Il Senato delle regioni, intervento di U. Allegretti
Caro Franco,
ti invio un intervento del Prof. Umberto Allegretti, uno dei
membri del Comitato promosso da Rodotà per l'osservatorio sulla
Bicamerale, con un intervento sul tema del Senato delle Regioni.
Una delle questioni più importanti che dovrà essere discussa in seno alla Commissione bicamerale
è la trasformazione di una delle Camere (il Senato) in "Camera delle regioni". Sembrava che vi fosse un certo accordo che
il disegno di uno Stato federale fortemente autonomistico e la stessa ristrutturazione della forma di governo dovessero comportare
una riforma costituzionale di questo tipo; ma ora si ha la sensazione che quell'orientamento sia in forse dentro le varie forze
politiche.
Naturalmente tutti percepiscono il collegamento e quindi si continua a sostenere che una Camera deve avere connotati
regionalisti. Ma bisogna stare attenti: questo é un tema che non tollera incoerenze, sotto pena di futuri e gravi
insuccessi pratici per tutta la riforma.
Due delle tesi che si sono fatte avanti per la composizione del Senato sono: elezione diretta popolare; nomina dei senatori
da parte sia delle Regioni che della altre autonomie locali. Ma bisogna dire che una Camera eletta direttamente non sarebbe a
vera Camera di carattere federale o regionale. In essa si esprimerebbe, come oggi, una selezione del personale politico
caratterizzata da un misto di centralismo e di localismo. Per quanti artifici si possano ideare in tema di circoscrizioni elettorali o
di designazione delle candidature, in che cosa realmente il futuro Senato si differenzierebbe da quello attuale che ha già,
per definizione della Costituzione, "base regionale", ma che è assolutamente privo di ogni rappresentatività delle
autonome?
Un senato composto di rappresentanti sia delle Regioni che dei Comuni, apparentemente darebbe forza a tutto il sistema delle
autonomie ma in realtà, a causa della frammentazione di queste e della non corrispondenza tra la sua struttura e le sue
funzioni (legislative), sarebbe debole e diviso. I Comuni devono avere una funzione fondamentale in uno Stato autonomistico e
federale e, pertanto, essi vanno sviluppati e costituzionalmente garantiti, anche nei confronti delle Regioni ma il loro ruolo è
essenzialmente di amministrazione e di carattere locale (con tutta la valenza anche politica che tutto ciò possiede).
Solo le Regioni - si intende Regioni fortemente rinnovate - hanno la dimensione e possono conquistarsi l'autorevolezza necessaria per rappresentare con forza la periferia e bilanciare così il sistema politico centrale.
Il bandolo della coerenza nelle scelte sulla composizione del Senato sta, in realtà, nel considerare con tutta la
convinzione necessaria le ragioni della riforma.
La Camera delle Regioni dovrebbe essere chiamata a contrastare le tendenze all'accentramento, che hanno
sempre dominato la nostra esperienza politica per responsabilità, non solo del Governo e delle burocrazie centrali, ma
anche del Parlamento e delle leggi da esso approvate. Essa sarebbe in grado di fare finalmente delle leggi statali la sede in cui si
stabiliscono gli indirizzi fondamentali della legislazione, realmente resi necessaria da esigenze nazionali unitarie, e di garantire che
la legislazione di applicazione di quegli indirizzi sia adottata in sede regionale.
Diventerebbe, insomma, la vera custode politica dell'autonomia: senza una camera regionale, anche quella più
ampia devoluzione di poteri alle Regioni e ai Comuni, sulla quale vi è un generale accordo, è destinata a cadere
rapidamente nel nulla per effetto di nuove decisioni in senso accentratore, che quasi certamente verrebbero messe in opera
attraverso mille strumenti; è questa la ragione per non accogliere la proposta di un rigido monocameralismo.
Nel contempo - e la cosa non è meno rilevante - inserire le Regioni nel cuore del sistema istituzionale centrale
serve a renderle corresponsabili della gestione del paese, soddisfacendo il bisogno di autonomia delle periferie e troncando
così la tentazione di fuga verso il secessionismo o l'egoismo localistico.
C'è poi un altro elemento che fa della trasformazione del Senato In Camera delle Regioni un perno decisivo della stessa
riforma della forma di governo. La presenza di una Camera garante delle autonomie risolverebbe in gran parte il problema delle
disfunzioni del Parlamento, perché lasciare alle Regioni il ruolo dì approvare le mille leggi di dettaglio renderebbe
finalmente il Parlamento efficiente ed autorevole nelle grandi scelte di indirizzo e di legislazione generale. Cosi si avrebbe il
riequilibro del ruolo delle Camere nei confronti del Governo, senza forzature che trasferiscano in quest'ultimo - con sacrificio di
un'autentica rappresentatività democratica - le funzioni normative.
Se si vogliono raggiungere questi obiettivi, bisogna dunque pensare ad una Camera vigorosamente rappresentativa, attraverso le
Regioni, del sistema locale, formata unicamente di personale politico (Presidente, assessori, eventualmente consiglieri) in carica
presso le Regioni e dotata, naturalmente, di poteri adeguati nelle procedure di decisione, anche nei rapporti con la Camera
dei deputati. Non c'è da temere che un Senato così concepito sia meno democratico di uno elettivo: esso
trae legittimazione democratica dalle elezioni regionali.
E neanche si deve temere che si abbia un declassamento del personale politico chiamato alle grandi decisioni nazionali:
semplicemente, una parte di esso - i componenti di una delle due camere - si sposterebbe in sede locale ma, come in Germania,
acquisterebbe dalla doppia carica rivestita (regionale e centrale) il massimo della legittimazione e dell'autorità.
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