge al termine - il secolo dello stato sociale che abbiamo
conosciuto (lo stato fordista e keynesiano). Ma rimane, tuttavia,
del tutto attuale il problema più di fondo, al quale il welfare
ha tentato di offrire una risposta.
Un'altra razionalità
Ovvero, la ricerca di una razionalità altra rispetto a
quella esclusivamente economica, di una razionalità in grado di
limitare e correggere il codice meramente calcolistico dell'homo
economicus.
Questa ricerca è oggi diventata più urgente, a fronte di culture
e pratiche che tendono ad assecondare la vocazione totalitaria e
imperialistica della ratio economica. Ad assecondare la tendenza
di questa a invadere tutte le sfere dell'agire umano - quali
quelle della riproduzione, dell'affettività, della politica, dei
beni pubblici - che per mantenere ancora un senso devono
essere agite da codici dell'incalcolabilità (economica).
Comprendo quindi bene l'ossessione di Revelli di "accelerare il
processo di autorganizzazione e di produzione su scala allargata
di socialità". Ma ritengo sbagliato non vedere come tanto la
distruzione quanto la ricomposizione dei legami sociali passano
anche dalle politiche dello stato-nazionale, dello stato sociale,
dalle decisioni delle istituzioni dell'integrazione europea.
Pensare che questi non siano più luoghi del conflitto o che
comunque le scelte che lì vengono compiute siano indifferenti
alla costruzione di un diverso punto di vista sui bisogni di un
diverso misuratore della crescita (oltre il prodotto interno
lordo) rischia di essere fuorviante e ingenuo.
Ci vuole più politica
Il terzo settore, l'associazionismo no-profit hanno bisogno, per
crescere e consolidarsi, non di meno politica pubblica, ma di più
politica, di più democrazia, di più progettazione macro-sociale.
Come potremo costruire una cittadinanza non più "borghese"
(proprietaria) né "socialdemocratica" (laburista e quindi ancora
sviluppista), se la comunità nel suo complesso (si chiami stato,
o altro, poco importa) continuerà a essere agita (egemonizzata)
da etiche della razionalità economica e calcolistica?
Il diverso punto di vista, il diverso codice della vita
comunitaria che vogliamo definire non si affermerà semplicemente
con i buoni sentimenti di chi pratica l'economia sociale, di chi
è impegnato nell'attività di cura e nel volontariato.
E' necessario, viceversa, battersi affinché tutte queste attività
costituiscano il nuovo fondamento della cittadinanza, il
presupposto per essere titolari di pretese anche generali
(politiche) nei confronti della società, dell'economia, delle
istituzioni.
Solo così, oggi, potremo incontrare e parlare di quel Sud
d'Italia di quel Mezzogiorno da troppo tempo silente e che a
Venezia abbiamo solo evocato, senza mai nominare i valori, i
drammi umani e sociali, le potenzialità "antiliberiste" delle sue
culture politiche, il suo antico "cosmopolitismo".
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