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A fronte di queste esternazioni di un'area
politicamente significativa del centrosinistra, il fronte del NO che nella
battaglia parlamentare era arrivato a sostenere gli scenari più
apocalittici si è improvvisamente dissolto. O meglio: chi l'ha mai
visto?
Considerate quindi le raccomandazioni
di chi ora dice di non esagerare con gli allarmismi e visto il silenzio
di chi invece sosteneva di esserlo, ci sarà poco da sorprendersi
se il 25-26 giugno ci ritroveremo a votare in pochi per un referendum che
parrebbe non possedere più "motivi dirompenti".
Un film già visto con il referendum
costituzionale del 2001, dapprima fortemente voluto dal centrodestra quando
era all'opposizione e poi messo in sordina dallo stesso centrodestra una
volta divenuto maggioranza di governo.
Più che una battaglia referendaria,
quindi, in grado di marcare nette differenze tra centrosinistra e centrodestra,
ciò che si va prospettando è una sorta di prova generale
delle larghe intese. Un fronte trasversale per le riforme istituzionali
senza riguardo alcuno per i compagni di viaggio.
Ed è questa la verità scomoda
che oggi imbarazza l'intero centrosinistra.
I sostenitori del No con "la porta aperta"
sanno benissimo che non potrebbero mai compattare l'intero centrosinistra
sugli stessi obiettivi portati avanti dal centrodestra con la riscrittura
della Costituzione che ci apprestiamo a votare.
Quale strada migliore, quindi, se non
quella di riaprire il dialogo con il centrodestra, come fu con la Bicamerale
presieduta da D'Alema, al fine di ottenere i numeri in grado di superare
le resistenze di chi, invece, nei confronti della riforma del centrodestra
oppone differenze sostanziali circa il ruolo del Parlamento, gli strumenti
di garanzia, i poteri e il modo di elezione del Premier?
"Dalle riforme votate a maggioranza alle
riforme votate contro parti della propria maggioranza", questo, in sintesi,
lo scenario al quale qualcuno sembra stia cercando di lavorare proponendo
comitati per il NO più preoccupati di marcare le differenze con
il comitato promotore presieduto dall'ex Presidente Scalfaro piuttosto
che contro i principi ispiratori del centrodestra.
In tal senso, di fronte a questo panorama
politicamente e intellettualmente desolante, l'auspicio è quello
di essere smentiti con i fatti.
Ma per fugare ogni dubbio è d'obbligo
avviare, pur nell'imminenza della scadenza referendaria, un confronto immediato
sulle prospettive future che coinvolga, in primo luogo, l'intero fronte
del No.
Per essere credibili, i costituzionalisti
Barbera e Ceccanti sono chiamati a fare uno sforzo. Se ritengono
che possano essere salvaguardati i principi ispiratori della riforma del
centrodestra, indichino dove il centrodestra avrebbe sbagliato e quali
le correzioni possibili.
Chiaramente, è facile sparare a
zero su quello che può essere definito il passaggio dal Bicameralismo
perfetto al Bicameralismo impossibile, e non è certamente questo
un tema rispetto al quale valga la pena spendere più di due parole.
Quello che interessa capire è come
realizzare alcuni principi contenuti nell'appello e, nelle intenzioni,
nella riforma del centrodestra:
- solo agli elettori spetta scegliere
il Governo nelle elezioni politiche per l‘intera legislatura, senza aprire
la strada ad inaccettabili forme di trasformismo post-elettorale;
- spetta solo agli elettori scegliere
il governo per l'intera legislatura e che a tale scopo vanno riconosciuti
al Primo Ministro quei poteri che consentono allo stesso di mantenere coesa
la maggioranza, ivi compresa, con adeguati contrappesi, la proposta di
ricorso anticipato alle urne.
Non si può infine concludere senza
un accenno alle questioni legate alla legge elettorale. Come anche l'appello
Barbera-Ceccanti dimostra, è impossibile affrontare i temi della
Forma di Governo senza tenere conto della legge elettorale.
L'attuale legge elettorale, un maggioritario
di coalizione, per quanto riguarda la Camera dei Deputati ha ampiamente
dimostrato di poter garantire la formazione di una maggioranza parlamentare
solida e il bipolarismo. Voler quindi tornare ad un maggioritario uninominale
di collegio senza verificare quali modifiche potrebbero essere apportate
all'attuale legge elettorale, introducendo ad esempio la preferenza, per
restituire così agli elettori anche la possibilità di scelta
dei candidati oltre a quella già riconquistata di essere loro a
scegliere gli equilibri interni alle coalizioni (e non il mercato delle
vacche da bassi corridoi della politica), puzza di manovra egemonica dagli
scopi inconfessabili.
Ma al di là di questo, se c'è
un'esperienza che ha prodotto un livello di degrado politico senza precedenti,
questa è stata proprio la forzatura bipolare. Ed è sorprendente
come non si riesca a reintrodurre un concetto plurale che possa restituire,
sia agli elettori che alle forze politiche, un livello minimo di libertà
e agibilità politica.
Garantire la governabilità non
significa spaccare il paese, a tutti i costi, in due schieramenti.
La legge elettorale, certamente, come
strumento per agevolare la formazione di maggioranze stabili, ma mai e
poi mai come strumento per appiattire il quadro politico.
Garantire la governabilità non
può e non deve significare la riduzione al lumicino di alcune forze
di opposizione che rappresentano quote significative di elettorato. Soffocare
sul nascere, attraverso i meccanismi di conta di tipo maggioritario, ogni
istanza politica di peso che potrebbe portare contenuti nuovi, non può
che condurre all'ingessatura e al degrado dell'intero sistema politico.
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